Movimento dei Focolari

Tema della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani – Gennaio 2007

Umlazi: uno dei tanti sobborghi delle grandi città del Sud Africa sorti negli anni '50 per la popolazione di colore. Vi abitano circa 750.000 persone. Penuria di scuole, di ospedali, di alloggi dignitosi. Neppure un campo per giocare a calcio. La disoccupazione supera il 40%. La povertà genera violenze, abusi e diffusissimo il contagio dell'AIDS. Tanti si sentono isolati, hanno paura di parlare delle loro sofferenze, dei loro mille problemi.
Cosa fare? si sono chiesti i responsabili delle varie comunità cristiane di Umlazi. Occorre “rompere il silenzio”, si sono detti, e aprire un dialogo con ciascuno fatto di ascolto e di comunione di vita, per portare insieme le difficoltà. Hanno iniziato con i giovani, intavolando con loro un dialogo costruttivo e costruendo rapporti sempre più profondi.
Forti di questa esperienza i cristiani di Umlazi hanno proposto, per la “Settimana di preghiera per l'unità” dei cristiani, che si attua in questo mese in molte parti del mondo, il brano del Vangelo di Marco da cui è tratta la Parola di vita. Sia la ricerca dell'unità tra i cristiani  che la risposta cristiana alla sofferenza umana sono entrambe intenzioni presenti nella “Settimana” – secondo il commento della Guida alla “Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani” 2007. Mentre Gesù è in viaggio, gli viene condotto un sordomuto e Lui lo guarisce pronunciando la parola “Effatà”, ossia “Apriti”. La gente, al vedere ciò, esprime meraviglia e gioia ed esclama:

«Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!»

I miracoli di Gesù sono l'espressione del suo amore per quanti incontra sul proprio cammino. Sono anche “segni” del mondo nuovo che egli è venuto ad instaurare. La guarigione del sordomuto è il segno che Gesù è venuto a donarci una capacità nuova di intendere e di parlare.
“Effatà” è stata la parola pronunciata anche su di noi, al momento del nostro battesimo.
“Effatà”: e Lui ci apre all'ascolto della Parola di Dio, perché la lasciamo penetrare in noi.
“Effatà” è il suo invito ad aprirci all'ascolto di tutti quelli nei quali si è identificato: ogni persona, soprattutto i piccoli, i poveri, i bisognosi, e ad instaurare con tutti un dialogo d'amore che arriva a condividere la propria esperienza evangelica.
 
Riconoscenti a Gesù per quanto continua ad operare in noi, proclamiamo, come la folla a suo tempo:

«Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!»

Come vivere questa Parola di vita?
Infrangendo la nostra “sordità” e facendo tacere i rumori che, dentro e attorno a noi, ci impediscono di ascoltare la voce di Dio, della nostra coscienza, dei nostri fratelli e sorelle.
Da tante parti ci giunge, spesso tacita, una richiesta di aiuto: un bambino che domanda attenzione, una coppia di sposi in difficoltà, un ammalato, un anziano, un carcerato che hanno bisogno di assistenza. Ci giunge il grido di cittadini che invocano una città più vivibile, di lavoratori che domandano maggiore giustizia, di popoli interi a cui è negata l'esistenza… Distratti da mille interessi e attrattive, spesso l'orecchio del nostro cuore non è attento a quanti ci sono attorno. Oppure, ripiegati sui nostri bisogni, ci può capitare di far finta di non sentire.
La Parola di vita ci domanda di “ascoltare” per portare insieme agli altri le preoccupazioni e le difficoltà, così come di condividere le gioie e le attese, in una ritrovata solidarietà. Ci invita a non essere “muti”, ma a trovare il coraggio di parlare: per partecipare le esperienze e le convinzioni più profonde; per intervenire a difendere chi non ha voce; per fare opera di riconciliazione; per proporre idee, soluzioni, strategie nuove…
E quando l'impressione di non essere all'altezza delle situazioni ci farà sentire impari, ci sosterrà una certezza: Gesù, che ci ha aperto orecchi e bocca:

«Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!»

E' l'esperienza di Lucy Shara, del Sud Africa, che, trasferitasi con la famiglia a Durban, si era trovata ad affrontare la vita di una grande città e con essa ad incominciare un nuovo lavoro, di responsabilità. Erano gli anni dell'appartheid ed era inusuale che una donna africana rivestisse posti di dirigenza.
Un giorno si rende conto che tra gli operai si sta diffondendo una forma asmatica acuta, causata dalle cattive condizioni di vita sul lavoro. Molti di essi improvvisamente sparivano oppure si assentavano dal lavoro per lunghi mesi. Ne parla con il vicedirettore proponendo una soluzione: installare un efficiente macchinario per la depurazione dell'ambiente. E' una forte spesa e l'azienda rifiuta.
Lucy, che da tempo cerca di vivere la Parola di vita, trova in essa la sua forza e la sua luce. Avverte dentro di sé come un fuoco che le infonde coraggio, che la mantiene calma in tutte le trattative e la pone in sincero ascolto delle opinioni espresse dalla direzione. “Ad un certo punto – racconta – mi sono fiorite sulla bocca le parole giuste per difendere coloro che erano senza voce. Sono riuscita a far capire come il rilevante costo iniziale si sarebbe ammortizzato per le migliorate condizioni di salute degli operai, non più costretti ad assentarsi per malattia”.
Le sue sono parole convincenti. Il depuratore viene installato, l'asma scende dal 12% al 2% e di  pari passo cala l'assenteismo. La direzione la ringrazia, le dà perfino un extra bonus nello stipendio. Tra gli operai si diffonde la gioia e nella fabbrica si respira una nuova “atmosfera”, in tutti i sensi!

Chiara Lubich

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Parola di Vita – Dicembre 2006

Il poeta che compone il canto da cui è tratta la Parola di vita è stato in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. Avrebbe voluto rimanervi, come le rondini che vi hanno fatto il nido, ma è dovuto tornare alla sua terra. Pensa con nostalgia alle “amabili dimore” del Signore dove ha sperimentato la presenza di Dio. Decide allora di tornare e si rimette in viaggio per salire a Gerusalemme. Sarà un “santo viaggio” che lo porterà nuovamente “davanti a Dio”. Come in tutte le culture e le religioni il viaggio diventa una parabola della vita.
Il “santo viaggio” è il simbolo del nostro itinerario verso Dio. Siamo infatti diretti verso una mèta che non dovremmo chiamare “morte”, ma “incontro”, perché inizio di una nuova Vita nell’incontro con Dio. Tutti vi siamo destinati, chiamati da Lui.
Perché, allora, non impostare la nostra esistenza in relazione al traguardo che ci aspetta? Perché non fare dell’unica vita che abbiamo, un viaggio, un viaggio santo, perché Santo è Colui che ci attende?
Sì, tutti siamo chiamati a divenire santi secondo il cuore di Dio ; quel Dio che ci ama uno per uno di amore immenso e ha sognato e disegnato per noi un doveroso cammino da seguire, e un traguardo preciso da raggiungere.

«Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio»

Certo, siamo figli del nostro tempo che ama l’attivismo, a volte sfrenato, l’efficienza, che valorizza alcune professioni e ne sottovaluta altre, che copre di silenzio certi momenti della vita per paura, nell’illusione di cancellarli…
Forse, anche a noi, influenzati o abbagliati da simili tendenze, può succedere di sprecare inutilmente energie. E può accadere che si vedano inutili i giorni di riposo, superflui i momenti di preghiera, o si considerino le malattie e le varie difficoltà, che Dio permette per un suo fine d’amore, intralci alla propria vita.
Come incamminarci o riincamminarci seriamente nel santo viaggio? Non è difficile scoprirlo: fare non la nostra volontà, ma la volontà di Dio; seguirla nel momento presente della vita, consapevoli che – e questo è un grande dono – per ogni azione che compiamo in questa maniera c’è una grazia speciale che la accompagna, la “grazia attuale”, che illumina l’intelligenza e inclina al bene la nostra sensibilità e la nostra volontà.
Anche chi non ha un preciso credo religioso può fare della sua vita un capolavoro, intraprendendo con rettitudine un cammino di sincero impegno morale.

«Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio»

Se la vita è un “santo viaggio” lungo il tracciato della volontà di Dio, il nostro cammino domanda di progredire ogni giorno. L’amore che ci spinge invita a crescere, a migliorare. Non possiamo accontentarci di come abbiamo vissuto ieri. “Oggi, meglio di ieri”, possiamo ripeterci ogni tanto…
E quando ci fermiamo? Quando retrocediamo, ricadendo negli errori o anche solo nella pigrizia? Dobbiamo abbandonare l’impresa, scoraggiati dai nostri sbagli? No, in questi momenti la parola d’ordine è “ricominciare”.
Ricominciare, mettendo nella misericordia di Dio questo nostro passato con i suoi sbagli, i suoi peccati.
Ricominciare, ponendo tutta la fiducia nella grazia di Dio più che nelle nostre capacità. Non dice la Parola di vita che troviamo in Lui la nostra forza? Ogni giorno ripartiamo come fosse il primo.
E soprattutto camminiamo insieme, uniti nell’amore, aiutandoci gli uni gli altri. Il Santo sarà in mezzo a noi e Lui si farà nostra “Via”. Lui ci farà capire più chiaramente la volontà di Dio e ci darà il desiderio e la capacità di attuarla. Uniti tutto sarà più facile ed avremo la beatitudine promessa a chi intraprende il “santo viaggio”.

«Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio»

Mi viene qui in mente una persona amica.
Enzo Fondi ha 22 anni quando a Roma, nel 1951, decide di impegnarsi interamente per Dio nel nascente Movimento dei Focolari. Dopo la laurea in medicina e chirurgia lo troviamo a lavorare come medico in un ospedale di Lipsia, e testimoniare, anche al di là della “cortina di ferro”, l’amore evangelico. E' ordinato sacerdote. Passa negli Stati Uniti per portare lo stesso messaggio.
Negli ultimi anni l’impegno nel dialogo interreligioso, che il Movimento attua, lo porta in luoghi e ad impegni diversi, ma sempre unico il progetto: seguire Dio nella sua volontà. Completa il “santo viaggio”  la sera dell'ultimo dell'anno 2001; viene trovato davanti al computer, al lavoro, col capo poggiato sul tavolo, il volto sereno senz'ombra di dolore. Più che morto sembra passato dolcemente da una “stanza” all'altra.
Quindici giorni prima della morte aveva scritto: “Le ultime volontà, il testamento. Per me, è l'ultima volontà di Dio quella che Lui vuole da me adesso. Non ce n'è un'altra. Lasciare fatta in perfezione l'ultima volontà di Dio, qualunque essa sia, quella è la mia ultima volontà. Non so quale sarà poi veramente l'ultima volontà di Dio che farò nella vita. Una cosa però so: che, come per quella di questo attimo, avrò la grazia attuale che mi aiuta a farla tanto in quanto mi sarò esercitato nello sfruttare questa grazia vivendo bene il presente.”
       

Chiara Lubich

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Parola di Vita di Novembre 2006

Nel linguaggio comune la parola “giustizia” richiama il rispetto dei diritti umani, l'esigenza di uguaglianza, l'equa distribuzione delle risorse umane, gli organismi chiamati a fare rispettare le leggi.
E' questa la giustizia di cui parla Gesù nel “discorso della montagna”, da cui è tratta la beatitudine? Anche, ma essa viene come conseguenza di una giustizia più ampia che implica l'armonia dei rapporti, la concordia, la pace.
La fame e la sete richiamano i bisogni elementari di ogni individuo, simbolo di un anelito profondo del cuore umano mai pienamente appagato. Secondo il Vangelo di Luca, Gesù avrebbe detto semplicemente: “Beati gli affamati” . Matteo spiega che la fame dell'uomo è fame di Dio, il solo che può saziarlo pienamente, come ha ben capito sant'Agostino che, all'inizio delle Confessioni, scrive la famosa frase: “Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te” .
Gesù stesso ha detto: “Chi ha sete venga a me e beva” . Lui, a sua volta, si è cibato della volontà di Dio .
Giustizia, nel senso biblico, significa dunque vivere in conformità al progetto di Dio sull'umanità: l'ha pensata e voluta come una famiglia unita nell'amore.

«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati»

Il desiderio e la ricerca della giustizia sono da sempre inscritti nella coscienza dell'uomo, glieli ha messi in cuore Dio stesso. Ma nonostante le conquiste e i progressi compiuti lungo la storia, quanto è ancora lontana la piena realizzazione del progetto di Dio. Le guerre che anche oggi si combattono, così come il terrorismo e i conflitti etnici, sono il segno delle disuguaglianze sociali ed economiche, delle ingiustizie, degli odi. 
Gli ostacoli all'armonia umana non sono soltanto di ordine giuridico, ossia per la mancanza di leggi che regolano la convivenza; essi dipendono da atteggiamenti più profondi, morali, spirituali, dal valore che diamo alla persona umana, da come consideriamo l'altro.
Lo stesso nell'ordine economico: il crescente sottosviluppo e divario tra ricchi e poveri, con l'iniqua distribuzione dei beni, non sono frutto soltanto di certi sistemi produttivi, ma anche e soprattutto di scelte culturali e politiche: sono un fatto umano.
Quando Gesù invita a dare anche il mantello a chi chiede la tunica, o a fare due miglia a chi chiede di farne una con lui , indica un “di più”, una “giustizia più grande”, che supera quella della pratica legale, una giustizia che è espressione dell'amore.
Senza amore, rispetto per la persona, attenzione alle sue esigenze, i rapporti personali possono essere corretti, ma possono anche diventare burocratici, incapaci di dare risposte risolutive alle esigenze umane. Senza l'amore non ci sarà mai giustizia vera, condivisione di beni tra ricchi e poveri, attenzione alla singolarità di ogni uomo e donna e alla concreta situazione in cui essi si trovano. I beni non camminano da soli; sono i cuori che devono muoversi e far muovere i beni.

«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati»

Come vivere questa Parola di vita?
Guardando il prossimo per quello che realmente è: non soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma come la viva immagine di Gesù.
Amarlo, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Padre, e per lui essere disposti al sacrificio, anche supremo: “Dare la vita per i propri fratelli” .
Vivendo con lui nella reciprocità del dono, nella condivisione di beni spirituali e materiali, così da diventare tutti una sola famiglia.
Allora il nostro anelito ad un mondo fraterno e giusto, così come Dio lo ha pensato, diventerà realtà. Lui stesso verrà a vivere in mezzo a noi e ci sazierà della sua presenza.

«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati»

 Ecco come un lavoratore raccontò la sue dimissioni: “La ditta dove lavoro si è da poco unita con un'altra ditta della stesso settore. Dopo questa fusione, mi hanno chiesto di rivedere l'elenco degli impiegati, perché nella nuova sistemazione del lavoro tre di loro dovevano essere licenziati.
 Tale disposizione, però, non mi è sembrata fondata, ma al contrario piuttosto affrettata, sbrigativa, presa senza alcuna considerazione delle conseguenze di ordine umano che essa avrebbe comportato per gli interessati e le loro famiglie. Cosa fare? Mi sono ricordato della Parola di vita. L'unico modo era fare come Gesù: amare per primo. Ho presentato le mie dimissioni e ho detto che non avrei firmato i tre licenziamenti.
 Le dimissioni non le hanno accettate, e anzi mi hanno chiesto in che modo pensavo di inserire gli impiegati nella nuova organizzazione. Io avevo già pronto il nuovo piano del personale, che rendeva agile e molto utile l'inserimento di tutti nei vari settori. Hanno accettato, e siamo rimasti tutti a lavorare.”

Chiara Lubich

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ottobre 2006

Lungo tutto il Vangelo Gesù invita a dare: dare ai poveri, a chi domanda, a chi desidera un prestito ; dare da mangiare a chi ha fame , il mantello a chi chiede la tunica ; dare gratuitamente …
Lui stesso ha dato per primo: la salute agli ammalati, il perdono ai peccatori, la vita a tutti noi.
All’istinto egoista di accaparrare oppone la generosità; all’accentramento sui propri bisogni, l’attenzione all’altro; alla cultura del possesso quella del dare.
Non conta se possiamo dare molto o poco. L’importante è il “come” doniamo, quanto amore mettiamo anche in un piccolo gesto di attenzione verso l’altro. A volte basta offrirgli un bicchiere d’acqua, un bicchiere d’acqua “fresca” , come precisa il Vangelo di Matteo, un’offerta particolarmente gradita e necessaria in un paese caldo e riarso come la Palestina.

«Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome (…), vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa»

Un bicchiere d’acqua, appunto, gesto semplice e grande agli occhi di Dio se compiuto nel Suo nome, ossia per amore.
E l’amore ha tutte le sfumature e sa trovare i modi più adatti per esprimersi.
È attento l’amore, perché dimentico di sé.
È premuroso l’amore, perché, scorta nell’altro una necessità, si fa in quattro per venirgli incontro.
È essenziale l’amore, perché sa accostare il prossimo anche solo con un atteggiamento di ascolto, di servizio, di disponibilità.
Quante volte, quando ci troviamo vicino a una persona, specie se sofferente, crediamo di renderle un gran servizio magari con i nostri consigli non sempre opportuni o con qualche chiacchiera di troppo…, che la può annoiare e appesantire.
Quanto importante invece è cercare di “essere” l’amore accanto a ciascuno! Troveremo la via diritta per entrare nel suo cuore e sollevarlo.

«Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome (…), vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa»

La Parola di vita di questo mese potrà aiutarci a riscoprire il valore di ogni nostra azione: dai lavori di casa o dei campi e dell’officina, al disbrigo delle pratiche d’ufficio, ai compiti di scuola, come alle responsabilità in campo civile, politico e religioso. Tutto può trasformarsi in servizio attento e premuroso.
L’amore ci darà occhi nuovi per intuire ciò di cui gli altri hanno bisogno e per venire loro incontro con creatività e generosità.
Il frutto? I doni circoleranno, perché l’amore chiama amore. La gioia si moltiplicherà perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

«Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome (…), vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa»

Ricordo che, durante la seconda guerra mondiale, nella nostra città di Trento, in alcune località vivevano famiglie molto povere. Siamo andate a dividere con loro quanto avevamo di nostro; volevamo alzare il loro livello di vita in modo tale da arrivare tutti ad una certa uguaglianza.
Un ragionamento semplice che però ha dato frutti impensati: viveri, vestiario, medicinali hanno incominciato a circolare con insolita abbondanza… Nacque in noi la convinzione che nel Vangelo vissuto vi è la risposta ad ogni problema individuale e sociale.
Non era una utopia. Oggi centinaia di aziende sono coinvolte nel progetto di “economia di comunione”: improntare tutta la vita aziendale alla cultura del dare, e mettere in comune gli utili per scopi sociali, tra cui aiutare le persone in difficoltà, creando nuovi posti di lavoro e sovvenendo ai bisogni di prima necessità.
Ma le persone bisognose sono tante e i profitti di queste aziende non possono rispondere ad ogni necessità. Ecco allora che tanti di noi, dal 1994, versiamo una piccola somma ogni mese per i poveri.

Ne aiutiamo attualmente 7.000 in 55 Paesi.
Innumerevoli le testimonianze dei “bicchieri d’acqua” ricevuti e donati in una gara di generosità. Una tra tante, dalle Filippine: “Il nostro negozietto di carne a causa di una epidemia tra gli animali è fallito. Abbiamo dovuto fare debiti e non sapevamo più come andare avanti. Attraverso il vostro aiuto regolare siamo riusciti ad avere da mangiare ogni giorno. Presto ho capito che anch’io dovevo aiutare chi aveva più bisogno di me. Una vicina di casa aveva una malattia, soffriva tanto e aveva bisogno di aiuto anche materiale. L’ho aiutata fino a che lei è partita per il cielo, ed ho preso a sostenere economicamente il suo quinto figlio, perché il padre non poteva, essendo molto più povero di noi”.

Chiara Lubich

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Commento di Chiara Lubich alla Parola di vita

Una Parola che dà la vita, quella del Vangelo, e, nello stesso tempo, una Parola che domanda di essere vissuta. Se un Dio parla a noi, come non accogliere la sua Parola? La Bibbia ripete per ben 1153 volte l’invito ad ascoltarlo. Lo stesso invito è rivolto dal Padre ai discepoli quando la Parola, il Figlio suo, viene a vivere in mezzo a noi: “Ascoltatelo”. Ma l’ascolto di cui parla la Bibbia è fatto più col cuore che con le orecchie. È aderire interamente, obbedire, adeguarsi a quanto Dio dice, con la fiducia di un bambino che si abbandona alle braccia della mamma e si lascia portare da lei. È quanto ricorda l’apostolo Giacomo nella sua lettera:

«Siate quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto».

Si sente qui l’eco dell’insegnamento di Gesù che dichiara beato chi, avendo ascoltato la Parola di Dio, la osserva, e che riconosce come madre e fratelli suoi coloro che la ascoltano e la mettono in pratica. Riprendendo un’immagine di Gesù, Giacomo la paragona ad un seme depositato nel nostro cuore. Essa va accolta “con docilità”; ma non basta l’accoglienza, l’ascolto. Come il seme è destinato a portare frutto, così la Parola di Dio deve tradursi in vita. Lo aveva spiegato Gesù nella parabola dei due figli. “Sì”, aveva risposto il primo figlio al padre che gli chiedeva di andare a lavorare nei campi, ma non vi andò. “Non ne ho voglia”, aveva risposto l’altro figlio, che poi invece obbedì al padre, mostrando con i fatti cosa vuol dire ascoltare veramente la Parola. Il buon ascoltatore della Parola, afferma ancora Gesù al termine del “discorso della montagna”, è colui che la mette in pratica, dando consistenza alla sua vita come ad una casa fondata sulla roccia.

«Siate quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto».

In ogni sua Parola Gesù esprime tutto il suo amore per noi. Incarniamola, facciamola nostra, sperimentiamo quale potenza di vita sprigiona, se vissuta, in noi e attorno a noi. Innamoriamoci del Vangelo fino al punto da lasciarci trasformare in esso e traboccarlo sugli altri. Questo è il nostro modo di riamare Gesù. Non saremo più noi a vivere, Cristo si formerà in noi. Toccheremo con mano la libertà da noi stessi, dai nostri limiti, dalle nostre schiavitù, non solo, ma vedremo esplodere la rivoluzione d’amore che Gesù, libero di vivere in noi, provocherà nel tessuto sociale in cui siamo immersi.

«Siate quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto».

L’abbiamo sperimentato fin dagli inizi del Movimento, durante la seconda guerra mondiale quando, a Trento, a motivo dei frequenti bombardamenti, correvamo nei rifugi portando con noi solo il piccolo libro del Vangelo. Lo aprivamo, lo leggevamo e, penso, per una particolare grazia di Dio, quelle Parole, sentite ripetere tante volte, si illuminavano di una luce nuovissima. Erano Parole di vita, da potersi tradurre in vita. “Ama il prossimo tuo come te stesso”, e pur nel grigiore e nella tragedia della guerra, le persone così amate ritrovavano il sorriso, la serenità, il senso della vita. “Date e vi sarà dato”, e chili di provvidenza ci ricoprivano, dopo un nostro magari piccolo gesto di generosità, beni che distribuivamo a larghe mani ai bisognosi della città. Abbiamo visto nascere attorno a noi una comunità viva, fatta, dopo soli pochi mesi, di 500 persone. Tutto era frutto della comunione con la Parola, che era costante, era una dinamica di minuto per minuto. Eravamo inebriati della Parola, possiamo dire che la Parola ci viveva. Bastava dirci: “Vivi la Parola?”, “Sei la Parola viva?”, per aumentare in noi l’accelerazione a viverla. Dobbiamo tornare a quei tempi. Il Vangelo è sempre attuale. Sta a noi crederci e sperimentarlo.

Chiara Lubich

Commento di Chiara Lubich alla Parola di Vita di agosto 2006

Concreto ed essenziale questo programma di vita. Basterebbe da solo a creare una società diversa, più fraterna, più solidale. Esso è tratto da un ampio progetto proposto ai cristiani dell'Asia Minore.
In quelle comunità si è raggiunta la “pace” tra Giudei e Gentili, i due popoli rappresentanti dell'umanità fino ad allora divisi.
L'unità, donata da Cristo, va sempre ravvivata e tradotta in concreti comportamenti sociali interamente ispirati dall'amore reciproco. Da qui le indicazioni su come impostare i nostri rapporti:

«Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo»

Benevolenza: volere il bene dell'altro. È “farsi uno” con lui, accostarlo essendo vuoti completamente di noi stessi, dei nostri interessi, delle nostre idee, dei tanti preconcetti che ci annebbiano lo sguardo, per addossarci i suoi pesi, le sue necessità, le sue sofferenze, per condividere le sue gioie.
È entrare nel cuore di quanti accostiamo per capire la loro mentalità, la loro cultura, le loro tradizioni e farle, in certo modo, nostre; per capire veramente quello di cui hanno bisogno e saper cogliere quei valori che Dio ha disseminato nel cuore di ogni persona. In una parola: vivere per chi ci sta accanto.

Misericordia: accogliere l'altro così come è, non come vorremmo che fosse, con un carattere diverso, con le nostre stesse idee politiche, le nostre convinzioni religiose, e senza quei difetti o quei modi di fare che tanto ci urtano. No, occorre dilatare il cuore e renderlo capace di accogliere tutti nella loro diversità, nei loro limiti e miserie.

Perdono: vedere l'altro sempre nuovo. Anche nelle convivenze più belle e serene, in famiglia, a scuola, sul lavoro, non mancano mai momenti di attrito, divergenze, scontri. Si arriva a togliersi la parola, ad evitare di incontrarsi, per non parlare di quando si radica in cuore l'odio vero e proprio verso chi non la pensa come noi. L'impegno forte ed esigente è cercare di vedere ogni giorno il fratello e la sorella come fossero nuovi, nuovissimi, non ricordandoci affatto delle offese ricevute, ma tutto coprendo con l'amore, con un'amnistia completa del nostro cuore, ad imitazione di Dio che perdona e dimentica.

La pace vera poi e l'unità giungono quando benevolenza, misericordia e perdono vengono vissuti non solo da singole persone, ma insieme, nella reciprocità.
E come in un caminetto acceso occorre di tanto in tanto scuotere la brace perché la cenere non la copra, così è necessario, di tempo in tempo, ravvivare di proposito l'amore reciproco, ravvivare i rapporti con tutti, perché non siano ricoperti dalla cenere dell'indifferenza, dell'apatia, dell'egoismo.

«Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo»

Questi atteggiamenti domandano di essere tradotti in fatti, in azioni concrete.
Gesù stesso ha dimostrato cos'è l'amore quando ha sanato gli ammalati, quando ha sfamato le folle, quando ha risuscitato i morti, quando ha lavato i piedi ai discepoli. Fatti, fatti: questo è amare.
Ricordo una madre di famiglia africana: aveva dovuto subire la perdita d'un occhio della propria bambina Rosangela, vittima di un ragazzino aggressivo che l'aveva ferita con una canna e continuava a farsi burla di lei. Nessuno dei genitori del ragazzo aveva chiesto scusa. Silenzio, mancanza di rapporto con quella famiglia la amareggiavano. “Consolati – diceva Rosangela che aveva perdonato – sono fortunata, posso vedere con l'altro occhio!”
“Una mattina – la madre di Rosangela racconta – la mamma di quel ragazzino mi manda a chiamare perché si sente male. La mia prima reazione è: 'Guarda, ora viene a chiedere aiuto a me, con tanti altri vicini di casa, proprio a me dopo quello che suo figlio ci ha fatto!'

Ma subito ricordo che l'amore non ha barriere. Corro a casa sua. Lei mi apre la porta e mi sviene tra le braccia. L'accompagno in ospedale e le sto vicino fino a quando i medici non se ne prendono cura. Dopo una settimana, uscita dall'ospedale, viene a casa mia per ringraziarmi. L'accolgo con tutto il cuore. Sono riuscita a perdonarla. Ora il rapporto è tornato, anzi è iniziato tutto nuovo”.
Anche la nostra giornata può riempirsi di servizi concreti, umili e intelligenti, espressione del nostro amore. Vedremo crescere attorno a noi la fraternità e la pace.

Chiara Lubich

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