La storia di due coniugi della Croazia e la loro esperienza nell’ambito del progetto “Percorsi di luce” promosso dal Movimento dei Focolari “Come bambini piccoli che imparano dal nulla, così anche noi imparavamo a capire prima noi stessi, capire i sentimenti, riconoscerli, capire l’altro, imparare che il pensiero diverso non deve finire sempre e per forza in un conflitto. Abbiamo capito che le coppie che ci circondano arricchiscono i nostri rapporti e che bisogna evitare di isolarsi”. Melita e Slavko sono sposati da circa vent’anni, sono genitori e vivono in Croazia. La loro esperienza di coppia la raccontano con schiettezza, senza letture patinate, senza omettere quei momenti di prova che disegnano il loro percorso come una sfida, una “casa” da costruire ogni giorno, spesso senza sapere con quali strumenti. Non un’autostrada diritta da attraversare con una macchina potente, ma una strada sterrata da percorrere in bici col solo motore delle proprie gambe, dei polmoni e del cuore, con salite faticose e discese rigeneranti. Una storia, la loro, che forse somiglia a quella di tante coppie, ma che offre una chiave di lettura non scontata sulla famiglia. L’occasione di questo racconto è la loro partecipazione in Italia ad un incontro nell’ambito del progetto Percorsi di luce, che il Movimento dei Focolari dedica alle coppie, con un’attenzione particolare per quelle che vivono momenti di divisione. In uno dei passaggi più bui del loro rapporto – spiegano – è grazie a incontri come questo che hanno trovato gli strumenti da “usare ogni giorno, perché la nostra famiglia sia contenta e il nostro rapporto cresca”. Strumenti “che facilitano la salita che ci aspetta nella vita di coppia per realizzare i piani di Dio sulla nostra famiglia”. Nelle loro parole emerge chiaro che l’immagine della coppia “perfetta” è una dolorosa illusione. L’aspettativa di un percorso lineare e soleggiato, alimentata dall’entusiasmo che segue l’incontro con la persona “giusta”, si scontra con la realtà di una “partita” tutta da giocare e di cui non si conosce l’esito, dove il compagno di squadra si trasforma a volte nell’avversario e dove si vince solo se vincono entrambi. Una partita che non ha regole scritte ma che va giocata avendo chiaro l’obiettivo, o ritrovandolo se sfuma. Una partita dove ciascuno è chiamato a dare il proprio contributo e a fronteggiare le variabili avverse, senza scorciatoie: “Dalla prospettiva di oggi – dicono – possiamo testimoniare che il matrimonio non è una cosa fissa e statica, che un corso come questo non è una bacchetta magica che risolve tutti i nostri problemi per sempre”. Piuttosto, qui “abbiamo imparato che il nostro primo figlio – il matrimonio – ha bisogno della massima cura e importanza, perché solo quando siamo noi in pace e sintonia possiamo essere capaci di dare amore ai figli e alle persone che ci circondano. Solo così ci realizziamo come persone”. Tutto muove, in effetti, dal sentirsi già realizzati “ai nastri di partenza”. Melita racconta degli inizi: “Era un periodo molto bello, finalmente avevo realizzato il sogno di avere un ragazzo che sapeva ascoltarmi, consolarmi, capirmi. La persona con la quale condividere sguardi simili sulla vita, sulla fede, sull’amore. Presto abbiamo capito che volevamo sposarci coronando il nostro amore con il matrimonio”. A breve però si presenta la prima prova: la perdita di un figlio in arrivo costringe Melita e Slavko a rivedere i loro piani, a concentrarsi sull’organizzazione pratica della vita, sul lavoro e la casa. È un momento proficuo in effetti, dove sperimentano una crescente unità fra di loro e con le rispettive famiglie, condividono tutto – dice Slavko – trovando “la forza, la volontà e il desiderio per le cose comuni”. “Abbiamo idealizzato la nostra vita – aggiunge lei – completando i sassolini del nostro mosaico e aspettando che la famiglia si allargasse”. Dopo tre anni arriva la gioia del primo figlio, ma con essa anche la necessità di trovare un lavoro meno impegnativo e più remunerativo. L’impiego per Slavko arriva ma il nuovo contesto produce nella coppia tensioni, incomprensioni, ferite profonde. “La sicurezza che avevamo costruito e la fiducia dell’uno nell’altra sono spariti – racconta Melita – è iniziato un periodo di insoddisfazione nei nostri rapporti, di rimproveri per gli sbagli fatti. Slavko non si accorgeva della mia insoddisfazione e io non sapevo come fargli presente le cose che mi davano fastidio”. E lui: “Mi ero accontentato della vita, pensando: ma cosa vuoi di più, ci vogliamo bene, ci siamo sposati, la vita va su un binario dritto, perché dovrei ancora dimostrare la mia fedeltà e l’affetto? È lei che non capisce che le voglio bene e le sto accanto. Invece ero sordo alle sue grida e ritenevo che era lei a dover cambiare e accettare le nuove circostanze. In noi cresceva la sensazione di incapacità, di disperazione, cadevamo nell’abisso dal quale non vedevamo la via di uscita”. Li attraversa anche il pensiero di separarsi. Avevano toccato il fondo. Ma in quel deserto pian piano comincia a rifiorire la vita. “In quel momento il Signore ci manda sulla nostra strada i nostri padrini e amici, che come gli altri avevamo cancellato dalla vita, ci manda le indicazioni da seguire tramite loro” ripercorre Slavko. È nel confronto con le altre coppie che partecipavano ai Percorsi di luce che finalmente riescono a intravedere una via d’uscita. “Soli l’uno davanti all’altro e soli davanti a Dio abbiamo cominciato a capire e conoscere di nuovo l’altro, imparato che l’opinione diversa non significa che l’altro non mi ama, anzi abbiamo imparato di nuovo che la diversità arricchisce, ci completa come coppia”. Imparare, scoprire, crescere e consolidarsi come persone e come coppia. È forse questa la conquista inattesa di un cammino autentico e coraggioso, imprevedibile e ricco di prove, ma anche di traguardi e soddisfazioni. Melita e Slavko hanno scoperto che i piani di Dio sulla loro coppia e la loro famiglia non sono affatto scontati ma richiedono la loro determinazione nell’amore reciproco. E hanno imparato che è attraverso questo impegno che l’uomo e la donna realizzano se stessi come persone.
Claudia Di Lorenzi
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