Movimento dei Focolari

Uniti nel creato      

A pochi giorni dalla chiusura del “Tempo del Creato”, alcune riflessioni ed esperienze sul contributo che noi, cittadini del mondo, appartenenti a diverse religioni, possiamo offrire per la salvaguardia del nostro pianeta e dell’umanità, vedendo nella creazione un punto di incontro. Come “una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia”. Sono le parole con le quali il Santo Padre, nel descrivere il nostro pianeta, ci introduce all’interno della sua Esortazione Apostolica Laudato Si. Un appello, quello del Papa, rivolto a “tutti gli uomini di buona volontà” e ai credenti di ogni fede: “la maggior parte degli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingere le religioni ad entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità”.[1] La nostra casa è in pericolo e la gravità della crisi ecologica che stiamo vivendo necessita di una via da percorrere per il bene comune. Scavare in profondità, fino a giungere all’essenza di ciascuna fede, è il modo per scoprire, con meraviglia, di essere uniti nel creato. È il modo di ritrovarci, nella bellezza della diversità, come fratelli che vivono sotto lo stesso tetto. “L’ebraismo insegna che siamo partner di Dio nella creazione” spiega Emily Soloff, Direttore Associato per le relazioni interreligiose e intergruppi presso l’American Jewish Committee. “Non siamo proprietari della creazione – continua – ma abbiamo la responsabilità di custodire e curare il mondo. (…) Lo Shabbat è un giorno in settimana in cui riduciamo intenzionalmente il nostro consumo di energia spegnendo completamente computer, telefoni e altri dispositivi elettronici. Non guidiamo una macchina o facciamo acquisti durante lo Shabbat. È un giorno di riposo”. La modernizzazione ci ha allontanati, progressivamente, dal vedere la terra come una manifestazione del divino, lasciando trionfare l’uomo sulla natura. Mostafa El-Diwany, medico musulmano del Dipartimento di Medicina dell’Università di Montréal-Canada racconta: “Nell’Islam, come nelle altre fedi abramitiche, l’asse dell’essere è l’Unità di Dio; il Creatore è la fonte di tutto ciò che esiste (…). Come tale, ogni organismo vivente e la materia stessa sono impregnati del Sacro, e di conseguenza sono sacri. Questa nozione non ostacola in alcun modo lo studio oggettivo del mondo fisico e dell’uomo al suo interno. (…) Dio ha dato dignità all’uomo sul resto della Sua creazione affidandogliene la vicegerenza. Questo non è un ruolo di dominio e di sfruttamento, ma una posizione di responsabilità (…)”. Quella che, dunque, sembra essere una crisi ambientale, potrebbe essere vista come una crisi spirituale, l’incapacità di riconnettersi con il divino e vivere in armonia con la natura. Ristabilire l’ordine con il creato “è alla base dei precetti buddisti”  dice Wasan Jompakdee, Membro cofondatore ed ex Segretario Generale della Fondazione Dhammanaat per la Conservazione e lo Sviluppo Rurarale in Thailandia. Nel raccontare l’opera intrapresa da Phra Ajahn Pongsak Techadhammo, monaco fondatore, racconta: “Circa trent’anni fa egli iniziò ad osservare la perdita di alberi e di terreno sulle montagne della Thailandia settentrionale. I bacini idrici d’alta quota che alimentavano i torrenti e i fiumi sottostanti venivano danneggiati, causando il lento prosciugamento dei fiumi. (…) Egli fece un passo radicale per invertire la desertificazione, mobilitando gli abitanti per rigenerare le loro terre sterili e ripristinare i bacini idrici. (…) Oggi, le aride terre gialle desertificate che aveva protetto sono state rinverdite con alberi da frutto”. È una logica di compassione per ciò che ci circonda, per quello spazio che ci è stato donato e che dobbiamo condividere. Secondo l’induismo “la natura – dice Meenal Katarnikar, membro della Facoltà di Filosofia dell’ Università di Mumbai – appartiene a tutti, agli animali, agli uomini, agli dei e alle piante e ama tutti allo stesso modo”. “In India – continua – le rime della nostra infanzia rispecchiano la nostra amicizia con gli animali come le mucche, i passeri e i corvi. Ogni boccone con cui la madre nutre il bambino è associato a ‘fratello passero’ o ‘caro corvo’, o ‘fratello pavone’ ”. Questa fratellanza, che tanto ricorda il “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi, è possibile solo se ci riscopriamo follemente innamorati della creazione. Uno slancio che riguarda indistintamente tutti, anche in ambito cristiano, dove ci sono varie Chiese. Il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I al Vertice di Halki (Turchia) nel 2012 dice: “Noi cristiani siamo chiamati ad accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale. È nostra umile convinzione che il divino e l’umano s’ incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta”[2].

Maria Grazia Berretta

[1] Papa Francesco, Lettera Enciclica Laudato sì, 201. [2] Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, Discorso Global Responsibility and Ecological Sustainability: Closing Remarks, I Vertice di Halki, Istanbul, Turchia, 20 giugno 2012. (altro…)

Comunione di pensiero e spirito 

Comunione di pensiero e spirito 

Un Convegno alla Facoltà Teologica di Innsbruck (Austria) a conclusione di un percorso pluriennale d’attività intellettuale e esercizio esistenziale. Guardare tutti i fiori” un titolo insolito per un convegno teologico e, oltre tutto, in un contesto prestigioso come quello della Facoltà Teologica di Innsbruck che gli addetti ai lavori identificano con il nome di Karl Rahner, sepolto nella grande chiesa gesuita che divide le due ali dell’Ateneo.  È stato significativo che proprio qui, nella prestigiosa Leopold Saal si sia svolto questo convegno, caratterizzato da una buona presenza (circa cento persone) con 150 punti di ascolto in altri continenti . Non si è trattato di un evento isolato, quanto della conclusione di un percorso iniziato quasi un decennio fa in occasione di un convegno islamo-cristiano organizzato dal Movimento dei Focolari e fondato su uno scambio di esperienze di dialogo della vita. Due professori della facoltà teologica austriaca – Roman Siebenrock e Wolfgang Palaver – presenti in quell’occasione mostrarono grande interesse a questa esperienza di dialogo. Nei mesi successivi a contatto con la spiritualità dei Focolari avevano visitato anche il nascente Istituto Universitario Sophia e il centro internazionale del Dialogo Interreligioso del Movimento. Da qui l’idea di formare un gruppo di ricerca con accademici delle due religioni per approfondire aspetti della spiritualità dalle due prospettive. Da allora, ogni anno, alla fine di agosto questo gruppo – chiamato cluster – e composto da una ventina di persone di diverse provenienze si è regolarmente incontrato per alcuni giorni. Fin da subito non è stata una semplice attività intellettuale ed accademica ma anche un esercizio esistenziale che ha via via costruito rapporti profondi a livello personale, culturale, religioso ed intellettuale. Negli ultimi anni l’interesse del gruppo si è concentrato su alcune pagine di carattere mistico di Chiara Lubich. I passi, fra i quali quello che ha dato il titolo alla conferenza, sono stati approfonditi sia nella sensibilità cristiana (cattolica e riformata) che in quella musulmana (sunnita e sciita). Al termine di questo percorso, si è deciso di organizzare un convegno accademico che potesse permettere la condivisione della ricchezza di queste riflessioni. Il convegno di questi giorni ha aperto questa esperienza  ad un pubblico accademico, e non solo, di matrice tedesca (austriaci, svizzeri e tedeschi erano infatti la stragrande maggioranza dei partecipanti) esprimendo nello stile, nel linguaggio e nelle categorie di pensiero di questa parte di Europa un patrimonio spirituale recente (quello della Lubich) capace, però, di coagulare pensatori di diverse provenienze, sia etniche che culturali e soprattutto religiose o meno: cattolici, riformati, musulmani e marxisti. Ad una riflessione teologica sul passo che ha dato il titolo all’evento – un intervento del teologo riformato Stefan Tobler – hanno fatto seguito altre riflessioni e tavole rotonde da cui sono emerse le esperienze di comunione intellettuale e spirituale che questi accademici – cristiani e musulmani – vivono da anni.  Come  percepiva un’artista ginevrina intervenuta ai lavori, si notava una testimonianza chiara quando sul palco saliva un gruppo che offriva un contributo a più voci. Un aspetto che raramente si trova in ambito accademico e che in questi giorni ha caratterizzato il convegno con una dimensione importante: la comunione di pensiero e di spirito. Inoltre, la presenza di cattolici, riformati, marxisti e musulmani ha offerto uno spaccato notevole di scuole di pensiero, di sensibilità accademiche ma anche culturali e religiose che non è facile trovare nel mondo attuale che vive di forti polarizzazioni quotidiane anche nell’ambito accademico e culturale.

Roberto Catalano

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Mai dimenticare: ricordare l’11 settembre

Mai dimenticare: ricordare l’11 settembre

La solidarietà condivisa sull’11 settembre da cattolici e musulmani ad Indianapolis (Usa) continua. Nei giorni successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, molti musulmani americani hanno subito un contraccolpo aggressivo e talvolta violento da parte dei loro connazionali, perché gli uomini che quel giorno dirottarono gli aerei di linea erano estremisti musulmani. Il Nur-Allah Islamic Center di Indianapolis è stato oggetto di molteplici minacce di attentato nei giorni successivi all’11 settembre. Così, quando i musulmani del centro si sono riuniti per la preghiera il venerdì dopo gli attacchi, sapevano che potevano diventare loro stessi vittime di un attacco. Ma non erano soli. Ad unirsi a loro quel giorno c’erano alcuni dei loro amici cattolici che erano membri dei Focolari, un movimento ecclesiale laico internazionale nella Chiesa che, tra le altre cose, promuove una maggiore unità nella più ampia famiglia umana. “È stata un’esperienza molto emozionante”, ha detto il membro di Nur-Allah David Shaheed, che ha anche servito come giudice della contea di Marion dal 1996. “Si sono sentiti legati a noi. Hanno sentito che eravamo amici e vicini di casa. Hanno messo a rischio la loro vita per essere con noi in un momento così storicamente tumultuoso e spaventoso”. John Mundell, un membro della parrocchia di San Pio X l’11 settembre, faceva parte del gruppo dei Focolari che venne a Nur-Allah il 14 settembre 2001. “Quell’esperienza è stata probabilmente uno dei momenti più sacri della mia vita”, ha detto. “Quando siamo entrati come gruppo e ci hanno visto, si poteva dire dallo sguardo sui loro volti che si rendevano conto che ciò che avevamo stabilito era reale. Non c’era niente di falso o superficiale”. I membri dei Focolari sapevano che scegliere di stare con i loro amici del Nur-Allah dopo le minacce di bombardamento contro il loro centro poteva mettere in pericolo le loro vite. Ma la loro relazione reciproca era abbastanza importante per loro che hanno accettato quel rischio. “La nostra fede cattolica ci chiamava ad essere lì con loro”, ha detto Mundell, ora membro della parrocchia di Nostra Signora di Lourdes a Indianapolis. “Questo è stato il punto in cui la gomma ha incontrato la strada. Dentro di te, sai qual è la cosa giusta da fare, ma poi devi dire, ‘Sì, lo stiamo facendo’. “Per fortuna, quel giorno non ci sono stati attacchi. Ma alcuni membri di Nur-Allah hanno così apprezzato la solidarietà mostrata loro dai loro amici cattolici che si sono uniti a loro per la messa due giorni dopo nella chiesa di San Pio X. “Era amore reciproco”, ha detto Mundell. “Ti allungavi con amore e poi ricevevi questa specie di onda [d’amore] indietro. Era una sensazione sacra. In qualche modo c’era la presenza di Dio in questa relazione che avevamo stabilito”. Quella relazione era iniziata nel 1997 e seguiva l’esempio di Chiara Lubich, la fondatrice italiana dei Focolari, che aveva raggiunto W.D. Muhammed, il leader di un ramo dell’Islam negli Stati Uniti composto principalmente da neri americani. Negli anni che seguirono l’inizio della relazione a Indianapolis, i membri dei Focolari e Nur-Allah ospitarono incontri di cattolici e musulmani che attiravano persone da tutto il Midwest. Uno aveva avuto luogo a Indianapolis meno di due mesi prima dell’11 settembre. Ma gli eventi di quel giorno hanno rapidamente approfondito il loro rapporto in modi che non avrebbero potuto immaginare. “Ci sono momenti in cui Dio ci chiama all’unità attraverso il dolore”, ha detto Michael Saahir, l’imam residente di Nur-Allah. Questa, per lui, è una lezione duratura dell’11 settembre, che teme venga dimenticata con il passare degli anni. “Troppo spesso, quando il dolore si placa, noi dimentichiamo”, ha detto Saahir. “Tendiamo a dimenticare troppo facilmente. O non ci prendiamo nemmeno il tempo di studiare le lezioni che ne derivano. E l’unità della famiglia umana è la principale”. Negli ultimi anni, i membri del Focolare di Indianapolis sono diventati più consapevoli del dolore provato dai loro amici musulmani neri a causa della loro razza. “Non siamo perfetti come americani, come cattolici nell’abbracciare questa idea di fratellanza e sorellanza universale”, ha detto Mundell. “Abbiamo una lunga strada da percorrere. C’è un aspetto razziale su cui dobbiamo continuare a lavorare e ascoltare”. I membri dei Focolari e di Nur-Allah si stanno impegnando affinché le lezioni dell’11 settembre e altre lezioni siano ricordate. Nei mesi e negli anni che sono seguiti a quel giorno, persone di entrambe le comunità di fede sono state invitate nelle parrocchie di tutta l’arcidiocesi e oltre e nelle università per parlare della loro esperienza e relazione interreligiosa. Quando Mundell ha iniziato a ricevere questi inviti, ha cominciato a riconoscere un significato ai semplici legami personali che erano stati creati con i suoi amici musulmani nel 1997. “Ci ha fatto capire l’unicità di quella relazione e che non era più destinata solo a noi”, ha detto. “Era destinato ad essere condiviso con tutti”. “La gente ha bisogno di vedere un modello o un esempio”, ha detto Saahir. “Sono grato che la nostra relazione con i Focolari sia un modello, non solo per i musulmani e i cattolici, ma per chiunque possa vedere che questo è fattibile e ha una lunga durata”. Mundell e Saahir sperano che la longevità della relazione tra le loro due comunità continui nella prossima generazione”. “È come trasmettere la propria fede”, ha detto Mundell. “La prossima generazione deve assumerla come propria. Devono avere la loro esperienza. Questo è qualcosa che faremo per il resto della nostra vita. Le relazioni devono essere continuamente rinnovate e ricostruite”.

Di Sean Gallagher per “The Criterion”, 3 settembre 2021

Al servizio della Chiesa nell’Indianapolis centrale e meridionale (Usa) dal 1960

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La geopolitica coraggiosa di papa Francesco

La geopolitica coraggiosa di papa Francesco

La categoria imprescindibile del pontificato di papa Francesco, confermata anche in Iraq, è la fraternità. La sua testimonianza personale ed ecclesiale, il suo magistero e le sue relazioni con il mondo musulmano, fanno ormai della fraternità una cifra geopolitica. Lo storico incontro con al-Sistani. Da più parti, in questi giorni, si cerca di fare un bilancio del viaggio di papa Francesco in Iraq. Penso che sia difficile, se non impossibile, tentarne uno esauriente. Troppi i temi coinvolti e, soprattutto, siamo troppo vicini, a ridosso immediato di un evento globale articolato, che solo con il passare del tempo si potrà comprenderlo in tutte le sue valenze. Ovviamente alcuni elementi più di altri hanno colpito l’immaginario di chi ha seguito i vari avvenimenti in un contesto che, per certi versi, nella sua cruda realtà rischiava quasi di apparire surreale. Se pensiamo ai viaggi papali inaugurati da Woityla a partire dal 1979, eravamo abituati a ben altri scenari e sfondi: folle oceaniche, preparazione coreografica che spesso rasentava la perfezione e, soprattutto, eventi che lasciavano l’immagine, soprattutto nei primi anni dell’era del papa polacco, di una fede forte, al centro della storia, in contrapposizione con il mondo ateo da cui il papa polacco veniva. Papa Francesco, che fin dall’inizio del suo pontificato ha introdotto l’idea di una Chiesa incidentata e paragonata ad un ospedale da campo, in questi anni è impegnato a trasmettere questa immagine di Chiesa e lo ha fatto praticamente dovunque è andato. Fin dal suo primo viaggio ufficiale a Lampedusa, porto e cimitero di migranti, passando per Bangui, dove ha voluto inaugurare il suo Giubileo inatteso e straordinario, per arrivare a Mosul, dove il palco aveva come sfondo macerie e muri ancora perforati da proiettili di vario calibro. E non possiamo dimenticare Tacloban, dove ha sfidato un imminente tifone per stare accanto ai sopravvissuti di un altro evento catastrofico; Lesbo dove ha passato senza fretta tempo prezioso ascoltando le storie inenarrabili di profughi di varie provenienze. Ma la lezione di Francesco non riguarda solo l’impegno a mostrare che il volto più prezioso della Chiesa è quello incidentato. È piuttosto il modo con cui mostra la prossimità, il calore necessario per far sentire a chi soffre la comunità cristiana. Soprattutto è impegnato a proiettare queste comunità sul palcoscenico mondiale, per dire che quella è la Chiesa vera, che tutti dobbiamo avere a cuore e che testimonia in modo reale Cristo. Come ha detto sul volo di ritorno, Bergoglio respira in questi frangenti, perché è questa la sua chiamata petrina, quella per la quale il conclave lo ha eletto pur senza sapere ed immaginare dove avrebbe condotto la barca di Pietro. Lo stiamo tutti vedendo e sperimentando in questi anni. Ed i viaggi ne sono lo specchio probabilmente più veritiero, che non tradisce e non lascia adito alcuno a malintesi. D’altra parte non è nulla di nuovo. Come i suoi predecessori, il papa argentino dimostra di saper leggere e decodificare i segni dei tempi ed offre testimonianza credibile al fatto che la Chiesa è testimone nel tempo, intercettandone le problematiche ed i nodi-chiave, offrendo risposte spesso contro corrente rispetto a quelle che il mondo politico, internazionale e, oggi, finanziario impongono. Di fronte alla realtà che Francesco si è trovato a vivere, compresa quella senza precedenti (almeno in questi termini) della pandemia, la categoria imprescindibile del suo pontificato, confermata anche in Iraq, è la fraternità. La testimonianza personale ed ecclesiale di Bergoglio, il suo Magistero e le sue relazioni, soprattutto ma non solo, con il mondo musulmano, ne fanno ormai una cifra geopolitica. Lo ha dimostrato anche il suo incontro con il Grande Ayatollah al-Sistani. Le implicazioni di quei quarantacinque minuti sono fondamentali. Tutti sappiamo, infatti, che il grosso nodo che l’islam oggi deve sciogliere è interno al suo mondo: la tensione mai sopita ma ora pericolosamente acuita fra la sfera sunnita e quella sciita. È qui che si devono ricercare le radici di molti dei problemi che i musulmani vivono e per i quali, anche, molti muoiono. Bergoglio ha mostrato grande tatto politico nel voler incontrare al-Sistani, il rappresentante più significativo dello sciismo spirituale, ben distanziato dalla teocrazia iraniana che dalla rivoluzione khomeinista degli anni Ottanta del secolo scorso, ha spinto il mondo iraniano ad essere paladino di questa frangia del caleidoscopio musulmano. Al-Sistani ha sempre preso le distanze dalla scelta teocratica degli ayatollah iraniani, ed è da decenni un leader spirituale e religioso riconosciuto. Fra l’altro è nato in Iran. L’incontro fra i due è avvenuto a porte chiuse, ma come lo ha descritto papa Francesco nel volo di ritorno, è stato un momento di spiritualità, «un messaggio universale. Ho sentito il dovere, […] di andare a trovare un grande, un saggio, un uomo di Dio. E solo ascoltandolo si percepisce questo. […] E lui è una persona che ha quella saggezza … e anche la prudenza. […] E lui è stato molto rispettoso, molto rispettoso nell’incontro, e io mi sono sentito onorato. Anche nel saluto: lui mai si alza, e si è alzato, per salutarmi, per due volte. È un uomo umile e saggio. A me ha fatto bene all’anima, questo incontro. È una luce». Bergoglio ha poi azzardato un apprezzamento che forse nessun papa aveva avuto il coraggio di esprimere in passato: «Questi saggi sono dappertutto, perché la saggezza di Dio è stata sparsa per tutto il mondo. Succede lo stesso anche con i santi, che non sono solo quelli che stanno sugli altari. Sono i santi di tutti i giorni, quelli che io chiamo “della porta accanto”, i santi – uomini e donne – che vivono la loro fede, qualunque sia, con coerenza, che vivono i valori umani con coerenza, la fratellanza con coerenza». Tutto questo non è passato inosservato. I commenti positivi sono piovuti da più parti, cominciando proprio dal mondo musulmano. Sayyed Jawad Mohammed Taqi Al-Khoei, segretario generale dell’Istituto Al-Khoei di Najaf, esponente di spicco del mondo sciita iracheno e direttore dell’Istituto Al-Khoei che fa parte dell’Hawza di Najaf, un seminario religioso fondato quasi mille anni fa per gli studiosi musulmani sciiti, è stato molto chiaro nei suoi apprezzamenti. «Sebbene questo sia il primo incontro nella storia tra il capo dell’establishment islamico sciita e il capo della Chiesa cattolica, questa visita è il frutto di molti anni di scambi tra Najaf e Vaticano e rafforzerà senza dubbio le nostre relazioni interreligiose. È stato un momento storico anche per l’Iran». Al-Khoei ha affermato l’impegno a «continuare a rafforzare le nostre relazioni come istituzioni e individui. Presto ci recheremo in Vaticano per assicurarci che questo dialogo continui, si sviluppi e non si fermi qui. Il mondo deve affrontare sfide comuni e queste sfide non possono essere risolte da nessuno stato, istituzione o persona, da soli». L’agenzia AsiaNews riporta anche alcuni commenti positivi apparsi sulla stampa iraniana, che ha dato ampio risalto e celebrato come “opportunità per la pace” lo storico incontro. La notizia è stata il titolo di apertura di quotidiani e organi di informazione della Repubblica islamica. Sazandegi, una storica pubblicazione vicina all’ala riformista, sottolinea che i due leader religiosi sono oggi «i portabandiera della pace mondiale». E ha definito il loro faccia faccia nella casa del leader spirituale sciita «l’evento più efficace [nella storia] del dialogo tra le religioni».  

Roberto Catalano

fonte: Città Nuova (altro…)

La Preghiera dei figli di Abramo: “apri i nostri cuori al perdono reciproco”

Sabato 6 marzo 2021, durante il viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq, si è tenuto l’incontro interreligioso nella Piana di Ur dei Caldei. Al termine è stata intonata un’orazione ispirata alla figura del patriarca Abramo, padre comune nella fede per cristiani, ebrei e musulmani. Ecco il testo. Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo, figlio insigne di questa nobile e cara terra. Ti ringraziamo per il suo esempio di uomo di fede che ti ha obbedito fino in fondo, lasciando la sua famiglia, la sua tribù e la sua patria per andare verso una terra che non conosceva. Ti ringraziamo anche per l’esempio di coraggio, di resilienza e di forza d’animo, di generosità e di ospitalità che il nostro comune padre nella fede ci ha donato. Ti ringraziamo, in particolare, per la sua fede eroica, dimostrata dalla disponibilità a sacrificare suo figlio per obbedire al tuo comando. Sappiamo che era una prova difficilissima, dalla quale tuttavia è uscito vincitore, perché senza riserve si è fidato di Te, che sei misericordioso e apri sempre possibilità nuove per ricominciare. Ti ringraziamo perché, benedicendo il nostro padre Abramo, hai fatto di lui una benedizione per tutti i popoli. Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse. Fai di ognuno di noi un testimone della tua cura amorevole per tutti, in particolare per i rifugiati e gli sfollati, le vedove e gli orfani, i poveri e gli ammalati. Apri i nostri cuori al perdono reciproco e rendici strumenti di riconciliazione, costruttori di una società più giusta e fraterna. Accogli nella tua dimora di pace e di luce tutti i defunti, in particolare le vittime della violenza e delle guerre. Assisti le autorità civili nel cercare e trovare le persone rapite, e nel proteggere in modo speciale le donne e i bambini. Aiutaci ad avere cura del pianeta, casa comune che, nella tua bontà e generosità, hai dato a tutti noi. Sostieni le nostre mani nella ricostruzione di questo Paese, e dacci la forza necessaria per aiutare quanti hanno dovuto lasciare le loro case e loro terre a rientrare in sicurezza e con dignità, e a iniziare una vita nuova, serena e prospera. Amen.   (altro…)

Un muftī, un monaco buddista e un vescovo cattolico

Scomparsi il primo dicembre scorso, tre figure esemplari, testimoni che il dialogo fra le religioni è possibile Uomini per la fraternità. Appassionati all’avventura del dialogo fra credenti di religioni diverse. Accomunati dal desiderio di vivere in unità, nel rispetto delle fedi, delle culture, delle sensibilità rispettive. L’imam Nedal Abu Tabaq, muftī della Lega musulmana in Polonia, il monaco buddhista theravada Phra Ajahn Eiam, e mons. Henri Teissier, vescovo cattolico di Orano – nel nord dell’Algeria – e arcivescovo di Algeri, sono scomparsi nello stesso giorno, lo scorso primo dicembre. A chi gli era amico, sulla strada del dialogo interreligioso, il compito di raccoglierne l’eredità e rinnovare l’impegno per la fratellanza universale. Come ricorda Roberto Catalano, per il Movimento dei Focolari co-responsabile del dialogo interreligioso, il muftī Nedal Abu Tabaq ha incoraggiato in Polonia l’avvio di un cammino di dialogo fra musulmani, cristiani ed ebrei. Numerosi gli eventi promossi e condivisi da credenti delle tre religioni: concerti, simposi, incontri fraterni anche in occasione delle rispettive feste religiose, intesi quali occasioni per farsi conoscere nei propri valori e nel proprio credo e per conoscere l’altro nel reciproco rispetto. Quindi la creazione di un “Calendario delle Tre Religioni: Ebrei, Cristiani, Musulmani”, in collaborazione con le autorità locali, e l’istituzione nel 2013 della “Giornata del Cristianesimo tra i Musulmani in Polonia”, il 29 maggio, e l’anno seguente della “Giornata dell’Ebraismo tra i Musulmani in Polonia”, il 16 del mese. Proprio nel 2014 il muftī partecipò ad un Convegno Interreligioso dedicato a Chiara Lubich, nel V anniversario della sua morte. Si è spento vittima della pandemia da coronavirus. Del monaco buddista theravada, Phra Ajahn Eiam, thailandese, si ricorda il sorriso incoraggiante, ad illuminare una figura discreta, silenziosa, meditativa. Era impegnato con convizione nel dialogo buddhista-cristiano. Affetto da un tumore, le sue condizioni sono precipitate per il sopraggiungere dell’infezione da Covid-19. In Algeria mons. Henri Teissier, nato a Lione, ordinato sacerdote ad Algeri nel 1955, ed arcivescovo della capitale per vent’anni, è stato un uomo di diaologo, impegnato per la comprensione, il rispetto e la stima tra i credenti dell’islam e del cristianesimo. “Amante dell’Algeria, del suo popolo, della sua lingua e della sua cultura – lo ricorda così l’agenzia di stampa della Conferenza Episcopale Italiana –  ha guidato la Chiesa d’Algeria nel tumulto degli anni ‘90, dove diciannove suore e preti e il vescovo Pierre Claverie furono assassinati tra il 1994 e il 1996”. Anche negli anni difficili della guerra civile mons. Teissier ha “servito la Chiesa e la sua stessa vocazione ad essere una Chiesa di amicizia e fraternità con il popolo algerino”. Da tempo in pensione, si dedicava alla scrittura e partecipava a convegni in tutto il mondo. Si è spento a causa di un ictus. Tre figure esemplari, testimoni che il dialogo è possibile.

Claudia Di Lorenzi

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