Movimento dei Focolari

La sapienza del mite

Ott 5, 2021

Lucia Abignente, focolarina italiana, ricorda Anna Fratta (Doni) con la quale ha condiviso parte dei suoi anni in Polonia. Una vita tutta “Donata”, proprio come il significato del nome datole da Chiara Lubich.

Lucia Abignente, focolarina italiana, ricorda Anna Fratta (Doni) con la quale ha condiviso parte dei suoi anni in Polonia. Una vita tutta “Donata”, proprio come il significato del nome datole da Chiara Lubich. “Un abisso di umanità”, “una maestra di vita”, “una piccola grande donna”. Sono questi tre frammenti dei tanti echi suscitati, il 24 settembre 2021, dalla notizia del ritorno alla casa del Padre di Anna Fratta, conosciuta nel Movimento dei Focolari come Doni. Forse, al sentirli, lei avvertirebbe quasi disagio, schiva come era da ogni elogio e misurata nelle sue parole che, essenziali, erano un distillato di sapienza. La sua indole, rafforzata dalle esperienze della vita, le aveva rese tali. Ultima di sei figli vive un’infanzia a cui non è per niente estranea la dimensione del dolore, manifestatosi in modo particolarmente acuto con la morte di una sorella. Profonde domande esistenziali sul senso della vita la interrogano già da bambina, conducendola progressivamente ad allontanarsi da Dio e a cercare altrove risposte. Più tardi lo studio della medicina, scelta per ribellione, si manifesta provvidenziale. La biologia l’affascina e incide sul suo cammino interiore. Scopre nella natura un rapporto di reciprocità e di servizio che non riesce a spiegarsi: una legge d’amore alla cui radice, come capisce una notte “dopo una dolorosa, drammatica, lotta interiore”, c’è “un Essere che ha in sé l’amore”. E’ una svolta decisiva a cui segue l’incontro con Dio nel carisma di Chiara Lubich. Presto Doni avverte che Lui la chiama a seguirla nella via del focolare. Doni farà parte del gruppo dei medici focolarini che, accogliendo la richiesta della Chiesa, si recherà oltrecortina, dove vivrà trent’anni (1962-1992), dapprima nella Repubblica Democratica Tedesca e poi in Polonia, adoperandosi silenziosamente ed efficacemente a dar vita alla comunità dei Focolari, di cui seguirà con stupore e gratitudine a Dio il cammino e la crescita. Da queste terre, segnate dalla sofferenza della mancanza di libertà e nell’impossibilità spesso di un contatto con il Centro dei Focolari a Roma, passerà successivamente a trovarsi proprio al cuore di esso, abitando a Rocca di Papa (Roma-Italia) nel focolare di Chiara Lubich. Con lei condividerà anni intensi, luminosi, ricchi di eventi e impegni a livello mondiale, accompagnandola poi con dedizione e grande amore anche nell’ultimo tratto della sua permanenza sulla terra. Il disegno di Dio su di lei si completa con il suo sapiente contributo come Consigliera generale del Movimento per l’aspetto della “spiritualità e vita di preghiera” che, unito alla donazione nell’accogliere tanti – con Gis Calliari, Eli Folonari e altre delle prime focolarine – trasmette la luce della quotidianità vissuta con Chiara Lubich; e poi nella cittadella di Loppiano (Italia), dove si trasferisce a causa della malattia invalidante che riduce lentamente le sue capacità fisiche. Una profonda coerenza interiore legava il suo agire: “L’amore, si sa, disarma; il nostro parlare era tale che ognuno avrebbe potuto ascoltarlo, amici e nemici”, ricordava conscia della particolare cura con cui, oltre il Muro, la Polizia segreta li seguiva. “Amare, amare, solo amare e riempire le valigie di questo amore, è solo questo che porterò con me!” annota negli ultimi anni, mentre si prepara al viaggio decisivo. Non meraviglia allora che la sua attività professionale abbia guadagnato la stima delle autorità che, nella Repubblica Democratica Tedesca, con tre medaglie l’hanno premiata per il lavoro svolto e il “collettivo” costruito. Ed è ancor più logico che la sua vita abbia trasmesso a tanti in modo limpido l’amore di Dio. Forse il segreto è proprio in quel suo rapporto intimo, costante con la Madonna, in particolare con lei che Desolata, apre nel sì del Golgota il cuore e le braccia all’umanità. È alla Sua scuola che Doni si pone. Scrive il 15 settembre del 1962, poco dopo aver attraversato il muro di Berlino: “Qui non si ha niente a cui appoggiarsi, e, se non si guarda sempre a Maria ai piedi della Croce, si va in terra. Ci sono dei momenti in cui sembra di soffocare, e non si può fare altro che pregare Maria. Solo così a poco a poco il vuoto diventa pienezza e il dolore si trasforma in pace. Sono questi i momenti più belli della giornata, i più preziosi, perché nel dolore trovo un rapporto sempre più profondo e intimo con la Madonna, e per Lei con tutti i suoi figli”. Qui il segreto della fecondità della sua vita tutta “Donata” come esprime il nome datole da Chiara Lubich.

Lucia Abignente

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