Movimento dei Focolari

Vangelo vissuto: la Regola d’oro

L’invito di Gesù “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12) è la cosiddetta “Regola d’oro”, un insegnamento universale contenuto nelle diverse culture, religioni e tradizioni . È la base di tutti i valori autenticamente umani, che costruiscono una convivenza pacifica, con rapporti personali e sociali giusti e solidali. Il centuplo Vivo in una città piccola con pochi negozi, dove non sempre si trova il necessario. Una mattina bussa alla mia porta una vicina povera e ammalata. Con un grande sorriso mi chiede un po’ di olio. In cucina ne è rimasto pochissimo, servirebbe a me. Ma avverto la spinta a donarlo tutto. All’ora di preparare il pranzo, mi rendo conto che devo arrangiarmi senza olio, ma sono felice di quanto ho fatto. Sto per prendere la pentola quando bussano alla porta. È una suora che non vedo da tempo perché abita in una regione distante. M’invita: “Vieni, in macchina ho qualcosa per te”. E mi consegna tre scatoloni pieni di contenitori di olio: in tutto 54 litri. (G.V. – Burundi) Se si dà amore … Non era facile il reinserimento, dopo 20 anni di assenza dal nostro Paese. All’inizio mia moglie ed io ci sentivamo un po’ estranei: c’era da ricominciare in tutti i sensi. Ma nel Vangelo abbiamo trovato la carica per aprirci agli altri, per ricostruire rapporti di vecchia data e intrecciare nuove amicizie. Essendoci sposati non più giovanissimi, avevamo deciso che, se non fossero arrivati bambini, saremmo stati disposti ad essere famiglia per chi non l’aveva. Con quest’animo abbiamo iniziato un percorso di adozione. Quando mesi fa abbiamo ricevuto la notizia dell’arrivo di Veronica e Carlos, due fratellini brasiliani, abbiamo fatto girare le loro foto nell’ambito delle nuove conoscenze. Poi siamo andati a prenderli a Rio. Al ritorno abbiamo trovato un enorme striscione sulla strada con una scritta di benvenuto per Veronica e Carlos e, sulla veranda di casa, tanti palloncini e messaggi. Non possiamo dimenticare gli aiuti concreti in vestiario e altre cose necessarie. Una riprova per noi che, se si dà amore, si riceve amore. (M.S.F. – Spagna) Congiura d’amore Una volta rimasta sola, mia suocera, nonostante avesse delle figlie in condizione di poterla accogliere, è venuta ad abitare da noi. La sua presenza, accestitissima dai miei figli, era tuttavia un impegno in più per me che avevo già la famiglia da accudire. Inoltre lei, per una forma di arteriosclerosi, parlava da sola, senza rendersi conto di essere ascoltata; e capitava che spesso imprecava contro di me. I miei figli ridevano della situazione, anche se per me era una doppia ferita. Era questo il ringraziamento per quello che facevo per lei? Un giorno era a letto influenzata e durante il pranzo è venuto fuori il discorso della nonna che parlava a vanvera. Mio marito è rimasto addolorato, poi tutti insieme abbiamo deciso di fare bella “congiura d’amore” per voler bene di più e meglio alla nonna. Penso che sia stato uno dei momenti più educativi e fecondi della nostra famiglia. I parenti, e sono tanti, che spesso vengono a trovarla, rimangono meravigliati dal bene che la nonna “produce” nella nostra famiglia. (C.S. – Italia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.2, marzo-aprile 2020)

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Vangelo vissuto: non arrendersi

Gesù, con tutta la sua vita, ci ha insegnato la logica del servizio, la scelta dell’ultimo posto. È la posizione ottimale per trasformare l’apparente sconfitta in una vittoria non egoistica ed effimera, ma condivisa e duratura. Alcoldipendente Conoscendo la tragedia che vivevano le nostre due famiglie a causa dell’alcol, avevo fatto col mio ragazzo patti chiari. Lui mi giurò il suo impegno. Per alcuni anni le cose andarono bene. Dei sospetti però affioravano di tanto in tanto: qualche ammanco nell’economia, qualche ritardo non giustificato … Il vero dramma non fu scoprire che lui era da sempre alcoldipendente, ma che noi, moglie e figli, non eravamo stati capaci di tirarlo fuori da quel giro. Mi sentii umiliata. Quando ne parlai con il parroco, pur riconoscendo la gravità di un inganno protratto per anni, mi chiese se, per il bene dei figli, ero pronta a ricominciare. Non da sola: la comunità mi avrebbe sostenuta. Con una forza in certi momenti eroica, rimasi accanto a mio marito; lo convinsi ad accettare di disintossicarsi, lo sostenni nette crisi di astinenza. Sono passati due anni. La famiglia ha risentito fortemente di queste scosse, ma in me e nei figli è cresciuta una forza nuova. La vita di ogni giorno è diventata un dono meraviglioso. (J.K. – Romania) Rifugiati La guerra in Ruanda ci ha tolto tutto: casa e alcuni parenti. Da Kigali ci siamo trasferiti nel mio paese natale, poi siamo dovuti partire anche da lì verso un campo di rifugiati, portando con noi solo poche cose, tra cui gli indumenti per il nostro bambino che doveva nascere. Nel campo c’era una marea di gente disperata e in miseria. Dopo l’arrivo di alcune suore, mi sono offerto come volontario per aiutare nei primi soccorsi. Mi è stato affidato il servizio sociale, ma non c’erano mezzi, niente da dare ai rifugiati. In mezzo ad un gruppo di orfani c’era un bambino di sette anni, rimasto separato dalla famiglia. La madre lo ha ritrovato dopo molti giorni di marcia, ma arrivando al campo era esausta. A me rimanevano 300 franchi, circa un dollaro: una fortuna. lo ne avevo bisogno, ma lei più di me. Glieli ho dati, convinto che Dio avrebbe pensato anche ai miei; così lei ha potuto comprare cibo e una piccola capanna per ripararsi. Poco dopo ho incontrato mia sorella maggiore, che da tre giorni girava nel campo cercandoci: mi portava 1000 franchi. (C.E. – Ruanda) Cicatrici Non era semplice sapere come trattare Marta, la nostra quarta figlia, affidataci dal tribunale dei minori. In lei c’era un rifiuto totale della sofferenza in seguito a un incidente che le aveva lasciato sul corpo cicatrici che nascondeva a tutti come un marchio d’infamia. Solo con l’amore paziente, il dialogo e la collaborazione di tutti, in famiglia, lei è riuscita a superare quel trauma, scoprendo e valorizzando al tempo stesso anche i talenti che aveva. Così, a poco a poco, la ragazza difficile si è riconciliata col proprio corpo e con l’ambiente che la circondava. Con sollievo abbiamo visto maturare in lei l’amore alla vita. Man mano che questa esperienza andava avanti, era possibile comunicarle anche il valore del dolore. Un giorno, appena rincasata, Marta ci ha raccontato di una compagna che, avendo notato le sue cicatrici, aveva fatto una smorfia di disprezzo; lei però, invece di rimanerci male, aveva alzato la manica per meglio mostrare quei segni, spiegandole l’origine. Al che la compagna le aveva chiesto scusa. Da allora sono diventate amiche. (O. N. – ltalia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.1, gennaio-febbraio 2020)

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Vangelo vissuto: sentirsi parte di una grande famiglia

Molta parte della cultura in cui siamo immersi esalta l’aggressività in tutte le sue forme come l’arma vincente per raggiungere il successo. Il Vangelo invece ci presenta un paradosso: riconoscere la nostra debolezza, i limiti, le fragilità come punto di partenza per entrare in relazione con Dio e partecipare con Lui alla più grande delle conquiste: la fraternità universale. Recessione Per la situazione di crisi del nostro Paese vedevo diminuire il lavoro e le entrate diventare sempre più esigue. Dai nostri clienti non arrivavano più ordini. In casa abbiamo ridotto le spese, cercando di vivere con meno. Ho imparato ad addormentarmi nonostante i debiti, a stare di più con i bambini perché non pesasse su di loro la situazione. Ho ripreso a pregare, a credere fortemente nel Vangelo che dice: “Date e vi sarà dato”. Questo lo abbiamo verificato sulla nostra pelle ogni giorno. Intanto facevamo tutto il possibile: raccogliere giornali, cartoni, lattine e bottiglie di vetro per venderli. I bambini andavano a vendere sacchetti di dolci… Molte persone venivano a chiederci cibo ed è capitato di dare l’unica cosa che ci rimaneva. Un giorno mia moglie ha regalato un chilo di riso e la stessa sera abbiamo ricevuto due chili di lenticchie. Una nostra vicina ha lasciato davanti la nostra porta un’auto: “Disponetene, ce la pagherete quando potrete”. Così possiamo portare la nostra terza figlia, nata con la sindrome di Down, per fare le cure necessarie. (M.T. – Cile) Crescere come genitori Avevamo notato dei cambiamenti in nostro figlio. Un giorno, con infinita delicatezza, gli ho chiesto se ci fosse qualche problema. Mi ha confidato che era entrato nel giro della droga. Ne ho parlato con mio marito. Quella notte non abbiamo chiuso occhio. Ci siamo sentiti impotenti e anche falliti come genitori. Joao portava a casa anche degli amici. Ne soffrivamo per il loro modo di comportarsi. Con mio marito ci siamo trovati di fronte a una scelta: abbiamo deciso di amare e servire quei ragazzi. Per amore di nostro figlio non siamo più andati in vacanza per non lasciarlo solo. Intanto con mio marito cresceva la certezza che l’amore avrebbe vinto. Un giorno Joao ci disse che non voleva allontanarsi da casa e ci chiese di aiutare anche i suoi amici. È iniziata una vita nuova. Con questa esperienza, pur non avendo altra formazione che la vita del Vangelo vissuto, abbiamo fondato nella nostra città il gruppo di Famiglie Anonime con lo scopo di aiutare le famiglie dei tossicodipendenti. Tanti giovani sono stati recuperati. (O.P. – Portogallo) Profughi Avendo saputo che un giovane profugo albanese cercava alloggio, lo aiutiamo nella ricerca e intanto lo ospitiamo a casa nostra. I nostri parenti non sono d’accordo, ci mettono davanti tanti problemi e ci dicono che siamo degli incoscienti, ma forse proprio anche per questa rottura momentanea, troviamo nell’unità tra noi due la forza per andare avanti comunque. Dopo pochi giorni si trova un appartamento. Assieme a B., un artigiano che aveva deciso di assumere un albanese, ci rechiamo alla caserma per concretizzare la cosa. L’impatto con quel luogo, dove centinaia di persone attendono una sistemazione, è duro. Ci sentiamo impotenti, ma B. alla fine decide di assumere non uno ma tre albanesi, di cui uno minorenne, che terrà egli stesso in affidamento. Sono sufficienti pochi mesi perché i tre giovani si inseriscano nel lavoro e si integrino anche nella vita del paese, dove abbiamo cercato di coinvolgere più gente possibile per dar loro modo di sentirsi parte di una grande famiglia. (S.E. – Italia) La cresima La mia fidanzata, Giorgia, vuole sposarsi in chiesa. È necessario il certificato della cresima che non ho e ci vuole una preparazione. All’inizio sembra tutto semplice, ma quando mi trovo con ragazzi molto più giovani di me ad ascoltare le lezioni di catechismo, mi sembra troppo. Vorrei mandare tutto in aria. Giorgia non cambia idea, lei è convinta del sacramento del matrimonio. Il nostro rapporto entra in un tunnel. Praticamente rimandiamo la data del matrimonio. Sono mesi di travaglio e di domande. Sono formato a vedere la Chiesa come istituzione retrograda e ora eccomi qui a elemosinare un certificato. Quello che mi fa rabbia è che per Giorgia non si tratta di una formalità, ma di un modo di impostare la famiglia. Il nostro rapporto va in fumo. In quei giorni, in un incidente, mia madre rimane paralizzata. Giorgia viene a trovarla tutti i giorni e mia madre trova in lei non solo amicizia, ma un tipo di presenza che l’aiuta ad accogliere il suo stato con serenità. Capisco che Giorgia ha motivi profondi per agire così. Sparisce in me ogni dubbio: costi quel che costi, è lei la donna della mia vita. (M.A. – Italia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.1, gennaio-febbraio 2020)

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Vangelo vissuto: aprire nuove opportunità

“Noi non diamo una gloria così grande a Dio come quando ci sforziamo di accettare il nostro prossimo, perché allora gettiamo le basi della comunione fraterna e niente dà tanta gioia a Dio quanto la vera unità tra gli uomini. L’unità attira la presenza di Gesù tra di noi e la sua presenza trasforma ogni cosa”.(Chiara Lubich) Il collegio Nel collegio dove abitavo, a Praga, mi era capitato d’incontrare più volte la donna delle pulizie. Essendo stato gentile con lei, notai che puliva più spesso la camera che dividevo assieme a un bulgaro e che dava frequentemente la cera sul parquet. Non sapevo come ringraziarla e, avendo con me una macchinetta per il caffè espresso, una volta pensai di farle cosa gradita offrendole un buon caffè. Non disse niente, ma in seguito mi confessò che per lei, abituata al caffè “alla turca” l’altro era troppo forte. Iniziò così un dialogo sulle abitudini nelle varie culture e arrivammo a parlare anche di fede. Lei mi disse che da bambina aveva frequentato la parrocchia, ma poi, durante il comunismo, ne era rimasta lontana. Nei giorni seguenti, finito il giro delle pulizie, se ero in collegio, si fermava da me, sempre con tante domande sulla vita cristiana. Un giorno mi confidò: “Questo lavoro è stato sempre umiliante per me, ma da quando ho conosciuto quest’altra visione, mi sembra di aver ritrovato la mia infanzia, di aver compreso il senso della vita”. (T.M. – Slovacchia) Con occhi nuovi Mia moglie ed io eravamo arrivati ad un bivio: io vedevo soltanto i suoi difetti e lei vedeva soltanto i miei. Le liti si erano intensificate e sembrava che ogni avvenimento, anche riguardo ai figli, alimentasse questa guerra. Un giorno, mentre accompagnavo la più piccola a scuola, mi sono sentito dire: “Sai, papà, il professore di religione ci ha spiegato che il perdono è come un paio di occhiali che fa vedere con occhi nuovi”. Questa frase detta da una bambina non mi ha lasciato tranquillo. Ci ho ripensato tutto il giorno. La sera, tornando a casa, m’è venuta un’idea: andare dal fioraio e comprare tante rose quanti erano gli anni del nostro matrimonio. Mia moglie all’inizio ha reagito male (l’ennesima gaffe?), poi, vista la gioia dei figli, soprattutto della piccola, ha cambiato atteggiamento. Quella sera, dopo lunghi silenzi, qualcosa si è smosso. È stato l’inizio di un nuovo cammino. Davvero mi è sembrato di avere occhi nuovi e di vedere mia moglie e i nostri figli come non li avevo visti. (J.B. – Spagna) Tentazione Ci trovavamo in grande bisogno di una grossa somma di denaro per saldare un certo debito. Quella mattina un cliente passa da noi, entra con l’intenzione di comperare sei macchine. Dopo aver concluso l’affare, lui ci fa la proposta di applicare un adesivo con il nome di una marca famosa. Colta di sorpresa, pur sapendo che questa è prassi comune nel nostro mercato, ho vissuto un attimo di sospensione: rischiavamo di perdere quel grosso affare, ma non me la sentivo di accettare l’offerta. Dopo essermi confrontata con mio marito, abbiamo capito chiaramente che non potevamo cedere e tradire la nostra coscienza di cristiani. Il cliente ci ha guardati sorpreso. Alla sua domanda se eravamo cattolici, abbiamo risposto di sì. La sua faccia si è distesa: “Oggi ho costatato cosa significa essere fedeli alla propria fede. Non preoccupatevi, comprerò da voi. Mi avete insegnato qualcosa di molto importante. Ero anch’io cristiano, ma vedendo come fanno tutti nel commercio, mi sono lasciato prendere dalla tentazione. Da oggi non lo farò più”. (G.A. – Nigeria) Un lavoro per due Durante un corso per venditore di bevande e panini sui treni, avevo chiesto se si potessero distribuire i panini invenduti ai senzatetto. Questo non rientrava nell’immagine della ditta, per cui non ero stato assunto. Deluso, ma certo che Dio mi sarebbe venuto incontro, avevo trovato lavoro nella cucina di un ristorante. Qui, d’accordo con i colleghi, la sera potevo distribuire cibo a chi ne aveva bisogno. Ho conosciuto così situazioni drammatiche di fame, miseria, solitudine. Un giorno il capo mi ha annunciato che in cucina serviva un lavorante soltanto. Eravamo io e un uomo musulmano di cui ero diventato amico. Quando ho risposto che preferivo restasse lui, perché aveva famiglia, il capo ha replicato che la scelta era caduta su di me. Pur grato, gli ho ribadito il mio pensiero. E lui: “Per la prima volta mi sento spinto da un ragazzo come te a rivedere la mia decisione”. Il giorno dopo, riesaminando la situazione economica dell’azienda, aveva deciso che potevamo continuare a lavorare entrambi! (D. – Inghilterra) Non solo ospite Avevamo accolto a casa nostra per un anno intero una ragazza brasiliana venuta in Italia con un programma di scambio culturale. Julia però non riusciva ad inserirsi nella nostra famiglia e noi, considerandola soltanto un’ospite, non contribuivamo allo scopo. Quando ce ne siamo resi conto e abbiamo incominciato a trattarla come le due nostre figlie, le cose sono cambiate: lei si è sentita amata e pian piano si è legata a noi come una figlia accanto ad altre sorelle. Julia è diventata una di noi al punto che, avvertendo il bisogno di approfondire la bellezza della famiglia cristiana, ci ha chiesto di essere formata ai sacramenti del battesimo, cresima e comunione che non aveva ricevuto nel suo Paese, pur avendo 17 anni. Per l’occasione sono venuti i suoi genitori dal Brasile e abbiamo fatto una grande festa che ha coinvolto l’intera comunità. Oggi il legame con Julia continua. Noi continuiamo ad essere per lei “mamma e papà” tutte le volte che ci vediamo in videochiamata o ci scriviamo. (A. – Italia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.1, gennaio-febbraio 2020)

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Vangelo vissuto: superare giudizi e prevenzioni

“Gesù ci ha dimostrato che amare significa accogliere l’altro così com’è, a quel modo con cui egli ha accolto ciascuno di noi. Accogliere l’altro, con i suoi gusti, le sue idee, i suoi difetti, la sua diversità. (…) Fargli spazio dentro di noi, sgombrando dal nostro cuore ogni prevenzione, giudizio e istinto di rifiuto”. (Chiara Lubich) Il “Villaggio della miseria” Gli abitanti di questa baraccopoli, che si estende sulle rive pantanose di un fiume, si arrangiano con lavoretti e, dovendo rimanere fuori casa tutto il giorno, sono costretti a lasciare i loro bambini da soli. Qualche tempo fa, il fiume in piena per una pioggia torrenziale ha portato via da una baracca un bimbo di pochi mesi. Noi abitiamo in un vicino quartiere residenziale. Sconvolti dall’accaduto, tentiamo di affrontare questa terribile piaga coinvolgendo parenti e amici. Presi in affitto dei locali, iniziamo un asilo-nido dove i genitori possono lasciare i loro bimbi al sicuro durante il giorno. Nei locali attigui diamo avvio a una scuola materna per togliere dalla strada i più grandicelli. L’iniziativa sta portando frutti: rapporti nuovi tra il personale che lavora e le famiglie e condivisione di beni, di tempo e di prestazioni. Pian piano si sta facendo realtà anche un altro sogno: togliere il maggior numero di famiglie dal “Villaggio della miseria”. Con un sistema di autogestione abbiamo costruito e inaugurato quest’anno le prime nove case. (S.J.B. – Argentina) Convinzioni politiche Era inevitabile, in ufficio, parlare di politica. Inevitabile sperimentare la distanza che esisteva fra i rispettivi punti di vista. Stanca di questa tensione che aumentava giorno dopo giorno, soprattutto quando qualcuno proclamava “verità” non condivisibili, sono giunta alla conclusione che più che cambiare ufficio, dovevo cambiare io. Così mi sono impegnata a capire meglio cosa spingesse l’uno o l’altro dei miei colleghi a difendere una certa posizione. Questo mio modo di comportarmi ha provocato una certa curiosità, soprattutto in quanti mi avevano sempre attaccata come cattolica- conservatrice-bigotta. Certamente è stata la preghiera ad aiutarmi, ma anche la mia comunità parrocchiale che mi incoraggiava ad avere più carità. Un giorno il mio “nemico” più acerrimo mi ha detto: “Non so più dove attaccarti …e vedo che sei felice. La tua libertà mi disorienta”. Senza troppe spiegazioni si è stabilita un’amicizia costruttiva che ora aiuta anche gli altri ad avere un atteggiamento più comprensivo tra noi, pur restando nelle proprie convinzioni. (F.H. – Ungheria) Con occhi di madre Nostro figlio aveva sposato L. sull’onda della contestazione, scambiando per amore la comune fede politica. Io l’amavo come una figlia e ne apprezzavo le doti di sensibilità e attenzione verso gli ultimi della società. Quando, dopo appena un anno di matrimonio, entrambi sono venuti a comunicarci la difficoltà di continuare una vita insieme, ero quasi preparata a questo annuncio. A perderci è stato soprattutto il nostro ragazzo, che aveva impegnato tutto sé stesso nella costruzione di un rapporto coniugale vero. Quanto a L., più che giudicarla, ho cercato di tenere presente quanto di bello e di positivo avevo colto in lei prima e di considerare la situazione con occhi di madre. l suoi genitori, constatando che dalla nostra bocca non era uscita mai, né con loro né con altri, una parola di giudizio nei confronti della figlia, hanno espresso la loro stima per quest’atteggiamento e hanno continuato a mantenere con noi un rapporto fraterno. Da allora sono passati molti anni. L. ci considera ormai un punto fermo della sua vita. (F.B. – Francia) Ladri in casa Avevo aperto loro la porta perché mi erano sembrati dei bravi ragazzi. Invece mi hanno chiesto subito dove avessi i soldi e cominciato ad aprire cassetti, armadi. Uno di loro mi teneva ferma per le braccia dietro la schiena. Per la paura, non avevo neanche la forza di gridare … Quando sono andati via, mi sono trovata a terra, un po’ stordita. Forse avevano avuto pietà della mia età. Poi sono uscita sul balcone e ho gridato aiuto, ma i ladri erano già fuggiti. Dei vicini sono accorsi, ma non potevano fare altro che aiutarmi a mettere un po’ di ordine in giro mentre mi rendevo conto di ciò che era sparito. Cosa fare? Quel giorno la tragedia della solitudine e della vecchiaia mi è apparsa in tutta la sua crudeltà. La notte non sono riuscita a prendere sonno: davanti ai miei occhi si ripresentava la stessa scena. Eppure sembravano bravi ragazzi, potevano essere miei nipoti. Perché agivano così? Un po’ di pace l’ho trovata quando mi sono messa a pregare per loro e per le loro mamme. Ho ringraziato Dio di essere ancora viva. (Z.G. – ltalia) Non negare la vita Da molti anni non rivedevo la mia vicina di casa, e precisamente da quando avevamo traslocato. Ora ritrovavo una donna più vecchia della sua reale età, come un’altra persona. Sembrava che lei aspettasse l’occasione per aprire il suo cuore, perché senza indugio cominciò a espormi le sue pene: “Tutto era iniziato il giorno in cui, decidendomi per l’aborto, avevo sperato di risolvere i problemi tra me e mio marito … Invece lui, dopo aver accollato su di me la colpa del figlio che non gli avevo dato, se ne andò con un’altra, lasciandomi in un mare di guai con due figlie adolescenti. Più tardi una di loro mi confessò di essere incinta; il suo ragazzo l’aveva messa alle strette: o abortiva o l’avrebbe lasciata. Le confidai quello che avevo sempre taciuto e le raccomandai di non negare la vita, come avevo fatto io. Fu lei a consolarmi, vedendomi piangere. Soggiunse poi che, vedendo il mio dolore, aveva deciso di tenersi il bambino. Così fece. Il suo ragazzo non la lasciò. Ora vivono felici con quel figlioletto che è anche la mia consolazione”. (S.d.G. – Malta)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.1, gennaio-febbraio 2020)

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Vangelo vissuto: un’attesa piena di vita

Ogni piccolo gesto d’amore, ogni gentilezza, ogni sorriso donato trasforma la nostra esistenza in una continua e feconda attesa. Coro di bambini In preparazione alle feste natalizie siamo andati in un ospedale con un bel gruppo di bambini per allietare Gesù presente nei piccoli ricoverati con i nostri canti. Non ci è stato consentito di accedere al loro reparto, ma abbiamo ricevuto il permesso di esibirci nella sala d’entrata dell’ospedale. Era sorprendente assistere alla metamorfosi dei visitatori: entravano magari con un viso serio e, appena visti i piccoli cantare, accennavano un sorriso. In diversi poi sono tornati ad ascoltare assieme ai pazienti che erano venuti a trovare. Altri malati che non aspettavano visite si sono fatti portare nella grande hall per assistere alla performance e tanti si sono uniti al coro. Anche il personale dell’ospedale ha gioito per questa insolita atmosfera. La direzione dell’ospedale ci ha già invitati per l’anno prossimo, promettendo di farci entrare anche nel reparto riservato ai bambini. (N.L. – Olanda) In cucina Cuoco nella cucina di un asilo, non mi risparmiavo nel mio lavoro. Un giorno, mentre ascoltavo un’inserviente raccontare che per lei ogni bambino era un tesoro da proteggere, mi sono reso conto che non pensavo affatto a mettere amore in tutto quanto facevo. Ora invece, considerare che ogni pasto era nutrimento di persone che un giorno avrebbero avuto il mondo in mano, diventava un vero incentivo alla fantasia. Nei piatti ho cominciato a mettere qualche ornamento imprevedibile, a sistemare il cibo in modo sempre nuovo. La gioia e la sorpresa dei bambini mi hanno confermato che non si sa cosa può nascere da un semplice gesto d’amore. (K.J. – Corea) L’incidente Il lavoro al centro di recupero per tossicodipendenti s’era fatto alienante. Presa dal vortice delle cose da fare, avvertivo sempre più un senso di vuoto e Dio sempre più lontano. Una sera in cui pioveva a dirotto l’auto che mi riportava a casa sbandò, urtò contro un muro e andò a finire nella corsia opposta. Quando arrivai al pronto soccorso, la vista di un crocifisso appeso al muro mi diede coraggio. Mentre i medici si occupavano di me, provavo una pace sottile, come da tempo non sentivo più. Per fortuna, a parte ferite e contusioni di poco conto, non c’era niente di grave, per cui quasi subito venni dimessa. Per settimane accanto al letto dov’ero immobile ci fu un viavai di persone, tra telefonate e regali. Toccanti le visite ripetute dei miei tossicodipendenti: “Tu ce l’hai fatta perché fai del bene”. Anche i miei colleghi di lavoro mi furono molto vicini: evidentemente si era costruito con loro un legame solido. Grazie a quel riposo forzato, ritrovai anche il gusto della preghiera e credetti di capire perché Dio non mi aveva presa con sé quella volta. (Lucia – Italia) Stoviglie da lavare Dopo una festa in parrocchia organizzata per dare un pasto caldo ai barboni, mi son trovato in mezzo a un disordine di rifiuti e di pentole e stoviglie da lavare. In cucina il parroco stava già rigovernando,felice della serata. Colpito da una sua frase, “Tutto è preghiera”, gli ho chiesto: “Anche lavare i piatti?”. E lui: “Il tesoro più grande è arrivare a capire che tutto ha valore immenso perché dietro quella pentola c’è un prossimo che ha bisogno di me”. Da quel momento il mio pesante lavoro di muratore, i figli da accompagnare all’asilo, il lampadario da riparare … tutto è divenuto occasione per me di sublimare l’azione e farla diventare sacra. (G.F. – ltalia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)

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