Papa Francesco nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace che ricorre oggi 1° gennaio, lancia un monito ai politici che investono sugli armamenti piuttosto che sull’istruzione. Cosa fare per dare speranza ai giovani e invertire la rotta? Lo abbiamo chiesto al prof. Vincenzo Buonomo, rettore della Pontificia Università Lateranense Oggi secondo la Banca Mondiale ci sono quasi 100 milioni di persone in più che vivono in stato di impoverimento a causa della pandemia da Covid-19. E la spesa militare nel mondo nel 2020 nonostante il Covid è aumentata sfiorando i 2.000 miliardi di dollari (nel 2019 era di 1650 miliardi) secondo il rapporto dell’Istituto di ricerca internazionale per la pace di Stoccolma (Sipri). Dati che hanno spinto Papa Francesco a lanciare un messaggio duro ma pieno di speranza per la 55° giornata mondiale della pace che ricorre oggi 1° gennaio 2022. Il Papa propone tre elementi: dialogo tra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura. Come contestualizzare questo messaggio nelle sfide che la società vive oggi? Lo abbiamo chiesto al prof. Vincenzo Buonomo, rettore della Pontificia Università Lateranense. Come si avvia il dialogo tra le generazioni per costruire la pace? Su quale fiducia si basa oggi, visto che sia la pandemia che lo sviluppo della tecnologia hanno creato tanta solitudine e indifferenza? “Anzitutto il messaggio del Papa presenta il dialogo non come obiettivo soltanto per i rapporti tra generazioni ma come metodo. E questo credo che sia l’aspetto più importante che si può cogliere ed è l’aspetto che ci consente anche di poter fare del dialogo uno strumento effettivo per la pace, perché molto spesso noi leghiamo all’elemento dialogo soltanto la possibilità di comunicare. In realtà il dialogo presuppone qualcosa in più: c’è un patto tra le generazioni, un patto in cui la parola data ha un suo significato. Molto spesso abbiamo fatto del dialogo soltanto uno strumento tecnico e non qualcosa che condividiamo e che pertanto diventa un metodo o un agire quotidiano”. L’istruzione e l’educazione negli ultimi anni sono considerate delle spese piuttosto che investimenti. E sono aumentate le spese militari. Quali passi devono fare i politici per promuovere una cultura della “cura” piuttosto che della “guerra”? “Il rapporto tra l’educatore e colui che viene educato è un rapporto che va costruito quotidianamente sulla base di rinunce da parte di ambedue. Questo tipo di metodologia dell’educazione dovrebbe servire anche alle grandi questioni che l’umanità ha di fronte. Il problema della corsa agli armamenti e quindi la sottrazione di risorse per altri ambiti, è soprattutto il legare gli armamenti ad un concetto di potenza. Quindi attraverso l’educazione dobbiamo cercare di far correre dei valori condivisi. Questo è l’aspetto che il messaggio del Papa mette in evidenza, perché se ci sono valori condivisi – la pace per esempio – questo diventa un modo per superare il conflitto. Ma il conflitto si supera eliminando gli armamenti, quindi è un concetto che va poi a catena”. Il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello ed è un fattore per preservare la pace. La precarietà e lo sfruttamento lavorativo però sono aumentati con la pandemia. Cosa si può fare allora per dare speranza ai giovani lottare contro la precarietà e lo sfruttamento? “Il lavoro non è semplicemente un elemento che garantisce la pace sociale come tradizionalmente viene detto. Il lavoro è qualcosa che garantisce la pace. Se manca il presupposto del lavoro, manca l’educazione, manca il rapporto intergenerazionale, manca il dialogo. Perché dal lavoro la persona non trae soltanto sostentamento, ma esprime la propria dignità. Questo lo troviamo nel magistero della Chiesa e di Papa Francesco che ha sottolineato più volte. Di conseguenza oggi i politici, o meglio coloro che hanno responsabilità, i cosiddetti ‘decisori’, devono fare del lavoro una priorità e non una delle tante voci nell’agenda politica. Credo che le giovani generazioni abbiano bisogno non soltanto del posto di lavoro ma di un lavoro che riesca a esprimere le loro qualificazioni e soprattutto a farli sentire protagonisti in quelle che sono le decisioni in materia di lavoro. L’elemento quindi che collega le tre voci – dialogo, educazione, lavoro – è la parola patto. Il patto tra generazioni, il patto educativo, il patto del lavoro: questa è la parola chiave che li mette in funzione della pace. Perché altrimenti sarebbero tre elementi dispersi e non tra di loro coniugati”. Clicca qui per leggere il messaggio del Papa per la 55° giornata mondiale della pace.
Lorenzo Russo
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