Movimento dei Focolari
Mae Sot: tra Thailandia e Myanmar in aiuto dei più poveri

Mae Sot: tra Thailandia e Myanmar in aiuto dei più poveri

Nonostante i violenti scontri in Myanmar continua l’aiuto della comunità dei Focolari attraverso l’associazione “Goccia dopo Goccia” per testimoniare la fratellanza universale tra pandemia e rivoluzione. Ecco il viaggio di inizio marzo dei focolarini presenti in zona (le azioni si sono svolte seguendo le regole Covid previste dal Paese) Il Myanmar ancora oggi vive una rivoluzione iniziata lo scorso 22 febbraio dal nome ‘22222’. Questo Paese, formato da etnie diverse e ricco di bellezze naturali e di materie prime, dal 1947 al 2010 ha vissuto la più lunga guerra civile nella storia dell’umanità. Tra le varie rivoluzioni tentate: quella dell’8 agosto 1988 denominata ‘8888’ (con migliaia di morti) e quella del 2007, la rivoluzione ‘color zafferano’ per il grande numero di monaci buddhisti che iniziarono la protesta e che persero la vita. Negli scontri del 1988 migliaia di persone iniziarono a migrare verso il confine con la Thailandia, precisamente nella provincia di Tak, nella cittadina di Mae Sot, poi a Mae Hong Song, ed anche pìu a sud, verso Kanchanaburi. Oggi, dopo 32 anni, sono attivi ancora nove campi profughi con milioni di birmani che lavorano in Thailandia. Dal 2011 è nato un ponte di solidarietà fra l’Italia e Mae Sot. La comunità dei Focolari di Latina nel centro Italia, insieme ad alcuni alunni dell’insegnante Maria Grazia Fabietti, hanno iniziato a far qualcosa per aiutare i bambini e le persone che vivono a confine fra la Thailandia e il Myanmar. “Per il 50-esimo compleanno di uno di questi amici italiani, Paolo Magli, vennero raccolti dei soldi per aiutare questi gruppi di etnia Karen (una popolazione fuggita dalla Birmania durante i conflitti e costretti da anni a vivere come profughi al confine tra Myanmar e Thailandia), sia nel campo profughi di Mae La e soprattutto fuori – spiega ancora Luigi -. Era l’inizizo di Goccia dopo Goccia. Oggi, questa realtà aiuta più di 3300 persone in tre paesi del sud est asiatico e collabora anche con l’associazione Charis di Singapore per portare aiuto a chi è stato colpito dalla povertà, dalla solitudine, dalle malattie e anche dalla pandemia. Vietnam, Thailandia e Myanmar rappresentano per noi la ‘possibilità di amare concretamente’: lì ci sono persone che hanno conosciuto lo spirito della fratellanza universale e oggi fanno di tutto per aiutare chi è escluso, emarginato, rifiutato, ammalato e solo”. Goccia dopo Goccia aiuta tutti: persone di etnia Karen, Bama, Kachin, Thai Yai, oppure Xtieng e Hmong in Vietnam ma anche musulmani indigenti che sono in contatto con il focolare di Bangkok. A inizio marzo i focolarini sono andati a Mae Sot con un pulmino carico di generi alimentari, stoffa, giochi e tanto altro, come dimostra il video che vedete di seguito (le azioni si sono svolte seguendo le regole Covid previste dal Paese). Le donazioni sono arrivate da musulmani, buddisti, cristiani e tante persone in contatto con il focolare. “Ognuno è un fratello e una sorella – continua Luigi -. Vogliamo vivere una delle pagine pìu belle scritte da Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolari tanti anni fa: “Signore, dammi tutti i soli: sento il mio cuore battere per tutta la solitudine in cui versa il mondo intero*’’. L’ultimo progetto nato aiuta sei mamme abbandonate a Mae Sot con i loro quindici bambini. “Abbiamo fatto arrivare due macchine da cucire e 15 kg di stoffa di cotone da poter tagliare e cucire, per fabbricare camicie, gonne e pantaloni per coloro che ne avessero bisogno – racconta Luigi -. È una gioia e una festa vedere come le persone si aiutano tra di loro. La fratellanza universale è una realtà che prende piede, giorno dopo giorno, e Goccia dopo Goccia rappresenta proprio questo”.

Lorenzo Russo

https://youtu.be/xv5W3hxZInc * Meditazione “Signore dammi tutti i soli” di Chiara Lubich – settembre 1949 (altro…)

La nostra avventura a Huaycan

La nostra avventura a Huaycan

Nella periferia orientale di Lima in Perù la comunità dei Focolari assiste ogni giorno la gente che vive in estrema povertà, condividendo cibo, aiuti materiali, alfabetizzazione ed esperienze del Vangelo. Huaycán si trova nella periferia orientale di Lima (Perù). Dei 200.000 abitanti, il 90% sono immigrati dalle Ande, in fuga dalla povertà. Conservano le loro tradizioni e la loro lingua, il quechua, l’antica lingua degli Incas. Nelle parti più alte delle colline, la gente vive in estrema povertà. Le loro case hanno pavimenti in terra battuta e una sola stanza (i letti accanto alla cucina), mancano di acqua potabile, elettricità, fognature…. La maggior parte di loro sono venditori ambulanti. Alcune donne fanno le pulizie in casa e alcuni uomini sono operai edili o raccoglitori di rottami. La comunità di Lima ha guardato e scelto questa “ferita di Cristo” per amarla con predilezione. “Siamo arrivati a Huaycán – ricorda Elsa – nel 1998, quando Tata, Carmen, Maria e Milagros ed io portammo la Parola di Vita ad una comunità vicina alla “Scuola Fe y Alegría” delle Suore Francescane. Poi si sono aggiunti Elba, Mario, Lula, Yeri, Fernando e Eury, Cristina… Siamo andati nelle zone alte delle colline e abbiamo condiviso con i più poveri dei poveri le esperienze del Vangelo. Hanno sofferto di malattie, violenza familiare, promiscuità, disoccupazione, droga, fame”. “Ci sedevamo sulle pietre – dice Elba – poi, man mano che diventavano più sicuri, tiravano fuori le loro sedie. In inverno, ci invitavano nelle loro umili stanze. Lì abbiamo incontrato Olinda, la cuoca della scuola, che ha aperto la sua casa per incontrarci. Una bella persona, il nostro punto di riferimento locale. La morte di suo figlio prima e la sua morte improvvisa poi, ci hanno causato molto dolore”. Per alleviare i bisogni, la comunità di Lima ha lanciato diverse iniziative: aiuti materiali, sostegno educativo per i bambini, formazione e alfabetizzazione per gli adulti, sostegno psicologico, follow-up e assistenza sanitaria, vendita di vestiti di seconda mano. “Ogni anno festeggiamo insieme il Natale e la festa della mamma, organizziamo gite e alcuni partecipano alla Mariapoli annuale – ricorda Mario -. Una coppia, dopo essersi preparata, si è sposata durante una delle Mariapoli, in presenza dei loro cinque figli e parenti. È stato un evento che ha segnato la loro vita, come la vita di tanti altri che hanno incontrato il Dio dell’Amore”. “Con la pandemia – continua Cristina – molti hanno perso il lavoro e non hanno abbastanza per nutrire i loro figli. Ci siamo organizzati con alcune famiglie per procurare il cibo necessario e distribuirlo ai più bisognosi. Una donna ha installato un forno, che era rimasto inattivo, per produrre pane. Da marzo a giugno, abbiamo distribuito 140 cesti di cibo e 12.720 pani. Abbiamo incontrato la comunità più povera Granja Verde, bisognosa di una sala da pranzo dove preparare il cibo. Ci siamo organizzati: hanno offerto un pezzo di terra e hanno posato il pavimento di cemento. Abbiamo fornito la cucina con gli utensili necessari e un serbatoio di 2.500 litri di acqua potabile. La sala da pranzo è stata inaugurata il 15 novembre 2020 e ha iniziato a funzionare il giorno seguente. Oggi produciamo 100 pasti al giorno. Sappiamo, come ci ricorda Papa Francesco, che se ci dimentichiamo dei poveri, Dio si dimenticherà di noi. Huaycán, il punto dolente di Cristo, è il nostro preferito e la nostra grande opportunità di ottenere la benedizione di Dio”.

Gustavo E. Clariá

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Solidarietà con il popolo di Myanmar

Solidarietà con il popolo di Myanmar

Dichiarazione congiunta di SIGNIS, Pax Christi International e il Movimento dei Focolari in solidarietà con il popolo di Myanmar SIGNIS, l’Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, ascolta il grido del coraggioso popolo birmano nella resistenza non violenta al colpo di stato militare del Myanmar che ribalta un’elezione legittima e democratica. Siamo accompagnati da Pax Christi International e dai suoi membri nella regione Asia-Pacifico che, nella loro dichiarazione di febbraio sullo “Stato di emergenza” in Myanmar, hanno già espresso gravi preoccupazioni per la situazione nel Paese. Allo stesso modo, il movimento internazionale dei Focolari si unisce a noi in solidarietà con il popolo birmano. Ogni giorno persone coraggiose, tra cui molti giovani, tornano in piazza per protestare pacificamente, nonostante gli spari dei soldati. Come simbolo della loro protesta, segno della giusta rabbia del popolo verso i militari, sentiamo il fragore di pentole e padelle, secondo l’usanza birmana per proteggersi dagli spiriti maligni. Assistiamo alla detenzione arbitraria – con accuse fabbricate – di membri del governo democraticamente eletto, nonché di leader civili e religiosi che hanno preso parte alla lunga lotta per la democrazia. Rifiutiamo la campagna di disinformazione dei militari del Myanmar volta a giustificare le loro azioni, perché un’informazione veritiera è importante in una democrazia. Chiediamo la protezione dei giornalisti arrestati e molestati per aver condiviso con il resto del mondo notizie e informazioni su ciò che sta accadendo sul campo; dovrebbero invece godere della libertà di stampa. Deploriamo l’estremo autoritarismo che ha calpestato la costituzione della nazione, che di fatto – pur mantenendo gran parte del potere nelle forze armate – consentiva una limitata democrazia. Nonostante le sfide, il Myanmar stava muovendo i primi passi verso la democrazia, dando alla gente speranza per un nuovo futuro. Questa speranza dovrebbe essere restituita. Soprattutto ascoltiamo il messaggio del popolo del Myanmar: questo colpo di stato riguarda essenzialmente il loro rovesciamento, della loro volontà. In ultima analisi, non si tratta di rimuovere gli oppositori politici o il presunto ordine pubblico. Esso annulla anni di paziente lavoro per i diritti fondamentali dei cittadini e schiaccia i tenui sogni di un paese libero e democratico. Come organizzazioni cattoliche, ci uniamo a Papa Francesco e ai leader civili e religiosi di tutto il mondo che hanno condannato il colpo di stato e chiedono un “dialogo significativo” per ripristinare la democrazia. Inoltre, ci uniamo ad altre organizzazioni nel chiedere:

  • il rilascio di Aung San Suu Kyi e di altri funzionari e leader detenuti;
  • ai militari uno stop alla violenza e alla detenzione arbitraria di manifestanti pacifici e giornalisti;
  • giustizia e responsabilità per le atrocità commesse dall’esercito contro il popolo Rohingya e altre minoranze etniche, nonché la prevenzione di tali crimini e abusi in futuro;
  • ai membri della comunità internazionale, in particolare nella regione Asia-Pacifico, di fare pressione sul regime affinché si dimetta e ristabilisca la democrazia, e di non sfruttare la situazione per i propri interessi geopolitici.

Chiediamo ai membri di SIGNIS, di Pax Christi International e del Movimento dei Focolari in tutto il mondo di dare voce al grido del popolo birmano contattando i media locali e nazionali per segnalare la situazione e sollecitando i loro governi a intraprendere forti azioni diplomatiche per opporsi al colpo di stato e riportare la democrazia in Myanmar. La nostra missione come organizzazioni è promuovere la pace. Con l’arcivescovo di Yangoon, card. Charles Maung Bo, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche, sosteniamo: “La pace è possibile. La pace è l’unica via. La democrazia è l’unica luce verso questo percorso”. Scarica la dichiarazione (altro…)

Centro per anziani Chiara Lubich in Amazzonia

Centro per anziani Chiara Lubich in Amazzonia

Dall’impegno di una piccola comunità dei Focolari verso i più vulnerabili, nasce, in un paese della selva peruviana, un Centro per gli anziani intitolato alla fondatrice del Movimento. Quattro anni fa, io Jenny con mio marito Javier e le nostre 3 figlie, arrivammo dall’Argentina con l’intenzione di abitare nel profondo Perù. Portavamo dentro di noi l’Ideale dell’Unità. Appena arrivati a Lámud, paese immerso nell’Amazzonia, sapendo che il Vescovo della Diocesi vi si trovava di passaggio, corremmo a salutarlo e ci presentammo come membri del Movimento dei Focolari. “Che bello che i focolari sono arrivati in Amazzonia!”, ci disse e ci diede la sua benedizione, con l’augurio di andare avanti. Allora ci mettemmo d’accordo con il parroco, il quale ci chiese di farci carico della Pastorale Sociale e della Catechesi Familiare dei paesi che fanno parte della parrocchia. Quindi, andammo in periferia per prendere contatto con la realtà sociale del posto, alcune volte accompagnati anche dalle nostre figlie. Scoprimmo una Lámud nascosta, piena di tanta sofferenza. Decidemmo di cominciare dagli ultimi e ci accorgemmo che erano gli anziani, della terza età. Alcuni di loro non avevano nemmeno un letto degno, dove morire. Avevamo presente la meditazione di Chiara Lubich: “Una città non basta”. Facemmo il giro delle periferie del paese cercando quelli che erano soli, abbandonati, per portare loro una carezza, una parola di speranza, alimenti, vestiti e chiedevamo loro di pregare per noi, poiché iniziavamo la nostra avventura in questi luoghi, del tutto nuovi, per noi. Trascorso un po’ di tempo, abbiamo cominciato a sognare di poter dare agli anziani una casa degna, un pasto caldo e, la cosa più importante, che si sentissero accompagnati e non più da soli. Un sogno che, se da una parte sembrava lontano, dall’altra ci sembrava quasi a portata di mano, tanto che ci dicevamo: “Sì, noi possiamo! Dobbiamo fare qualcosa di più concreto che una semplice visita”. Insieme elaborammo un progetto: poche linee, ma ogni frase ci incoraggiava di più ad andare avanti. Pensammo anche al nome da dare alla casa. Ci guardammo negli occhi e decidemmo che si sarebbe chiamata: “Hogar y Centro de Día para Adultos Mayores, Chiara Lubich” (“Casa e Centro diurno per anziani, Chiara Lubich”). Intanto, il nostro sogno prendeva forma. Ci sono stati tanti fatti e contatti con alcune persone che erano entusiaste del progetto. Jenny, intanto, aveva fatto diverse esperienze di volontariato in Argentina. Per lei si offrì l’opportunità di essere assunta dal Comune del Distretto di Lámud, per lavorare proprio per gli anziani della terza età! Infine, ci sentimmo animati dalle parole del Papa che invitava noi laici a lavorare in favore dei più vulnerabili, ancor di più in questo tempo di pandemia. Ci furono, insomma, tante belle coincidenze che ci fecero pensare che Gesù sarebbe stato contento di vedere nascere un’Opera per gli ultimi, nella Selva Peruviana. Cioè una casa degna, per gli anziani della terza età di questa provincia amazzonica. Nel frattempo, vedemmo che tutto avveniva in modo vertiginoso. Così, confidando pienamente nella Provvidenza di Dio e nella forza della preghiera, fummo sempre più consapevoli che Gesù non ci avrebbe lasciato da soli e fummo certi che, insieme alla nostra piccola comunità, non saremmo stati mai soli. In quei giorni, firmammo il contratto di affitto per la casa e portammo avanti le pratiche legali per costituirci in un’Associazione senza fini di lucro. Un gruppo di persone della comunità volontariamente si era già unita al progetto. Avevano risposto con un “Sì” fortissimo, all’impegno di lavorare per il bene delle persone più vulnerabili del paese di Lámud e della Provincia di Luya (Dipartimento di Amazonas). Preparammo subito il luogo per poter cominciare ad offrire agli anziani un pasto caldo al giorno, fornito dal Comune. E così ora, pian piano, valutiamo ogni passo da fare per raggiungere la meta, e cioè offrire agli anziani, a rischio di solitudine e abbandono, non solo gli alimenti ma anche la possibilità di risiedere stabilmente, nel Centro. Ma più che titoli, nomi e statuti, il nostro desiderio è che nella casa regni quel clima di unità, di armonia e di famiglia che Chiara Lubich ci ha lasciato come eredità, ed è per questo motivo che il Centro porta il suo nome. https://youtu.be/bqRSzfxmLS8 Jenny e Javier, con la comunità di Lámud (Dipartimento Amazonas, Perù)

Esperienza raccolta e tradotta da Gustavo E. Clariá

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Burundi e il progetto “Si può fare!”

Burundi e il progetto “Si può fare!”

Microcredito e microfinanza comunitari per sostenere la crescita dei progetti in espansione. La testimonianza di Rose sull’importanza dell’iniziativa sostenuta dall’Amu. BIRASHOBOKA in kirundi significa “SI PUÒ FARE”. È da questa convinzione che è nato in Burundi (Africa) il progetto di Microcredito e Microfinanza comunitari. Nonostante le grandi difficoltà in cui versa ancora il Paese – è il secondo più densamente popolato in Africa ed è uno dei cinque Paesi con gli indici di povertà più alti al mondo – l’Amu, Azione per un Mondo Unito-Onlus, organizzazione non Governativa di Sviluppo che si ispira alla spiritualità del Movimento dei Focolari, sostiene da diverso tempo le capacità delle comunità locali. Dal 2007 infatti, in piena sinergia con l’organizzazione senza scopo di lucro CASOBU (Cadre Associatif des Solidaires du Burundi) aiuta le famiglie locali in un percorso di formazione e miglioramento delle proprie condizioni di vita. Con il progetto “Si può fare!” mira a creare gruppi di microcredito comunitario i cui membri possano auto-sostenersi per la creazione di attività lavorative e, nella seconda fase, creare un gruppo di microfinanza comunitaria per sostenere la crescita dei progetti in espansione. “Nel mio gruppo abbiamo iniziato 13 anni fa – racconta Rose -. Con il primo credito ottenuto, ricordo benissimo di non aver fatto niente di particolare, ho comprato vestiti e beni che mi servivano, ma il resto l’ho sprecato. All’inizio non sapevo come intraprendere un’attività e quello che succedeva spesso era di avere difficoltà a ripagare i crediti ricevuti. Poi ho capito che non potevo continuare a prendere un prestito senza un progetto concreto e ho finalmente deciso di avviare il progetto del ristorante con i primi 300.000 Fbu (150 €). Ho iniziato a comprare le pentole, i piatti e poco a poco ho aperto il ristorante. Era il 2009, non avevo ancora nessun lavoratore. A quel tempo i miei figli mi aiutavano in cucina e io prendevo l’autobus per portare il cibo in città dove avevo i miei clienti. Quando hanno iniziato a conoscermi e sono aumentati i clienti, ho potuto assumere i lavoratori. Sono orgogliosa che attraverso lo stipendio che ricevono anche io partecipo alla realizzazione dei loro sogni.” Rose, felice di aver intrapreso questo percorso, oggi riesce ad assicurare uno stipendio ad altre 5 famiglie oltre la sua. Ora vorrebbe migliorare e far crescere la sua attività, prendendo ad esempio in affitto una casa più grande, dove potrebbe cucinare e ridurre i costi del ristorante e degli spostamenti. È una decisione molto coraggiosa perché c’è da sostenere un investimento importante e Rose non ha i requisiti e le garanzie necessarie per accedere ad un prestito da una qualsiasi banca. E proprio per Rose e per molte altre persone che come lei vorrebbero far crescere le loro attività, è nato il progetto di AMU e CASOBU, che sostiene l’avvio di un’istituzione di Microfinanza comunitaria per offrire servizi di risparmio e credito alle persone con grandi sogni ma ancora oggi non bancabili. Per sostenere il progetto clicca qui

Lorenzo Russo

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Fondazione Unisol: la ricompensa più grande

Un centro sociale in Bolivia offre sostegno a 220 bambini e a famiglie in difficoltà. La storia di Silvio: accolto quando era bambino, oggi lavora per l’associazione che lo ha salvato. Silvio vive a Cochabamba, ha 10 fratelli, il papà minatore è morto quando lui aveva ancora 10 anni. Da quel momento la madre ha dovuto crescere da sola gli 11 figli: vivevano in una stanza 4 metri x 5 all’interno di un quartiere in cui droga e furto erano le principali attività dei ragazzini. Adesso Silvio lavora per la Fondazione Unisol, la stessa associazione benefica che un giorno ha salvato lui e i suoi fratelli dalla strada. Questa fondazione è supportata anche da AFN (Associazione Azione per Famiglie Nuove), una ONLUS che offre, attraverso programmi specifici di Sostegno a Distanza, servizi mirati a supportare il minore in ambito scolastico, alimentare e medico, occupandosi anche del contesto famigliare e comunitario a cui il minore appartiene, affinché possa crescere il più possibile in un ambiente sano. La realizzazione di questi programmi è coordinata a distanza con personale locale competente. Ma cosa fa in concreto la fondazione? Lo abbiamo chiesto proprio a Silvio, la cui storia è intrecciata con quella di Unisol che oggi offre sostegno a 220 bambini e famiglie in difficoltà. Ci racconti qualcosa della tua famiglia e della tua infanzia? “Siamo una famiglia molto numerosa, in tutto siamo 11 figli. All’inizio vivevamo a Quillacollo, uno dei  quartieri più pericolosi di Cochabamba (città tra le più popolose in Bolivia). Mio padre lavorava in una miniera. E’ morto per un tumore quando avevo 10 anni, e da quel momento mia madre si è fatta carico di tutto, e ci ha cresciuti da sola. Per la prima volta è stata costretta a cercarsi un lavoro ed è stata assunta come addetta alle pulizie nella scuola di un’altra città. Per agevolare gli spostamenti le hanno offerto di vivere all’interno della scuola, nella portineria: una piccola stanza di 4×5 metri in cui vivevamo in 8 persone. Il quartiere in cui ci siamo trasferiti è meglio di quello precedente, ma è comunque molto pericoloso. Spesso le famiglie non possono occuparsi dei figli, perché lavorano tutto il giorno, e i ragazzini entrano facilmente nel giro della droga, quindi spacciano o rubano per pagarsi le dosi. Molti dei miei compagni che frequentavano la scuola sono finiti nelle gang. E io parlavo con loro, anche coi più pericolosi. Non volevo di certo farmi nemico qualcuno che poi avrebbe potuto vendicarsi con me o con la mia famiglia! Alcuni dei miei amici si drogavano parecchio. E ne offrivano anche a me. Ma io ho sempre rifiutato, soprattutto per il rispetto che avevo nei confronti di mia mamma, che si sacrificava per tutti noi figli, e io l’ho sempre ammirata moltissimo.” Ma un giorno qualcosa è cambiato… “Sì. Un giorno sono arrivate a scuola alcune persone del Movimento dei Focolari che hanno offerto a mia mamma un aiuto per noi figli. Ci davano merende e dolci, ci facevano giocare, ci ascoltavano, ci davano quello di cui avevamo bisogno. E noi ci sentivamo felici, finalmente. Poi, man mano siamo diventati sempre più numerosi è nata l’idea di trovare uno spazio, che non fosse la strada, dove giocare, studiare, stare insieme. E’ nato così il centro Rincòn de Luz (Angolo di Luce) a Cochabamba. Accanto a questo poi sarebbe nato anche il centro Clara Luz (Luce chiara), a Santa Cruz. Questo spazio ha cambiato le nostre vite; ad esempio una delle mie sorelle è sordo muta. Era impossibile trovarle un lavoro, e non avevamo soldi per farla studiare. Ma grazie agli aiuti che abbiamo ricevuto dai donatori della Fondazione, ha potuto formarsi e anche lei adesso ha una professione”. Cosa fa concretamente la  Fondazione Unisol? “Aiuta i più indigenti, in particolare le famiglie. Fornisce loro cibo, medicine e materiale scolastico; offre anche supporto educativo con il doposcuola per i bambini; organizza momenti ricreativi, pranzi, merende, workshop per insegnare loro alcune attività pratiche e manuali, di sensibilizzazione al riciclaggio e all’ambiente, formazione personale, condivisione di esperienze,… Dopo aver fatto l’esperienza di essere accolto dalla Fondazione, ora sei tu stesso ad accogliere bambini e famiglie in difficoltà. Cosa ti spinge a restare? “Innanzitutto devo spiegarti un po’ il contesto: ad ottobre 2019 in Bolivia si sono tenute le elezioni presidenziali. Subito dopo c’è stata una crisi politica che ha notevolmente ridotto l’erogazione dei fondi agli organismi pubblici, poi è arrivata la pandemia. La situazione si è aggravata: molti medici e operatori sanitari hanno smesso di lavorare per paura del contagio; chiunque accettasse di lavorare in ospedale riceveva stipendi alti. E’ stato a questo punto che ho ricevuto una proposta di lavoro molto vantaggiosa. Ero tentato: a chi non sarebbe piaciuto avere qualche comodità in più? Ma poi mi sono reso conto che i soldi non mi avrebbero reso felice. Ho capito che vivere per gli altri mi avrebbe fatto felice: dovevo continuare a Rincòn de Luz..” Come è cambiato l’aiuto alle famiglie con la pandemia? E c’è qualcosa che vorresti dire in particolare a chi verrà a conoscenza della Fondazione Unisol? “La pandemia ha colpito duramente le famiglie. Molti vendevano oggetti o alimenti in strada, e adesso non lo possono più fare, smettendo di guadagnare. Molti stanno perdendo la speranza di risollevarsi da questa situazione. Inoltre, ci sono stati molti divorzi e anche questo ha tante conseguenze sui bambini che accogliamo. Anche mia mamma in questo momento ha accolto in casa un bambino, figlio di una coppia che si è appena separata e che non ha praticamente più nulla. Quello che noi facciamo è questo, esserci per tutto quello che serve a queste famiglie. Purtroppo non abbiamo le risorse per arrivare ad un numero più grande di persone, anche se è quello che vorremmo fare. Le famiglie che seguivamo prima, continuiamo ad aiutarle. Oltre al resto, cerchiamo di offrire loro anche un luogo dove potersi distrarre, perché la situazione è davvero molto pesante. Ma quelle che avrebbero bisogno di un sostegno sarebbero molte di più, per questo invito quanti stanno conoscendo la Fondazione Unisol, a dare una mano, incominciando da chi ci sta accanto, che magari non conosciamo, ma che ha bisogno del nostro tempo, della nostra attenzione e del nostro amore.”

A cura di Laura Salerno

Intervista di Laura Salerno a Silvio: (scegliere sottotitoli in italiano) https://youtu.be/UVTztN2UoUE Contatti: www.fundacionunisol.org Facebook: @Fundaciónunisol https://www.afnonlus.org/ Facebook: @afnonlus Instagram: @afn.onlus   (altro…)

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