Movimento dei Focolari

Parola di vita – Luglio 2018

Nella sua seconda lettera alla comunità di Corinto, l’apostolo Paolo si confronta con alcuni che mettono in discussione la legittimità della sua attività apostolica, ma non si difende elencando i propri meriti e successi. Al contrario, mette in evidenza l’opera che Dio ha compiuto, in lui e tramite lui. Paolo accenna ad una sua esperienza mistica, di profondo rapporto con Dio (1), ma per condividere subito dopo la sua sofferenza per una “spina” che lo tormenta. Non spiega di cosa si tratti esattamente, ma si capisce che è una difficoltà grande, che potrebbe limitarlo nel suo impegno di evangelizzatore. Per questo, confida di aver chiesto a Dio di liberarlo da questo impedimento, ma la risposta che riceve da Dio stesso è sconvolgente: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Tutti facciamo continuamente esperienza delle nostre e altrui fragilità fisiche, psicologiche e spirituali, e vediamo intorno un’umanità spesso sofferente e smarrita. Ci sentiamo deboli e incapaci di risolvere tali difficoltà, persino di affrontarle, limitandoci al massimo a non fare male a nessuno. Questa esperienza di Paolo, invece, ci apre un orizzonte nuovo: riconoscendo ed accettando la nostra debolezza, possiamo abbandonarci pienamente nelle braccia del Padre, che ci ama come siamo e vuole sostenerci nel nostro cammino. Proseguendo questa lettera, infatti afferma ancora: “È quando sono debole che sono forte” (2) . A questo proposito, Chiara Lubich ha scritto: “[…] La nostra ragione si ribella ad una simile affermazione, perché vi vede una lampante contraddizione o semplicemente un ardito paradosso. Invece essa esprime una delle più alte verità della fede cristiana. Gesù ce la spiega con la sua vita e soprattutto con la sua morte. Quando ha compiuto l’Opera che il Padre gli ha affidato? Quando ha redento l’umanità? Quando ha vinto sul peccato? Quando è morto in croce, annientato, dopo aver gridato: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato’. Gesù è stato più forte proprio quando è stato più debole. Gesù avrebbe potuto dare origine al nuovo popolo di Dio con la sua sola predicazione o con qualche miracolo in più o qualche gesto straordinario. Invece no. No, perché la Chiesa è opera di Dio ed è nel dolore e solo nel dolore che fioriscono le opere di Dio. Dunque nella nostra debolezza, nell’esperienza della nostra fragilità si cela un’occasione unica: quella di sperimentare la forza del Cristo morto e risorto […]” (3) “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. È il paradosso del Vangelo: ai miti è promessa in eredità la terra (4) ; Maria, nel Magnificat (5) , esalta la potenza del Signore, che può esprimersi totalmente e definitivamente, nella storia personale e nella storia dell’umanità, proprio nello spazio della piccolezza e della totale fiducia nell’azione di Dio. Commentando questa esperienza di Paolo, Chiara così suggeriva ancora: “[…] la scelta che noi cristiani dobbiamo fare è assolutamente in senso contrario a quella che si fa ordinariamente. Qui si va, veramente, controcorrente. L’ideale di vita del mondo in genere consiste nel successo, nel potere, nel prestigio… Paolo al contrario ci dice che occorre gloriarsi delle debolezze […] Fidiamoci di Dio. Egli opererà sulla nostra debolezza, sul nostro nulla. E quando è Lui che agisce, possiamo star certi che compie opere che valgono, irradiano un bene durevole e vanno incontro alle vere necessità dei singoli e della collettività”.(6) Letizia Magri ________________________________________ 1 Cfr. 2 Cor 11, 1-7° 2 Cfr. 2 Cor 12, 10 3 Cfr. C. Lubich, La forza del dolore, Città Nuova, 44, [2000], 12, p.7. 4 Cfr. Mt 5,5 5 Cfr. Lc 1, 46-55 6 Cfr. C. Lubich, Dio opera sulla nostra debolezza, Città Nuova, 26, [1982], 11/12, p.59. (altro…)

Parola di vita – Giugno 2018

Il Vangelo di Matteo apre il racconto della predicazione di Gesù con il sorprendente annuncio delle Beatitudini. In esse, Gesù proclama “beati”, cioè pienamente felici e realizzati, tutti quelli che agli occhi del mondo sono considerati perdenti o sfortunati: gli umili, gli afflitti, i miti, chi ha fame e sete della giustizia, i puri di cuore, chi si adopera per la pace. Ad essi Dio fa grandi promesse: saranno da Lui stesso saziati e consolati, saranno eredi della terra e del Suo regno. E’ dunque una vera rivoluzione culturale, che stravolge la nostra visione spesso chiusa e miope, per la quale queste categorie di persone sono una parte marginale ed insignificante nella lotta per il potere ed il successo. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. La pace, nella visione biblica, è il frutto della salvezza che Dio opera, è quindi prima di tutto un Suo dono. E’ una caratteristica di Dio stesso, che ama l’umanità e tutta la creazione con cuore di Padre ed ha su tutti un progetto di concordia e armonia. Per questo, chi si prodiga per la pace dimostra una certa “somiglianza” con Lui, come un figlio. Scrive Chiara Lubich: “Può essere portatore di pace chi la possiede in se stesso. Occorre essere portatore di pace anzitutto nel proprio comportamento di ogni istante, vivendo in accordo con Dio e la sua volontà. […] «… saranno chiamati figli di Dio». Ricevere un nome significa diventare ciò che il nome esprime. Paolo chiamava Dio «il Dio della pace» e salutando i cristiani diceva loro: «Il Dio della pace sia con tutti voi». Gli operatori di pace manifestano la loro parentela con Dio, agiscono da figli di Dio, testimoniano Dio che […] ha impresso nella società umana l’ordine, che ha come frutto la pace” (1) . Vivere in pace non è semplicemente assenza di conflitto; non è neanche il quieto vivere, con un certo compromesso sui valori per essere sempre e comunque accettati, anzi è uno stile di vita squisitamente evangelico, che richiede il coraggio di scelte controcorrente. Essere “operatori di pace” è soprattutto creare occasioni di riconciliazione nella propria vita e in quella degli altri, a tutti i livelli: anzitutto con Dio e poi con chi ci sta vicino in famiglia, sul lavoro, a scuola, in parrocchia e nelle associazioni, nelle relazioni sociali ed internazionali. E’ quindi una forma di amore per il prossimo decisiva, una grande opera di misericordia che risana tutti i rapporti. E’ quello che Jorge, un adolescente del Venezuela, ha deciso di fare nella sua scuola: “Un giorno, alla fine delle lezioni, mi sono accorto che i miei compagni stavano organizzandosi per una manifestazione di protesta, durante la quale erano intenzionati ad usare la violenza, incendiando macchine e gettando pietre. Ho subito pensato che quel comportamento non era in sintonia con il mio stile di vita. Ho proposto allora ai compagni di scrivere una lettera alla direzione della scuola: avremmo così potuto chiedere, in un’altra forma, le stesse cose che loro pensavano di ottenere con la violenza. Con alcuni di loro l’abbiamo stesa e consegnata al direttore”. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. In questo tempo appare particolarmente urgente promuovere il dialogo e l’incontro tra persone e gruppi, diversi di per sé per storia, tradizioni culturali, punti di vista, mostrando apprezzamento ed accoglienza per questa varietà e ricchezza. Come ha detto recentemente papa Francesco: “La pace si costruisce nel coro delle differenze … E a partire da queste differenze s’impara dall’altro, come fratelli. Uno è il nostro Padre, noi siamo fratelli. Amiamoci come fratelli. E se discutiamo tra noi, che sia come fratelli, che si riconciliano subito, che tornano sempre a essere fratelli” (2) . Potremo anche impegnarci a conoscere i germogli di pace e fraternità che già rendono le nostre città più aperte ed umane. Prendiamoci cura di essi e facciamoli crescere; contribuiremo così alla guarigione delle fratture e dei conflitti che le attraversano. Letizia Magri 1 Cfr. C. Lubich, Diffondere pace, Città Nuova, 25, [1981], 2, pp. 42-43. 2 Cfr. Saluto del S. Padre, Incontro con i leader religiosi del Myanmar, 28 novembre 2017. (altro…)

Parola di vita – Maggio 2018

L’apostolo Paolo scrive ai cristiani della regione della Galazia, che avevano accolto da lui l’annuncio del Vangelo, ma ai quali ora rimprovera di non aver compreso il significato della libertà cristiana. Per il popolo di Israele la libertà è stata un dono di Dio: Egli lo ha strappato alla schiavitù in Egitto, lo ha condotto verso una nuova terra ed ha stipulato con lui un patto di reciproca fedeltà. Allo stesso modo, Paolo afferma con forza che la libertà cristiana è un dono di Gesù. Egli, infatti, ci dona la possibilità di diventare in Lui e come Lui figli di Dio, che è Amore. Anche noi, imitando il Padre come Gesù ci ha insegnato (1) e mostrato (2) con la sua vita, possiamo imparare lo stesso atteggiamento di misericordia verso tutti, mettendoci al servizio degli altri. Per Paolo, questo apparente non-senso della “libertà di servire” è possibile per il dono dello Spirito, che Gesù ha fatto all’umanità con la sua morte in croce. È lo Spirito infatti che ci dà la forza di uscire dalla prigione del nostro egoismo – con il suo carico di divisioni, ingiustizie, tradimenti, violenza – e ci guida verso la vera libertà. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. La libertà cristiana, oltre ad essere un dono, è anche un impegno. L’impegno prima di tutto ad accogliere lo Spirito nel nostro cuore, facendogli spazio e riconoscendo la sua voce in noi. Scriveva Chiara Lubich: […] “Dobbiamo anzitutto renderci sempre più coscienti della presenza dello Spirito Santo in noi: portiamo nel nostro intimo un tesoro immenso; ma non ce ne rendiamo abbastanza conto. […] Poi, affinché la sua voce sia da noi sentita e seguita, dobbiamo dire di no […] alle tentazioni, tagliando corto con le relative suggestioni; sì ai compiti che Dio ci ha affidato; sì all’amore verso tutti i prossimi; sì alle prove e alle difficoltà che incontriamo… Se così faremo lo Spirito Santo ci guiderà dando alla nostra vita cristiana quel sapore, quel vigore, quel mordente, quella luminosità, che non può non avere se è autentica. Allora anche chi è vicino a noi s’accorgerà che non siamo solo figli della nostra famiglia umana, ma figli di Dio”. (3) Lo Spirito, infatti, ci richiama a spostare noi stessi dal centro delle nostre preoccupazioni per accogliere, ascoltare, condividere i beni materiali e spirituali, perdonare o prenderci cura delle più varie persone nelle diverse situazioni che viviamo quotidianamente. E questo atteggiamento ci permette di sperimentare il tipico frutto dello Spirito: la crescita della nostra stessa umanità verso la vera libertà. Infatti fa emergere e fiorire in noi capacità e risorse che, vivendo ripiegati su noi stessi, rimarrebbero per sempre sepolte e sconosciute. Ogni nostra azione è dunque un’occasione da non perdere per dire no alla schiavitù dell’egoismo e sì alla libertà dell’amore. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Chi accoglie nel cuore l’azione dello Spirito, contribuisce anche alla costruzione di relazioni umane positive, attraverso tutte le sue attività quotidiane, familiari e sociali. Imprenditore, marito e padre, Carlo Colombino ha un’azienda nel nord Italia.(4) Su sessanta dipendenti, circa un quarto non sono italiani ed alcuni di loro hanno esperienze drammatiche alle spalle. Al giornalista che lo ha intervistato, ha raccontato: “Anche il posto di lavoro può e deve favorire l’integrazione. Mi occupo di attività estrattiva, di riciclo dei materiali edili, ho delle responsabilità verso l’ambiente, il territorio in cui vivo. Qualche anno fa, la crisi ha colpito duramente: salvare l’impresa o le persone? Abbiamo messo in mobilità alcune persone, abbiamo parlato con loro, cercato le soluzioni meno dolorose, ma è stato drammatico, da non dormire di notte. Questo lavoro posso farlo bene o meno bene; provo a farlo al meglio. Credo nel contagio positivo delle idee. L’impresa che pensa solo al fatturato, ai numeri, ha un futuro con il fiato corto: al centro di ogni attività c’è l’uomo. Sono credente e convinto che la sintesi tra impresa e solidarietà non sia un’utopia” (5). Mettiamo dunque in moto con coraggio la nostra personale chiamata alla libertà, nell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo. Permetteremo così allo Spirito di raggiungere e rinnovare anche la vita di tante altre persone intorno a noi, spingendo la storia verso orizzonti di “gioia, pace, magnanimità, benevolenza …”.

Letizia Magri

1 Mt 5,43-48; Lc 6,36
2 Mc 10,45
3 Cfr. C. Lubich, Possediamo un Tesoro, Città Nuova, 44, [2000], 10, p. 7.
4 L’azienda fa parte di Aipec, associazione italiana di imprenditori che aderiscono all’Economia di Comunione, un modello economico fondato sui valori della condivisione e della reciprocità. Vedi anche http://www.edc-online.org
5 Cfr. C. Colombino, Nella mia azienda economia ed etica vanno a braccetto, in Credere, periodici san Paolo, 26 novembre 2017, n° 48, pp.24-28

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Parola di vita – Aprile 2018

Questa frase di Gesù fa parte di un lungo dialogo con la folla che ha visto il segno della moltiplicazione dei pani e lo segue, forse soltanto per ricevere da lui ancora qualche aiuto materiale. Gesù, partendo dal loro bisogno immediato, porta piano piano il discorso sulla sua missione: è stato inviato dal Padre per dare agli uomini la vera vita, quella eterna, e cioè la stessa vita di Dio, che è Amore. Egli, camminando sulle strade della Palestina, si fa vicino a quanti incontra, non si sottrae alle richieste di cibo, di acqua, di risanamento, di perdono; anzi condivide ogni necessità e ridà speranza a ognuno. Per questo può chiedere poi un passo ulteriore, può invitare chi lo ascolta ad accogliere la vita che ci offre, ad entrare in relazione con Lui, a dargli fiducia, ad avere fede in Lui. Commentando proprio questa frase del Vangelo, Chiara Lubich ha scritto: “Gesù qui risponde all’aspirazione più profonda dell’uomo. L’uomo è stato creato per la vita; la cerca con tutte le sue forze. Ma il suo grande errore è di cercarla nelle creature, nelle cose create, le quali, essendo limitate e passeggere, non possono dare una vera risposta all’aspirazione dell’uomo. … Gesù solo può saziare la fame dell’uomo. Soltanto Lui può darci la vita che non muore, perché Lui è la Vita”1. “In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna”. La fede cristiana è prima di tutto il frutto di un incontro personale con Dio, con Gesù, che non desidera altro che farci partecipare alla sua stessa vita. La fede in Gesù è aderire al suo esempio di non vivere ripiegati su noi stessi, sulle nostre paure, sui nostri programmi limitati, ma piuttosto di riversare la nostra attenzione sulle necessità degli altri: necessità concrete come la povertà, la malattia, l’emarginazione, ma soprattutto il bisogno di ascolto, di condivisione, di accoglienza. In questo modo potremo comunicare agli altri, con la nostra vita, lo stesso amore ricevuto come dono di Dio. E per fortificare il nostro cammino, Egli ci ha lasciato anche il grande dono dell’Eucaristia, segno di un amore che dona se stesso per far vivere l’altro. “In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna”. Quante volte, durante la nostra giornata, diamo fiducia alle persone intorno a noi: all’insegnante che istruisce i nostri figli, al tassista che deve portarci a destinazione, al medico che deve curarci … Non si può vivere senza fiducia, ed essa si consolida con la conoscenza, l’amicizia, il rapporto approfondito nel tempo. Come vivremo allora la Parola di vita di questo mese? Continuando il suo commento, Chiara ci invita a ravvivare la nostra scelta ed adesione totale a Gesù: “ … E sappiamo ormai quale è la via per arrivarvi: … metter in pratica, con particolare impegno, quelle sue parole che ci ricordano le varie circostanze della vita. Per esempio: incontriamo un prossimo? “Ama il prossimo tuo come te stesso” (cf Mt 22,39). Abbiamo un dolore? “Chi vuol venire dietro a me… porti la sua croce” (cf Mt 16,24), ecc. Allora le parole di Gesù si illumineranno e Gesù entrerà in noi con la sua verità, la sua forza ed il suo amore. La nostra vita sarà sempre più un vivere con Lui, un fare tutto assieme a Lui. Ed anche la morte fisica, che ci attende, non potrà più spaventarci, perché con Gesù ha già avuto inizio in noi la vera vita, la vita che non muore”.2 Letizia Magri 1 C. Lubich, La vera vita, Città Nuova, 35, [1991], 14, p. 32. (altro…)

Parola di vita – Marzo 2018

Il re e profeta Davide, autore di questo salmo, è oppresso dall’angoscia e dalla povertà e si sente in pericolo di fronte ai suoi nemici. Vorrebbe trovare una strada per uscire da questa situazione dolorosa, ma sperimenta la sua impotenza. Allora alza gli occhi verso il Dio di Israele, che da sempre custodisce il suo popolo e lo invoca con speranza perché venga in suo aiuto. La Parola di vita di questo mese sottolinea, in particolare, la sua richiesta di conoscere le vie e i sentieri del Signore, come luce per le proprie scelte, soprattutto nei momenti difficili. “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri”. Anche a noi capita di dover fare scelte decisive per la nostra vita, che impegnano la coscienza e tutta la nostra persona; a volte abbiamo tante possibili strade davanti a noi e siamo incerti su quale sia la migliore, altre volte ci sembra di non averne nessuna …. Cercare una via per andare avanti è profondamente umano, e a volte abbiamo bisogno di chiedere aiuto a chi consideriamo amico. La fede cristiana ci fa entrare nell’amicizia con Dio: Egli è il Padre che ci conosce intimamente e ama accompagnarci nel nostro cammino. Egli ogni giorno invita ciascuno di noi ad entrare liberamente in un’avventura, avendo come bussola l’amore disinteressato verso Lui e tutti i suoi figli. Le strade, i sentieri sono anche occasioni di incontro con altri viaggiatori, di scoperta di nuove mete da condividere. Il cristiano non è mai una persona isolata, ma fa parte di un popolo in cammino verso il disegno di Dio Padre sull’umanità, che Gesù ci ha rivelato, con le sue parole e tutta la sua vita: la fraternità universale, la civiltà dell’amore. “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri”. E le vie del Signore sono audaci, a volte sembrano al limite delle nostre possibilità, come i ponti di corda gettati tra le pareti delle rocce. Esse sfidano abitudini egoistiche, pregiudizi, falsa umiltà e ci aprono orizzonti di dialogo, incontro, impegno per il bene comune. Soprattutto ci richiedono un amore sempre nuovo, stabilito sulla roccia dell’amore e della fedeltà di Dio per noi, capace di arrivare fino al perdono. Esso è la condizione irrinunciabile per costruire relazioni di giustizia e di pace tra le persone e tra i popoli. Anche la testimonianza di un gesto d’amore semplice, ma autentico, può illuminare la strada nel cuore degli altri. In Nigeria, durante un incontro in cui giovani e adulti potevano condividere le esperienze personali di amore evangelico, Maya, una bambina, ha raccontato: “Ieri, mentre stavamo giocando, un bambino mi ha spinta e sono caduta. Mi ha detto “scusa” e l’ho perdonato”. Queste parole hanno aperto il cuore di un uomo il cui padre era stato ucciso da Boko Haram: “Ho guardato Maya. Se lei, che è una bambina, può perdonare significa che anche io posso fare altrettanto”. “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri”. Se vogliamo affidarci ad una guida sicura nel nostro cammino, ricordiamo che proprio Gesù ha detto di sé: “Io sono la Via …”(Gv 14,6). Rivolgendosi ai giovani riuniti a Santiago di Compostela, per la Giornata mondiale della gioventù del 1989, Chiara Lubich li ha incoraggiati con queste parole: “[…] Definendo se stesso come “la Via”, ha voluto dire che dobbiamo camminare come ha camminato lui […]. Si può dire che la via percorsa da Gesù ha un nome: amore […] L’amore che Gesù ha vissuto ed ha portato è un amore speciale ed unico. […] E’ l’amore stesso che arde in Dio. […] Ma amare chi? Amare Dio certamente è il primo nostro dovere. Poi: amare ogni prossimo. […] Dal mattino alla sera, ogni rapporto con gli altri va vissuto con quest’amore. In casa, all’università, al lavoro, nei campi sportivi, in vacanza, in chiesa, per strada, dobbiamo cogliere le varie occasioni per amare gli altri come noi stessi, vedendo Gesù in loro, non trascurando nessuno, anzi amando tutti per primi. […] Entrare più profondamente possibile nell’animo dell’altro; capire veramente i suoi problemi, le sue esigenze, i suoi guai e anche le sue gioie, per poter condividere con lui ogni cosa. […] Farsi, in certo modo, l’altro. Come Gesù che, Dio, si è fatto, per amore, uomo come noi. Così il prossimo si sente compreso e sollevato, perché c’è chi porta con lui i suoi pesi, le sue pene e condivide le sue piccole felicità. “Vivere l’altro”, “vivere gli altri”: questo è un grande ideale, questo è superlativo […]”. Letizia Magri (altro…)

Parola di Vita – Febbraio 2018

L’apostolo Giovanni scrive il Libro dell’Apocalisse per consolare ed incoraggiare i cristiani del suo tempo, di fronte alle persecuzioni che in quel momento si erano diffuse. Questo libro, ricco di immagini simboliche, rivela infatti la visione di Dio sulla storia e il compimento finale: la Sua vittoria definitiva su ogni potenza del male. Questo Libro è la celebrazione di una meta, di un fine pieno e glorioso che Dio destina all’umanità. E’ la promessa della liberazione da ogni sofferenza: Dio stesso «asciugherà ogni lacrima (…) e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4). “A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita”.1 Questa prospettiva ha i suoi germogli nel presente, per chiunque ha già cominciato a vivere nella ricerca sincera di Dio e della sua Parola che ci manifesta i Suoi progetti; per chi sente ardere in sé la sete di verità, di giustizia, di fraternità. Provare sete, essere alla ricerca, è per Dio una caratteristica positiva, un buon inizio ed Egli ci promette addirittura la fonte della vita. L’acqua che Dio promette è offerta gratuitamente. Dunque è offerta non solo a chi spera di essere gradito ai Suoi occhi per i propri sforzi, ma a chiunque sente il peso della propria fragilità e si abbandona al Suo amore, sicuro di essere risanato e di trovare così la vita piena, la felicità. Chiediamoci dunque: di che cosa abbiamo sete? E a quali sorgenti andiamo a dissetarci? “A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita”. Forse abbiamo sete di essere accettati, di avere un posto nella società, di realizzare i nostri progetti… Aspirazioni legittime, che possono spingerci però ai pozzi inquinati dell’egoismo, della chiusura sugli interessi personali, fino alla sopraffazione sui più deboli. Le popolazioni che soffrono per la scarsità di pozzi con acqua pura conoscono bene le conseguenze disastrose della mancanza di questa risorsa, indispensabile per garantire vita e salute. Eppure, scavando più a fondo nel nostro cuore, troveremo un’altra sete, che Dio stesso vi ha messo: vivere la vita come un dono ricevuto e da donare. Attingiamo dunque alla fonte pura del Vangelo, liberandoci da quei detriti che forse la ricoprono, e lasciamoci trasformare a nostra volta in sorgenti di amore generoso, accogliente e gratuito per gli altri, senza fermarci di fronte alle inevitabili difficoltà del cammino. “A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita” Quando poi tra cristiani realizziamo il comandamento dell’amore reciproco, permettiamo a Dio di intervenire in maniera tutta particolare, come scrive Chiara Lubich: “Ogni attimo in cui cerchiamo di vivere il Vangelo è una goccia di quell’acqua viva che beviamo. Ogni gesto d’amore per il nostro prossimo è un sorso di quell’acqua. Sì, perché quell’acqua così viva e preziosa ha questo di speciale, che zampilla nel nostro cuore ogniqualvolta l’apriamo all’amore verso tutti. E’ una sorgente -quella di Dio -che dona acqua nella misura in cui la sua vena profonda serve a dissetare gli altri, con piccoli o grandi atti di amore. E se continuiamo a dare, questa fontana di pace e di vita darà acqua sempre più abbondante, senza mai prosciugarsi. E c’è anche un altro segreto che Gesù ci ha rivelato, una specie di pozzo senza fondo a cui attingere. Quando due o tre si uniscono nel suo nome, amandosi dello stesso suo amore, Lui è in mezzo a loro. Ed è allora che ci sentiamo liberi, pieni di luce, e torrenti di acqua viva sgorgano dal nostro seno. E’ la promessa di Gesù che si avvera perché è da lui stesso, presente in mezzo a noi, che zampilla acqua che disseta per l’eternità”.2

Letizia Magri

(1) Nel mese di febbraio proponiamo questa Parola di Dio, che un gruppo di fratelli e sorelle di varie Chiese ha scelto in Germania, da vivere lungo tutto l’anno. (2) Cfr. C. Lubich, La fonte della vita, Città Nuova, 46, [2002], 4, p. 7.

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