Mar 7, 2003 | Non categorizzato
da Agenzia ASCA_SOCIALE Digiuno: Camera, riflessione interreligiosa sulla pace Una riflessione interreligiosa sulla pace, con la partecipazione del Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini e di numerosi politici dei due schieramenti, si è svolta a Montecitorio in occasione della giornata di digiuno indetta da Giovanni Paolo II. L’incontro, durato un’ora, dalle 14,00 alle 15,00, si è tenuto nella Sala della Regina e si è sviluppato sulla lettura di nove brani di altrettanti personaggi che hanno dedicato la loro vita o loro significative opere alla pace. Si è iniziato con Ignazio Silone, poi con Chiara Lubich, per passare a Gabriel Garcia Marquez, Simone Weil, Giovanni XXIII, Vaclav Havel, Gandhi, Teresa di Calcutta e Martin Luther King. Riflessioni e testimonianze sono state offerte dal cattolico mons. Rino Fisichella (cappellano della Camera dei deputati), Alberto Piperno, ebreo, (presidente del Comitato Memoria, Dialogo, Pace), da Ajahn Chandapalo, buddista, del monastero Santacittarama di Rieti, e dalla teologa musulmana iraniana Shahrzad Hushman. Tutti i partecipanti, trecento circa, hanno devoluto l’equivalente di un pranzo alla CRI. All’incontro, promosso da Lucia Fronza Crepaz, del Movimento politico per l’unità (ex parlamentare Ppi), oltre al presidente Casini, hanno preso parte numerosi politici sia di maggioranza sia di opposizione. Tra gli altri, Nicola Mancino, Pierluigi Castagnetti, Willer Bordon, Roberto Pinza, Alberto Monticone, Patrizia Toia (della Margherita), Luciano Violante, Mimmo Lucà e Livia Turco (Ds), Gabriella Pistone (Pdci), Paolo Cento (Verdi), Rocco Buttiglione e Francesco D’Onofrio (Udc), Clemente Mastella (Udeur). Alla riflessione hanno partecipato anche il presidente delle Acli, Luigi Bobba e il missionario padre Alex Zanotelli.
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Mar 7, 2003 | Non categorizzato
Diamo inizio a questo momento di riflessione sulla pace. Comincio col ringraziare tutti quanti hanno accettato questo invito e tutti quelli che ci hanno aiutato a realizzarlo: in particolare Mons. Fisichella, appena di ritorno da un lungo e – immagino – faticoso viaggio in India, che ha risposto al nostro appello; l’Ajahn Chandapalo del Monastero buddista di Santacittarama; il dott. Piperno rappresentante della comunità ebraica di Roma, la dott.ssa Shahrzad Hushman, teologa musulmana, e il Presidente della Camera che ci ha aperto con grande disponibilità le strutture di Montecitorio. L’idea di questa iniziativa è frutto di un cammino politico che si sta costruendo da alcuni anni – in più nazioni – tra politici di diversi orientamenti, assieme a cittadini, funzionari, studenti e studiosi di scienza politica, un cammino condotto alla luce del carisma dell’unità di Chiara Lubich. Lo scopo è quello di andare in profondità nel nostro impegno politico, ritrovarne le ragioni e rimettere la politica al suo posto, quello di strumento indispensabile all’unità e alla pace della famiglia umana. Questo approfondimento non ci ha portato fuori della quotidianità politica, ma ci ha richiesto lo sforzo di trovare, nell’approfondire le nostre e nel capire le ragioni dell’altro, quali sono i valori che oggi possono ridare voce e soggettività alla politica. E così, anche in questi giorni così difficili, siamo partiti dalla convinzione che era necessario fare la nostra parte per approfondire la nostra unità intorno alla pace, e trovare un momento alto di sintesi dentro quei valori che sono propri dell’uomo e che sono alla base di ogni scelta politica fatta, o che ci attende. Abbiamo pensato così di costruire, per offrirlo a tutti, un momento di tregua, in cui cercare nel rispetto delle nostre posizioni diverse, le radici profonde di un comune impegno per la pace. La decisione degli 8 parlamentari presenti quel giorno è stata quella di non prendere la parola, di fare un gesto che hanno chiamato di umiltà e di ascolto. E’ nato così questo momento di meditazione in cui abbiamo chiesto ispirazione a grandi testimoni, religiosi e laici, e ai rappresentanti delle grandi religioni di accompagnarci in questa ricerca, religioni che sono presenti nei teatri di guerra o nei punti nei quali la pace è più minacciata e che hanno certamente una parola di dire alle coscienze degli uomini. Del resto, dall’indomani dell’11 settembre, si sono moltiplicati gli incontri tra i responsabili delle religioni consapevoli del contributo che esse possono dare al dialogo tra i popoli e alla costruzione delle condizioni della pace, proseguendo nel dialogo che lo stesso Giovanni Paolo II ha cominciato ad Assisi. Penso di esprimere un sentimento che avvertiamo tutti dicendo che, in questo momento storico, ci stiamo accorgendo che la pace non è conseguenza scontata, come tanti di noi avevano immaginato nell’89, non è un dono gratuito legato alla caduta di un regime, ma può essere solo frutto di fatica, un lungo cammino che ha bisogno del contributo di tutti. Per questo, a nostro parere due premesse sono indispensabili: una negativa ed una positiva. La negativa: abbandonare da una parte e dall’altra eventuali atteggiamenti di chiusura, di giudizio precostituito; quella positiva: fondare il nostro pensare ed il nostro operare politico su categorie nuove e universali che reggano all’impatto della domanda oggi rivolta alla politica. Oggi la capacità di parola della politica rispetto alla pace può essere salvaguardata solo con sforzi creativi proporzionati ai pericoli che la minacciano. Ci vuole il coraggio di uscire dalle strade che fino ad oggi abbiamo percorso, il coraggio di uscire da una politica parziale e dall’orizzonte stretto. Un esempio? Oggi è chiaro che l’indipendenza di un popolo deve sempre più essere coniugata assieme all’interdipendenza, direi di più: all’intercomunione. Già lo diceva la Pacem in terris, 40 anni fa. La fraternità è la categoria che oggi, vicino alla libertà e alla uguaglianza può reggere questo impatto. Non è, forse, proprio la fraternità che può ridare alla libertà la sua vera interpretazione, come espressione completa di ciascuno, e non come spazio senza regole in cui prevale il più forte? Non è, forse, proprio la fraternità che può dare all’uguaglianza il suo vero significato come principio di giustizia sociale, e non come ideologia collettiva e impersonale? Perché la fraternità è il legame universale tra gli uomini. Chi, fra noi, attinge al messaggio di Cristo, la scopre come conseguenza dell’esser figli dell’unico Padre, Dio Amore, e quindi fratelli fra di noi; ma anche chi ha dato altri riferimenti culturali alla propria vita la riscopre, al centro della propria coscienza, come patrimonio di ogni persona e di tutte le persone. Da qui, l’esigenza di approfondire la fraternità e il contributo che essa può dare alla politica e alla costruzione della pace. La scoperta che abbiamo fatto noi, anche alla luce del cammino storico e filosofico che l’umanità ha compiuto finora – basti ricordare la Rivoluzione Francese, crocevia della modernità, con le sue ombre e le sue luci – è che la fraternità è una categoria politica che getta luce su metodo, contenuto e fine della politica. Sceglierla come orizzonte cambia i nostri atti politici, richiedendo concretezza verso l’uomo, chiunque esso sia, e universalità, una qualità così consona alla stato attuale della politica. C’è ancora una caratteristica da sottolineare. La fraternità, proprio perché nasce dal più profondo di ogni uomo e chiama ognuno alla sua personale partecipazione, non frutta una omogeneità di pensiero mortificante; chiede, anzi, la ricerca appassionata del proprio contributo personale e di gruppo, insieme ad una grande capacità di ascolto della posizione dell’altro. Non è forse questa la domanda che ci viene posta con insistenza oggi? Capacità di comprendere a fondo le domande, al tempo stesso globali e locali, e capacità di costruire risposte, al tempo stesso realistiche e aperte al progetto? Se la pace è un lento e faticoso cammino, la fraternità può esserne la radice e il motore. Presentazione del programma A questo punto, qualche parola sul programma di quest’ora. Cominceremo dalla lettura di alcuni pensieri di testimoni che hanno coerentemente speso la vita per la pace. Ci aiuteranno in questo primo momento Saverio D’Ercole e Sabrina Duranti, attori. Si tratta di 9 brevi brani, scelti – tra i mille possibili – con l’unico criterio di portarci alle radici delle ragioni della pace e del nostro impegno personale e collettivo per essa. Subito dopo, diamo spazio alla riflessione che ci viene offerta, in quest’ordine, dagli interventi del dott. Piperno, di Ahajn Chadapalo, della dott.ssa Hushman; chiuderà Mons. Fisichella. Il ricavato di quanto verrà raccolto come corrispettivo del pranzo – come avrete letto nella lettera di invito – sarà devoluto, attraverso il Comitato Internazionale della Croce Rossa/Mezzaluna Rossa, ad un progetto di solidarietà in Iraq.
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Mar 7, 2003 | Non categorizzato
“L’uomo mutilato della fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile…” Ignazio Silone Ed Egli si nascose (1943), Città Nuova Ed., Roma, 2000 Posso dirvi questo: il poco che io so non l’ho imparato all’università, ma in compagnia di uomini come voi. La fraternità è la verità sacra dell’uomo. L’uomo mutilato della sua fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile… Per non morire bisogna ricominciare col riscoprire la fraternità. Amici, io sono venuto per dirvi questo: è necessario, è urgente stare assieme, metterci insieme, creare in questo paese cellule viventi di uomini interi cioè fraterni, difenderci dal contagio della morte. Vi ripeto che è urgente. Fra pochi giorni, forse anche voi lo sapete, scoppierà la nuova guerra d’Africa, e sarà una guerra fredda, cinica, infame. Il disprezzo dell’uomo vi celebrerà il suo trionfo. La protesta più efficace da parte nostra non sarebbe qualche rumoroso attentato individuale, ma un atto di amicizia e di fraternità. Io sono tornato solo per questo. *** “E’ in gestazione un mondo nuovo. Ma c’è bisogno di un’anima: l’amore” Chiara Lubich “Il pianeta al bivio”, in Città Nuova, 13 luglio 2001, 14/2001, Roma Viviamo in un tempo di “svolta epocale”, di gestazione sofferta di un mondo nuovo. Ma c’è bisogno di un’anima: l’amore. (…) L’amore – lo constato sempre più a contatto di singoli e gruppi di religioni, razze e culture diverse – è iscritto nel DNA di ogni uomo. E’ la forza più potente, feconda e sicura che può legare l’intera umanità. Ma esige un capovolgimento totale di cuori, di mentalità, di scelte. Del resto è ormai parte del sentire comune della vita internazionale la necessità di rileggere il senso della reciprocità, uno dei cardini dei rapporti internazionali. Sono questi i tempi in cui ogni popolo deve oltrepassare il proprio confine e guardare al di là, fino ad amare la patria altrui come la propria. Reciprocità tra i popoli significherà allora superamento di antiche e nuove logiche di schieramento e di profitto, stabilendo invece relazioni con tutti ispirate all’iniziativa senza condizioni e interessi, perché si guarda all’ “altro” come ad un altro se stesso, parte della stessa umanità, e in questa linea si progetta: disarmo, sviluppo, cooperazione. Nascerà una reciprocità in grado di rendere ogni popolo, anche il più povero, protagonista della vita internazionale, nella condivisione di povertà e ricchezze. Non soltanto nelle emergenze, ma nella quotidianità. Identità e potenzialità saranno sviluppate proprio col metterle a disposizione degli altri popoli, nel rispetto e nello scambio reciproco. Allora sì, se singoli e governanti faremo la nostra parte, potremo sognare di comporre un’unica comunità planetaria. Utopia? Il primo a lanciare la globalizzazione è stato Gesù quando ha detto: “Che tutti siano uno”. Non solo: ci ha fatto capaci di quell’amore che ha la forza di ricomporre la famiglia umana nell’unità e nella diversità. Basta poi aprire gli occhi: sono disseminati nel mondo molti “laboratori” di questa “umanità nuova”. Che sia giunta l’ora di proiettarli su scala mondiale? *** “All’oppressione, allo sfruttamento e all’abbandono, noi rispondiamo con la vita” Gabriel Garcia Marquez Nobel Lecture, 8 December, 1982: “The Solitude of Latin America”, in Nobel Lectures in Literature 1981-1990, World Scientific Publishing Co., Singapore, 1994 (nostra traduzione) All’oppressione, allo sfruttamento e all’abbandono, noi rispondiamo con la vita. Né le inondazioni e le epidemie, la fame e le catastrofi, nemmeno le interminabili guerre durate per secoli, hanno potuto sconfiggere la forza incessante della vita sulla morte. E’ un vantaggio che cresce e accelera sempre più: ogni anno, le vite che si accendono superano di settantaquattro milioni quelle che si spengono, un numero di nascite sufficiente a moltiplicare per sette, ogni anno, la popolazione di New York. La maggior parte di esse avviene in America Latina. Allo stesso tempo, i paesi più ricchi continuano ad accumulare armi di distruzione capaci di annichilire, più di cento volte, non solo gli esseri umani che sono esistiti fino ad oggi, ma anche la totalità delle creature che abbiano mai respirato su questo pianeta sventurato. In un giorno come questo, il mio maestro William Faulkner disse: “Mi rifiuto di accettare la fine dell’uomo”. Non sarei degno di stare in questo luogo che è stato suo, se non fossi pienamente consapevole che la colossale tragedia che egli rifiutò di riconoscere trentadue anni fa, è ora, per la prima volta dall’inizio dell’umanità, nient’altro che una semplice eventualità scientifica. Di fronte a questa spaventosa realtà che era sembrata una mera utopia durante tutta la storia dell’umanità, noi, gli inventori delle favole, che presteremmo fede a qualsiasi cosa, abbiamo il diritto di credere che non è troppo tardi per impegnarci a costruire l’utopia opposta. Una nuova e travolgente utopia della vita, dove nessuno potrà decidere per gli altri come dovranno morire. Dove l’amore proverà che la verità e la felicità sono possibili, dove gli uomini condannati a cent’anni di solitudine avranno ancora, finalmente e per sempre, una seconda opportunità sulla terra. *** “E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale” Simone Weil Obbedire all’amore nella giustizia, trad.it., P.Elia (a cura di), Gribaudi, Torino, 1975 L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia ad intervenire; e persino quando egli stesso non ne riconosce alcuno. Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione di struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo. Quest’obbligo non si fonda su nessuna convenzione. Perché tutte le convenzioni sono modificabili secondo la volontà dei contraenti, mentre in esso nessun cambiamento nella volontà degli uomini può nulla modificare. Quest’obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell’essere umano. Soltanto l’essere umano ha un destino eterno. Le collettività umane non ne hanno. Quindi, rispetto a loro, non esistono obblighi diretti che siano eterni. E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale. *** “Un compito immenso: ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà” Giovanni XXIII “Pacem in terris”, in Le encicliche sociali, Ed. Paoline, Milano, 1984 47. Riaffermiamo noi pure quello che costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà. La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche. Ciò non è difficile a capirsi quando si pensi che le persone che rappresentano le comunità politiche, mentre operano in nome e per l’interesse delle medesime, non possono venire meno alla propria dignità; e quindi non possono violare la legge della propria natura, che è la legge morale. Sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità; quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale. Inoltre, l’autorità è un’esigenza dell’ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere tale; perciò ammonisce il Signore: “Udite pertanto voi, o re, e ponete mente, imparate voi che giudicate tutta la terra. Porgete le orecchie voi che avete il governo dei popoli, e vi gloriate di aver soggette molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore e la dominazione dall’Altissimo, il quale esaminerà le opere vostre, e sarà scrutatore dei pensieri” (Sap 6,2-4). 87. A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. *** “Esiste qualcosa di più alto valore dello stato. Questo valore è l’umanità” Vaclav Havel “L’idolo infranto dello Stato sovrano”, in La Repubblica/Dossier, 1 giugno 1999, Roma “Tutto sta a indicare che la gloria della nazione-stato, intesa come culmine della storia di ogni comunità nazionale e come suo più alto valore terreno – l’unico, anzi, in nome del quale è consentito uccidere, o per il quale era considerato dulce et decorum sacrificare la vita – ha già superato il suo zenit. Sembrerebbe che gli illuminati sforzi di generazioni di democratici, la terribile esperienza di due guerre mondiali – che tanto hanno contribuito all’ adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – nonché l’evolversi della civiltà abbiano, finalmente, indotto l’umanità a persuadersi che gli esseri umani sono più importanti dello Stato. (…) Spero sia chiaro che io non sono contro l’istituto dello stato sovrano come tale. Sarebbe oltre tutto assurdo che un capo di stato auspicasse l’abolizione dello stato di fronte agli organi rappresentativi di altri stati. Parlo di qualcosa di ben diverso: dico cioè che esiste, di fatto, qualcosa di più alto valore dello stato. Questo valore è l’umanità. Come sappiamo, lo stato esiste per servire la gente, il popolo, non viceversa. Se un individuo serve il proprio paese, ebbene, si dovrebbe pretendere che questi lo serva solo nella misura necessaria a far sì che lo stato possa servire bene tutti i propri cittadini. I diritti umani sono superiori ai diritti degli stati. Le libertà umane rappresentano un valore più alto della sovranità statale. (…) Mi sono spesso domandato perché mai gli esseri umani abbiano dei diritti. E sono sempre giunto alla conclusione che i diritti umani, le libertà umane e l’ umana dignità hanno le loro radici profonde da qualche parte al di fuori del mondo percettibile. Questi valori sono tanto potenti perché in determinate circostanze, la gente li accetta senza esservi costretta ed è pronta a morire per essi. Questi valori hanno un senso solo nella prospettiva dell’infinito e dell’eterno.” *** “Attraverso la libertà dell’India spero di attuare e sviluppare la fratellanza degli uomini” Mohandas Gandhi Antiche come le montagne, trad.it., S.Radhakrishnan (a cura di), Edizioni di Comunità, Milano, 1963 “Per vedere faccia a faccia l’universale spirito di Verità che tutto pervade, bisogna essere capaci di amare l’essere più modesto della creazione come noi stessi. E colui che aspira a questo, non può permettersi di tenersi lontano da alcun campo della vita. Perciò la mia devozione alla verità mi ha spinto nella politica; e posso dire senza la minima esitazione, e pure in tutta umiltà, che chi dice che la religione non ha nulla a che vedere con la politica, non sa che cosa significhi religione. (p.86) La mia missione non è semplicemente la fratellanza dell’umanità indiana. La mia missione non è semplicemente la libertà dell’India, benché oggi essa assorba, in pratica, tutta la mia vita e tutto il mio tempo. Ma attraverso l’attuazione della libertà dell’India spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza degli uomini. Il mio patriottismo non è esclusivo. Comprende tutto, e io ripudierei quel patriottismo che cercasse di affermarsi sulla miseria e lo sfruttamento di altre nazioni. Il patriottismo che io concepisco non vale nulla, se non si concilia sempre, in ogni caso senza eccezioni, con il maggior bene dell’umanità tutta. (p.162) Vogliamo la libertà del nostro Paese, ma non a costo di sacrificare o sfruttare gli altri, né in modo da degradare altri paesi. Non voglio la libertà dell’India, se essa deve significare l’estinzione dell’Inghilterra o la scomparsa degli inglesi. Voglio la libertà del mio paese affinché altri paesi possano imparare qualcosa dal mio libero paese, affinché le risorse del mio paese possano essere utilizzate a vantaggio dell’umanità.” (p.164) *** “Se fai il bene, ti attribuiranno fini egoistici: non importa, fa’ il bene!” Madre Teresa Da un foglietto sul muro della ’Casa dei bambini’ di Calcutta “L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico: non importa, amalo! Se fai il bene, ti attribuiranno fini egoistici: non importa, fa’ il bene! Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici: non importa, realizzali! Il bene che fai verrà domani dimenticato: non importa, fa’ il bene! L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile: non importa, sii franco ed onesto! Dai al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci: non importa, continua! Se aiuti, la gente se ne risentirà: non importa, aiutala! Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo: non importa, costruisci!” *** “Ho il sogno che la fraternità diventerà l’ordine del giorno di un uomo d’affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo” Martin Luther King “Discorso della Vigilia di Natale 1967 – Atlanta”, trad.it., in Il fronte della coscienza, SEI, Torino, 1968 “Per prima cosa lasciate che vi suggerisca che se vogliamo avere pace sulla terra, il termine fedeltà per noi deve avere un significato ecumenico, non parrocchiale. La nostra fedeltà deve trascendere la razza, la tribù, la classe sociale, la nostra patria stessa: e questo significa che dobbiamo sviluppare una prospettiva mondiale. Nessun individuo può vivere solo; nessuna nazione può vivere sola; è provato che se qualcuno tenta l’isolamento, questo qualcuno perpetua la guerra. In fin dei conti si tratta di questo: la vita è un insieme di interrelazioni. Siamo legati da una rete di comunità, vestiti dello stesso abito del nostro destino. Tutto ciò che colpisce uno direttamente, colpisce tutti indirettamente. Siamo fatti per vivere insieme: la nostra realtà è intercomunicante. Non vi siete mai fermati a pensare che non potete neppure andare al lavoro al mattino senza dichiarare la vostra dipendenza da tutto il mondo? Dove sta il problema? Tutti parlano della pace come di una meta lontana, come di un fine a cui un giorno o l’altro si arriverà, ma noi sappiamo che si dovrà presto arrivare a considerare la pace non soltanto come una meta, ma anche come il mezzo con cui si può arrivare alla meta stessa. Dobbiamo raggiungere fini pacifici con mezzi pacifici. E questo equivale a dire che il fine e i mezzi devono essere coerenti, perché il fine preesiste nei mezzi, e mezzi distruttivi non potranno mai raggiungere un fine costruttivo. Ecco perché io ho ancora un sogno. Ho il sogno che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli. Oggi ho ancora il sogno (…) che la fraternità diventerà qualcosa di più che le poche parole alla fine di una preghiera, diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo.
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Feb 11, 2003 | Non categorizzato
“Le difficoltà che l’orizzonte mondiale presenta ci inducono a pensare che solo un intervento dall’Alto, capace di orientare i cuori di quanti vivono situazioni conflittuali e di quanti reggono le sorti delle Nazioni, può far sperare in un futuro meno oscuro”. Così il Papa all’Angelus del 9 febbraio, riportando una frase della Lettera Apostolica in cui rilancia l’antica preghiera mariana del Rosario. La risposta dei giovani: il Rosario Planetario per la Pace. L’adesione è entusiasta: in ogni momento delle 24 ore (grazie alla diversità di fuso orario) ci sono giovani che pregano il Rosario con la speciale intenzione della pace, dovunque si minacci o sia in atto un conflitto, come in Terra Santa, in Costa D’Avorio, in Congo … Per chi volesse unirsi a questa iniziativa dei Giovani per un Mondo Unito, ecco le fasce orarie: ore Italia | ore locali | luoghi 1 | 18 | Messico, America Centrale 2 | 20 | Cile, Perù, Colombia 3 | 22 | Argentina, Uruguay, Venezuela 4 | 8 | India 5 | 8 | Pakistan 5 | 10 | Tailandia 6 | 12 | Singapore, Vietnam 7 | 14 | Filippine, Hong Kong, Australia (Perth) 8 | 8 | Germania 8 | 16 | Corea, Giappone 9 | 9 | Belgio, Olanda 9 | 8 | Gran Bretagna, Irlanda, Costa d’Avorio 9 | 18 | Australia 10 | 10 | Italia: Emilia Romagna, Lazio, Sicilia, Toscana 11 | 11 | Italia: Lombardia, Campania, Roma; Medio Oriente 12 | 12 | Austria, Svizzera 12 | 11 | Portogallo 13 | 13 | Francia 14 | 14 | Polonia 14 | 15 | Russia 15 | 15 | Rep. Ceca, Slovacchia 15 | 17 | Kenya 16 | 16 | Croazia 16 | 18 | Madagascar 17 | 17 | Slovenia 18 | 18 | Congo 18 | 14 | Brasile 19 | 19 | Camerun 20 | 20 | Sud Africa; Italia: Abruzzo 21 | 21 | Ungheria; Italia: Sardegna 22 | 22 | Madrid; Barcellona; Italia: Triveneto, Piemonte 23 | 14 | USA: San Antonio, Los Angeles; Canada Ovest 24 | 16 | USA: New York, Chicago; Canada: Toronto (altro…)
Set 10, 2002 | Non categorizzato
Su che cosa credi che sia possibile fondare la speranza di poter cambiare un giorno questa realtà?
Anche se è passato un anno ormai, è certamente ancor vivo nei nostri cuori quel tristissimo 11 settembre col crollo delle due Torri Gemelle a New York. Ed è vivo in modo particolare in quest’ultimo periodo, in cui sembrano profilarsi nuove analoghe minacce di terrorismo. Ebbene, di fronte a questa situazione e a tutte le altre forme di violenza, si fa sempre più strada il pensiero di spiriti eletti e illuminati che tutto ciò non sia frutto solamente dell’odio fra singoli o popoli, ma sia anche effetto dell’oscura forza del Male con la M maiuscola, delle Tenebre, come ebbe a dire il papa. La situazione, dunque, è seria. Perché, se le cose sono così, non è sufficiente opporsi a tanto pericolo con sole forze umane. Occorre impegnare le forze del Bene con la B maiuscola. Questo Bene è anzitutto Dio e tutto ciò che ha radice in lui: il mondo dello spirito, dei grandi valori, dell’amore vero, della preghiera. È qui il perché di Assisi: il 24 gennaio scorso, quando Giovanni Paolo II ha invitato per la seconda volta i rappresentanti delle più grandi religioni del mondo nella città di san Francesco per invocare dal cielo la pace. Ma notiamo anche altri mali, come ad esempio i grandi interessi economici e politici che mantengono nell’estrema indigenza e nella sottomissione economica paesi interi.
Chiara, come vedi l’11 settembre ad un anno di distanza?
Le cause del terrorismo sono più d’una: basti pensare allo squilibrio che esiste, nel mondo, fra paesi poveri e paesi ricchi, squilibrio che genera odio e scatena orribili vendette; mentre il piano di Dio sull’umanità sarebbe quello d’essere tutti fratelli, in una sola grande famiglia con un solo Padre. Occorre perciò – i tempi lo reclamano – una più equa distribuzione dei beni. Ma i beni non si muovono da sé se non si muovono i cuori. Di qui l’urgenza che l’ideale della fraternità pianti radici in tutti i popoli ed in modo speciale fra i politici anche di nazioni diverse.
Un sogno?
Per chi crede unicamente nelle proprie forze, sì. Ma, per chi crede in Colui che guida la storia, nessun sogno è impossibile. Ed è ciò che spera il “Movimento dell’unità”, forse piccolo Davide di fronte a Golia. Assieme a quanti altri sono impegnati a fare la propria parte”.