Movimento dei Focolari
Risveglio di valori

Risveglio di valori

L’11 settembre è presente nella mente di tutti come fosse successo ieri. Invece è passato un anno e se ci domandiamo che cos’è cambiato in noi ed attorno a noi, oltre agli incubi che spesso vengono ad occupare i sogni di persone che una volta si sentivano sicure nelle loro case e nei loro uffici, si può dire che l’America non è più e non sarà forse mai più la stessa.

Non si parla qui di governanti e di strategie politiche, ma di gente comune, quella che incontri per la strada tutti i giorni. E Bush, che ultimamente ha molto parlato di amore del prossimo e di altruismo, in realtà riflette l’opinione pubblica – ci diceva Harry Barrett, presidente del Medical College di New York -: "I politici sono molto attenti ai sentimenti popolari. Ne è un esempio anche come si siano trovati d’accordo, pur di partiti diversi, durante la controversia sulla costituzionalità o meno di chiamarci ’Una nazione sotto Dio’ nella promessa di fedeltà alla bandiera".
"Siamo tutti più seri – ci ha commentato -. Migliaia di vite che scompaiono in pochi minuti ed improvvisamente, la difficoltà di identificare tante vittime, sono fatti che non possono non far riflettere su ciò che vale. C’è una porta aperta oggi in America per chi vuol portare la realtà dell’unità".
Harry Barrett spera che non si costruisca dove una volta c’erano le torri, anche se ora si parla di grossi progetti edilizi per un risveglio dell’economia nella città di New York.
Speriamo che prevalga il buon senso.
"Altrimenti – dice Barrett – ci vuole un’economia nuova".
Anche i cervelli di Hollywood hanno vissuto momenti difficili. Era tempo di Bambi o di Rambo? Certi film buoni, che una volta avrebbero cestinato, sono stati messi in circolazione subito. E ora? Potrebbe tutto tornare come prima, ma c’è nell’aria una speranza. È il momento in cui si potrebbe dare una svolta ai contenuti delle pellicole. Anche qui ci vuole il coraggio di sognare.
Non c’e periodico che non abbia uno o due articoli sull’11 settembre e questo si va intensificando quanto più ci si avvicina all’anniversario. Difficile anche perché la gente sa che dopo il primo impatto e il senso di solidarietà sentito in tutto il mondo, ora l’America è criticata ed anche a Kabul vi è stata la prima manifestazione antiamericana.

Si è sentito il 4 luglio, festa dell’indipendenza, festa di solito gioiosa con bandiere sì, ma anche con hot dogs ed apple pie. Quest’anno si son preparate le cose forse anche più in grande di prima, ma la tensione, dopo tutti gli avvertimenti di possibili attacchi terroristici, era molto alta. E le solite parole sulla potenza e grandezza del paese avevano qualcosa di forzato, mentre ci si guardava alle spalle per il timore costante di un nemico insidioso che ti può inquinare l’acqua che bevi ed ha reso i viaggi un incubo.

Sulla copertina del Time Magazine del primo luglio, sovrapposte ad una grande croce si leggono le parole: "La Bibbia e l’Apocalisse. Un maggior numero di americani leggono e parlano della fine del mondo". Un articolo poi dello stesso giornale dice come un sondaggio del Time/Cnn indica che un terzo degli americani non solo sono interessati alla fine del mondo, ma parlano della Bibbia e di quanto ha da dire al riguardo. Un segno – si afferma – del momento difficile che il paese sta vivendo.
Dopo quelli sulla fine del mondo vengono i libri sui pompieri. "Firefighters are hot, i pompieri vanno per la maggiore", sottolinea il settimanale Time; ed elenca vari libri su di loro che stanno circolando nelle librerie.
Secondo nella lista dei bestseller indicati dal New York Times è il libro di Dennis Smith, Report from Ground Zero.

Dopo 18 anni di lavoro tra i pompieri, Smith racconta nel suo libro storie di colleghi, porta con sé i lettori a Ground Zero e lì li fa restare per i tre mesi di ricerca dolorosa degli scomparsi. Per Dennis la piaga è sempre aperta, troppi dei suoi amici non sono usciti dalle Torri. È come se fosse successo ieri. Ora teme che il tempo cancelli nel mondo il ricordo di quanto è accaduto.
"Ci ha messo dentro un’energia che ci fa procedere in modo positivo e anche arriverà al resto del mondo".

Perché è successo? Cosa c’è da imparare da tutto questo? Forse un senso della necessità di un’unità planetaria?
Smith pensa di sì. "Gli americani – afferma – devono rendersi conto che c’è tanta fame nel mondo".

Buona volontà?
Ce n’è tanta come popolo, ma non nasconde le difficoltà politiche e ideologiche.
Ricorda i giorni in cui lavorava nel South Bronx, quando, ancora giovane, si era accorto che c’era un nuovo tipo di povertà. Vedeva bambini con biciclette nuovissime in quartieri desolati e aveva capito che "non erano meno poveri perché avevano una bicicletta nuova". Così quando si pensa a paesi poveri, la gente può aver poco ma possiede spesso una televisione.
"Ogni giorno vedono americani ed europei, vedono come vivono e gli eccessi della loro cultura".

I pompieri sempre eroi? "Sì, perché ci vuole coraggio fisico e morale".
Smith è stato uno di loro e questa forza morale gli dà speranza ad un anno dalla tragedia. "Sento la voce dell’amore e dell’amicizia, è la voce di Ground Zero. È la voce della generosità, decisione, forza. È la voce della tragedia, della tristezza, del dolore, dell’ispirazione.
La voce dell’America".

L’America che lui ha in cuore e tanti sperano sia vista così in tutto il mondo.


Serenella Silvi – da Città Nuova

Fraternità e pace per l’unità dei popoli

Signor Sindaco, Autorità civili e religiose, Signore e Signori.

Fraternità, pace e unità, ecco tre parole tremendamente attuali su cui dovrei soffermarmi. Attuali perché, dopo il fatidico 11 settembre dell’altr’anno, la loro assoluta necessità è emersa, paradossalmente, nella coscienza di molti, come tre splendidi fiori sbocciati da una chiazza di sangue, come una speranza impensata da un immenso sconforto. New York trasformata Quel che è successo quel giorno a tutti è noto. Sgomento infinito negli USA e non solo. Ma, ecco, da quel groviglio di dolore, da quella notte piombata in piena luce, apparire un fenomeno inconsueto: una gara di solidarietà mai vista: muri d’indifferenza sciolti in una valanga di aiuti concreti, di conforto, di prontezza a far qualcosa che allevi i dolori degli altri. New York è trasformata. Così gli Stati Uniti, Paese multi-religioso, multi-etnico, multi-culturale, ha presentato al mondo, in una sua città, un modello di solidarietà, di unità. E’ stato come se gli occhi di un popolo si fossero spalancati e avessero visto l’assoluta necessità che si instauri la fraternità e non solo fra gli americani. Quest’esigenza poi è emersa in tutta la sua urgenza nei mesi successivi, quando si sono approfondite le varie possibili cause del terrorismo. Fra queste, fondamentale, quella dello squilibrio, sul nostro pianeta, fra Paesi poveri e Paesi ricchi, squilibrio che ha reclamato maggior condivisione di beni. Cosa che non sarà possibile finché l’umanità non sia percorsa da un ardente desiderio e da un forte impegno di fraternità universale. La fraternità nelle grandi anime La fraternità universale non è un’idea di oggi. Essa è stata presente nelle menti di spiriti forti. “La regola d’oro – diceva il Mahatma Gandhi – è di essere amici del mondo e considerare ’una’ tutta la famiglia umana.” E a proposito di sé affermava: “La mia missione non è semplicemente la fratellanza dell’umanità indiana. (…) Ma, attraverso l’attuazione della libertà dell’India, spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza degli uomini.” E Martin Luther King: “Ho il sogno che un giorno gli uomini (…) si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli (…); (e) che la fraternità (…) diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo” . Su questa linea, il Dalai Lama, a proposito di quanto è successo negli Stati Uniti, scriveva ai suoi: “Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra”. Gesù e la fraternità Ma chi ha indicato e portato la fraternità come dono essenziale all’umanità, è stato Gesù, che ha pregato così prima di morire: “Padre, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana”. E con ciò abbatte le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici. E scioglie ciascun uomo dai vincoli che lo imprigionano, dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale e politica. I politici e la fraternità L’idea della fraternità iniziò così a farsi strada nella storia. E tutti vi sono chiamati: anche coloro che lavorano in politica. Lo ha detto, ad esempio, la Rivoluzione francese che nel suo motto: “Libertà, uguaglianza, fraternità”, ha sintetizzato il grande progetto politico della modernità, anche se questo progetto è stato inteso da essa in modo assai riduttivo. Inoltre, se numerosi Paesi, arrivando a costruire regimi democratici, sono riusciti a dare una certa realizzazione alla libertà e all’uguaglianza, la fraternità è stata più annunciata che vissuta. Comunque “la lezione del ventesimo secolo – è stato detto – è che il futuro più umano passa attraverso l’accettazione del trinomio biblico (libertà, uguaglianza, fraternità) purificato dalle letture ideologizzate e riportato all’auscultazione dell’uomo (…) che si riscopre co-umanità. (…) L’elemento base del trinomio, sul piano della garanzia vitale, è la fraternità.” Un’unità globale Oggi il mondo tende all’unità. L’unità è un segno dei tempi: molti fattori religiosi, sociali e politici lo stanno a dimostrare. Ma occorre precisare: oggi, il mondo tende ad un’unità universale, ad un’unità globale. Ce lo fanno capire situazioni, esigenze, aspetti importanti della realtà contemporanea. I mezzi di comunicazione rendono presenti gli uni agli altri persone e popoli materialmente lontanissimi; tanto che, per esempio, nelle scelte personali di un giovane occidentale, può avere un peso decisivo ciò che accade in Asia o in Africa. Nessuno ci è più estraneo, perché lo “vediamo”, perché sappiamo di lui. Inoltre, la globalizzazione economica e finanziaria ha intrecciato tutti i nostri interessi, che non sono più separati fra di loro: ciò che accade in un Paese può avere ripercussioni materiali immediate in molti altri Paesi. Ancora: esistono problemi che interessano l’umanità nel suo insieme, che nessun popolo può affrontare separatamente dagli altri. Basti pensare ai grandi temi che coinvolgono la comunità internazionale in questo periodo: la questione ambientale e in particolare l’ecologia umana, lo sviluppo e l’alimentazione, le problematiche riguardanti il patrimonio genetico dei diversi gruppi umani. Oggi non è più l’epoca dei soli diritti individuali, né solo dei diritti sociali di una categoria: la nostra è l’epoca dei diritti e dei doveri dei popoli e dell’umanità. Viviamo dunque in un mondo che davvero è diventato un villaggio: complesso e nuovo, ma un villaggio. L’umanità vive oggi come fosse un piccolo gruppo. Ma, a differenza dei piccoli gruppi di una volta, non è ancora riuscita a sviluppare sufficientemente un pensiero capace di rispettare le distinzioni mentre comprende la fondamentale unità. I concetti tradizionali di razza, religione, cultura, Stato, si infrangono davanti alla complessità della situazione. Ebbene, è proprio la fraternità la categoria di pensiero capace di abbracciare quell’unità e quella distinzione cui anela l’umanità contemporanea. Lo stesso Giovanni Paolo II, parlando al Corpo Diplomatico il 10 gennaio 2000, ha eletto la fraternità a criterio di giudizio del secolo appena trascorso. Dopo avere sottolineato il grande progresso scientifico che ha caratterizzato il Novecento, si è chiesto: “Questo secolo è stato anche quello della fraternità?”. Egli ha sottolineato “l’azione perseverante di diplomatici saggi” nel tentativo di far emergere una vera “comunità di Nazioni”; indice, questo, di “una certa volontà di edificare un mondo fondato sulla fraternità, per stabilire, proteggere ed estendere la pace intorno a noi” . Strumenti d’unità e fraternità La fraternità, dunque, è l’ideale di oggi. Ma come farla fiorire? Come suscitare fraternità? Per dare al mondo la fraternità che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, ecc., non mancano gli strumenti. Basta saperli individuare. Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, ma che si farà evidente nel prossimo futuro, è quello dell’apparire nel mondo cristiano, dopo i primi decenni del ’900, di decine e decine di Movimenti e Comunità ecclesiali. E questo non solo in Paesi europei, ma ormai in tutto il mondo, come tante reti che collegano i popoli, le culture e le diversità. Quasi un segno che, cominciando dal nostro Continente, il mondo potrebbe diventare una casa delle Nazioni perché esso lo è già attraverso queste realtà , pur se ancora a livello di laboratorio. Sono Movimenti moderni, sorti non solo nella Chiesa cattolica, avvolti in genere ancora nel silenzio, come tutte le cose nascenti vere e importanti, ma che esploderanno presto. Sono realtà meritevoli di grande ed alta stima perché effetto non di programmazioni o progettualità umane, ma di doni, di carismi dello Spirito di Dio, che conosce meglio di qualsiasi uomo e donna della terra i problemi del nostro pianeta ed è desideroso di concorrere a risolverli. Ora questi Movimenti, poiché fondati o prevalentemente composti da laici, veicolano un sentito e profondo interesse per il vivere umano con ricadute nel campo civile, cui offrono concrete realizzazioni politiche, economiche, ecc. Sono venuti in piena luce appena tre anni fa, quando la Chiesa si è riscoperta e ripresentata al mondo costituita, oltre che dall’aspetto istituzionale, anche da quello carismatico, coessenziale al primo. Aspetto che ha arricchito anche i secoli passati di Movimenti spirituali (come, per un solo esempio, quello francescano) e delle più varie correnti di pensiero e di spiritualità, atte a riportare il popolo cristiano, spesso illanguidito e secolarizzato dal contatto col mondo, all’autenticità ed alla radicalità del Vangelo, capace sempre di dare un volto nuovo alla città terrena. Questi Movimenti, seguendo ciascuno il proprio carisma, concretizzano l’amore in tante forme. Parecchi fra questi, in particolare, manifestano la forza dello Spirito nella capacità che hanno d’aprire tutti gli uomini e donne del nostro pianeta a un dialogo profondo. Il Movimento dei Focolari Una di tali realtà è il Movimento dei Focolari che conta milioni di membri presenti in 182 nazioni. Esso – assieme a molte altre valide organizzazioni, iniziative, opere – porta in questa nostra epoca l’unità e la fraternità, dovunque. Dirò qualcosa di questo Movimento, che meglio conosco, ma come esempio fra tanti. I dialoghi Quattro sono i dialoghi che, da quasi mezzo secolo, esso ha messo in atto. Il dialogo all’interno della Chiesa, che l’aiuti ad essere sempre più “comunione”, quella comunione nella quale la fraternità e la pace sono assicurate. Il dialogo ecumenico nella sua forma di “dialogo del popolo”. Questo dialogo coinvolge, vivissimo, cristiani di 350 Chiese, trasformati tutti in una sola “famiglia cristiana”, quasi un pezzo d’anima di quell’unica Chiesa che verrà. Il dialogo con persone di altre religioni: musulmani, ebrei, buddisti, indù, sikhs, ecc., oggi presenti un po’ dovunque per le ondate migratorie. Dialogo possibile, questo, per la cosiddetta “regola d’oro”, comune a tutte le principali religioni della terra. Essa dice: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” (cf Lc 6,31). Regola d’oro che in fondo domanda di amare ogni prossimo, cosicché se noi, perché cristiani, amiamo, ed essi, pure, come indù, musulmani, ebrei, amano, ecco l’amore reciproco, da cui fiorisce la fraternità. Questo dialogo ha già fruttato, per il Movimento dei Focolari, una fraternità piena e sentita con un Movimento buddista moderno di Tokio, che conta sei milioni di membri. E con un altro Movimento musulmano afroamericano di due milioni di membri, il quale, per lo scambio dei doni che si effettua nel dialogo, ha aperto a noi 40 moschee negli USA, dove possiamo annunciare le nostre esperienze di fede, sempre da loro tanto desiderate, mentre noi apriamo alla loro amicizia le nostre Cittadelle. Dialogo, infine, con i nostri fratelli che non professano una fede religiosa, ma hanno iscritta pure essi, nel DNA della loro anima, la spinta ad amare. E sono, forse, i più. La spiritualità dell’unità Ma da dove tale successo, che offre tanta speranza, in un solo nuovo Movimento? Il segreto della sua riuscita sta in una nuova linea di condotta, assunta da milioni di persone che, ispirandosi fondamentalmente a princìpi cristiani – senza trascurare, anzi evidenziando, valori paralleli presenti in altre fedi e culture – cerca di portare in questo mondo fraternità, pace e unità. Si tratta della “spiritualità dell’unità”, personale e comunitaria insieme, attuale e moderna, presentata oggi dal Santo Padre Giovanni Paolo II, sotto il nome di “spiritualità di comunione”, a tutta la Chiesa, perché tutti la vivano. Due sono i cardini principali di questa spiritualità. Il primo è stato donato al primo gruppo di ragazze, quando, in una cantina per ripararsi dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, aprendo il Vangelo a caso, si sono trovate proprio di fronte alla solenne preghiera di Gesù rivolta al Padre prima di morire: “Padre santo (…) che tutti siano una cosa sola” (cf Gv 17,11-21). Preghiera che chiede l’unità dei cristiani con Dio e fra loro, da estendersi poi a tutti e tutte, in una fraternità universale. Il secondo cardine, Gesù crocifisso e abbandonato, è stato chiaro, per quelle ragazze, quando hanno approfondito il grido di Cristo in croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46 e Mc 15,34). Avevano capito infatti che Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo, proprio per questo suo essere uomo s’era addossato anche tutte le nostre colpe, le nostre divisioni, le nostre sofferenze; e per questo il Padre aveva permesso che sentisse quel dolorosissimo abbandono. Egli, però, con uno sforzo sovrumano, aveva superato questa tremenda prova e si era riabbandonato al Padre dicendo: “Nelle tue mani… raccomando il mio spirito” (Lc 23,46). Per cui Gesù abbandonato, ma risorto all’Amore, è sempre stato per i membri del Movimento – ed ora non solo per essi – il modello, la chiave per ricomporre ogni genere di disunità, per sanare ogni trauma. Così, amando Lui, si è concorso ad unire singoli e brani di società, in ogni popolo, lavorando con ciò all’unità della famiglia umana. Il “Movimento dell’Unità” Il Movimento dei Focolari, pur essendo primariamente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi su su durante gli anni, un’attenzione particolare per il mondo politico, sino a veder nascere dal suo seno, a Napoli nel 1996, il cosiddetto “Movimento dell’Unità” al servizio del mondo. E ora sta diffondendosi e organizzandosi su tutto il pianeta. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti a diversi orientamenti politici. Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama non solo i politici del suo partito, ma tutti gli altri politici, cercando di vivere in comunione con tutti. Fa questo nei consigli comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica, nei parlamenti nazionali e regionali. L’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti fra gli Stati. Lo scopo specifico del “Movimento dell’Unità” è dunque: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; per essa credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e solo dopo, muoversi nell’azione politica. Aspetti dell’amore fraterno in politica Ora, in quali modi la fraternità aiuta il politico ad assolvere pienamente ai propri compiti? Posso rispondere soffermandomi su alcuni aspetti dell’amore fraterno vissuto in politica. Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale. Egli vuol dare risposta ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente, avverte che è Dio stesso a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente, risponde ad una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma è sempre l’amore che entrambi immettono nella loro azione. E gli uni e gli altri, questi politici, hanno la loro casa nel Movimento dell’Unità. In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che la politica è, nella sua radice, amore; e ciò porta a comprendere che anche l’altro, l’avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore. E questo esige che lo si rispetti, che si comprenda l’essenza del suo impegno, andando al di là dei modi in cui si esprime. Il politico dell’unità ha a cuore che anche il suo avversario realizzi il disegno buono di cui è portatore. Questo disegno, infatti, se risponde ad una chiamata, ad un bisogno vero, è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma anche gli avversari; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui. Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di spostare se stessi per fare spazio all’altro, di saper tacere per ascoltare tutti, anche gli avversari. E un “perdere se stessi” che rinnova ogni giorno l’originaria scelta politica, con la quale si decise di occuparsi degli altri. E in tal modo ci si “fa uno” con tutti, ci si apre alla loro realtà. E il farsi uno aiuta a superare i particolarismi, rivela aspetti delle persone, della vita, della realtà, che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il farsi uno è il vero realismo politico. Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, egli compie il primo passo per avvicinarsi all’altro, riprendere la comunicazione interrotta; dapprima, anche solo con un piccolo gesto, un saluto, ad esempio. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subito una interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico: amare per primi, per il politico dell’unità, è un atto dovuto alla dignità della persona, ma che si trasforma anche in una vera e propria iniziativa politica, aiutando a superare i pregiudizi e il gioco delle parti, che tanto spesso paralizzano i politici in contrapposizioni inutili. La fraternità, ancora, trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra i politici e i cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o avversario, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune. Un’ultima delle nostre idee-forza è che la patria altrui va amata come la propria; la più alta dignità per l’umanità sarebbe infatti quella di non sentirsi un insieme di popoli spesso in lotta fra loro, ma, per l’amore vicendevole, un solo popolo, arricchito dalla diversità di ognuno e per questo custode nell’unità delle differenti identità. E’ quanto il Movimento ha cercato di vivere in momenti anche drammatici, per esempio durante la guerra per le isole Falkland-Malvine, attraverso gesti di amicizia e di pace attuati tra i nostri argentini e i nostri inglesi: gesti che avevano un profondo significato politico. Realizzare la fraternità richiede sacrificio Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio. Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, il senso di abbandono, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! Chi, tra coloro che fanno politica, non si è mai sentito amareggiato o emarginato o tradito, al punto di essere tentato di lasciare? Ebbene, è qui che viene in aiuto anche al politico il Cristo crocifisso che grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46) ma che, riabbandonandosi al Padre, come è stato detto, ha superato il baratro e ha ricomposto ogni disunità. Gesù abbandonato-risorto, infatti, se è l’immagine ideale di ogni uomo, lo è particolarmente del politico, proprio perché il politico è colui che abbraccia le divisioni, le spaccature, le ferite della propria gente, per trovare le soluzioni, per ricomporle in unità. E’ questo il prezzo della fraternità che è richiesto al politico: prezzo altissimo, come è alta la vocazione politica. Ma altissimo è anche il premio. La fedeltà alla prova farà, infatti, del politico un modello, un punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente. Questi sono i politici che il Movimento dell’Unità desidera, con l’aiuto di Dio, generare, nutrire, sostenere. E non è utopia. Lo dicono alcuni dei nostri che ci hanno preceduti in Cielo: Jozef Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione di colleghi e avversari; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o Igino Giordani, il cui processo di canonizzazione recentemente iniziato sta mettendo in luce come egli abbia vissuto non solo le virtù religiose ma anche quelle civili: segno, questo, che ci si può fare santi non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”. Esempi concreti Il Movimento dell’Unità è impegnato anch’esso sul piano del dialogo. Lo ha attuato, ad esempio, tra le opposte fazioni dei cattolici e dei protestanti nell’Irlanda del Nord, contribuendo a risultati politici di rilievo. Ma dialogo, anche, tra parlamentari di diversi schieramenti, come sempre avviene quando alcuni dei nostri sono eletti in partiti diversi ma compongono, insieme, un’unica “cellula parlamentare”. La “cellula d’ambiente” è una delle nostre tipiche forme organizzative, che si costituisce quando dei membri del Movimento si trovano ad operare nel medesimo luogo. Dialogo, poi, tra governo e opposizione. Di questo abbiamo esperienza soprattutto nelle amministrazioni locali. I nostri che sono al governo riconoscono gli apporti positivi dell’opposizione e ne favoriscono il ruolo di controllo. L’opposizione è condotta allora attraverso una critica costruttiva, che non tende ad intralciare l’operato del governo, ma a correggerlo per migliorarlo. In numerosissimi casi, l’unità tra i nostri presenti da una parte e dall’altra ha favorito la ricerca della soluzione migliore per la comunità, la quale viene pienamente garantita solo se governo e opposizione esercitano entrambi, al meglio, il proprio ruolo. L’umanità come un unico corpo Il Movimento dell’Unità vede l’umanità come un unico corpo nel quale tutti gli uomini sono affratellati. L’umanità è prima di tutto una cosa sola. Giovanni Paolo II, parlando ai nostri giovani, diceva: “(Voi) volete scrutare il cammino che bisogna percorrere per raggiungere un ’mondo unito’, nella consapevolezza che tale ’ideale’ va facendosi ’storia’. “Davvero, questa sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. E’ la grande attesa degli uomini d’oggi. (…) A tutti è domandato di educare la propria coscienza a sentimenti di rispettosa convivenza, di concordia, di fratellanza, giacché senza questi non è possibile attuare un vero cammino di unità e di pace” . Il Papa ha detto questo prima dell’11 settembre. Ora il suo pensiero è senz’altro rafforzato dal gravissimo pericolo del terrorismo, che esige unità non solo fra gli uomini e le donne del nostro pianeta, ma fra i popoli come tali ed i grandi che li governano. Unità nella diversità Un’unità, sempre nella diversità, nella libertà, costruita da persone e da popoli che siano veramente se stessi, portatori di una propria identità e di una propria cultura aperte e dialoganti con le altre. Sognare la pace E quando sarà così, si potrà conoscere finalmente la pace. Infatti, a mano a mano che a ciò ci si avvierà, vedremo realizzarsi altri particolari sogni di grandi della nostra storia. Come quello, ancora, di Martin Luther King: “Oggi ho (…) sognato che (…) gli uomini muteranno le loro spade in aratri, e che le nazioni non insorgeranno più contro le nazioni, e la guerra non sarà neppure più oggetto di studio. (…) Con questa fede noi saremo capaci di affrettare il giorno in cui vi sarà pace sulla terra e buona volontà verso tutti gli uomini. Sarà un giorno glorioso, e le stelle canteranno tutte insieme, ed i figli di Dio grideranno di gioia” . Che il Signore ed il nostro agire facciano in modo che quel giorno sia vicino. Grazie, Signori tutti, dell’ascolto. Chiara Lubich

Risveglio di valori

L’unità dell’Europa nella pluralità dei popoli, culture e religioni

L’unità dell’Europa nella pluralità dei popoli, delle culture e delle religioni è stata al centro del Congresso "1000 Città per l’Europa", che si è tenuto il 9 e 10 novembre ad Innsbruck per iniziativa del sindaco Herwig Van Staa, Presidente della Camera dei Comuni all’Unione europea, e in collaborazione col Movimento dell’Unità, espressione politico-culturale del Movimento dei Focolari.

1200 i partecipanti da tutta Europa, tra cui circa 700 sindaci di varie provenienze geografiche ed appartenenze politiche, rappresentanti della vita pubblica, esponenti di varie religioni, e non per ultimi oltre 300 giovani.

Al termine del congresso è stato lanciato – in forma di Manifesto – un messaggio a tutto il mondo: l’Europa vuole dimostrare la volontà di realizzare la pace, e di assumere la fraternità come categoria politica, poggiata su un vasto consenso e apporto della base; vuole cioè formare una Europa dei cittadini che possa essere di esempio al mondo.

Nel complesso, il Congresso è stato – con discorsi, discussioni, gruppi di lavoro, elaborazione del manifesto, presentazioni culturali ma soprattutto con il dialogo tra i partecipanti – un avvenimento rilevante, che fa germogliare la speranza per una convivenza pacifica in un’Europa unita.

Risveglio di valori

Lo spirito di fratellanza nella politica, come chiave dell’unità dell’Europa e del mondo


Signor Sindaco di Innsbruck, dott. van Staa,
Signor Presidente della Commissione europea,
Prof. Romano Prodi,
Signor Presidente della Repubblica, dott. Klestil,
Signori Sindaci e Amministratori,
Signori Parlamentari,
Signore e Signori;

è un grande onore per me rivolgere la parola a una così qualificata assemblea che, attraverso le loro persone, rappresenta, in questa sala, diversi popoli e molte città.
Ringrazio perciò di cuore dell’invito, e cercherò di esserne il meno indegna possibile.

Il titolo della conversazione che devo ora svolgere recita così: "Lo spirito di fratellanza nella politica come chiave dell’unità dell’Europa e del mondo".

Lo spirito di fratellanza!
Quando mi è stato suggerito questo tema, l’estate scorsa, non avrei mai immaginato quali terribili avvenimenti sarebbero successi prima che lo potessi loro proporre.
Soprattutto quale straordinaria conferma essi avrebbero portato, nella loro tragicità, alla necessità nel mondo della fratellanza, e in particolare della fratellanza in politica.

Era l’11 settembre: le torri gemelle di New York crollavano. Veniva distrutto così il simbolo della più potente nazione del mondo, con una grande strage di vite umane.
Sgomento generale, infinito negli USA e non solo.
Ma ecco da quel groviglio di dolore, da quella notte piombata in piena luce, emergere un fenomeno inconsueto: una gara di solidarietà mai vista. New York si trasforma: muri di indifferenza si sciolgono in una valanga di aiuti concreti, di conforto, di prontezza a far qualcosa che allevi i dolori degli altri.
Gli Stati Uniti, Paese multi-religioso, multi-etnico, multi-culturale, sta per presentare al mondo, in una sua città, un modello di solidarietà, di unità.
E’ come se gli occhi di un popolo si spalancassero e vedessero, in pochi momenti, la necessità assoluta che si instauri dovunque la fraternità universale.

La fraternità universale, anche prescindendo dal cristianesimo, non è stata completamente assente dalla mente di qualche raro spirito forte. Il Mahatma Gandhi diceva: "La regola d’oro è di essere amici del mondo e considerare ’una’ tutta la famiglia umana. Chi distingue tra i fedeli della propria religione e quelli di un’altra, diseduca i membri della propria e apre la via al rifiuto e all’irreligione" .
Ed è presente tuttora in qualche grande anima come il Dalai Lama che, a proposito di quanto è successo, scrive ai suoi:
"Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra, e il modo di ricordarlo è semplice: amare in questo momento e sempre".
Ma chi ha portato la fraternità come dono essenziale all’umanità, è stato proprio Gesù, che ha pregato così prima di morire: "Padre, che tutti siano uno" – cf Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della "famiglia umana" possibile per la fraternità universale in atto. E con ciò abbatte le mura che separano gli "uguali" dai "diversi"; gli amici dai nemici; che isolano una città dall’altra. E scioglie ciascun uomo dai vincoli che lo imprigionano, dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale e politica.

L’idea della fraternità iniziò così a farsi strada nella storia. E si potrebbe ripercorrere l’evoluzione del pensiero delle diverse epoche, rintracciandone la presenza, alla base di molte fondamentali concezioni politiche, a volte palese, altre volte più nascosta. Una fraternità spesso vissuta, anche se in maniera limitata, ogniqualvolta, ad esempio, un popolo si è unito per conquistare la propria libertà, o quando gruppi sociali hanno lottato per difendere un soggetto debole, o in ogni occasione in cui persone di convinzioni diverse hanno superato ogni diffidenza per affermare un diritto umano.

Quanto poi sia centrale, per la politica, la scoperta della fraternità, lo dice anche quell’importante evento storico, che costituisce uno spartiacque tra due epoche: la Rivoluzione francese. Nel suo motto: "Libertà, uguaglianza, fraternità", essa sintetizza il grande progetto politico della modernità, anche se essa stessa ha inteso i tre principi in un modo molto riduttivo.
Inoltre, se poi numerosi Paesi, arrivando a costruire regimi democratici, sono riusciti a dare una certa realizzazione alla libertà e all’uguaglianza, la fraternità, in particolare, è stata più annunciata che vissuta.
Ma la Rivoluzione francese, nonostante le sue contraddizioni, aveva intuito quel che le esperienze successive hanno dimostrato: i tre principi stanno o cadono insieme; solo il fratello può riconoscere piena libertà e uguaglianza al fratello.
Non si può più, dunque, guardare alla fraternità come a qualcosa di ingenuo, o di superfluo, o che si aggiunga alla politica dall’esterno.

I fondamenti dell’Europa

Per realizzare il grande progetto dell’unità europea, il vivere la fraternità è necessario, anche se difficile.
Dobbiamo però ricordare che questo progetto non nasce oggi. Esso parte da lontano.
Prendiamo, ad esempio, un manipolo di santi, scelti come patroni dell’Europa. Patroni perché fondatori di essa, i quali, in momenti cruciali della storia, seppero intervenire piantando i pilastri e tracciando le fisionomie di quella che oggi noi chiamiamo Europa.
Tra il V e il VI secolo, in uno dei periodi più critici per il continente, Benedetto da Norcia propose ai suoi contemporanei un nuovo modello di uomo che, se da una parte, è completamente immerso in Dio, dall’altra forgia gli attrezzi e lavora la terra. La fraternità monastica, a partire da Benedetto, crea una rete di centri spirituali, economici e culturali attorno ai quali rinasce l’Europa. Rinascita spirituale e insieme sociale.
Si aggiunge in questo movimento, ampliandolo verso l’Est, l’azione dei fratelli Cirillo e Metodio, che nel secolo IX impressero un’impronta indelebile nei popoli slavi, ideando una scrittura che ne esprimesse la lingua. Inserirono così più profondamente questi popoli nella comunione ecclesiale e salvarono, al contempo, la loro identità culturale. Applicarono, in questo modo, nei fatti, il modello cristiano di unità nella distinzione che appartiene al DNA dell’Europa e che continua ad essere il punto di riferimento nel cammino da compiere.
E in un momento in cui l’Europa – rotti i precedenti assetti feudali, ma ancora priva di un nuovo equilibrio – sembrava avere smarrito il senso della propria unità spirituale, Brigida di Svezia e Caterina da Siena si rivolgevano ai potenti del loro tempo, con una autorità d’amore che ricordava il loro vero fine di servire la giustizia.
E ancora, con Edith Stein, quasi una nostra contemporanea, la santità si è calata nel profondo dell’orrore che sconvolgeva l’Europa, unificando, nel suo sacrificio personale, una duplice fedeltà: al suo popolo e alla sua fede. Morì come monaca cristiana; ma morì perché ebrea. E pose così la pietra angolare di una casa europea nella quale tutte le religioni possono concorrere a costruire la fratellanza.

C’è santità alle radici dell’Europa: e non solo di quella che la storia ci consegna, ma anche dell’Europa che noi oggi stiamo costruendo, come ci è testimoniato da alcune delle figure dei padri dell’Europa unita: Robert Schuman e Alcide De Gasperi. Per essi è stato avviato il processo di canonizzazione che testimonia la loro santità, nel corso del quale si sta accertando, in particolare, come essi abbiano vissuto in maniera eroica non solo le virtù religiose, ma quelle civili che la loro professione politica richiedeva.
E se ritorniamo alla loro ispirazione originaria, al loro modo di intendere l’unità europea, possiamo trovare una luce per meglio concentrarci sull’obiettivo.
Il primo passo fu la creazione della "Comunità europea del carbone e dell’acciaio" (CECA). Ma la fusione delle produzioni di carbone e di acciaio non fu motivata dall’obiettivo di realizzare un "affare economico". Fu definita invece una "solidarietà di produzione" che rendesse impossibile ogni forma di guerra tra Francia, Germania e gli altri Paesi che vi avrebbero aderito. Lo scopo era, dunque, la pace, salvaguardare la fraternità, e l’economia il mezzo. Come dichiarava Konrad Adenauer davanti al Bundestag nel giugno 1950: "L’importanza del progetto è soprattutto politica e non economica".
E questo primo obiettivo, riguardante un settore industriale di primario interesse, era considerato solo una tappa verso l’effettiva unificazione economica dell’Europa, anch’essa a sua volta intesa – sottolineava Robert Schuman echeggiando anche le idee di Jean Monnet – come "il fermento di una comunità più profonda tra Paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni" .
E che neppure l’Europa fosse il fine ultimo di questo sforzo di comunione, è esplicitamente dichiarato nel primo atto ufficiale di tutto il progetto, la "Dichiarazione Schuman": "L’Europa, con maggiore copia di mezzi, potrà continuare la realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano" .

Nella visione dei fondatori, l’Europa dunque è una famiglia di popoli fratelli, non però chiusa in se stessa, ma aperta ad una missione universale: l’Europa vuole la propria unità per contribuire, poi, all’unità della famiglia umana.
L’Europa unita, dunque, per arrivare ad un mondo unito.
Un mondo unito?
Sogno si può pensare, specie in quest’ora. Utopia. Non del tutto, però, se un Papa, l’attuale, così si è espresso con i nostri giovani pochi anni fa: "Davvero questa sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. E’ la grande attesa degli uomini di oggi (…) e, nello stesso tempo, la grande sfida del futuro. Ci accorgiamo che verso l’unità si sta procedendo sotto la spinta di un’eccezionale accelerazione"
Accelerazione data anche, forse, da circostanze che sembrano e ne sono la negazione. Ma che tutto possa cooperare al bene per chi crede, non è, paradossalmente in questo momento, pensiero di pochi.
E la Chiesa lo afferma da tempo, parlando di un nuovo ordine mondiale, di un nuovo ordine economico, di globalizzare la solidarietà. Questi campanelli di allarme attuali ci fanno capire che questi ideali non sono soltanto opzioni facoltative, ma qualcosa che riguarda il cammino dell’uomo sulla terra.

Strumenti d’unità

Ma come intanto proseguire l’opera di coloro che attraverso i secoli hanno costruito l’Europa?
Per suscitare la fraternità in Europa, per darle un’anima che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, ecc., non mancano gli strumenti. Basta saperli individuare.
Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, è quello dell’apparire dopo i primi decenni del ’900, in nazioni soprattutto europee (Spagna, Francia, Germania, Italia, e non solo nella Chiesa cattolica) di decine e decine di nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali che, perché fondati o prevalentemente composti da laici, non mancano d’un sentito, profondo interesse per il vivere umano e di una ricaduta nel campo civile, offrendo concrete realizzazioni politiche, economiche, ecc.
Sono realtà queste venute in piena luce appena tre anni fa, quando la Chiesa si è riscoperta e ripresentata al mondo costituita, oltre che dall’aspetto istituzionale, anche da quello carismatico, coessenziale al primo. Aspetto che ha arricchito i secoli di Movimenti spirituali (come quello francescano) e delle più varie correnti di pensiero e di spiritualità, atte a riportare la cristianità, spesso illanguidita e secolarizzata dal contatto col mondo, all’autenticità ed alla radicalità del Vangelo.
Autenticità e radicalità soprattutto di quello straordinario amore evangelico, materia prima per la fraternità, che va rivolto a tutti, quindi anche al nemico, che sa prendere sempre coraggiosamente l’iniziativa, che non è mero sentimentalismo ma concreto agire, che tratta tutti da uguali; che, vissuto da più, diventa reciproco e genera appunto fraternità, unità.
Questi Movimenti, seguendo ognuno il proprio carisma, concretizzano l’amore in tante forme, ma soprattutto, parecchi di questi, manifestano la forza dello Spirito, sempre attento alle necessità del momento, con la capacità che hanno d’aprire a tutti gli uomini e donne del nostro pianeta un dialogo profondo.
E quattro sono oggi i dialoghi veramente necessari anche per la fraternità in Europa: il dialogo all’interno di ogni Chiesa cristiana, che è già iniziato anche per opera dei nuovi Movimenti ecclesiali; il dialogo ecumenico che aiuta il ricomporsi dell’unità nell’unica Chiesa; il dialogo con le persone delle altre religioni: musulmani, ebrei, buddisti, ecc., oggi presenti anche in Europa per le ondate immigratorie e gli interscambi legati alla globalizzazione. Dialogo attuabile per la cosiddetta "regola d’oro", comune a tutte le principali religioni della terra, che dice: "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" (cf Lc 6,31). Regola d’oro che in fondo vuol dire: ama. E se noi, perché cristiani, amiamo, ed essi pure amano, ecco l’amore reciproco, da cui fiorisce la fraternità anche con loro.
Dialogo infine con i nostri fratelli – e sono forse i più – che non professano una fede religiosa, ma hanno iscritta pure essi nel DNA della loro anima, la spinta ad amare.

Oggi, poi, la chiamata ad operare alla fraternità è partita dalla voce autorevole di Giovanni Paolo II il quale, il 6 gennaio scorso, ha proposto a tutti i cristiani, nella Lettera Novo millennio ineunte, la cosiddetta "spiritualità di comunione" che la rende possibile.
Spiritualità che, già presente nella Chiesa da 60 anni circa in uno dei Movimenti, quello dei Focolari, ma limitata ad esso, ora, assunta dal Santo Padre, poteva e doveva animare la Chiesa intera ed oltre.
Il suo segreto sta nel fissare lo sguardo ed imitare Colui che è stato l’artefice della fraternità e della ricomposizione dell’unità di tutti gli uomini, in Dio e fra loro, il Crocifisso, che grida: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).
Noi tutti, uomini, eravamo staccati dal Padre e divisi fra noi. Era necessario che il Figlio, nel quale tutti siamo rappresentati, provasse il distacco dal Padre col quale era una cosa sola (Gv 10,30).
Ma Egli non si è fermato nel baratro di quel dolore infinito. Con un immane sforzo, s’è riabbandonato al Padre, dicendo: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46), ed ha così ricomposto l’unità con Dio e fra noi.
E’ il mistero di Gesù abbandonato-risorto, che dà la possibilità a tutti noi, imitandolo, di superare ogni divisione e di intraprendere il dialogo con tutti.

Prospettive politiche della fraternità

Se nei nuovi Movimenti, in genere, c’è l’interesse delle cose umane, nel Movimento dei Focolari la "spiritualità d’unità o di comunione" ha dato origine, fra il resto, anche ad una espressione politica: il Movimento dell’Unità, il cui scopo specifico è appunto la fraternità in politica.
Esso, sorto a Napoli, nel 1996, raccoglie l’esperienza di quei politici italiani che, fin dagli anni ’50, hanno cercato di vivere quest’ideale dell’unità. Ed ora si può costatare come, da ciò che ha posto in pratica ai diversi livelli dell’impegno politico, dall’amministrazione delle città fino all’attività parlamentare, è possibile ricavare alcune indicazioni concrete, che potrebbero essere sviluppate nella più grande dimensione continentale.
Si è capito, anzitutto, che esiste una vera vocazione alla politica. E’ una chiamata personale che emerge dalle circostanze e parla attraverso la coscienza. Chi crede vi avverte, con chiarezza, la voce di Dio che gli assegna un compito. Ma anche chi non crede si sente chiamato ad essa dall’esistenza di un bisogno sociale, da una categoria debole che chiede aiuto, da un diritto umano violato, dal desiderio di compiere il bene per la propria città o per la propria nazione.
E la risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo, infatti, solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio.
Il vivere così permette al politico di ascoltare fino in fondo i cittadini, di conoscerne i bisogni e le risorse; lo aiuta a comprendere la storia della propria città, a valorizzarne il patrimonio culturale e associativo: in tal modo arriva a cogliere, un po’ alla volta, la sua vera vocazione ed a guardare ad essa con sicurezza per tracciarne il cammino.
Il compito dell’amore politico, infatti, è quello di creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli altri amori di fiorire: l’amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di una casa e di un lavoro, l’amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri, l’amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade e ferrovie, di regole certe… La politica è perciò l’amore degli amori, che raccoglie nell’unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione. Ma fa pure in modo che collaborino tra loro, facendo incontrare i bisogni con le risorse, le domande con le risposte, infondendo in tutti la fiducia gli uni negli altri. La politica si può paragonare allo stelo di un fiore, che sostiene e alimenta il rinnovato sbocciare dei petali della comunità.

Noi sappiamo come anche oggi ci sono cittadini per i quali la città è come non esistesse, cittadini per i cui problemi le istituzioni cercano con difficoltà le risposte. C’è anche chi si sente escluso dal tessuto sociale e separato dal corpo politico, a causa della mancanza di lavoro, o di casa, o della possibilità di curarsi adeguatamente. Sono questi, e molti altri, i problemi che quotidianamente i cittadini pongono a chi ha il governo della città. E la risposta che ricevono è determinante perché anch’essi si sentano a pieno titolo cittadini e avvertano l’esigenza e abbiano la possibilità di partecipare alla vita sociale e politica.
E perciò, da questo punto di vista il Comune è la più importante delle istituzioni, perché più vicina alle persone, di cui incontra direttamente tutti i tipi di bisogni. Ed è attraverso il rapporto con il Comune, nelle sue varie articolazioni, che il cittadino sviluppa la gratitudine – o il rancore – verso l’insieme delle istituzioni, anche quelle più lontane, quali lo Stato.

Passando ora a considerare la dimensione nazionale della politica, i rapporti tra i grandi orientamenti che nei nostri Paesi si alternano al governo, costatiamo che il vivere la nostra scelta politica come una vocazione d’amore ci porta a comprendere che anche coloro che hanno fatto una scelta politica diversa dalla nostra, possono essere stati spinti da una analoga vocazione d’amore. E che anch’essi sono parte – nel loro modo – dello stesso disegno, pur presentandosi come avversari. La fraternità permette di riconoscere il loro compito, di rispettarlo, di aiutarli – anche attraverso una critica costruttiva – ad esservi fedeli, mentre noi siamo fedeli al nostro.
Si dovrebbe vivere la fraternità così bene da arrivare ad amare il partito degli altri come il proprio, sapendo che entrambi non sono nati per caso, ma come risposta ad una esigenza storica presente all’interno della comunità nazionale: e solo soddisfacendo a tutti gli interessi, solo armonizzandoli in un disegno comune, la politica raggiunge il proprio scopo. La fraternità fa emergere i valori autentici di ciascuno e ricostruisce l’insieme del disegno politico di una nazione.
Lo testimoniano ad esempio, le iniziative di membri del Movimento dell’Unità volte a creare un rapporto fraterno tra maggioranza e opposizione, sia a livello di Parlamento, sia in alcuni Comuni, iniziative che si sono tradotte in leggi dello Stato o in politiche locali che hanno unito le città nelle quali si sono realizzate.
Lo testimoniano anche numerose esperienze di accoglienza degli immigrati, che accorrono nei Paesi più industrializzati non solo per motivi economici, ma anche politici: una città, una nazione, non perdono, ma guadagnano nell’aprirsi all’altro; si alza la loro statura politica nell’offrire una Patria e una cittadinanza a chi l’ha perduta.
E l’amore per la propria Patria fa comprendere quello che gli altri hanno per la loro, nella quale, pure, esiste un disegno d’amore.

Così colui che, rispondendo alla propria vocazione politica, inizia a vivere la fraternità, si immette in una dimensione universale che lo apre all’umanità intera. E tiene conto delle conseguenze universali delle proprie scelte, si chiede se ciò che sta decidendo, pur rispondendo agli interessi della propria nazione, non porti ad un danno per le altre. Ogni gesto politico, in questo modo, non solo quello di un governo nazionale, ma anche il più particolare, compiuto nel più piccolo municipio della più lontana provincia, si carica di un significato universale, perché è pienamente uomo, pienamente responsabile, il politico che lo compie. Il politico dell’unità ama la Patria degli altri come la propria.
Questa è la caratteristica della dimensione politica, dell’essere cittadini: il continuo rapporto con l’altro, il riconoscimento della sua distinzione da me, ma, allo stesso tempo, la convinzione di appartenere, insieme, alla città. Ed è, questa, anche la caratteristica dell’Europa.
Infatti, quando si è iniziato a parlare di Europa, lo si è fatto in relazione alla città.
Attraverso i secoli, continuerà ad approfondirsi la percezione di che cosa è l’Europa e, contemporaneamente, se ne ampliano i confini: dalla piccola Grecia la coscienza europea arriverà a comprendere se stessa dall’Atlantico agli Urali. E questo soprattutto grazie alla penetrazione del cristianesimo, che infonde nei popoli dell’Europa "geografica" i principi religiosi che sviluppandosi in principi civili, sociali e politici, costruiranno l’Europa culturale. E tutto ciò senza soffocare le distinte identità cittadine e le identità nazionali che si sono andate via via formando.
E ad ogni passaggio d’epoca ritroviamo la stessa situazione: ciò che, ad un dato momento, si pensava essere l’Europa, è risultato troppo piccolo, si è trovato alle prese con qualcosa di diverso che lo metteva in scacco, e che sfidava l’Europa a comprenderlo, a prenderlo dentro modificandolo e modificandosi.
E facendo ciò, l’Europa è andata sempre più verso se stessa, verso la piena maturazione del seme cristiano che non si esprime più, certo, nella "cristianità" medievale ma, più profondamente, nella dinamica della fraternità universale, che coinvolge persone e popoli diversi fra loro.
E’ in questa fraternità universale, che crea l’unità salvando le distinzioni, la vocazione dell’Europa. Essa è ancora in cammino. Le guerre, i regimi totalitari, le ingiustizie, hanno lasciato delle ferite aperte da sanare. Ma per essere davvero europei, dobbiamo riuscire a guardare con misericordia al passato, riconoscendo come nostra la storia della mia nazione e di quella dell’altro, riconoscendo che ciò che oggi siamo è frutto di una vicenda comune, di un destino europeo che chiede di essere preso interamente e consapevolmente nelle nostre mani.
L’unità d’Europa chiede oggi, ai politici europei, di interpretare i segni del tempo, e di stringere tra loro quasi un patto di fraternità, che li impegni a considerarsi membri della Patria europea come di quella nazionale, cercando sempre ciò che unisce e trovando insieme le soluzioni ai problemi che ancora si frappongono all’unità di tutta l’Europa.
Per un fine così alto vale senz’altro la pena di impegnare la propria esistenza.
E’ quanto auguro a loro, Signori.

E li ringrazio per avermi ascoltata.

Chiara Lubich

Risveglio di valori

"La ricchezza delle diversitàLa forza dell’Unione"

Eccellenze,
Signore e signori,
È un piacere e un onore per me essere con voi oggi.

Sono grato per questa prima occasione di parlare con i sindaci di tutta Europa del futuro dell’Unione e del vostro ruolo sempre più importante nel progetto europeo.

Oggi vorrei affrontare tre aspetti del futuro dell’Unione che, pur essendo distinti fra loro, sono strettamente legati: