Mar 17, 2019 | Testimonianze di Vita
Storia di Marco Bertolini, educatore sociosanitario nella provincia di Roma (Italia): “Anche gli educatori hanno da imparare dagli educandi ed è possibile trasformare le difficoltà in opportunità”. Diagnosticata quando aveva pochi anni, la poliomielite non è stata per Marco una prigione da cui gridare la sua rabbia al mondo, ma un’occasione per cogliere la ricchezza della sua vita e il potenziale che la sua “condizione” nascondeva. Per poi aiutare da adulto tanti ragazzi “difficili” a scoprire la propria bellezza e la dignità dell’essere persona. Decisivo per lui l’incontro con i giovani del Movimento dei Focolari. A 59 anni, oggi Marco Bertolini – sposato e padre di due figli – lavora come educatore sociosanitario in una borgata della periferia di Roma. Lo abbiamo raggiunto al recente convegno sull’educazione “EduxEdu”, tenutosi al Centro Mariapoli di Castelgandolfo (Italia): Marco, la tua storia racconta di una difficoltà iniziale trasformata in opportunità. Cosa l’ha portata a questa maturazione? Fin da bambino ho avuto la chiara percezione della mia diversità fisica. Mentre le mie sorelle e i miei amici vivevano in famiglia io ero in collegio. Questo ha fatto crescere in me rabbia verso chi ritenevo più fortunato. E così cercavo lo scontro, mettevo alla prova i miei per vedere se mi volevano bene. Poi a vent’anni la svolta. Ero alla ricerca di un senso da dare alla mia vita quando incontrai i giovani dei Focolari che vivevano il Vangelo, erano uniti e si rispettavano. Io nella mia borgata, alla periferia di Roma, ne combinavo di tutti i colori e non avevo una buona fama, ma loro mi accettavano così com’ero. Mi facevano sentire una persona e non guardavano i miei difetti. Mi spiegavano che cercavano di voler bene al prossimo, come dice il Vangelo. Io ero incredulo, pensavo che il Vangelo è una bella cosa ma che nella vita bisogna sgomitare. E invece pian piano mi hanno mostrato che vivere il Vangelo è possibile e può cambiare la vita. Come sei diventato educatore? All’inizio studiai teologia. Scoprivo il rapporto con Dio e mi chiesi se la mia vocazione era il sacerdozio. Così entrai in seminario impegnandomi in vari servizi. A Roma collaboravo con la Caritas e nel centro di ascolto mi occupavo soprattutto dei clochard: lì capii che la mia strada era l’impegno nel sociale. Le persone che più avevo a cuore erano i ragazzi. Volevo condividere con loro il dono che avevo ricevuto incontrando i giovani del Movimento, perché anche loro potessero scoprire il valore profondo della vita. Sono uscito quindi dal seminario e ho iniziato a studiare come operatore sociale e educatore. Quando ci si approccia ai “ragazzi difficili” si pensa per lo più a “contenerli”. Ma cogliere la “ferita” che portano dentro è una sfida difficile: come la affronti? I ragazzi non vanno contenuti ma ascoltati e compresi. L’approccio che uso è quello che Dio ha avuto con me: mi ha accettato così come ero. E allora prima di tutto li accolgo così come sono, con il loro linguaggio, senza voler cambiare nulla, ma facendo capire che c’è l’opportunità che qualcuno gli voglia bene. Parto dalla mia esperienza con Dio e dalle loro emozioni. I ragazzi vanno aiutati facendo loro delle proposte di vita diverse. In qualche modo è un po’ come instaurare con loro un “patto educativo”. Ci racconti un’esperienza al riguardo? Da anni faccio parte di un’equipe che organizza un campo di lavoro, chiamato “stop’n’go”, dove a ragazzi adolescenti viene data un’opportunità formativa alla luce dell’ideale dell’unità. Ricordo una ragazza madre di 19 anni, con una storia dolorosa, che alternava atteggiamenti adulti e infantili. Ci chiedevamo se il suo inserimento sarebbe stato proficuo per lei e per gli altri. Decidemmo di fare un patto con lei: poteva uscire a turno con uno di noi adulti in cambio del rispetto delle regole del campo e della partecipazione alle attività. Lei accettò e fu una gara d’amore dell’equipe per farla sentire accolta e mai giudicata. Io sperimentai che anche gli educatori hanno da imparare dagli educandi, e che è possibile trasformare una difficoltà in opportunità.
Claudia Di Lorenzi
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Mar 10, 2019 | Testimonianze di Vita
La misericordia è un amore che riempie il cuore e poi si riversa sugli altri, sui vicini di casa come sugli estranei, sulla società intorno. Il compagno di viaggio Per 19 mesi sono stato in carcere, colpevole di aver adulterato i vini che commerciavo. Lì dentro, però, con l’aiuto di un sacerdote e di alcune persone che venivano a fare volontariato, ho avuto modo di riflettere e di scoprire un Dio diverso da quello che mi era stato insegnato. Ho affrontato questa prova con animo rinnovato, iniziando a sperimentare la vera libertà, che è quella interiore e viene dall’amare il nostro prossimo. Il rapporto con mia moglie è cambiato e mi sono riconciliato anche con i miei suoceri. Non solo: ho sentito di voler perdonare il mio socio, responsabile con me della frode. Ora che ho scontato la mia pena, anche se il futuro si profila pieno di incertezze, so che Dio Padre è il mio compagno di viaggio. (Javier – Argentina) Parole di luce Tra me e mia moglie si alternavano momenti di sfogo e silenzi interminabili, con grande sofferenza di entrambi e dei nostri bambini. Malgrado l’aiuto di alcuni amici, ognuno restava fermo nella sua posizione, sembrava la fine del matrimonio. Accecato dall’ira, ero arrivato al punto di pensare che fosse meglio andare via da casa o farla finita. Per fortuna, in quell’inferno, mi sono tornate alla mente anche altre parole che in passato mi erano state di luce: parole di perdono, di amore. Come cristiano ero davvero fuori strada! Nel bel mezzo di una notte insonne passata a ricacciare indietro il mio orgoglio, ho svegliato mia moglie per chiederle di aiutarmi a ricordare con umiltà i momenti felici vissuti insieme. Ci siamo abbracciati e ci siamo chiesti reciprocamente perdono. (uno sposo africano) Pioggia Una sera mi sentivo molto stanca e avrei voluto dire ai bambini di andare nella loro stanza e di dire le preghiere da soli perché desideravo subito andare a letto. Ma John, il nostro figlio maggiore, mi ha proposto di recitare il rosario per chiedere la pioggia: non pioveva da tempo e la nostra piantagione di mais e patate dolci era a rischio. Così abbiamo pregato insieme. Con mia sorpresa, quella notte stessa ha cominciato a piovere e ha continuato fino al pomeriggio del giorno dopo. (B.M. – Uganda) In ospedale Una donna poverissima, madre di famiglia, ricoverata da molti mesi, aveva bisogno di aiuto per mangiare, ma il personale non poteva fare anche questo lavoro. Abbiamo avvertito tutti gli amici della parrocchia, e uno dopo l’altro siamo andati ad assisterla. Nonostante la situazione fosse senza via d’uscita, è migliorata un po’, rispondeva alle cure e sorrideva. Quando la sua vicina di letto è morta, nel suo testamento ha lasciato una piccola somma per aiutare la famiglia di questa donna. L’amore è contagioso…. (C.C. – Spagna)
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.2, marzo-aprile 2019)
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Feb 28, 2019 | Testimonianze di Vita
Nella vita personale e sociale respiriamo un’atmosfera di crescente ostilità e competizione. Come cristiani possiamo dare una testimonianza controcorrente cominciando a ricostruire legami incrinati o spezzati. Separazione Dopo due anni di matrimonio, nostra figlia e suo marito hanno deciso di separarsi. L’abbiamo accolta di nuovo nella nostra casa e nei momenti di tensione abbiamo cercato di mantenerci calmi, con il perdono e la comprensione nel cuore, conservando un rapporto di apertura verso di lei e verso suo marito, soprattutto cercando di non avere giudizi verso nessuno. Dopo tre mesi di continuo ascolto, di aiuto discreto e di tante preghiere, sono tornati insieme con nuova consapevolezza, fiducia e speranza. (M.L. – Malta) In segno di perdono Pensavo di aver sempre fatto il mio dovere di cristiano, come Sindaco della mia cittadina e come padre. Quando però il mio primogenito, di 33 anni, sposato e padre di due bambini piccoli, è stato ucciso durante una rapina, mi sono ribellato contro Dio: perché era successo tutto questo? In seguito ho iniziato una cammino di vera conversione, durante il quale ho capito che Dio stesso aveva dato suo Figlio per amore nostro. Cinque anni dopo si è aperto il processo. In aula ho evitato di guardare verso gli imputati, ma quando ho incrociato lo sguardo del più giovane degli assassini, mi sono avvicinato a lui e ho allungato la mia mano per stringere la sua, in segno di perdono. (C.S. – Italia) Nuova atmosfera in reparto Sono responsabile di un reparto di un’azienda e a fine anno devo redigere le note di qualifica dei miei dipendenti. Una dipendente non aveva offerto molti elementi per essere valutata, per cui le ho chiesto un colloquio, grazie al quale ho scoperto di non conoscere tante cose di lei. Questo incontro mi ha aperto gli occhi e mi ha spinto a cambiare le cose, promuovendo varie iniziative per valorizzare i dipendenti, festeggiare i loro compleanni, organizzare feste con le loro famiglie. Non solo è migliorata l’atmosfera, ma è aumentato anche il rendimento. (M.T. – Ungheria) La palla Abbiamo due bambini molto vivaci. Una mattina ho visto Nathan piangere e Claire con la sua palla in mano. Subito gliel’ho presa per restituirla a lui: Nathan ha smesso di piangere, ma ha cominciato a piangere lei. Allora l’ho presa da parte per spiegarle che Gesù ci ha insegnato ad amare a condividere. Anche se è ancora una bambina, ha capito e ha dato la palla al fratellino. Ci sono state tante situazioni in cui stavo per punirla, ma sono riuscita a trovare in me amore e pazienza. Ora è lei sempre pronta ad aiutarmi. (J.N.J. – Filippine)
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.2, marzo-aprile 2019)
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