Movimento dei Focolari

Vangelo Vissuto: “Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 2)

Per un cristiano la Risurrezione è un fatto concreto, qualcosa che accade, un incontro che cambia ogni umana prospettiva; è l’evento che ci ricorda che la nostra cittadinanza è in cielo ed è lì che la nostra vita deve puntare, in alto, testimoniando li dove ci troviamo quei valori che Gesù per primo portò sulla terra.

L’altro come qualcuno da amare
Studio medicina e frequento il quarto anno. Nell’ambiente dell’ospedale il malato quasi sempre viene utilizzato come oggetto di studio. Ognuno è un “caso”, rappresenta una malattia. Di solito durante le lezioni pratiche ogni paziente viene esaminato da trenta studenti. Quanto a me, ho fatto presto a rendermi conto che per il paziente una simile norma può risultare scomoda e molte volte dolorosa, per cui quando toccava a me prendere parte alla lezione replicavo: “No, non vado, il malato ha già sofferto molto. Non mi piacerebbe essere trattata così. Quando arriverà il prossimo paziente, sarò la prima ad esaminarlo”. I miei compagni controbattevano che facendo così non avrei mai imparato e non sarei mai diventata un buon medico, ma dopo, senza che io lo sapessi, hanno proposto loro stessi al professore titolare che ogni paziente venisse esaminato soltanto da cinque studenti al massimo. Tutta la classe ha voluto firmare la richiesta e il professore è stato d’accordo. La conclusione è che con questo metodo s’impara meglio e i malati si sentono rispettati.
(Regina – Brasile)

Aprire una finestra
A volte una caduta con frattura alla spalla ti cambia improvvisamente la vita: vacanze, occuparmi dei nipoti, fare le spese… Tutto ora ricade su mia moglie che da quando è in pensione ha anche smesso di usare l’auto. Un giorno la nipotina, con la quale tante volte abbiamo fatto un gioco che consiste nel cercare il positivo nel negativo, mi chiede dov’è il positivo in questa immobilità non voluta. Rispondo che la mia nuova condizione mi sta facendo scoprire che prima facevo tante cose trascinato come un pezzo di legno in un fiume. Esiste sempre un’altra possibilità oltre a quella programmata, come una finestra nuova che si apre nella tua camera e ti mostra un paesaggio che prima non vedevi. La nipotina tace pensierosa. Poi, come svegliata da una scoperta, riprende: “Nonno, ho una compagna di classe con un brutto carattere. Oltre a dire parolacce è sempre arrabbiata con tutti. Tutti evitiamo di parlare con lei e si è creato una specie di muro che la isola. Forse anche io devo aprire una finestra verso di lei”. Non potevo sentire parole più belle.
(H.N. – Slovacchia)

A cura di Maria Grazia Berretta

(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno IX – n.1- marzo-aprile 2023)

Parola di vita – Settembre 2018

La Parola di questo mese proviene da un testo attribuito a Giacomo, figura di rilievo nella Chiesa di Gerusalemme. Egli raccomanda al cristiano la coerenza tra il credere e l’agire.

Nel brano iniziale della lettera viene sottolineata una condizione essenziale: liberarsi da ogni malizia per accogliere la Parola di Dio e lasciarsi guidare da essa per camminare verso la piena realizzazione della vocazione cristiana.

La Parola di Dio ha una forza tutta sua: è creatrice, produce frutti di bene nella singola persona e nella comunità, costruisce rapporti di amore tra ognuno di noi con Dio e tra gli uomini.

Essa, dice Giacomo, è stata già “piantata” in noi.

«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza». 

Come? Certamente perché Dio, fin dalla creazione, ha pronunciato una Parola definitiva: l’uomo è Sua “immagine”. Ogni creatura umana infatti è il “tu” di Dio, chiamato all’esistenza per condividere la Sua vita di amore e comunione.

Ma, per i cristiani, è il sacramento del battesimo che ci inserisce in Cristo, Parola di Dio entrata nella storia umana.

In ogni persona dunque Egli ha deposto il seme della sua Parola, che lo chiama al bene, alla giustizia, al dono di sé e alla comunione. Accolto e coltivato con amore nella propria “terra”, è capace di produrre vita e frutti.

«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza». 

Luogo chiaro dove Dio ci parla è la Bibbia, che per i cristiani ha il suo vertice nei Vangeli. Occorre accogliere la Sua Parola nella lettura amorosa della Scrittura e, vivendola, possiamo vederne i frutti.

Possiamo ascoltare Dio anche nel profondo del nostro cuore, dove avvertiamo spesso l’invadenza di tante “voci”, di tante “parole”: slogan e proposte di scelte, modelli di vita, come anche preoccupazioni e paure … Ma come riconoscere la Parola di Dio e darle spazio perché viva in noi?

Occorre disarmare il cuore ed “arrenderci” all’invito di Dio, per metterci in un libero e coraggioso ascolto della Sua voce, spesso la più sottile e discreta.

Essa ci chiede di uscire da noi stessi e di avventurarci per le strade del dialogo e dell’incontro, con Lui e con gli altri, e ci invita a collaborare per rendere l’umanità più bella, in cui tutti ci riconosciamo sempre più fratelli.

«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza». 

La Parola di Dio infatti ha la possibilità di trasformare il nostro quotidiano in una storia di liberazione dall’oscurità del male personale e sociale, ma attende la nostra adesione personale e consapevole, anche se imperfetta, fragile e sempre in cammino.

I nostri sentimenti e i nostri pensieri assomiglieranno sempre più a quelli di Gesù stesso, si rafforzeranno in noi la fede e la speranza nell’Amore di Dio, mentre i nostri occhi e le nostre braccia si apriranno alle necessità dei fratelli.

Così suggeriva Chiara Lubich nel 1992: «In Gesù si vedeva una profonda unità tra l’amore che Egli aveva per il Padre celeste e l’amore verso gli uomini suoi fratelli. C’era un’estrema coerenza tra le sue parole e la sua vita. E questo affascinava e attirava tutti. Così dobbiamo essere anche noi. Dobbiamo accogliere con la semplicità dei bambini le parole di Gesù e metterle in pratica nella loro purezza e luminosità, nella loro forza e radicalità, per essere dei discepoli come li vuole Lui, cioè dei discepoli uguali al maestro: altrettanti Gesù diffusi nel mondo. E ci potrebbe essere per noi una avventura più grande e più bella?»1.

Letizia Magri

 

1 C. Lubich, ‘Come il Maestro’, in «Città Nuova» 36 (1992/4), p. 33.

Parola di vita – Agosto 2018

Il profeta Geremia è inviato da Dio al popolo di Israele che sta vivendo la dolorosa esperienza di esilio in terra babilonese ed ha perso tutto quello che aveva rappresentato la sua identità e la sua elezione: la terra, il tempio, la legge …

La parola del profeta però squarcia questo velo di dolore e di smarrimento. È vero: Israele si è dimostrato infedele al patto d’amore con Dio, consegnandosi alla distruzione, ma ecco l’annuncio di una nuova promessa di libertà, di salvezza, di rinnovata alleanza che Dio, nel suo amore eterno e mai revocato, prepara per il Suo popolo.

“Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele”.

La dimensione eterna e irrevocabile della fedeltà di Dio è una qualità del Suo amore: Egli è il Padre di ogni creatura umana, un Padre che ama per primo e impegna se stesso per sempre. La Sua fedeltà tocca ciascuno di noi e ci permette di gettare in Lui ogni preoccupazione che può frenarci. È per questo Amore eterno e paziente che anche noi possiamo crescere e migliorare nel rapporto con Lui e con gli altri.

Siamo ben coscienti di non essere già così stabili nel nostro impegno, pur sincero, di amare Dio e i fratelli, ma la Sua fedeltà per noi è gratuita, ci previene sempre, a prescindere dalle nostre “prestazioni”. Con questa gioiosa certezza possiamo sollevarci dal nostro orizzonte limitato, rimetterci ogni giorno in cammino e diventare anche noi testimoni di questa tenerezza “materna”.

“Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele”.

Questo sguardo di Dio sull’umanità fa emergere anche un grandioso disegno di fraternità, che troverà in Gesù il suo pieno compimento. Egli, infatti, ha testimoniato la Sua fiducia nell’amore di Dio con la parola e soprattutto con l’esempio di tutta la sua vita.

Ci ha aperto la strada per imitare il Padre nell’amore verso tutti (Mt 5,43 ss.) e ci ha svelato che la vocazione di ogni uomo e donna è contribuire all’edificazione di rapporti di accoglienza e di dialogo intorno a sé.

Come vivremo la Parola di vita di questo mese?

Chiara Lubich invita ad avere un cuore di madre: «[…] Una madre accoglie sempre, aiuta sempre, spera sempre, copre tutto. […] L’amore di una madre infatti è molto simile alla carità di Cristo di cui parla l’apostolo Paolo. Se noi avremo il cuore di una madre o, più precisamente, se ci proporremo di avere il cuore della Madre per eccellenza: Maria, saremo sempre pronti ad amare gli altri in tutte le circostanze e a tener vivo perciò il Risorto in noi. […] Se avremo il cuore di questa Madre, ameremo tutti e non solo i membri della nostra Chiesa, ma anche quelli delle altre. Non solo i cristiani, ma anche i musulmani, i buddisti, gli induisti, ecc. Anche gli uomini di buona volontà. Anche ogni uomo che abita sulla terra […]».1

“Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele”.

Una giovane sposa che ha iniziato a vivere il Vangelo in famiglia racconta: «Ho sperimentato una gioia mai prima provata e il desiderio di far traboccare questo amore al di fuori delle quattro mura di casa. Ricordo ad esempio come sono corsa all’ospedale dalla moglie di un collega che aveva tentato il suicidio. Da tempo ero a conoscenza delle loro difficoltà, ma tutta presa dai miei problemi, non mi ero preoccupata di aiutarla. Ora però sentivo mio il suo dolore e non mi sono data pace finché non si è risolta la situazione che l’aveva spinta a quel gesto. Questo episodio ha segnato per me l’inizio di un cambiamento di mentalità. Mi ha fatto comprendere che, se amo, posso essere per ognuno che mi passa accanto un riflesso, anche se piccolissimo, dell’amore stesso di Dio».

E se anche noi, sostenuti dall’amore fedele di Dio, ci mettessimo liberamente in questo atteggiamento interiore, di fronte a tutti quelli che incontriamo durante la giornata?

Letizia Magri

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1 Cfr. C. LUBICH, Cercando le cose di lassù, Roma 19925, p. 41-42.

Parola di vita – Luglio 2018

Nella sua seconda lettera alla comunità di Corinto, l’apostolo Paolo si confronta con alcuni che mettono in discussione la legittimità della sua attività apostolica, ma non si difende elencando i propri meriti e successi. Al contrario, mette in evidenza l’opera che Dio ha compiuto, in lui e tramite lui. Paolo accenna ad una sua esperienza mistica, di profondo rapporto con Dio (1), ma per condividere subito dopo la sua sofferenza per una “spina” che lo tormenta. Non spiega di cosa si tratti esattamente, ma si capisce che è una difficoltà grande, che potrebbe limitarlo nel suo impegno di evangelizzatore. Per questo, confida di aver chiesto a Dio di liberarlo da questo impedimento, ma la risposta che riceve da Dio stesso è sconvolgente:

“Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”.

Tutti facciamo continuamente esperienza delle nostre e altrui fragilità fisiche, psicologiche e spirituali, e vediamo intorno un’umanità spesso sofferente e smarrita. Ci sentiamo deboli e incapaci di risolvere tali difficoltà, persino di affrontarle, limitandoci al massimo a non fare male a nessuno. Questa esperienza di Paolo, invece, ci apre un orizzonte nuovo: riconoscendo ed accettando la nostra debolezza, possiamo abbandonarci pienamente nelle braccia del Padre, che ci ama come siamo e vuole sostenerci nel nostro cammino. Proseguendo questa lettera, infatti afferma ancora: “È quando sono debole che sono forte” (2) .

A questo proposito, Chiara Lubich ha scritto: “[…] La nostra ragione si ribella ad una simile affermazione, perché vi vede una lampante contraddizione o semplicemente un ardito paradosso. Invece essa esprime una delle più alte verità della fede cristiana. Gesù ce la spiega con la sua vita e soprattutto con la sua morte. Quando ha compiuto l’Opera che il Padre gli ha affidato? Quando ha redento l’umanità? Quando ha vinto sul peccato? Quando è morto in croce, annientato, dopo aver gridato: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato’. Gesù è stato più forte proprio quando è stato più debole. Gesù avrebbe potuto dare origine al nuovo popolo di Dio con la sua sola predicazione o con qualche miracolo in più o qualche gesto straordinario. Invece no. No, perché la Chiesa è opera di Dio ed è nel dolore e solo nel dolore che fioriscono le opere di Dio. Dunque nella nostra debolezza, nell’esperienza della nostra fragilità si cela un’occasione unica: quella di sperimentare la forza del Cristo morto e risorto […]” (3)

“Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”.

È il paradosso del Vangelo: ai miti è promessa in eredità la terra (4) ; Maria, nel Magnificat (5) , esalta la potenza del Signore, che può esprimersi totalmente e definitivamente, nella storia personale e nella storia dell’umanità, proprio nello spazio della piccolezza e della totale fiducia nell’azione di Dio. Commentando questa esperienza di Paolo, Chiara così suggeriva ancora: “[…] la scelta che noi cristiani dobbiamo fare è assolutamente in senso contrario a quella che si fa ordinariamente. Qui si va, veramente, controcorrente. L’ideale di vita del mondo in genere consiste nel successo, nel potere, nel prestigio… Paolo al contrario ci dice che occorre gloriarsi delle debolezze […] Fidiamoci di Dio. Egli opererà sulla nostra debolezza, sul nostro nulla. E quando è Lui che agisce, possiamo star certi che compie opere che valgono, irradiano un bene durevole e vanno incontro alle vere necessità dei singoli e della collettività”.(6)

Letizia Magri

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1 Cfr. 2 Cor 11, 1-7°
2 Cfr. 2 Cor 12, 10
3 Cfr. C. Lubich, La forza del dolore, Città Nuova, 44, [2000], 12, p.7.
4 Cfr. Mt 5,5
5 Cfr. Lc 1, 46-55
6 Cfr. C. Lubich, Dio opera sulla nostra debolezza, Città Nuova, 26, [1982], 11/12, p.59.

Parola di vita – Giugno 2018

Il Vangelo di Matteo apre il racconto della predicazione di Gesù con il sorprendente annuncio delle Beatitudini. In esse, Gesù proclama “beati”, cioè pienamente felici e realizzati, tutti quelli che agli occhi del mondo sono considerati perdenti o sfortunati: gli umili, gli afflitti, i miti, chi ha fame e sete della giustizia, i puri di cuore, chi si adopera per la pace. Ad essi Dio fa grandi promesse: saranno da Lui stesso saziati e consolati, saranno eredi della terra e del Suo regno. E’ dunque una vera rivoluzione culturale, che stravolge la nostra visione spesso chiusa e miope, per la quale queste categorie di persone sono una parte marginale ed insignificante nella lotta per il potere ed il successo.

“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

La pace, nella visione biblica, è il frutto della salvezza che Dio opera, è quindi prima di tutto un Suo dono. E’ una caratteristica di Dio stesso, che ama l’umanità e tutta la creazione con cuore di Padre ed ha su tutti un progetto di concordia e armonia. Per questo, chi si prodiga per la pace dimostra una certa “somiglianza” con Lui, come un figlio.

Scrive Chiara Lubich: “Può essere portatore di pace chi la possiede in se stesso. Occorre essere portatore di pace anzitutto nel proprio comportamento di ogni istante, vivendo in accordo con Dio e la sua volontà. […] «… saranno chiamati figli di Dio». Ricevere un nome significa diventare ciò che il nome esprime. Paolo chiamava Dio «il Dio della pace» e salutando i cristiani diceva loro: «Il Dio della pace sia con tutti voi». Gli operatori di pace manifestano la loro parentela con Dio, agiscono da figli di Dio, testimoniano Dio che […] ha impresso nella società umana l’ordine, che ha come frutto la pace” (1) .

Vivere in pace non è semplicemente assenza di conflitto; non è neanche il quieto vivere, con un certo compromesso sui valori per essere sempre e comunque accettati, anzi è uno stile di vita squisitamente evangelico, che richiede il coraggio di scelte controcorrente. Essere “operatori di pace” è soprattutto creare occasioni di riconciliazione nella propria vita e in quella degli altri, a tutti i livelli: anzitutto con Dio e poi con chi ci sta vicino in famiglia, sul lavoro, a scuola, in parrocchia e nelle associazioni, nelle relazioni sociali ed internazionali. E’ quindi una forma di amore per il prossimo decisiva, una grande opera di misericordia che risana tutti i rapporti.

E’ quello che Jorge, un adolescente del Venezuela, ha deciso di fare nella sua scuola: “Un giorno, alla fine delle lezioni, mi sono accorto che i miei compagni stavano organizzandosi per una manifestazione di protesta, durante la quale erano intenzionati ad usare la violenza, incendiando macchine e gettando pietre. Ho subito pensato che quel comportamento non era in sintonia con il mio stile di vita. Ho proposto allora ai compagni di scrivere una lettera alla direzione della scuola: avremmo così potuto chiedere, in un’altra forma, le stesse cose che loro pensavano di ottenere con la violenza. Con alcuni di loro l’abbiamo stesa e consegnata al direttore”.

“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

In questo tempo appare particolarmente urgente promuovere il dialogo e l’incontro tra persone e gruppi, diversi di per sé per storia, tradizioni culturali, punti di vista, mostrando apprezzamento ed accoglienza per questa varietà e ricchezza. Come ha detto recentemente papa Francesco: “La pace si costruisce nel coro delle differenze … E a partire da queste differenze s’impara dall’altro, come fratelli. Uno è il nostro Padre, noi siamo fratelli. Amiamoci come fratelli. E se discutiamo tra noi, che sia come fratelli, che si riconciliano subito, che tornano sempre a essere fratelli” (2) . Potremo anche impegnarci a conoscere i germogli di pace e fraternità che già rendono le nostre città più aperte ed umane. Prendiamoci cura di essi e facciamoli crescere; contribuiremo così alla guarigione delle fratture e dei conflitti che le attraversano.

Letizia Magri

1 Cfr. C. Lubich, Diffondere pace, Città Nuova, 25, [1981], 2, pp. 42-43.
2 Cfr. Saluto del S. Padre, Incontro con i leader religiosi del Myanmar, 28 novembre 2017.

Parola di vita – Maggio 2018

L’apostolo Paolo scrive ai cristiani della regione della Galazia, che avevano accolto da lui l’annuncio del Vangelo, ma ai quali ora rimprovera di non aver compreso il significato della libertà cristiana. Per il popolo di Israele la libertà è stata un dono di Dio: Egli lo ha strappato alla schiavitù in Egitto, lo ha condotto verso una nuova terra ed ha stipulato con lui un patto di reciproca fedeltà. Allo stesso modo, Paolo afferma con forza che la libertà cristiana è un dono di Gesù. Egli, infatti, ci dona la possibilità di diventare in Lui e come Lui figli di Dio, che è Amore. Anche noi, imitando il Padre come Gesù ci ha insegnato (1) e mostrato (2) con la sua vita, possiamo imparare lo stesso atteggiamento di misericordia verso tutti, mettendoci al servizio degli altri. Per Paolo, questo apparente non-senso della “libertà di servire” è possibile per il dono dello Spirito, che Gesù ha fatto all’umanità con la sua morte in croce. È lo Spirito infatti che ci dà la forza di uscire dalla prigione del nostro egoismo – con il suo carico di divisioni, ingiustizie, tradimenti, violenza – e ci guida verso la vera libertà.

Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.

La libertà cristiana, oltre ad essere un dono, è anche un impegno. L’impegno prima di tutto ad accogliere lo Spirito nel nostro cuore, facendogli spazio e riconoscendo la sua voce in noi. Scriveva Chiara Lubich: […] “Dobbiamo anzitutto renderci sempre più coscienti della presenza dello Spirito Santo in noi: portiamo nel nostro intimo un tesoro immenso; ma non ce ne rendiamo abbastanza conto. […] Poi, affinché la sua voce sia da noi sentita e seguita, dobbiamo dire di no […] alle tentazioni, tagliando corto con le relative suggestioni; sì ai compiti che Dio ci ha affidato; sì all’amore verso tutti i prossimi; sì alle prove e alle difficoltà che incontriamo… Se così faremo lo Spirito Santo ci guiderà dando alla nostra vita cristiana quel sapore, quel vigore, quel mordente, quella luminosità, che non può non avere se è autentica. Allora anche chi è vicino a noi s’accorgerà che non siamo solo figli della nostra famiglia umana, ma figli di Dio”. (3)
Lo Spirito, infatti, ci richiama a spostare noi stessi dal centro delle nostre preoccupazioni per accogliere, ascoltare, condividere i beni materiali e spirituali, perdonare o prenderci cura delle più varie persone nelle diverse situazioni che viviamo quotidianamente. E questo atteggiamento ci permette di sperimentare il tipico frutto dello Spirito: la crescita della nostra stessa umanità verso la vera libertà. Infatti fa emergere e fiorire in noi capacità e risorse che, vivendo ripiegati su noi stessi, rimarrebbero per sempre sepolte e sconosciute. Ogni nostra azione è dunque un’occasione da non perdere per dire no alla schiavitù dell’egoismo e sì alla libertà dell’amore.

Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.

Chi accoglie nel cuore l’azione dello Spirito, contribuisce anche alla costruzione di relazioni umane positive, attraverso tutte le sue attività quotidiane, familiari e sociali. Imprenditore, marito e padre, Carlo Colombino ha un’azienda nel nord Italia.(4) Su sessanta dipendenti, circa un quarto non sono italiani ed alcuni di loro hanno esperienze drammatiche alle spalle. Al giornalista che lo ha intervistato, ha raccontato: “Anche il posto di lavoro può e deve favorire l’integrazione. Mi occupo di attività estrattiva, di riciclo dei materiali edili, ho delle responsabilità verso l’ambiente, il territorio in cui vivo. Qualche anno fa, la crisi ha colpito duramente: salvare l’impresa o le persone? Abbiamo messo in mobilità alcune persone, abbiamo parlato con loro, cercato le soluzioni meno dolorose, ma è stato drammatico, da non dormire di notte. Questo lavoro posso farlo bene o meno bene; provo a farlo al meglio. Credo nel contagio positivo delle idee. L’impresa che pensa solo al fatturato, ai numeri, ha un futuro con il fiato corto: al centro di ogni attività c’è l’uomo. Sono credente e convinto che la sintesi tra impresa e solidarietà non sia un’utopia” (5). Mettiamo dunque in moto con coraggio la nostra personale chiamata alla libertà, nell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo. Permetteremo così allo Spirito di raggiungere e rinnovare anche la vita di tante altre persone intorno a noi, spingendo la storia verso orizzonti di “gioia, pace, magnanimità, benevolenza …”.

Letizia Magri

1 Mt 5,43-48; Lc 6,36
2 Mc 10,45
3 Cfr. C. Lubich, Possediamo un Tesoro, Città Nuova, 44, [2000], 10, p. 7.
4 L’azienda fa parte di Aipec, associazione italiana di imprenditori che aderiscono all’Economia di Comunione, un modello economico fondato sui valori della condivisione e della reciprocità. Vedi anche http://www.edc-online.org
5 Cfr. C. Colombino, Nella mia azienda economia ed etica vanno a braccetto, in Credere, periodici san Paolo, 26 novembre 2017, n° 48, pp.24-28

 

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