Movimento dei Focolari

Gennaio 2011

“La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At 4,32)

Questa Parola presenta uno di quei quadretti letterari (vedi anche 2,42; 5,12-16), nei quali l’autore degli Atti degli Apostoli ci fa conoscere a grandi linee la prima comunità cristiana di Gerusalemme. Questa vi appare caratterizzata da una straordinaria freschezza e dinamismo spirituale, dalla preghiera e dalla testimonianza, soprattutto da una grande unità, la nota che Gesù aveva voluto come contrassegno inconfondibile e sorgente della fecondità della sua Chiesa.Lo Spirito Santo, che viene donato nel Battesimo a tutti coloro che accolgono la parola di Gesù, essendo spirito di amore e di unità, faceva di tutti i credenti una cosa sola con il Risorto e tra di loro superando tutte le differenze di razza, di cultura e di classe sociale.

“La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune”.

Ma vediamo più dettagliatamente gli aspetti di questa unità. Lo Spirito Santo operava innanzitutto fra i credenti l’unità dei cuori e delle menti, aiutandoli a superare quei sentimenti che la rendono difficile, nella dinamica della comunione fraterna. L’ostacolo più grande infatti all’unità è il nostro individualismo; è l’attaccamento alle nostre idee, vedute e gusti personali. E’ col nostro egoismo che si costruiscono le barriere con cui ci isoliamo ed escludiamo chi è diverso da noi.

“La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune”.

L’unità operata dallo Spirito Santo, poi, si rifletteva necessariamente sulla vita dei credenti. L’unità di mente e di cuore s’incarnava e si manifestava in una solidarietà concreta, attraverso la condivisione dei propri beni con i fratelli e le sorelle che erano in necessità. Appunto perché era autentica, non tollerava che nella comunità alcuni vivessero nell’abbondanza, mentre altri erano privi del necessario.

La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune”.

Come vivremo allora la Parola di vita di questo mese? Essa sottolinea la comunione e l’unità tanto raccomandata da Gesù e per realizzare la quale Egli ci ha donato il suo Spirito. Cercheremo dunque, ascoltando la voce dello Spirito Santo, di crescere in questa comunione a tutti i livelli. Innanzitutto a livello spirituale, superando i germi di divisione che portiamo dentro di noi. Sarebbe, ad esempio, un controsenso voler essere uniti a Gesù e nello stesso tempo essere divisi fra di noi comportandoci individualisticamente, camminando ciascuno per proprio conto, giudicandoci e magari escludendoci. Occorre, dunque, una rinnovata conversione a Dio che ci vuole uniti. Questa Parola, inoltre, ci aiuterà a capire sempre meglio la contraddizione che esiste tra fede cristiana ed uso egoistico dei beni materiali. Ci aiuterà a realizzare un’autentica solidarietà con quanti sono nel bisogno, pur nei limiti delle nostre possibilità. Trovandoci poi nel mese in cui si celebra la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, questa Parola ci spingerà a pregare ed a rafforzare i nostri legami di unità e amore di condivisione con i nostri fratelli e sorelle appartenenti alle varie Chiese, con i quali abbiamo in comune l’unica fede e l’unico spirito  di Cristo, ricevuto nel Battesimo. Chiara Lubich


[1] Parola di vita, gennaio 1994, pubblicata in Città Nuova, 1993/24, p34-35.

dicembre 2010

La domanda di Maria, all'annuncio dell'Angelo: "Com'è possibile questo?"  ebbe come risposta: "Nulla è impossibile a Dio" e, a riprova di ciò, le venne portato l'esempio di Elisabetta, che nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio. Maria credette e divenne la Madre del Signore.
Dio è onnipotente: questo suo nome si incontra frequentemente nella Sacra Scrittura ed è usato quando si vuole esprimere la potenza di Dio nel benedire, nel giudicare, nel dirigere il corso degli eventi, nel realizzare i suoi disegni.
C'è un solo limite all'onnipotenza di Dio: la libertà umana, che si può opporre alla di lui volontà rendendo l'uomo impotente, mentre sarebbe chiamato a condividere la stessa forza di Dio.

"Nulla è impossibile a Dio"

[…] E' una Parola che ci apre ad una confidenza illimitata nell'amore di Dio-Padre, perché, se Dio è e il suo essere è Amore, la fiducia completa in lui non ne è che la logica conseguenza. 
Tutte le grazie sono in suo potere: temporali e spirituali, possibili e impossibili. Ed egli le dà a chi le chiede e anche a chi non chiede, perché, come dice il Vangelo, egli, il Padre, "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni"  e a noi tutti chiede di agire come lui, con lo stesso amore universale, sostenuto dalla fede che:

"Nulla è impossibile a Dio"

Come vivere dunque questa Parola nella vita di ogni giorno?
Noi tutti dobbiamo affrontare di quando in quando situazioni difficili, dolorose, sia nella nostra vita personale, sia nei rapporti con gli altri. E sperimentiamo a volte tutta la nostra impotenza perché avvertiamo in noi degli attaccamenti a cose e persone che ci rendono schiavi di legami da cui vorremmo liberarci. Ci troviamo spesso di fronte ai muri dell'indifferenza e dell'egoismo e ci sentiamo cadere le braccia di fronte ad avvenimenti che sembrano superarci.
Ebbene, in questi momenti, la Parola di vita può venirci in aiuto. Gesù ci lascia fare l'esperienza della nostra incapacità, non già per scoraggiarci, ma per aiutarci a capire meglio che "nulla è impossibile a Dio"; per prepararci a sperimentare la straordinaria potenza della sua grazia, che si manifesta proprio quando vediamo che con le nostre povere forze non possiamo farcela.

"Nulla è impossibile a Dio"

Ripetendoci questo nei momenti più critici, ci verrà dalla Parola di Dio quell'energia che essa racchiude in sé, facendoci partecipare in qualche modo della stessa onnipotenza di Dio. Ad un patto, però, e cioè che si viva la sua volontà, cercando di irradiare attorno a noi quell'amore che è deposto nei nostri cuori. Così saremo all'unisono con l'Amore onnipotente di Dio per le sue creature, al quale tutto è possibile, ciò che concorre a realizzare i suoi piani sui singoli e sull'umanità.
Ma c'è un momento speciale per poter vivere questa Parola e per sperimentarne tutta l'efficacia: è nella preghiera.
Gesù ha detto che qualsiasi cosa chiederemo al Padre in nome suo egli ce la concederà. Proviamo dunque a chiedergli ciò che ci sta più a cuore con la certezza di fede che a lui nulla è impossibile: dalla soluzione di casi disperati, alla pace nel mondo; dalle guarigioni da malattie gravi, alla ricomposizione di conflitti familiari e sociali.
Se poi siamo in più a chiedere la stessa cosa, in pieno accordo per l'amore reciproco, allora è Gesù stesso in mezzo a noi che prega il Padre e, secondo la sua promessa, otterremo.
Con tale fede nell'onnipotenza di Dio e nel suo Amore, anche noi chiedemmo un giorno per N. che quel tumore, visto su una radiografia, "scomparisse", quasi fosse un errore o un fantasma. E così avvenne.
Questa fiducia sconfinata che ci fa sentire nelle braccia di un Padre al quale tutto è possibile, deve accompagnare sempre le vicende della nostra vita. Non è detto che otterremo sempre ciò che chiederemo. La sua è l'onnipotenza di un Padre e la usa sempre e soltanto per il bene dei suoi figli, che essi lo sappiano o no. L'importante è vivere coltivando la certezza che a Dio nulla è impossibile e questo ci farà sperimentare una pace mai provata.

Chiara Lubich

Parola di vita, dicembre 1999, pubblicata in Città Nuova, 1999/22, p.7.

novembre 2010

La predicazione di Gesù si apre col discorso della montagna. Davanti al lago di Tiberiade su una collina nei pressi di Cafarnao, seduto, come usavano fare i maestri, Gesù annuncia alle folle l'uomo delle beatitudini. Più volte nell'Antico Testamento risuonava la parola "beato" e cioè l'esaltazione di colui che adempiva, nei modi più vari, la Parola del Signore.
    Le beatitudini di Gesù riecheggiavano in parte quelle che i discepoli già conoscevano; ma per la prima volta essi sentivano che i puri di cuore, non solo, come cantava il Salmo, erano degni di salire sul monte del Signore , ma addirittura potevano vedere Dio. Quale era dunque quella purezza così alta da meritare tanto? Gesù l'avrebbe spiegato più volte nel corso della sua predicazione. Cerchiamo perciò di seguirlo per attingere alla fonte dell'autentica purezza.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"

    Anzitutto, secondo Gesù, vi è un mezzo sovrano di purificazione: "Voi siete già mondi in virtù della Parola che vi ho annunziato" . Non sono tanto degli esercizi rituali a purificare l'animo, ma la sua Parola. La Parola di Gesù non è come le parole umane. In essa è presente Cristo, come, in altro modo, è presente nell'Eucaristia. Per essa Cristo entra in noi e, finché la lasciamo agire, ci rende liberi dal peccato e quindi puri di cuore.
    Dunque la purezza è frutto della Parola vissuta, di tutte quelle Parole di Gesù che ci liberano dai cosiddetti attaccamenti, nei quali necessariamente si cade, se non si ha il cuore in Dio e nei suoi insegnamenti. Essi possono riguardare le cose, le creature, se stessi. Ma se il cuore è puntato su Dio solo, tutto il resto cade.
    Per riuscire in questa impresa, può essere utile, durante la giornata, ripetere a Gesù, a Dio, quell'invocazione del Salmo che dice: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene!" . Proviamo a ripeterlo spesso, e soprattutto quando i vari attaccamenti vorrebbero trascinare il nostro cuore verso quelle immagini, sentimenti e passioni che possono offuscare la visione del bene e toglierci la libertà.
    Siamo portati a guardare certi cartelloni pubblicitari, a seguire certi programmi televisivi? No, diciamogli: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene" e sarà questo il primo passo che ci farà uscire da noi stessi, ri-dichiarando il nostro amore a Dio. E così avremo acquistato in purezza.
    Avvertiamo a volte che una persona o un'attività si frappongono, come un ostacolo, fra noi e Dio e inquinano il nostro rapporto con Lui? E' il momento di ripeterGli: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene". Questo ci aiuterà a purificare le nostre intenzioni e a ritrovare la libertà interiore.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"

    La Parola vissuta ci rende liberi e puri perché è amore. E' l'amore che purifica, con il suo fuoco divino, le nostre intenzioni e tutto il nostro intimo, perché il "cuore" secondo la Bibbia è la sede più profonda dell'intelligenza e della volontà. Ma c'è un amore che Gesù ci comanda e che ci permette di vivere questa beatitudine. E' l'amore reciproco, di chi è pronto a dare la vita per gli altri, sull'esempio di Gesù. Esso crea una corrente, uno scambio, un'atmosfera la cui nota dominante è proprio la trasparenza, la purezza, per la presenza di Dio che, solo, può creare in noi un cuore puro . E' vivendo l'amore scambievole che la Parola agisce con i suoi effetti di purificazione e di santificazione.
    L'individuo isolato è incapace di resistere a lungo alle sollecitazioni del mondo, mentre nell'amore vicendevole trova l'ambiente sano, capace di proteggere la sua purezza e tutta la sua autentica esistenza cristiana.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".

    Ed ecco il frutto di questa purezza, sempre riconquistata: si può "vedere" Dio, cioè capire la sua azione nella nostra vita e nella storia, sentire la sua voce nel cuore, cogliere la sua presenza là dove è: nei poveri, nell'Eucaristia, nella sua Parola, nella comunione fraterna, nella Chiesa. E' un pregustare la presenza di Dio che comincia già da questa vita "camminando nella fede e non ancora in visione"  fino a quando "vedremo faccia a faccia"  eternamente.

Chiara Lubich
 

ottobre 2010

 

Questa Parola la si trova già nell'Antico Testamento (2). Per rispondere ad una domanda, Gesù si inserisce nella grande tradizione profetica e rabbinica che era alla ricerca del principio unificatore della Torah, e cioè dell'insegnamento di Dio contenuto nella Bibbia. Rabbi Hillel, un suo contemporaneo, aveva detto: "Non fare al prossimo tuo ciò che è odioso a te, questa è tutta la legge. Il resto è solo spiegazione" (3).
Per i maestri dell'ebraismo l'amore del prossimo deriva dall'amore a Dio che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, per cui non si può amare Dio senza amare la sua creatura: questo è il vero motivo dell'amore del prossimo, ed è "un grande e generale principio nella legge" (4).
Gesù ribadisce questo principio e aggiunge che il comando di amare il prossimo è simile al primo e più grande comandamento, quello cioè di amare Dio con tutto il cuore, la mente e l'anima. Affermando una relazione di somiglianza fra i due comandamenti Gesù li salda definitivamente e così farà tutta la tradizione cristiana; come dirà lapidariamente l'apostolo Giovanni: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (5).

"Amerai il prossimo tuo come te stesso"

Prossimo – lo dice chiaramente tutto il Vangelo – è ogni essere umano, uomo o donna, amico o nemico, al quale si deve rispetto, considerazione, stima. L'amore del prossimo è universale e personale al tempo stesso. Abbraccia tutta l'umanità e si concreta in colui-che-ti-sta-vicino.
Ma chi può darci un cuore così grande, chi può suscitare in noi una tale benevolenza da farci sentire vicini – prossimi – anche coloro che sono più estranei a noi, da farci superare l'amore di sé, per vedere questo sé negli altri?  E' un dono di Dio, anzi è lo stesso amore di Dio che "è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (6).
Non è quindi un amore comune, non una semplice amicizia, non la sola filantropia, ma quell'amore che è versato sin dal battesimo nei nostri cuori: quell'amore che è la vita di Dio stesso, della Trinità beata, al quale noi possiamo partecipare.
Dunque l'amore è tutto, ma per poterlo vivere bene occorre conoscere le sue qualità che emergono dal Vangelo e dalla Scrittura in genere e che ci sembra poter riassumere in alcuni aspetti fondamentali.
Per prima cosa Gesù, che è morto per tutti, amando tutti, ci insegna che il vero amore va indirizzato a tutti. Non come l'amore che viviamo noi tante volte, semplicemente umano, che ha un raggio ristretto: la famiglia, gli amici, i vicini… L'amore vero che Gesù vuole non ammette discriminazioni: non distingue tanto la persona simpatica dall'antipatica, non c'è per esso il bello, il brutto, il grande o il piccolo; per questo amore non c'è quello della mia patria o lo straniero, quello della mia Chiesa o di un'altra, della mia religione o di un'altra. Tutti ama quest'amore. E così dobbiamo fare noi: amare tutti.
L'amore vero, ancora, ama per primo, non aspetta di essere amato, come in genere è dell'amore umano: si ama chi ci ama. No, l'amore vero prende l'iniziativa, come ha fatto il Padre quando, essendo noi ancora peccatori, quindi non amanti, ha mandato il Figlio per salvarci.
Quindi: amare tutti e amare per primi.
E ancora: l'amore vero vede Gesù in ogni prossimo: "L'hai fatto a me" ci dirà Gesù al giudizio finale (7). E ciò vale per il bene che facciamo e anche per il male purtroppo.
L'amore vero ama l'amico e anche il nemico: gli fa del bene, prega per lui.
Gesù vuole anche che l'amore, che egli ha portato sulla terra, diventi reciproco: che l'uno ami l'altro e viceversa, sì da arrivare all'unità.
Tutte queste qualità dell'amore ci fanno capire e vivere meglio la parola di vita di questo mese.

"Amerai il prossimo tuo come te stesso".

Sì, l'amore vero ama l'altro come se stesso. E ciò va preso alla lettera: occorre proprio vedere nell'altro un altro sé e fare all'altro quello che si farebbe a sé stessi. L'amore vero è quello che sa soffrire con chi soffre, godere con chi gode, portare i pesi altrui, che sa, come dice Paolo, farsi uno con la persona amata. E' un amore, quindi, non solo di sentimento, o di belle parole, ma di fatti concreti.
Chi ha un altro credo religioso cerca pure di fare così per la cosiddetta "regola d'oro" che ritroviamo in tutte le religioni. Essa vuole che si faccia agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi. Gandhi la spiega in modo molto semplice ed efficace: "Non posso farti del male senza ferirmi io stesso" (8).
Questo mese, dunque, deve essere un'occasione per rimettere a fuoco l'amore del prossimo, che ha così tanti volti: dal vicino di casa, alla compagna di scuola, dall'amico alla parente più stretta. Ma ha anche i volti di quell'umanità angosciata che la TV porta nelle nostre case dai luoghi di guerra e di catastrofi naturali. Una volta erano sconosciuti e lontani mille miglia. Ora sono divenuti anch'essi nostri prossimi.
L'amore ci suggerirà volta per volta cosa fare, e dilaterà a poco a poco il nostro cuore sulla misura di quello di Gesù.

 

Chiara Lubich

 

 1. Parola di vita, ottobre 1999, pubblicata in Città Nuova, 1999/18, p.7.

 2. Lv 19,18.

 3. Talmud Babilonese Shabbat, 31a.

 4. Rabbi Akiba, cit. in Sifra, commentario rabbinico a Lv 19,18.

 5. 1 Gv 4,20.

 6. Rm 5,5.

 7. Cf Mt 25,40.

 8. Cf WILHELM MUHS, Parole del cuore, Milano 1996, p.82.

 

Settembre 2010

Audio della Parola di Vita

Gesù con queste sue parole risponde a Pietro che, dopo aver ascoltato cose meravigliose dalla sua bocca, gli ha posto questa domanda: "Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? fino a sette volte?". E Gesù: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
Pietro, probabilmente, sotto l'influenza della predicazione del Maestro, aveva pensato di lanciarsi, buono e generoso com'era, nella sua nuova linea, facendo qualcosa di eccezionale: arrivando a perdonare fino a sette volte. […]
Ma Gesù rispondendo: "…fino a settanta volte sette", dice che per lui il perdono deve essere illimitato: occorre perdonare sempre.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Questa Parola fa ricordare il canto biblico di Lamech, un discendente di Adamo: "Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" . Così inizia il dilagare dell'odio nei rapporti fra gli uomini del mondo: ingrossa come un fiume in piena.
A questo dilagare del male, Gesù oppone il perdono senza limite, incondizionato, capace di rompere il cerchio della violenza.
Il perdono è l'unica soluzione per arginare il disordine e aprire all'umanità un futuro che non sia l'autodistruzione.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l'ha commesso. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male.
Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell'accogliere il fratello e la sorella così com'è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" .
Il perdono consiste nell'aprire a chi ti fa del torto la possibilità d'un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d'aver un avvenire in cui il male non abbia l'ultima parola.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Come si farà allora a vivere questa Parola?
Pietro aveva chiesto a Gesù: "Quante volte dovrò perdonare a mio fratello?".
E Gesù, rispondendo, aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità.
E' dunque prima di tutto con gli altri fratelli e sorelle nella fede che bisogna comportarsi così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o nella comunità di cui si fa parte.
Sappiamo quanto spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l'offesa subita.
Si sa come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene, occorre ricordare che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l'unità tra fratelli.
Ci sarà sempre la tendenza a pensare ai difetti delle sorelle e dei fratelli, a ricordarsi del loro passato, a volerli diversi da come sono… Occorre far l'abitudine a vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre, subito e fino in fondo, anche se non si pentono.
Si dirà: "Ma ciò è difficile". Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla siamo alla sequela di Cristo che, sulla croce, ha chiesto perdono al Padre per coloro che gli avevano dato la morte, ed è risorto.
Coraggio. Iniziamo una vita così, che ci assicura una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta.


Chiara Lubich

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Agosto 2010

Questa Parola fa parte di un avvenimento semplice e altissimo al tempo stesso: è l'incontro fra due gestanti, fra due madri, la cui simbiosi spirituale e fisica con i loro figli è totale. Sono esse la loro bocca, i loro sentimenti. Quando parla Maria, il bambino di Elisabetta fa un balzo di gioia nel suo ventre. Quando parla Elisabetta sembra che le parole le siano messe sulle labbra dal Precursore. Ma mentre le prime parole del suo inno di lode a Maria sono rivolte personalmente alla madre del Signore, le ultime sono dette in terza persona: "Beata colei che ha creduto".
Così la sua "affermazione acquista carattere di verità universale: la beatitudine vale per tutti i credenti, concerne coloro che accolgono la Parola di Dio e la mettono in pratica e che trovano in Maria il modello ideale" .

"E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore."

E' la prima beatitudine del Vangelo che riguarda Maria, ma anche tutti coloro che la vogliono seguire e imitare.
C'è uno stretto legame, in Maria, tra fede e maternità, come frutto dell'ascolto della Parola. E Luca qui ci suggerisce qualcosa che riguarda anche noi. Più avanti nel suo Vangelo Gesù dice: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" .
Anticipando quasi queste parole, Elisabetta, mossa dallo Spirito Santo, ci annuncia che ogni discepolo può diventare "madre" del Signore. La condizione è che creda alla Parola di Dio e che la viva.

"E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore."

Maria, dopo Gesù, è colei che meglio e più perfettamente ha saputo dire "sì" a Dio. E' soprattutto questa la sua santità e la sua grandezza. E se Gesù è il Verbo, la Parola incarnata, Maria, per la sua fede nella Parola è la Parola vissuta, ma creatura come noi, uguale a noi.
Il ruolo di Maria come madre di Dio è eccelso e grandioso. Ma Dio non chiama solo la Vergine a generare Cristo in sé. Seppure in altro modo, ogni cristiano ha un simile compito: quello di incarnare Cristo fino a ripetere, come san Paolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" .
Ma come attuare ciò?
Con l'atteggiamento di Maria verso la Parola di Dio e cioè di totale disponibilità. Credere dunque, con Maria, che si realizzeranno tutte le promesse contenute nella Parola di Gesù e affrontare, come Maria, se occorre, il rischio dell'assurdo che alle volte la sua Parola comporta.
Grandi e piccole cose, ma sempre meravigliose, accadono a chi crede nella Parola. Si potrebbero riempire dei libri con i fatti che lo provano.
Chi può dimenticare quando, in piena guerra, credendo alle parole di Gesù "chiedete e vi sarà dato"  abbiamo chiesto tutto quello di cui tanti poveri in città avevano bisogno e vedevamo arrivare sacchi di farina, scatole di latte, di marmellata, legna, vestiario?
Anche oggi accadono le stesse cose. "Date e vi sarà dato"  e i magazzini della carità sono sempre pieni, essendo regolarmente svuotati.
Ma ciò che colpisce di più è come le parole di Gesù sono vere sempre e dovunque. E l'aiuto di Dio arriva puntuale anche in circostanze impossibili, e nei punti più isolati della terra, come è accaduto poco tempo fa ad una madre che vive in grande povertà. Un giorno si è sentita spinta a dare i suoi ultimi soldi ad una persona più povera di lei. Credeva a quel "date e vi sarà dato" del Vangelo. E aveva una grande pace nell'animo. Poco dopo è arrivata la sua bambina più piccola e le ha mostrato un dono appena ricevuto da un anziano parente che, per caso, era passato di lì: nella sua manina c'erano i soldi moltiplicati.
Una "piccola" esperienza come questa ci spinge a credere nel Vangelo; e ciascuno di noi può provare quella gioia, quella beatitudine che viene dal vedere realizzate le promesse di Gesù.
Quando, nella vita di tutti i giorni, nella lettura delle Sacre Scritture ci incontreremo con la Parola di Dio, apriamo il nostro cuore all'ascolto, con la fede che ciò che Gesù ci chiede e promette si avvererà. Non tarderemo a scoprire, come Maria e come quella madre, che Egli mantiene le sue promesse.

Chiara Lubich – Parola di vita, agosto 1999, pubblicata in Città Nuova, 1999/14, p. 33

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