Movimento dei Focolari

Collegamento CH: “Riaccendiamo l’amore”

https://vimeo.com/233846549 1. Apertura e saluti; 2. A colloquio con Maria Voce (Emmaus) e Jesús Morán; 3. Breaking Rays; 4. India: The Rainbow Kids; 5. Diventare cittadini del mondo; 6. Telefonata con Marilia del Brasile (giovani in Corea per la pace); 7. Filippine: il sogno di Serafin; 8. Turchia: la Mariapoli incontra il Patriarca Bartolomeo; 9. Nigeria: Mariapoli di Lagos e Abuja; 10. Italia: In famiglia nell’era digitale; 11. Roberto Cipollone – Ciro, artigiano ed artista; 12. Chiara Lubich: Riaccendiamo l’amore; 13. Conclusione. (2366M) Copyright 2017 © CSC Audiovisivi – All rights reserved (altro…)

Cantieri estivi per costruire “uomini-mondo”

Cantieri estivi per costruire “uomini-mondo”

PolandDal Centro e Sud America all’Europa, dall’Africa al Medio Oriente: 50 cantieri per costruire “con la testa, le mani e il cuore” uomini aperti, inclusivi, uomini-mondo desiderosi di fare dono agli altri delle proprie ricchezze aprendosi al contempo a quelle degli altri. Ogni tre anni, i Ragazzi per l’Unità del Movimento dei Focolari promuovono una serie di workshop internazionali per formarsi alla cultura della fraternità in una dimensione mondiale, come antidoto alla divisione, all’intolleranza, alla deriva della divisione e dell’odio. Due le fasi di ogni cantiere: la prima per imparare a conoscere e rispettare la patria altrui come la propria. La seconda per realizzare concrete azioni solidali, specialmente nelle periferie più disagiate e con le persone più “scartate”: immigrati, senza tetto, orfani, ammalati, dei Rom. In Lituania i ragazzi del cantiere, di cui fa parte anche un gruppo proveniente dalla Svizzera, si recano in un ospedale per disabili e malati psichici, riuscendo a coinvolgere anche un giovane solitamente restio a ogni stimolo. A Škofia Loka, in Slovenia (piccolo Stato nel cuore dell’Europa), l’obiettivo è quello di coinvolgere i senza tetto. A Bratislava, ragazzi tedeschi e slovacchi si dedicano alla pulizia delle rive del Danubio, raccogliendo sei quintali di spazzatura. Ma ci sono anche concerti, “flash mob”, “Fiere dei popoli” in varie piazze dell’Est Europa, che suscitano l’interesse e la curiosità dei media. A Faro, alcuni ragazzi vengono intervistati dalla televisione nazionale. Nella cittadella croata il cantiere è un microcosmo internazionale: 280 ragazzi di 22 nazioni (con 12 traduzioni), tra cui Palestina, Israele, Libano, Giordania, Siria e Venezuela. «Quando ho parlato con i ragazzi del Venezuela – dice una ragazza della Terra Santa – ho capito che in tutti i Paesi ci sono problemi. Noi siamo in guerra, ma almeno abbiamo da mangiare. In Venezuela neppure quello. Così ho portato un cesto proponendo di mettere in comune quello che avevamo». Un’altra: «D’ora in poi, quando mi chiederanno quanti fratelli ho, dirò 280!». Un gruppo di ragazze, arrivando in volo dagli USA, aveva perso le valige, ritrovate dopo qualche giorno. Nel frattempo, abituate ad avere tutto, sperimentano cosa significhi dipendere dall’amore (e dai vestiti) degli altri. Anche questo è un dono. In Serbia, il cantiere apre a Cardak, un’ora di macchina da Belgrado. I ragazzi sono ospiti di una struttura statale in una zona boschiva, dove in precedenza erano passati centinaia di profughi sfollati dai Balcani: un simbolo di bellezza e dolore nel tormentato percorso di unità tra popoli, chiese, religioni. Anche loro sperimentano la diversità di religione (sono cristiani e musulmani) e di confessione (tra loro cattolici, ortodossi, luterani, riformati, anglicani), e alcuni non si riconoscono in nessun credo, ma tutti si sentono profondamente integrati. MexicoA Paztún, nella zona Maya Kaqchikel, in Guatemala, il cantiere del Centro America coinvolge 160 ragazzi di Panamá, Costa Rica, Honduras, El Salvador e Guatemala e un gruppo dell’etnia Quiché di santa Lucia Utatlán. Il taglio indiscriminato dei boschi, vera piaga del Paese, li spinge a piantare mille abeti (donati dal Comune) in un ettaro di territorio pubblico. Nel Cono Sud, Hombre Mundo assume i colori dell’interscambio solidale, con azioni che favoriscono la conoscenza reciproca e valorizzano la ricchezza del popolo sudamericano. Nel cantiere di Cunaco, in Cile, laboratori didattici e ricreativi e azioni di solidarietà. In Paraguay seminari, visite alla comunità guaraní di Ita e una giornata insieme ai ragazzi del Barrio San Miguel per realizzare murales e laboratori d’arte. In Uruguay i ragazzi si ritrovano a Nuova Vida, il centro sociale animato dai Focolari in una zona periferica di Montevideo, con attività per bambini, laboratori, tornei di sport e giochi. In Argentina condividono la vita dei loro coetanei dell’isola Margherita, nei pressi del Tigre, località a nord di Buenos Aires, sul delta del Rio de la Plata. In Italia, il caldo e l’afa non smorzano l’entusiasmo in molte città. Nella capitale il cantiere si svolge a Corviale, immenso quartiere dormitorio dove il degrado e la fatiscenza sono lo sfondo di storie di violenza e disagio. Qui si dedicano alla pulizia di un’area verde adibita a discarica, da far rinascere come area giochi per bambini. Sono solo alcuni esempi dei 50 cantieri che hanno coinvolto in diversi Paesi migliaia di ragazzi, tutti ingegneri e operai specializzati nella progettazione e costruzione più importante: quella di un mondo unito. (altro…)

Filippine: «Essere è più importante che avere o fare»

Filippine: «Essere è più importante che avere o fare»

Eugene è un ingegnere, Ann un tecnico informatico. «Ma – precisa lei – dopo 10 anni di brillante carriera ho deciso di dedicarmi completamente al nostro progetto di famiglia. Subito dopo questa decisione, l’attesa di un bambino ci ha riempito di gioia». A novembre 2009 la felicità per la nascita di Erin dura poco. Dopo due settimane, il 6 dicembre, notando una certa difficoltà a nutrirla, decidono di portare la piccola in ospedale. Dopo alcuni accertamenti, la diagnosi parla di sepsi neonatale e meningite, potenzialmente letale. Eugene e Ann rivivono quei momenti con commozione. «Era il 7 dicembre – ricorda Eugene – il mattino presto abbiamo rinnovato il nostro “sì” alla volontà di Dio. Subito dopo il medico ci informa che l’infezione era in uno stadio avanzato e la bambina in condizioni critiche. Il pomeriggio, Erin ha ricevuto il battesimo». Il giorno dopo, il battito è debole, gli occhi insensibili alla luce. I medici consigliano di trasferirla in un ospedale più attrezzato, e più costoso. Sempre Eugene: «Ann mi ha aiutato a compiere un atto di fede, accettando di fare tutto e di preoccuparci delle spese in seguito. Ho chiesto a Dio: “Perché?”. In ambulanza cercavo di stimolarla, accarezzandola e cantandole la ninna nanna. Il battito stava cessando. Ma in fondo continuavamo a credere che ci fosse una ragione, anche se incomprensibile. Ancora una volta pronunciamo il nostro “sì”. Al pronto soccorso, vedendo il suo corpicino pieno di aghi e tubicini, non potevamo non piangere, rendendoci conto della gravità della situazione. Era l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione di Maria. Nella cappella dell’ospedale Le affidiamo la nostra piccola». Ann: «La situazione era critica, l’infezione sembrava aver raggiunto il cervello. In passato, ci dicono i medici, altri pazienti in analoghe condizioni non erano sopravvissuti o erano rimasti handicappati. Ci restava solo da sperare e pregare. Ancora prove, trasfusioni, ulteriori esami. Erin sembrava un piccolo Gesù crocifisso, sofferente e impotente. Potevamo solo stare anche noi “ai piedi della croce”, come Maria». Passa 2Riprende Eugene: «Ci guardavamo, assicurandoci l’un l’altro il nostro amore e il desiderio di restare uniti. Quella notte, ci siamo chiesti se fossimo davvero pronti a qualsiasi cosa. Ann si ricordò di Abramo, pronto a sacrificare il figlio Isacco. E di Giobbe, fedele anche quando aveva perso tutto: “Il Signore dà, il Signore prende”. Erin non era nostra, apparteneva a Dio». Ann si illumina: «Con il passare dei giorni, notavamo però dei miglioramenti. Erin rispondeva bene alle cure. Un esame approfondito rivelò che l’attività cerebrale era normale, nonostante la gravità dell’infezione. Presto i medici e gli infermieri lo definirono un piccolo miracolo. Giorno dopo giorno, diventava sempre più forte, una piccola donna che combatteva coraggiosamente per vivere. Grazie a lei, abbiamo imparato che “essere” è più importante di “avere” o “fare”. Ci stava insegnando la vita». Eugene: « In ospedale abbiamo trascorso il nostro primo Natale in tre. In mezzo a tante incertezze ci siamo ricordati quello che Chiara Lubich aveva detto: “Solo Dio è fonte di gioia e di felicità piena”. Ci sostenevano la presenza di Gesù in mezzo a noi, la comunità dei Focolari, la famiglia e gli amici. Dopo 23 giorni siamo tornati a casa. Erin era guarita del tutto». Conclude Ann: «Come tutti, abbiamo anche noi le nostre preoccupazioni. Ma sappiamo che le nostre figlie appartengono prima di tutto a Dio. Compito di noi genitori è accompagnarli nella scoperta del disegno che Dio ha su di loro». Mentre parlano, Erin, vivacissima, gioca allegra con la sorellina Anica. 7 e 5 anni di gioia e spensieratezza. (altro…)

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