Dic 31, 2007 | Parola di Vita
Quest’anno la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” celebra il suo centenario. L'”Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani” fu celebrato per la prima volta dal 18 al 25 gennaio nel 1908. Sessant'anni più tardi, nel 1968, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani fu preparata congiuntamente dalla Commissione Fede e Costituzione (Consiglio Ecumenico delle Chiese) e dal Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani (Chiesa cattolica). Così da allora ogni anno è prassi comune ritrovarsi insieme, cristiani cattolici e di varie Chiese, per preparare un libretto con i suggerimenti per la celebrazione della Settimana di preghiera.
La Parola, scelta quest’anno da un vasto gruppo ecumenico degli Stati Uniti, è tratta dalla prima lettera di san Paolo ai cristiani di Tessalonica, in Grecia. Era una comunità piccola, giovane e Paolo sentiva il bisogno che l’unità tra i membri fosse sempre più salda. Per questo li invitava a “vivere in pace”, ad essere pazienti con tutti, a non rendere male per male ma a fare il bene gli uni agli altri e a tutti, ed anche a “pregare incessantemente”, quasi a sottolineare che la vita d’unità nella comunità cristiana è possibile solo attraverso una vita di preghiera. Gesù stesso ha pregato il Padre per l’unità dei suoi: “Che siano tutti una cosa sola” .
“Pregate continuamente”
Perché “pregare sempre”? Perché la preghiera è essenziale alla persona in quanto essere umano. Siamo stati creati ad immagine di Dio, come un “tu” di Dio, in grado di essere in rapporto di comunione con Lui. La relazione d’amicizia, il colloquio spontaneo, semplice e vero con Lui – questa è la preghiera – è dunque costitutivo del nostro essere, ci consente di diventare persone autentiche, nella piena dignità di figli e figlie di Dio.
Creati come un “tu” di Dio, possiamo vivere in costante rapporto con Lui, col cuore riempito di amore dallo Spirito Santo e con la confidenza che si ha verso il proprio Padre: quella confidenza che porta a parlargli spesso, a esporgli tutte le nostre cose, i nostri pensieri, i nostri progetti; quella confidenza che fa attendere con impazienza il momento dedicato alla preghiera – ritagliato nella giornata da altri impegni di lavoro, di famiglia – per mettersi in contatto profondo con Colui dal quale sappiamo di essere amati.
Occorre “pregare sempre” non soltanto per le nostre necessità, ma anche per concorrere a edificare il Corpo di Cristo e concorrere alla piena e visibile comunione nella Chiesa di Cristo. È questo un mistero che possiamo un po’ intuire pensando ai vasi comunicanti. Quando s’introduce nuova acqua in uno di essi, il livello del liquido si alza in tutti. Lo stesso avviene quando uno prega. La preghiera è un’elevazione dell’anima a Dio per adorarlo e ringraziarlo. Analogamente quando uno si eleva, si elevano pure gli altri.
“Pregate continuamente”
Come fare a “pregare continuamente”, specialmente quando ci troviamo nel vortice del vivere quotidiano?
“Pregare sempre” non significa moltiplicare gli atti di preghiera, ma orientare l’anima e la vita verso Dio, vivere compiendo la sua volontà: studiare, lavorare, soffrire, riposare e, anche, morire per Lui. Al punto da non riuscire più a vivere nel quotidiano senza essersi accordati con Lui.
Il nostro agire si trasforma così in un’azione sacra e l’intera giornata diventa una preghiera.
Ci può aiutare l'offrire a Dio ogni azione, accompagnandola con un: “Per te, Gesù”; o, nelle difficoltà, “Che importa? Amarti importa”. Così tutto trasformeremo in un atto d’amore. E la preghiera sarà continua, perché continuo sarà l’amore.
Chiara Lubich
Nov 30, 2007 | Parola di Vita
Queste parole concludono un'ampia sezione della Lettera ai Romani, nella quale san Paolo ci presenta la vita cristiana come una vita di amore verso i nostri fratelli e sorelle. E' questo infatti il nuovo culto spirituale che il cristiano è chiamato ad offrire a Dio sotto la guida dello Spirito Santo , che per primo lo suscita nei cuori.
Riassumendo il contenuto di questa sezione, l'apostolo afferma che l'amore del prossimo ci fa attuare la volontà di Dio, contenuta nella Legge (cioè nei comandamenti), pienamente, perfettamente. L'amore verso i nostri fratelli e sorelle è il modo più bello, più autentico di dimostrare il nostro amore verso Dio.
“Pieno compimento della legge è l'amore”
Ma in che cosa consiste concretamente questa pienezza e perfezione? Lo si ricava dai versetti precedenti, nei quali l'apostolo ci descrive le varie espressioni e gli effetti di questo amore.
Innanzitutto il vero amore del prossimo non opera alcun male . Ci fa quindi vivere tutti i comandamenti di Dio, nessuno escluso, giacché il loro primo obiettivo è quello di farci evitare tutte le forme di male, verso noi stessi e verso i nostri fratelli e sorelle, in cui potremmo cadere.
Oltre a non fare alcun male, poi, questo amore ci spinge a compiere tutto il bene, di cui il prossimo ha bisogno .
Questa Parola ci spinge ad un amore solidale e sensibile alle necessità, aspettative, diritti legittimi dei nostri fratelli e sorelle; ad un amore rispettoso della dignità umana e cristiana; ad un amore puro, comprensivo, capace di condivisione, aperto a tutti, come ci ha insegnato Gesù.
Questo amore non è possibile senza essere disposti ad uscire dal nostro individualismo e dalla nostra autosufficienza. Perciò questa Parola ci aiuta a superare tutte quelle tendenze egoistiche (superbia, avarizia, lussuria, ambizione, vanità, ecc.), che portiamo dentro di noi e che ne costituiscono il principale ostacolo .
“Pieno compimento della legge è l'amore”
Come vivremo allora la Parola di vita in questo mese di Natale? Tenendo presenti le varie esigenze dell'amore del prossimo alle quali essa ci richiama.
In primo luogo eviteremo di fare il male al prossimo in tutte le sue forme. Porremo una costante attenzione ai comandamenti di Dio relativi alla nostra vocazione, alla nostra attività professionale, all'ambiente in cui viviamo. La prima condizione per attuare l'amore cristiano è quella di non andare mai contro i comandamenti di Dio.
Inoltre faremo attenzione a quello che costituisce l'anima, il movente, l'obiettivo di tutti i comandamenti. Ognuno di essi, come si è visto, vuole portarci ad un amore sempre più vigile, sempre più delicato e rispettoso, sempre più concreto verso i nostri fratelli.
Nello stesso tempo svilupperemo in noi lo spirito di distacco da noi stessi, il superamento dei nostri egoismi, che è conseguente all'attuare l'amore cristiano.
Così compiremo la volontà di Dio “pienamente”; Gli dimostreremo il nostro amore nel modo a Lui più gradito .
“Pieno compimento della legge è l'amore”
È stata un’esperienza di un avvocato che lavora presso il Ministero del Lavoro. “Un giorno – racconta – presento al proprietario di un’impresa la denuncia che gli operai non sono stati pagati secondo le normative vigenti. Dopo quattordici giorni d’incessante ricerca, trovo i documenti che testimoniano le irregolarità. Chiedo a Gesù la forza di essere fedele alle sue parole che mi vogliono nella verità e insieme strumento del suo amore.
Il proprietario, davanti alle prove, si difende dicendo che certe leggi gli sembrano ingiuste. Gli faccio notare che i nostri sbagli non possono essere giustificati dalle incoerenze degli altri. Dalla conversazione che ne segue capisco che ha le mie stesse esigenze di giustizia e uguaglianza, ma si era lasciato coinvolgere dall’ambiente.
Alla fine mi dice: 'Lei avrebbe potuto umiliarmi e schiacciarmi, ma non l’ha fatto. Per questo ho il dovere morale di ricominciare'. Lo attende però un impegno immediato e non c’è il tempo per stendere l’atto d’infrazione. Allora prende un foglio e lo firma in bianco e mi dà la prova che è subito disposto a cambiare”.
Chiara Lubich
Ott 31, 2007 | Parola di Vita
Il cammino di quarant’anni nel deserto è stato, per il popolo di Israele, un tempo di prova e di grazia. Dio gli ha purificato il cuore e gli ha mostrato il suo immenso amore.
Ora che sta per entrare nella terra promessa, Mosè rievoca l’esperienza vissuta. In modo particolare ricorda il dono più grande che insieme hanno ricevuto, la legge di Dio, riassunta nei Dieci Comandamenti, e invita tutti a metterla in pratica.
Mentre espone gli insegnamenti di Dio, Mosè rimane incantato da come Egli si è fatto vicino al suo popolo, si è preso cura di lui, gli ha insegnato norme di vita tanto sapienti, ed esclama:
“Qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione…?”
Dio ha inscritto la sua legge nel cuore di ogni persona ed ha parlato a tutti i popoli in modi diversi e in tempi diversi. Tutti gli uomini possono gioire dell’amore che Lui ha mostrato verso ognuno di loro. Ma non sempre è facile cogliere il disegno di Dio sull’umanità. Per questo Dio ha scelto un piccolo popolo, quello di Israele, per svelare più chiaramente il suo piano. Infine ha mandato il Figlio suo, Gesù, che ha rivelato in pienezza il volto di Dio manifestandolo Amore e condensando la sua legge nell’unico comando dell’amore verso Dio e verso il prossimo.
La grandezza di un popolo e di ogni uomo si esprime nell’aderire alla legge di Dio con il proprio personale “sì”.
Adesione che non è una sovrastruttura artificiale, né tanto meno un’alienazione; non è rassegnarsi ad una sorte più o meno buona, e neppure subire una fatalità, quasi si pensasse: così è stabilito, così deve essere, è inevitabile.
No, è quanto di meglio si possa pensare per l’uomo. È cooperare a far emergere il grande disegno che Dio ha su di lui e sull’umanità intera: fare di essa una sola famiglia, unita dall’amore, e portarla a vivere la sua stessa vita divina.
Anche noi possiamo allora esclamare, come Mosè:
“Qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione…?”
Come vivere, durante il mese, questa Parola di vita?
Andando al cuore della legge divina che Gesù ha sintetizzato nell’unico precetto dell’amore.
E se passiamo in rassegna i Dieci Comandamenti donatici da Dio nell’Antico Testamento, possiamo costatare che amando veramente Dio e il prossimo, li osserviamo tutti e alla perfezione.
Non è forse vero che chi ama Dio non può ammettere altri dèi nel suo cuore?
Che chi ama Dio dice il Suo nome con sacralità e non invano?
Che chi ama è felice di poter dedicare almeno un giorno alla settimana a Colui che più ama?
Non è forse vero che chi ama ogni prossimo non può non amare i propri genitori? Non è evidente che chi ama gli altri non si mette nelle condizioni di derubarli, né di ucciderli, né di approfittarsi di loro per i propri piaceri egoistici, né di testimoniare il falso contro di loro?
Non è forse vero ancora che il suo cuore è già pieno e soddisfatto e non sente certo il desiderio dei beni e delle creature degli altri?
È così: chi ama non commette peccato, osserva tutta la legge di Dio.
Ne ho avuto esperienza varie volte nei miei viaggi a contatto con popoli ed etnie diverse. Ricordo soprattutto la forte impressione che mi ha lasciato il popolo Bangwa a Fontem, in Camerun, quando nel 2000 ha accolto in modo nuovo l’invito ad amare.
Durante la giornata, di tanto in tanto, domandiamoci se le nostre azioni sono informate dall’amore. Se è così la nostra vita non sarà vana, ma un contributo al compimento del disegno di Dio sull’umanità.
Chiara Lubich
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Set 30, 2007 | Parola di Vita
Sì, occorre parlare, a tutti, sempre!
Tante volte la Parola di vita ci invita a vivere, a essere l’amore. Ma occorre anche trasmettere ad altri la Parola, annunciarla, comunicarla, fino a coinvolgerli in una vita di donazione, di fraternità.
Sono state le ultime parole di Gesù: “Andate in tutto il mondo, annunciate il vangelo…” .
Era questa la passione che spingeva Paolo a viaggiare per il mondo allora conosciuto e a rivolgersi a persone di culture e di fedi differenti: “Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!” .
Facendosi eco delle parole di Gesù e forte della sua stessa esperienza, Paolo raccomanda anche al suo fedele discepolo, Timoteo, e a ciascuno di noi:
“Annunzia la parola…”
Perché il parlare sia efficace occorre prima – quando è possibile – costruire un rapporto con le persone a cui ci si rivolge.
Anche quando non si può parlare con la bocca, lo si può sempre col cuore. A volte la parola può esprimersi solo in un silenzio rispettoso, con un sorriso, oppure nell’interessamento al mondo dell’altro, ai suoi interessi, ai suoi problemi, con un chiamare l’altro per nome, in modo che avverta che lui o lei è importante per noi. E lo è realmente: l’altro non ci è mai indifferente.
Queste parole senza rumore, se indovinate, non possono non aprire un varco nei cuori e spesso l’altro si interessa di me e mi domanda. Ecco allora il momento dell’annuncio. Non bisogna attendere, occorre parlare chiaramente, dire anche poche parole, ma parlare e comunicare il perché della nostra vita cristiana.
“Annunzia la parola…”
Come vivere questa Parola di vita e dire anche solo col nostro passaggio, il Vangelo? come donarlo a tutti?
Amando ognuno, senza distinzione.
Se saremo cristiani autentici, vivendo quanto il Vangelo insegna, le nostre non saranno parole vuote.
L’annuncio sarà ancora più luminoso se sapremo testimoniare il cuore del Vangelo, l’unità tra di noi, consapevoli che “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” .
E' questo l’abito dei cristiani comuni che, uomini e donne, sposati o no, adulti e bambini, ammalati o sani possono indossare per testimoniare dovunque e sempre, con la propria vita, Colui nel quale credono, Colui che vogliono amare.
Chiara Lubich
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Ago 31, 2007 | Parola di Vita
“Tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza” (1 Tim 6, 11).
Come fare a vivere tutte queste virtù nel nostro quotidiano?
Forse potrà sembrare difficile attuarle una per una. Perché allora non vivere il presente con la radicalità dell’amore? Se uno vive il presente nella volontà di Dio, Dio vive in lui e se Dio è in lui, in lui è la carità.
Chi vive il presente, secondo le circostanze, è paziente, è perseverante, è mite, è povero di tutto, è puro, è misericordioso perché ha l’amore nella sua espressione più alta e genuina; ama veramente Dio con tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze; è illuminato interiormente, è guidato dallo Spirito Santo e quindi non giudica, non pensa male, ama il prossimo come se stesso, ha la forza della pazzia evangelica di “porgere l’altra guancia”, di “andare per due miglia…” .
“Tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”.
L’esortazione è rivolta a Timoteo, fedele collaboratore di Paolo, suo compagno di viaggio e amico, confidente fino a diventare come un figlio. “Tu, uomo di Dio – gli scrive l’apostolo dopo aver denunciato orgoglio, invidie, litigi, attaccamento al denaro – fuggi queste cose”, e lo invita a tendere ad una vita dove risplendono le virtù umane e cristiane.
In queste parole riecheggia l’impegno assunto al momento del battesimo di rinunciare al male (“fuggi”) e di aderire al bene (“tendi”). Dallo Spirito Santo viene la radicale trasformazione e la capacità e la forza per attuare l’esortazione di Paolo:
“Tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”.
L’esperienza vissuta col primo gruppo di ragazze che a Trento nel 1944 diede vita al focolare, lascia intuire come si può vivere la Parola di vita, soprattutto la carità, la pazienza, la mitezza.
Specie agli inizi non era sempre facile vivere la radicalità dell’amore. Anche fra noi, sui nostri rapporti, poteva posarsi della polvere, e l’unità poteva illanguidire. Ciò accadeva, ad esempio, quando ci si accorgeva dei difetti, delle imperfezioni degli altri e li si giudicava, per cui la corrente d’amore scambievole si raffreddava.
Per reagire a questa situazione abbiamo pensato un giorno di stringere un patto fra noi e lo abbiamo chiamato “patto di misericordia”.
Si decise di vedere ogni mattina il prossimo che incontravamo – in focolare, a scuola, al lavoro, ecc. -, nuovo, nuovissimo, non ricordandoci affatto dei suoi difetti, ma tutto coprendo con l’amore. Era avvicinare tutti con questa amnistia completa nel nostro cuore, con questo perdono universale.
Era un impegno forte, preso da tutte noi insieme, che aiutava a essere il più possibile sempre prime nell’amore, a imitazione di Dio misericordioso, il quale perdona e dimentica.
Chiara Lubich
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Lug 31, 2007 | Parola di Vita
“Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù”.
La vita dei cristiani a cui si indirizza la lettera agli Ebrei conosce prove e sofferenze. A volte ci sarebbe da scoraggiarsi: perché non scegliere una via più facile, perché non arrendersi?
L’autore dello scritto invita invece a proseguire nella strada intrapresa: è difficile, costa, ma la via del Vangelo è quella che porta alla pienezza della vita. Anzi, egli incita i cristiani a correre e a rimanere saldi anche sotto il peso dei patimenti.
Come ad ogni atleta così ad ognuno di noi che decide di seguire Gesù, per giungere alla mèta occorre la perseveranza, ossia la resistenza, la capacità di tenuta, che ci viene dalla convinzione che Dio è con noi e dalla ferma decisione di volercela fare.
Ma soprattutto siamo invitati a tenere lo sguardo ben fisso su Gesù, che ci ha preceduto e ci fa da guida. Egli infatti, sulla croce, specialmente quando si sente abbandonato dal Padre, è il modello del coraggio, della perseveranza, della sopportazione: ha saputo rimanere saldo nella prova e si è riabbandonato nelle mani di quel Dio da cui si sentiva abbandonato .
“Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù”.
Chiara Lubich parla spesso di Gesù che affronta con coraggio, senza arrendersi, la prova più grande: è il modello della nostra corsa e di come si superano le prove. Ogni nostro dolore o prova della vita è già stato fatto proprio da Gesù nel suo abbandono sulla croce.
Lasciamo che sia lei stessa ad indicarci come tenere lo sguardo su di Lui.
“Siamo presi dalla paura? Gesù in croce nel suo abbandono non appare forse invaso dalla paura che il Padre si sia dimenticato di Lui?”
Quando siamo presi dallo sconforto e dallo scoraggiamento, possiamo ancora guardare a Gesù che in quel momento “sembra sommerso dall’impressione che nella sua passione manchi il conforto del Padre e pare che stia perdendo il coraggio di concludere la sua dolorosissima prova (…). Le circostanze ci portano ad essere disorientati? Gesù in quel tremendo dolore sembra non comprendere più nulla di quanto gli sta succedendo dato che grida 'Perché?' (…) E quando ci sorprende la delusione o siamo feriti da un trauma, o da una disgrazia imprevista, o da una malattia o da una situazione assurda, possiamo sempre ricordare il dolore di Gesù abbandonato che tutte queste prove e mille altre ancora ha impersonato” .
In ogni nostra difficoltà egli ci è accanto, pronto a condividere con noi ogni dolore.
“Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù”.
Come vivere dunque questa Parola? Guardando a Gesù e abituandoci a “chiamarlo per nome nelle prove della nostra vita. Così gli diremo: Gesù Abbandonato-solitudine, Gesù Abbandonato-dubbio, Gesù Abbandonato-ferita, Gesù Abbandonato-prova, Gesù Abbandonato-desolazione e così via.
E chiamandolo per nome, egli si vedrà scoperto e riconosciuto sotto ogni dolore e ci risponderà con più amore; ed abbracciandolo diverrà per noi: la nostra pace, il nostro conforto, il coraggio, l’equilibrio, la salute, la vittoria. Sarà la spiegazione di tutto e la soluzione di tutto” .
“Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù”.
Così è stato per Luigia che anni fa trovò un foglietto con il commento a questa Parola di vita. Lei stessa racconta: “Improvvisa piomba la notizia terribile: il mio primogenito, di 29 anni, ha subito un incidente stradale ed è gravissimo. Corro in ospedale col cuore in gola. Mio figlio è lì, immobile, assente. Sono disperata. Nei giorni di angosciosa attesa passo per caso nella cappella dell’ospedale e trovo la Parola di vita che mi invita a tenere lo sguardo su Gesù abbandonato. La leggo attentamente: sì, mi dico, parla proprio della mia prova… La stanza di rianimazione, ormai senza speranza, non appare più un martirio: è un legame con l’amore di Dio. E sono capace, tenendo la mano di mio figlio, di pregare per lui che mi lascia. È morto e mai l’ho sentito così vivo”.
A cura di Fabio Ciardi e Gabriella Fallacara