Se c’è una realtà misteriosa nella nostra vita è il dolore. Vorremmo evitarlo ma, prima o poi, arriva sempre. Da un banale mal di testa, che sembra avvelenare le più semplici azioni quotidiane, al dispiacere per un figlio che prende una strada sbagliata; dal fallimento nel lavoro, all’incidente stradale che ci porta via un amico o un familiare; dall’umiliazione per un esame non riuscito, all’angoscia per le guerre, il terrorismo, i disastri ambientali…
Davanti al dolore ci sentiamo impotenti. Anche chi ci è accanto e ci vuol bene è incapace spesso di aiutarci a risolverlo; eppure a volte ci basta che qualcuno lo condivida con noi, magari in silenzio.
Questo ha fatto Gesù: è venuto vicino ad ogni uomo, ad ogni donna, fino a condividere tutto di noi. Più ancora: ha preso su di sé ogni nostro dolore e si è fatto dolore con noi, fino a gridare:
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Erano le tre del pomeriggio quando Gesù lanciò questo grido verso il cielo. Da tre lunghe ore era appeso alla croce, inchiodato mani e piedi.
Aveva vissuto la sua breve vita in un costante atto di donazione verso tutti: aveva sanato i malati e risuscitato i morti, aveva moltiplicato i pani e perdonato i peccati, aveva pronunciato parole di sapienza e di vita.
Ancora, sulla croce, dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, e infine dona a noi il suo corpo e il suo sangue, dopo averceli dati nell’Eucaristia. E infine grida:
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Ma Gesù non si lascia vincere dal dolore; come per una divina alchimia lo tramuta in amore, in vita. Infatti, proprio mentre sembra sperimentare l’infinita lontananza dal Padre, con uno sforzo immane e inimmaginabile, crede al suo amore e si riabbandona totalmente a Lui: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” .
Ristabilisce l’unità tra Cielo e terra, ci apre le porte del Regno dei cieli, ci rende pienamente figli di Dio e fratelli tra di noi.
È il mistero di morte e di vita che celebriamo in questi giorni di Pasqua, di resurrezione.
È lo stesso mistero che sperimentò in pienezza Maria, la prima discepola di Gesù. Anche lei, ai piedi della croce, è stata chiamata a “perdere” quanto aveva di più prezioso: il suo Figlio Dio. Ma in quel momento, proprio perché accetta il piano di Dio, diviene Madre di molti figli, Madre nostra.
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Col suo infinito dolore, prezzo della nostra redenzione, Gesù si fa solidale in tutto con noi, prende su di sé la nostra stanchezza, le nostre illusioni, i disorientamenti, i fallimenti e ci insegna a vivere.
Se Egli ha assunto tutti i dolori, le divisioni, i traumi dell'umanità, posso pensare che dove vedo una sofferenza, in me o nei miei fratelli e sorelle, vedo Lui. Ogni dolore fisico, morale, spirituale mi ricorda Lui, è una sua presenza, un suo volto.
Posso dire: “In questo dolore amo te, Gesù abbandonato. Sei tu che, facendo tuo il mio dolore, vieni a visitarmi. Allora te voglio, te abbraccio!”
Se siamo poi attenti ad amare, a rispondere alla sua grazia, a volere ciò che Dio vuole da noi nel momento che segue, a vivere la nostra vita per Lui, sperimentiamo che, il più delle volte, il dolore sparisce. E ciò perché l’amore chiama i doni dello Spirito: gioia, luce, pace. Risplende in noi il Risorto.
Chiara Lubich
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