Movimento dei Focolari

luglio 2004

I discepoli vedevano come Gesù pregava. Erano colpiti soprattutto dal modo caratteristico con cui si rivolgeva a Dio: lo chiamava “Padre”. Altri prima di lui avevano chiamato Dio con questo stesso nome, ma quella parola, sulla bocca di Gesù, parlava di una intima reciproca conoscenza tra lui e il Padre, nuova e unica, di un amore e di una vita che li legava entrambi in una incomparabile unità.
I discepoli avrebbero voluto sperimentare quello stesso rapporto con Dio, così vivo e profondo che vedevano nel loro Maestro. Volevano pregare come lui pregava; per questo gli chiesero:

«Signore, insegnaci a pregare»

Gesù più volte aveva parlato ai suoi discepoli del Padre, ma ora, rispondendo alla loro domanda, ci rivela che il Padre suo è anche Padre nostro: anche noi, come lui, tramite lo Spirito Santo, possiamo chiamarlo “Padre”.
Egli, insegnandoci a dire “Padre”, rivela a noi stessi che siamo figli di Dio e ci fa prendere coscienza che siamo fratelli e sorelle tra di noi. Fratello accanto a noi, ci introduce nel suo stesso rapporto con Dio, orienta la nostra vita verso Lui, ci introduce nel seno della Trinità, ci fa diventare sempre più uno tra di noi.

«Signore, insegnaci a pregare»

Gesù insegna non soltanto a rivolgersi al Padre, ma anche cosa domandargli.
Che sia santificato il suo nome e venga il suo regno: che Dio si lasci conoscere e amare da noi e da tutti; che entri in modo definitivo nella nostra storia e prenda possesso di ciò che già gli appartiene; che si realizzi pienamente il suo disegno d’amore sull’umanità. Gesù ci insegna così ad avere i suoi stessi sentimenti, uniformando la nostra volontà su quella di Dio.
Ci insegna ancora ad aver fiducia nel Padre. A Lui, che nutre gli uccelli del cielo, possiamo chiedere il pane quotidiano; a Lui, che accoglie a braccia aperte il figlio smarrito, possiamo domandare il perdono dei peccati; a Lui, che conta anche i capelli del nostro capo, possiamo chiedere che ci difenda da ogni tentazione.
Ecco le domande a cui Dio certamente risponde. Possiamo rivolgerle con parole diverse – scrive Agostino di Ippona – ma non possiamo domandare cose diverse.

«Signore, insegnaci a pregare»

Ricordo quando anche a me il Signore ha fatto capire, in modo nuovissimo, che avevo un Padre. Avevo 23 anni. Facevo ancora scuola. Un sacerdote di passaggio chiede di dirmi una parola: mi domanda di offrire un’ora della mia giornata per le sue intenzioni. Rispondo: “Perché non tutta la giornata?” Colpito da questa generosità giovanile, mi dice: “Si ricordi che Dio la ama immensamente”. È la folgore. “Dio mi ama immensamente”. “Dio mi ama immensamente”. Lo dico, lo ripeto alle mie compagne: “Dio ti ama immensamente. Dio ci ama immensamente.”
Da quel momento scorgo Dio presente dappertutto col suo amore. C’è sempre. E mi spiega. Che cosa mi spiega? Che tutto è amore: ciò che sono e ciò che mi succede; ciò che siamo e ciò che ci riguarda; che sono figlia sua ed Egli mi è Padre.
Da quel momento anche la mia preghiera cambia; non è più un essere rivolta a Gesù, quanto un mettermi a fianco a Lui, Fratello nostro, rivolta verso il Padre. Quando lo prego con le parole che Gesù ci ha insegnato, sento di non essere sola a lavorare per il suo Regno: siamo in due, l’Onnipotente ed io. Lo riconosco Padre anche a nome di quanti non lo sanno tale, chiedo che la sua santità avvolga e penetri la terra intera, domando il pane per tutti, il perdono e la liberazione dal male per tutti quelli che sono nella prova.

Quando avvenimenti mi allarmano o mi turbano, getto ogni mia ansietà nel Padre, sicura che Lui ci pensa. E posso testimoniare che non ricordo alcuna preoccupazione messa nel suo cuore della quale Egli non si sia preso cura. Il Padre, se noi crediamo al suo amore, interviene sempre, nelle piccole e nelle grandi cose.
In questo mese cerchiamo di recitare il “Padre Nostro”, la preghiera che Gesù ci ha insegnato, con una nuova consapevolezza: Dio ci è Padre e ha cura di noi. Recitiamola a nome di tutta l’umanità, rinsaldando la fratellanza universale. Che sia la nostra preghiera per eccellenza, sapendo che con essa chiediamo a Dio quello che più gli sta a cuore. Egli esaudirà ogni nostra richiesta e ci colmerà dei suoi doni. Fatti così liberi da ogni preoccupazione, potremo correre nella via dell’amore.

Chiara Lubich

(altro…)

giugno 2004

Gesù ha da poco preso la decisione di iniziare il grande viaggio verso Gerusalemme, dove deve compiersi la sua missione. (Cf Lc 9,51) Altri vogliono seguirlo, ma Gesù li avverte che camminare con Lui è una scelta seria. Sarà un cammino difficile, che richiede lo stesso coraggio e la stessa determinazione con cui egli è deciso a compiere fino in fondo la volontà del Padre.
Egli sa che all’entusiasmo iniziale può subentrare lo scoraggiamento. Lo aveva appena raccontato nella parabola del seminatore: i semi caduti sulla pietra “sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la Parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno.” (Cf Lc 8,13)
Gesù vuole essere seguito con radicalità e non fino a un certo punto, un po’ sì e un po’ no. Una volta che ci si è messi a vivere per Dio e per il suo Regno, non si può tornare a riprendersi ciò che si è lasciato, a vivere come prima, a pensare agli interessi egoistici di una volta:

«Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio»

Quando ci chiama a seguirlo, e tutti – in modo diverso – siamo chiamati, Gesù ci apre davanti un mondo nuovo per il quale vale la pena rompere con il passato. A volte però ci prendono ripensamenti nostalgici o la mentalità comune, spesso non evangelica, si insinua e fa pressione su di noi.
Ed ecco allora le difficoltà. Da un lato vorremmo amare Gesù, dall’altro vorremmo indulgere ai nostri attaccamenti, alle nostre debolezze, alle nostre mediocrità. Vorremmo seguirlo, ma siamo tentati di voltarci tante volte indietro, tornando sui nostri passi, oppure con un passo avanti e due indietro…
Questa Parola di vita ci parla di coerenza, di perseveranza, di fedeltà. Se abbiamo sperimentato la novità e la bellezza del Vangelo vissuto, vedremo che nulla è più contrario ad esso quanto l’indecisione, la pigrizia spirituale, la poca generosità, il compromesso, le mezze misure. Decidiamo di seguire Gesù e di entrare nel meraviglioso mondo che egli ci apre. Ha promesso che “chi persevererà fino alla fine sarà salvato.” (Cf. Mt 10,22)

«Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio»

Cosa fare allora per non cedere alla tentazione di volgerci indietro?
Innanzitutto non dare ascolto all’egoismo, che appartiene al nostro passato, quando non si vuole lavorare come si deve o studiare con impegno o pregare bene o accettare con amore una situazione pesante e dolorosa, oppure quando si vorrebbe parlare male di qualcuno, non avere pazienza con un altro, vendicarsi. A queste tentazioni dobbiamo dire di no anche dieci, venti volte al giorno.
Ma questo non basta. Con i no si va poco lontano. Occorrono soprattutto i sì: a quello che Dio vuole e i fratelli e le sorelle aspettano.
E assisteremo a grandi sorprese.
Ricordo qui una mia esperienza.

Il 13 maggio 1944 un bombardamento aveva reso inabitabile la mia casa e la sera per ripararmi ero scappata con la mia famiglia nel bosco poco distante. Piangevo, capendo che non sarei potuta partire da Trento con i miei che tanto amavo. Vedevo ormai nelle mie compagne il Movimento nascente: non avrei potuto abbandonarle.
L’amore per Dio doveva, dunque, vincere anche questo? Dovevo lasciar partire i miei da soli, io che allora ero l’unica a sostenerli economicamente? Lo feci con la benedizione di mio padre.
Seppi poi che i miei erano partiti contenti, e ben presto trovarono una buona sistemazione.
Cercai le mie compagne fra le case e le strade ridotte a macerie. Erano, grazie a Dio, tutte salve. Ci venne offerto un piccolo appartamento. Il primo focolare? Noi non lo sapevamo, ma era proprio così.

«Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio»

Andiamo dunque sempre avanti verso il traguardo che ci attende, tenendo fisso lo sguardo su Gesù. (Cf Eb 12,1-2)Più ci innamoriamo di Lui e sperimentiamo la bellezza del mondo nuovo a cui ha dato vita, più ciò che abbiamo lasciato dietro le spalle perderà la sua attrattiva.
Ripetiamoci al mattino, quando inizia una nuova giornata: oggi voglio vivere meglio di ieri! E se ci può essere di aiuto, proviamo a contare in qualche modo gli atti di amore a Dio e ai fratelli e alle sorelle. Ci troveremo alla sera col cuore pieno di felicità.

Chiara Lubich

(altro…)

maggio 2004

Durante l’ultima cena, prima di lasciare i suoi amici e tornare al Padre, Gesù vuole legarli strettamente a sé e tra di loro con il vincolo più saldo e duraturo: l’amore. Lui ama “sino alla fine”, con l’amore “più grande”, che giunge a “dare la vita”, e, come contraccambio, domanda di essere riamato con lo stesso amore.
L’amore che Gesù chiede non è semplice sentimento, è fare la sua volontà, descritta nei suoi comandamenti: soprattutto l’amore al fratello e alla sorella, e quello reciproco. E’ una verità talmente importante per Gesù, che in questo suo ultimo discorso rivolto ai discepoli lo ripete con forza per altre tre volte: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama”; “Se uno mi ama, osserverà la mia parola”; “Chi non mi ama non osserva le mie parole”.

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti»

Perché dobbiamo osservare i suoi comandamenti?
Creati a sua “immagine e somiglianza”, noi siamo come un “tu” che sta di fronte a Dio, con la capacità di un rapporto personale, diretto con Lui: un rapporto di conoscenza, di amore, di amicizia, di comunione.
Io “sono” nella misura in cui dico il mio sì al progetto d’amore che Egli ha su di me.
Più il rapporto con Lui, essenziale alla natura umana, viene vissuto, si approfondisce e si arricchisce, più l’uomo e la donna si realizzano nella più vera personalità.

Guardiamo ad Abramo. Ogni volta che Dio gli chiede qualcosa, anche quando sembra la più assurda, come lasciare la propria terra per incamminarsi verso un destino a lui sconosciuto o sacrificargli l’unico figlio, egli aderisce prontamente fidandosi di Dio, e gli si apre davanti un futuro impensato.
Così Mosè. Il Signore sul monte Sinai gli rivela la propria volontà nel decalogo, e dall’adesione ad esso nasce il popolo di Dio.
Così Gesù. In lui il sì al Padre raggiunge tutta la sua pienezza: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta.”
Seguire Gesù vuol dire compiere la volontà del Padre nel modo migliore possibile, come Lui ce l’ha rivelata e come Lui, per primo, l’ha compiuta.
I comandamenti che Gesù ci ha lasciato sono così un aiuto per vivere secondo la nostra natura di figli e figlie di un Dio che è Amore. Essi non sono, quindi, delle imposizioni arbitrarie, una sovrastruttura artificiale e tanto meno un’alienazione. Non sono neppure comandi come un padrone dà a dei servi. Sono piuttosto l’espressione del suo amore e della sua premura per la vita di ciascuno di noi.

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti»

Come vivere allora questa Parola di vita?
Cerchiamo di ascoltare con attenzione quanto Gesù ci dice nel Vangelo – i suoi comandamenti – e lasciamo che lo Spirito Santo, lungo la giornata, ci ricordi le sue parole. Egli ci insegna, ad esempio, che non basta non uccidere, si deve evitare l’ira contro i fratelli; non si può commettere adulterio, ma neppure desiderare la donna d’altri. “Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra”; “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”.
Ma soprattutto viviamo quello che Gesù ha chiamato il “suo” comandamento, quello che riassume tutti gli altri: l’amore reciproco. La carità è infatti pieno compimento della legge, è “la via migliore” che siamo chiamati a percorrere.

L’aveva ben capito don Dario Porta, un sacerdote di Parma (Italia), morto il giovedì santo 1996. Se nei primi anni di sacerdozio aveva vissuto in modo egregio il suo rapporto con Dio, più tardi scoprì meglio che Gesù andava visto in ogni prossimo e l’amare evangelico divenne la sua passione. Per restare fedele a questo suo impegno, egli si fece sempre più attento agli altri, posponendo programmi personali, fino a scrivere, un giorno, nel suo diario: “Ho capito che l’unica cosa che alla fine si vorrebbe aver fatto è aver amato il fratello”.
Ogni sera anche noi, come lui, possiamo domandarci: “Ho sempre amato i fratelli?”

Chiara Lubich
 

 

(altro…)

aprile 2004

Non è la prima volta che Luca racconta che i discepoli discutono su chi sia tra loro il più grande. Questa volta siamo durante l’ultima cena. Gesù ha da poco istituito l’Eucaristia, il segno più grande del suo amore, del suo donarsi senza misura, anticipo di quanto vivrà poche ore dopo sulla croce. Egli sta in mezzo ai suoi “come colui che serve”. Il Vangelo di Giovanni, infatti, riporta il suo gesto concreto di lavare i piedi ai discepoli. In questo mese in cui celebriamo la Pasqua, la Risurrezione di Gesù, è importante ricordare questo suo insegnamento.

I discepoli non capiscono, perché condizionati dalla mentalità comune del vivere umano che privilegia il prestigio e l’onore, i primi posti nella scala sociale, il diventare “qualcuno”. Ma Gesù è venuto in terra proprio per creare una società nuova, una nuova comunità, guidata da una logica diversa: l’amore.
Se Lui, che è il Signore e il Maestro, ha lavato i piedi (un’azione riservata agli schiavi), anche noi se vogliamo seguirlo, soprattutto se abbiamo particolari responsabilità, siamo chiamati a servire il nostro prossimo con altrettanta concretezza e dedizione.

«Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve»

È uno dei paradossi di Gesù. Lo si capisce soltanto se si pensa che l’atteggiamento tipico del cristiano è l’amore, quell’amore che lo fa mettere all’ultimo posto, che lo fa piccolo davanti all’altro, così come fa un papà quando gioca con il figlioletto o aiuta nei compiti di scuola il ragazzo più grande.
Vincenzo de’ Paoli chiamava i poveri i suoi “padroni” e li amava e li serviva come tali, perché in loro vedeva Gesù. Camillo de Lellis si chinava sui malati, lavando le loro piaghe, accomodando loro il letto, “con quell’affetto – come scrive lui stesso – che una madre amorosa è solita avere per il suo unico figlio infermo”.
E come non ricordare, più vicina a noi, la beata Teresa di Calcutta, che si è chinata su migliaia di moribondi, facendosi “nulla” davanti a ciascuno di loro, i più poveri dei poveri?

“Farsi piccoli” di fronte all’altro vuol dire cercare di entrare il più profondamente possibile nel suo animo, fino a condividerne le sofferenze o gli interessi, anche quando a noi sembrano di poco conto, insignificanti, ma che costituiscono invece il tutto della sua vita.
“Farsi piccoli” davanti ad ognuno, non perché noi, in qualche maniera, siamo in alto e l’altro in basso, ma perché il nostro io, se non è tenuto a bada, è come un pallone, sempre pronto a salire, a mettersi in posizione di superiorità nei confronti del nostro prossimo.

«Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve»

“Vivere l’altro”, dunque, e non condurre una vita ripiegata su sé stessi, piena delle proprie preoccupazioni, delle proprie cose, delle proprie idee, di tutto ciò che si considera nostro.
Dimenticarsi, posporre se stessi per aver presente l’altro, per farsi uno con chiunque fino a scendere con lui e sollevarlo, per farlo uscire dalle sue angustie, dalle sue preoccupazioni, dai suoi dolori, dai suoi complessi, dai suoi handicap o semplicemente per aiutarlo a uscire da sé stesso ed andare verso Dio e verso i fratelli e così trovare insieme la pienezza di vita, la vera felicità.

Anche gli uomini di governo, gli amministratori pubblici (“chi governa”), ad ogni livello, possono vivere la loro responsabilità come un servizio d’amore, per creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli amori di fiorire: l’amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di una casa e di un lavoro, l’amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri, l’amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade e ferrovie, di regole certe…
Dal mattino quando ci alziamo, alla sera quando ci corichiamo, in casa, all’ufficio, alla scuola, per strada possiamo sempre trovare l’occasione per servire, e ringraziare quando siamo a nostra volta serviti.
Facciamo ogni cosa per Gesù nei fratelli, non trascurando nessuno, anzi amando sempre per primi.
Serviamo tutti! È solo così che siamo “grandi”.

Chiara Lubich

(altro…)

marzo 2004

Il popolo d’Israele, in esilio a Babilonia, guarda con nostalgia al passato, al tempo glorioso nel quale Dio intervenne con potenza e liberò i suoi antenati, schiavi in Egitto. La tentazione è quella di pensare: Dio non manderà più un altro Mosè, non opererà più i grandi prodigi di un tempo e noi dovremo rimanere per sempre in questa terra straniera.
Ma Ciro, re persiano, nel 539 a.C. libera il popolo eletto, il cui ritorno verso la terra promessa sarà ancora più straordinario dell’esodo dall’Egitto.
Dio non si ripete mai! Il suo amore è capace di operare cose ben più grandi di quelle che ha compiuto nel passato, che non possiamo neppure immaginare. Per questo mette sulla bocca del profeta Isaia l’invito:

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova»

Isaia ancora, alla fine del suo libro, annuncia un futuro più che mai luminoso: la creazione di cieli nuovi e di una nuova terra. Sarà talmente grande ciò che Dio compirà che “il passato non sarà più ricordato e non verrà più alla mente”.
Anche l’apostolo Paolo, riprendendo le parole di Isaia, annuncerà l’inimmaginabile intervento di Dio nella nostra storia. Nella morte e risurrezione di Gesù egli fa nuova la creatura umana, la ricrea nel Figlio suo per una vita nuova. Nell’Apocalisse poi, al termine della storia, Dio annuncia che il cosmo intero sarà ricreato: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.
Le parole di Isaia attraversano la Bibbia intera e parlano ancora a noi oggi:

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova»

Siamo noi la “cosa nuova”, la “nuova creazione” che Dio ha generato. Attraverso il Figlio suo da noi accolto nelle sue Parole e in tutti i suoi doni, ha fatto nuovo il nostro essere e il nostro agire: ora è Gesù stesso che vive e opera in noi. E’ Lui che rinnova i nostri rapporti con gli altri: in famiglia, a scuola, sul lavoro… E’ Lui che rigenera, attraverso noi, la vita sociale, il mondo della cultura, dello svago, della sanità, dell’economia, della politica…, in una parola tutti i settori dell’attività umana in cui siamo impegnati.
Non guardiamo più al passato per rimpiangere ciò che di bello ci è successo o per piangere i nostri sbagli: crediamo fortemente all’azione di Dio che può continuare ad operare “cose nuove”.
Dio ci offre la possibilità di ricominciare sempre. Ci libera dai condizionamenti e dai pesi del passato. La vita si semplifica, diventa più leggera, più pura, più fresca. Come l’apostolo Paolo anche noi, dimentichi del passato, saremo liberi di correre verso Cristo, verso la pienezza della vita e della gioia.

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova»

Come vivere allora questa Parola? Cercheremo di compiere con amore quanto Dio vuole da noi in ogni attimo della giornata: studiare, lavorare, accudire i bambini, pregare, giocare…, tagliando tutto ciò che in quel momento non è volontà di Dio. In questo modo rimarremo aperti a quanto egli vorrà operare in noi e fuori di noi, e saremo pronti ad accogliere quella grazia particolare che egli ci offre sempre per ogni momento.
Vivendo così, offrendo ogni azione a Dio, dicendogli esplicitamente: “E’ per te”, Gesù che vivrà in noi compirà sempre opere che restano.

Chiara Lubich

(altro…)

febbraio 2004

Siamo nell’VIII secolo a.C. Il popolo d’Israele sta attraversando un momento critico. Dio, chiamato JHWH nella tradizione ebraica, cerca un profeta che parli in suo nome a tutto il popolo, che gli annunci la venuta liberatrice dell’Emmanuele, il Dio tra noi. Egli appare allora, nella sua maestà, a Isaia che sta pregando nel tempio.
Davanti alla grandezza di Dio, il profeta avverte la propria nullità e il suo essere peccatore: “Sono un uomo dalle labbra impure!” grida. Ma un angelo, con un carbone ardente preso dal fuoco che sta sull’altare, gli purifica le labbra. Alla domanda che Dio gli rivolge: “Chi manderò? Chi andrà al posto mio?”, Isaia, perché interamente rinnovato dall’iniziativa celeste, può ora rispondere con prontezza: “Eccomi, manda me!”
E’ presuntuoso il profeta nel suo offrirsi a Dio? No, perché l’iniziativa non è sua, ma di Dio. Isaia risponde ad una chiamata:

«Eccomi, manda me!»

Come ha chiamato il profeta, così, lungo la storia della salvezza, Dio continua a chiamare uomini e donne per affidare loro una missione particolare. Su ciascuno Egli posa uno sguardo d’amore: nessuno è insignificante ai suoi occhi. A volte possiamo avere l’impressione che la nostra vita sia inutile o senza senso. Essa è pienamente riscattata dalla chiamata di Dio, che si rivolge proprio a me, a te: ci invita a prendere parte al progetto d’amore che ha sull’umanità e sul creato.
Si rivolge a me, a te come si è rivolto a Isaia, a Maria, a Pietro, e ogni volta ci domanda: “Chi manderò?” Lui, che è Dio, ci dà fiducia e ci invita ad essere suoi collaboratori. Con il nostro “sì”, che ripete il “sì” di Isaia, di Maria e di una moltitudine di cristiani che ci hanno preceduto, possiamo metterci a sua disposizione.

Dicendo di sì ad ogni suo desiderio – a quello che mi fa capire giorno per giorno -, ogni mia azione, anche la più piccola, anche quella che può sembrare insignificante, acquista valore, diventa importante, contribuisce all’avvento del Regno di Dio, alla fratellanza universale.
Anche per noi nessuna presunzione nel rispondere di “sì”. L’iniziativa è sempre sua. E’ suo il primato d’amore. La nostra è soltanto una risposta d’amore ad un amore che ci ha preceduto. Sì, grazie alla sua chiamata, sono pronto ad esaudire ogni suo volere, a lavorare per Lui e a ripetergli:

«Eccomi, manda me!»

Non ci sentiamo all’altezza della missione che Egli ci affida? Ci sembra di non avere le capacità e le forze per portarla a compimento?
Se Isaia si fosse fermato a considerare la propria indegnità o i propri limiti avrebbe continuato a ripetere: “Sono un uomo dalle labbra impure”. A Maria sembrava impossibile diventare Madre di Dio, tanto era straordinario l’annuncio che le veniva rivolto. Per l’apostolo Pietro, quando si sentì chiamato da Gesù, fu spontaneo rispondere: “Allontanati da me che sono un peccatore”.

Con la sua chiamata, Dio ci dà anche la capacità di attuare la missione che ci affida: “Nulla è impossibile a Dio”. A Isaia sono purificate le labbra perché possa parlare a nome di Dio. Maria è colmata dalla presenza dello Spirito Santo e dalla potenza dell’Altissimo. Pietro è sostenuto, nella sua missione di essere “roccia”, dalla preghiera stessa di Gesù.
Ad ogni nostro “sì” seguiranno tutte le grazie per compiere qualsiasi compito ci è richiesto dalla volontà di Dio.

«Eccomi, manda me!»

E’ stato così anche per noi nella nostra piccola storia quando, nel 1943, all’inizio della nostra esperienza, avevamo compreso che Dio ci amava immensamente e ci sentimmo spinte a comunicare a tutti questa grande notizia: “Dio ti ama immensamente, Dio ci ama immensamente.”
Alcuni mesi dopo era la festa di Cristo Re: siamo rimaste affascinate dalle parole della liturgia di quel giorno: “Chiedi a me e ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra”. E’ l’appello all’unità e alla fratellanza universale.
Inginocchiate attorno all’altare, spinte forse dallo Spirito Santo, abbiamo detto a Gesù: “Tu sai come si possa realizzare l’unità. Eccoci qui. Se vuoi, usa di noi.” Era il nostro: “Eccomi, manda me!” Eravamo allora un piccolo gruppo, sette, otto ragazze, ma avevamo già dato la nostra risposta a Gesù.
Da quel tempo, in 60 anni, questo spirito, con la vita di migliaia di persone del Movimento, è giunto in 182 nazioni.
Un’esperienza che conferma la possibilità di quali cose grandi può fare Lui, se trova persone pronte a rispondere al suo invito.

Chiara Lubich

(altro…)

Consenso ai cookie con Real Cookie Banner
This site is registered on wpml.org as a development site. Switch to a production site key to remove this banner.