Movimento dei Focolari
Quel martedì a Bruxelles io c’ero

Quel martedì a Bruxelles io c’ero

20160324-c«Prima d’ora, non mi era mai capitato di trovarmi così vicino al luogo di un attentato. Il mio ufficio, infatti, è a 300 metri dalla fermata della metro Maelbeek. Siamo ormai abituati a vederci passare davanti disastri e catastrofi durante notiziari quotidiani, ma la sensazione di essere passati davanti a quella fermata della metro in bici pochi minuti prima dell’attentato, di sentire tutto così vicino e di non sapere di preciso cosa fare e come comportarsi è tutt’altra cosa. Credo fermamente che un mondo di pace è possibile. Con il mio impegno nel Movimento dei Focolari, ma soprattutto attraverso le piccole azioni quotidiane cerco di agire con quello spirito di fraternità che è espresso anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Eppure man mano che le notizie arrivavano e gli ululati delle sirene si facevano più insistenti, mi sono trovato spiazzato. D’accordo, tutto era così vicino, ma ugualmente io intanto che potevo farci? Rimanere a rispondere ai tantissimi messaggi di amici e parenti che chiedevano notizie? Scendere in strada e andare ad aiutare chissà chi e in che modo? Continuare a lavorare come nulla fosse? Una situazione surreale nelle quale mi trovato impotente e disorientato. Mi veniva anche da interrogarmi sul senso di tutto ciò. Sui motivi che potevano spingere alcuni giovani come me ad odiare così tanto da essere pronti a sacrificare le loro vite pur di dare la morte a tanti passeggeri indifesi colti a caso nel momento di viaggiare insieme pigiati su un convoglio metropolitano. Mi domandavo che colpa avrei avuto io per morire se fossi stato lì insieme a loro. Domande alle quali tutte le teorie apprese durante l’università in scienze politiche non riuscivano a trovare una risposta soddisfacente. Ad illuminarmi è stato il ricordo della sera precedente, trascorsa insieme a diversi giovani che si impegnano anch’essi nel Movimento dei Focolari, con i quali avevamo rinnovato la promessa di essere insieme strumenti di fraternità e di dialogo laddove viviamo. Provando a mettere da parte il disorientamento, ho capito che se in quei momenti stavo vivendo (quasi) sulla mia pelle la guerra, a maggior ragione dovevo essere io in prima persona un artefice di pace ed ho cercato di darmi da fare, ad iniziare da quanti avevo accanto in quel momento. Colleghi, amici, conoscenti… nonostante lo sconcerto ed il terrore, mi ha colpito rendermi conto di non essere l’unico a pensarla così. Per quanto ognuno a modo suo, nessuno trovava parole di odio per l’accaduto, ma era convinto invece che fosse la via del dialogo l’unica strada possibile per rispondere ad atti tanto folli. Ho trovato vere come non mai quelle parole pronunciate da Chiara Lubich in occasione del conferimento del Premio UNESCO per l’Educazione e la Pace, il 17 dicembre 1996: “Chiunque desideri oggi superare le montagne dell’odio e della violenza, si trova di fronte a un compito pesante ed immenso. Ma ciò che è impossibile a milioni di individui isolati e divisi, sembra possibile a quanti hanno fatto dell’amore vicendevole, della comprensione reciproca e dell’unità la dinamica essenziale della loro vita”».

Venezuela, un Paese in bilico

Venezuela, un Paese in bilico

paesaggio andino«In questo Venezuela fratturato e diviso, sentiamo di voler vivere il Vangelo con radicalità, lì dove ciascuno svolge il suo lavoro o studia, per costruire ponti d’unità e di pace. Nel consiglio comunale, ad esempio, ci sono 3 persone che vivono la spiritualità dell’unità, uno del partito al Governo e 2 dell’opposizione, eppure si rispettano e si aiutano». A parlare è Ofelia, della comunità dei Focolari di un quartiere marginale della città di Valencia chiamato Colinas de Guacamaya. «Un’amica mi chiede di accompagnarla dal medico – racconta –. Comincia la lunga trafila per le medicine: un anziano alla ricerca della sua cura per il diabete, un signore che chiede una compressa per il mal di testa, un ragazzo – in farmacia – che chiede del paracetamolo. Una sola compressa, ma i soldi non bastano». Ma Ofelia in macchina ha una borsa che porta sempre con sé, con medicine che le arrivano dalla «Provvidenza di Dio», come lei stessa racconta, e può offrirle gratuitamente a ciascuno. Sguardi increduli, e gratitudine. Betty e Orlando hanno 4 figli e si sono trasferiti al Centro Mariapoli “La Nuvoletta”, nella località del Junquito, nei pressi di Caracas. «Per servire chi è nel bisogno – racconta Betty –, con alcune persone della comunità abbiamo organizzato la pastorale sociale. Volevamo rispondere alle necessità di alimentazione, vestiario e casa di alcune famiglie della parrocchia. Così, con l’aiuto del consiglio comunale, siamo riusciti a costruire una casa degna ad un anziano che abitava nell’indigenza». «L’attuale crisi sociale, con gli alti indici di insicurezza che viviamo come Paese, ci ha aperti ancora di più alle necessità delle famiglie della nostra comunità che vivono nel terrore di perdere persino la vita. Venuti a sapere che il papà di un ragazzo era in gravi condizioni, perché ferito da colpi di pistola, siamo accorsi in ospedale. Ricoverato in terapia intensiva, muore pochi giorni dopo. Adesso continuiamo a dare il nostro amore concreto con attenzioni, cure e protezione, a madre e figlio, che abbiamo accolto nella nostra casa». panorama«Su richiesta del parroco – ci racconta María Carolina della Comunità del Junquito –, siamo andati in una zona rurale raggiungibile solo in jeep. Qui ci aspettava la comunità de La Florida, carente di tante cose materiali, priva fino a pochi mesi fa anche della corrente elettrica. Una comunità di persone sacrificate, dedite all’agricoltura, che fanno chilometri a piedi per raggiungere la Messa una volta al mese. Un’esperienza che ci coinvolge tutti e si attiva una comunione di beni: da tante parti arrivano vestiti, medicine, giocattoli, scarpe, alimenti… Con camioncini carichi di cose, ma soprattutto di speranza, portiamo il nostro amore a questa comunità. Anche se non mancano le difficoltà, al nostro arrivo le persone escono dalle case, corrono i bambini, applausi, subito c’è clima di famiglia!». La comunità di Puerto Ayacucho, nella Stato Amazzona, si trova in una zona di frontiera, abitata da comunità indigene. Soffre gravi problematiche: presenza della guerriglia, sfruttamento dell’oro, alto indice di ragazze madri. Ha appena vissuto un’esperienza molto forte con la morte di Felipe, un ragazzo dei Focolari ucciso due mesi fa a colpi di pistola. È un fatto molto frequente in Venezuela, e soprattutto in questa regione. È morto per salvare la vita a suo fratello, ricercato dalla guerriglia. Juan, il suo amico del cuore, ci racconta che «Felipe aveva preso un appuntamento per iscriversi al catechismo, ma ci ha lasciati il giorno prima… Insieme avevamo fatto tanti programmi per il futuro». La morte di Felipe ha lasciato un segno in questa comunità: un nuovo impegno per vivere per costruire la pace, per dare nuovi orizzonti e speranza soprattutto ai giovani. (altro…)

[:de]Berlin: Dialogtag![:]

[:de]Berlin: Dialogtag![:]

[:de]eventi 1Mit Themenworkshops und einem Angebot für Kinder setzt die Fokolar-Bewegung in Berlin ihre Reihe “Sei Dialog – sei Begegnung – sei Berlin” fort. zur Wahl stehen die Themen “Digitalisierung – Megatrend oder Werbeslogan?”, “Erziehung vor dsem Hintergrund der Studie: Das Vermächtnis – die Welt, die wir erleben wollen”, gute Kommunikation und gelingende Dialoge sowie ein Austausch mit muslimischen Flüchtlingen über “Glaube im Alltag”. Siehe PDF[:]