Movimento dei Focolari

CHIESA-COMUNIONE. Paolo VI e Giovanni Paolo II ai Vescovi amici del Movimento dei Focolari, Città Nuova Editrice, Roma 2002

INTRODUZIONE Approfondire lo spirito della collegialità L’incoraggiamento di Paolo VI e di Giovanni Paolo II Affrettare la piena comunione visibile fra le Chiese Riflessione sulla Chiesa-comunione Dalla benedizione all’approvazione Ecclesiologia di comunione – spiritualità di comunione “Voi state riflettendo sulla comunione, realtà costitutiva della natura stessa della Chiesa”. Con queste parole Giovanni Paolo II si è rivolto il 28 febbraio 2002 a oltre 80 Vescovi provenienti da 45 nazioni di tutti i cinque Continenti. Ed ha indicato questa priorità per l’azione pastorale: “La comunione all’interno del popolo cristiano, pertanto, chiede di essere sempre più assimilata, vissuta e manifestata, anche grazie ad un deciso impegno programmatico, a livello sia di Chiesa universale che di Chiese particolari”. Ha quindi esortato a “coltivare un’autentica e profonda spiritualità di comunione”, compito di prima urgenza che, se riguarda tutti i membri della Comunità ecclesiale, “spetta però anzitutto ai Pastori”. Venticinque anni prima, Paolo VI, in occasione dell’udienza generale del 9 febbraio 1977, aveva accolto un gruppo di dodici Vescovi che – come riferì il giorno dopo L’Osservatore Romano – si erano riuniti “nel Centro Mariapoli di Rocca di Papa per partecipare a un corso di spiritualità”. Giacché in quel tempo era assai raro veder tanti Vescovi convenire all’appuntamento settimanale del Papa con i fedeli, Paolo VI, tanto sensibile alla collegialità episcopale, li volle presentare ad uno ad uno all’intera assemblea, trovando per ciascuno una parola personale. E, alla fine, impartì la benedizione apostolica assieme a loro. Fu questo l’inizio dei Convegni annuali di “Vescovi amici del Movimento dei Focolari”. Vale la pena ricordare ancora un significativo dettaglio:dopo l’udienza, i dodici Vescovi, provenienti da Cile, Colombia, Corea, Macau, Tailandia, Germania, Croazia, Portogallo e Italia, furono ricevuti a pranzo dall’allora Cardinale Segretario di Stato, Giovanni Villot, nel suo appartamento privato. Promotore dell’iniziativa fu Mons. Klaus Hemmerle, Vescovo di Aquisgrana in Germania (1975-94). Uomo di grande cultura ed eminente teologo, egli sin dalla fine degli anni ‘50 aveva conosciuto la spiritualità del Movimento dei Focolari e l’aveva vissuta da sacerdote diocesano. Diventato Vescovo pensò di non interrompere quel cammino di comunione e, nel febbraio 1976, assieme a centinaia di preti di tutta Europa, venne all’incontro annuale dei sacerdoti focolarini. “Lì – racconta – ho avuto un incontro decisivo con Chiara Lubich”. E ricorda come in quel colloquio capì che i Vescovi, legati l’uno all’altro nella collegialità e chiamati ad essere nella Chiesa custodi dell’unità, sono destinati in un modo tutto speciale a vivere tra loro l’amore reciproco . Nell’estate di quello stesso anno il Vescovo Hemmerle si ritrovò in Svizzera con altri due Vescovi che, come lui, si ispiravano nella loro vita alla spiritualità di comunione che caratterizza il Movimento dei Focolari: Mons. Josef Stimpfle, allora Vescovo di Augsburg (Germania), e Mons. Acacio Rodrigues Alves, Vescovo, oggi emerito, di Palmares (Brasile). In quell’occasione, in un incontro con Chiara Lubich, nacque l’idea di ritrovarsi nel febbraio successivo per un Convegno spirituale con altri Vescovi desiderosi di poter approfondire questa spiritualità. Approfondire lo spirito della collegialità Sin dal primo incontro, una caratteristica di questi Convegni è stata quella che i partecipanti, prima di ritornare nelle rispettive diocesi, si accordavano tra di loro – attraverso un “patto d’amore scambievole”, come lo chiamarono – di vivere anche a distanza con intensità il comandamento nuovo di Gesù, in modo da dare così un contributo vitale per rendere sempre più concreta la collegialità effettiva ed affettiva. Merita riportare almeno alcune parole di questo impegno che i Vescovi, in occasione del loro primo incontro, vollero prendere nella stessa Basilica di S. Pietro, davanti alla Pietà di Michelangelo: “Eterno Padre, uniti nel nome di Gesù, noi ti promettiamo di amarci a vicenda come Gesù ci ha amati, fino a dare la vita, per vivere in pienezza la collegialità attorno al Papa… Fa sì che siamo un’anima sola e un corpo solo, che la gioia dell’uno sia la gioia dell’altro, che la croce dell’uno sia la croce dell’altro, affinché risplenda in noi e fra noi la continua presenza di Gesù risorto, fino a penetrare tutte le nostre attività e rinnovare le nostre diocesi, affinché tutti siano uno e il mondo creda”. Sta qui, in effetti, tutta l’originalità di questi Convegni spirituali fra Vescovi. Essi – come era solito spiegare il Vescovo Hemmerle – non si prefiggono di trattare temi teologici o problemi particolari, ma di dar modo ai Vescovi di vivere un’esperienza di comunione spirituale e di unità, per approfondire, nella carità reciproca, lo spirito della collegialità col Papa e fra loro, e ravvivare così la vita di comunione nelle proprie diocesi e nei riguardi degli altri Vescovi. Un’istanza assai sentita, questa. Lo dimostra il numero crescente dei partecipanti a questi incontri che da tempo si svolgono ormai non soltanto a Roma, ma anche a livello regionale in diverse parti del mondo, dall’Estremo Oriente all’Africa, dal Brasile all’Europa centrale, ai Paesi del Medio Oriente. Con frutti profondi di comunione, come testimoniano – per citare soltanto un esempio – queste espressioni di un Vescovo dell’America Latina che, dopo aver partecipato a uno di questi Convegni, a distanza di alcuni mesi così scrisse agli altri Vescovi: “Voglio dirvi che la mia vita è stata profondamente toccata da questo incontro. Ho avuto l’impressione che noi tutti fossimo nati nello stesso quartiere, avessimo studiato nella stessa scuola e fossimo vissuti sempre assieme. Da quel momento vi sento tutti uniti a me, come se fossimo mattoni di una stessa parete, tenuti insieme col cemento. E non so più pregare isolato, ma soltanto in comunione con tutti”. L’incoraggiamento di Paolo VI e di Giovanni Paolo II Quando Paolo VI, il 25 gennaio 1978, pochi mesi prima della sua morte, incontrò per la seconda volta i Vescovi riuniti in Convegno – erano 23 quell’anno – non esitò ad affermare a chiare parole la sua gioia per quell’iniziativa: “Tutto ciò che favorisce la mutua, fraterna carità, nella prospettiva di un più generoso e fecondo servizio ecclesiale, si colloca al centro del Vangelo e del ‘comandamento nuovo’ formulato dal Signore Cristo Gesù. (…) Noi non possiamo tacere questa vostra iniziativa e la confermiamo con la nostra speciale benedizione” . Quell’anno al Convegno partecipò anche Mons. Jorge Novak, allora Vescovo di Quilmes (Argentina), che rimase profondamente impressionato da un fatto da lui stesso riferito con queste parole: “Dopo l’udienza generale con Paolo VI, noi Vescovi fummo invitati in una sala dove il Papa ci parlò nuovamente e ci disse: ‘Come capo del Collegio Apostolico vi incoraggio, vi stimolo, vi esorto a continuare in questa iniziativa’ ”. Giovanni Paolo II, eletto Papa nell’ottobre 1978, subito intuì il valore di questi incontri volti a rafforzare lo spirito di comunione all’interno del Collegio episcopale e li sostenne. Fu lui a presentare – durante l’udienza generale del 15 febbraio 1979 – i 40 partecipanti del terzo Convegno con il nome di “Vescovi amici del Movimento dei Focolari”. L’anno successivo rifletteva in questi termini sulla rilevanza di questi Convegni: la collegialità effettiva ed affettiva “è la nostra principale testimonianza (…). Io mi rallegro della spiritualità che vi aiuta oggi a realizzarla sempre di più”. Due anni dopo, ricevendo all’indomani del sesto Convegno il Vescovo Hemmerle ed altri Vescovi cattolici in udienza speciale – era il 21 febbraio 1982 -, nel suo discorso tracciò linee che suonavano assai programmatiche. “Mentre il Papa viveva un’intensa e consolante esperienza di comunione con alcune giovani Chiese nel Continente africano, celebrando con esse il mistero dell’unità che pulsa nel grande Organismo della Chiesa universale, voi celebravate questo stesso mistero nella carità di una riunione fraterna, che vi ha consentito di parteciparvi reciprocamente, sotto gli occhi di Maria, ansie, progetti, prospettive, fiduciose speranze”. Nel fare ciò – proseguì Giovanni Paolo II – “voi non vi siete nutriti soltanto di una spiritualità che vi è particolarmente cara, ma avete altresì posto in atto una dimensione caratteristica della vostra realtà ontologica di Vescovi”. Come ogni cristiano è, per sua natura, con-discepolo di Cristo – spiegò – “così ogni sacerdote è con-sacerdote ed ogni vescovo è, per definizione, con-vescovo”. Ed espresse la convinzione che una tale apertura all’intera Chiesa “non vi porterà affatto a trascurare il gregge che vi è stato affidato”, ma darà piuttosto “maggiori garanzie di essere pienamente in sintonia con Cristo”. Affrettare la piena comunione visibile fra le Chiese Nella stessa udienza, Papa Wojtyła aprì una prospettiva che si sarebbe espressa ben presto in ulteriori sviluppi. L’ansia dell’unità – disse – vi porterà “a farvi carico con sempre rinnovato slancio del problema ecumenico, spingendovi a tentare ogni utile iniziativa”. Sollecitazione che, da parte dei Vescovi, trovò un’immediata risposta. Nell’ottobre successivo si tenne infatti per la prima volta un Convegno ecumenico di Vescovi amici del Movimento dei Focolari, appuntamento che da allora si ripropone ogni anno, di volta in volta in una sede diversa. “Non facciamo qui un Congresso teologico, benché non dimentichiamo di essere teologi. E non ci ritroviamo neppure per una conferenza ecclesiale, anche se portiamo in noi le nostre Chiese. Il nostro fine è quell’unità dello spirito e dell’amore – amore che conduce alla verità – che nasce dal fatto che ci amiamo come Gesù ci ha amati e viviamo unanimiter la Parola che egli ci ha dato”. Così, al Convegno ecumenico del novembre 1990, il Vescovo Hemmerle spiegò la caratteristica di questi incontri. Ed espresse la convinzione che tale esperienza di comunione era “un fatto veramente ecclesiale, una via per preparare dal di dentro le vie dell’unità”. Con l’andare del tempo, questi Convegni ecumenici che, con la benedizione dei Capi delle rispettive Chiese, oltre che a Roma, si sono svolti a Costantinopoli (1984), Londra (1986 e 1996), Ottmaring nei pressi di Augsburg (1988 e 1998), Trento (1995), Amman-Gerusalemme (1999) e Baar, non lontano da Zurigo (2001), hanno suscitato l’interesse anche di eminenti personalità del mondo ecumenico. “Abbiamo gioito nello spirito”, ha scritto il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I nel messaggio inviato al Convegno del novembre 1997. E, dopo aver formulato parole di ammirazione e di amore per il Movimento dei Focolari, affermava: “Il vostro approfondimento dei temi della spiritualità e dell’unità sarà certamente di grande giovamento per la vostra dedizione alla causa dell’unità dei cristiani”. Da parte evangelica-luterana, fra i partecipanti ci fu, sin dal 1983, il dott. Johannes Hanselmann, per molti anni Vescovo della Baviera e personaggio di primo piano nella Federazione luterana mondiale, della quale fu vice-presidente (1977-87) e presidente (1987-1990). Alla luce della sua vasta esperienza ecumenica, Hanselmann era profondamente conscio dell’originalità di quel “patto d’amore reciproco” con cui i Vescovi in ogni incontro si promettevano solennemente “di cercare in tutto e prima di tutto l’amore scambievole”, secondo il comandamento nuovo, impegno che portò tanti e tali frutti che egli non esitò a parlare di “un soffio di eternità” che lui trovava in queste riunioni. Incontri carichi di una speciale speranza, dunque, tanto che il Vescovo inglese Hugh W. Montefiore, nota personalità nel mondo anglicano, nella giornata conclusiva del Convegno del dicembre 2001, al quale avevano partecipato 24 Vescovi ortodossi, siro-ortodossi, anglicani, evangelici-luterani e cattolici, giunse a dire di aver sperimentato, nella comunione tra loro, “un presagio di ciò in cui noi tutti speriamo”. Come un significativo seguito di quest’ultimo Incontro, il Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, dott. Konrad Raiser, ha rivolto a Chiara Lubich un caloroso invito a visitare questo importante organismo. Per coincidenza, il Convegno ecumenico di Vescovi dell’ottobre 2002 si svolge nei pressi di Ginevra e prevede un’agenda particolarmente interessante. Rivolgendo la sua parola ai Vescovi di varie Chiese, Giovanni Paolo II ha dato più volte espressione a tutta la sua ansia per l’unità: Che questa esperienza di preghiera e di scambio fraterno affretti il giorno in cui saremo completamente uno in Cristo!” (12 ottobre1983). “Che il vostro pellegrinaggio ecumenico, spinto dalla forza dello Spirito, sia sempre (…) un servizio alla memoria delle opere mirabili da Dio compiute nella storia di ogni comunità cristiana, un richiamo fiducioso alla conversione e alla riconciliazione” (26 novembre 1987). “Non possiamo presentarci davanti a Cristo, Signore della storia, così divisi come ci siamo purtroppo ritrovati nel corso del secondo millennio”. Da qui tutto l’apprezzamento di Papa Wojtyła per questi incontri annuali che “pur con il loro carattere informale e privato, (…) aiutano a far crescere ed a diffondere un’intensa unione spirituale nella carità e nella verità, che alimenta la speranza del completo superamento, con l’aiuto della grazia di Dio, delle barriere che purtroppo ancora dividono i cristiani” (13 novembre 1997). Anelito per l’unità che, nell’udienza del 2 dicembre 2000, ha condotto Giovanni Paolo II ad indirizzarsi ai suoi “venerati fratelli nell’episcopato” con il vibrante appello a “rileggere la complessa e a volte travagliata storia delle nostre comunità nella prospettiva dell’unica Chiesa di Cristo, dove le legittime differenze contribuiscono a rendere più splendente il volto della Sposa del gran Re”. Quello dell’unità – ha detto Giovanni Paolo II nel 1994 al Convegno di Vescovi cattolici – è un desiderio di Gesù “che ci incalza e non ci dà pace, finché non si sia realizzato”. Riflessione sulla Chiesa-comunione Dopo la prima udienza speciale nel 1982, Giovanni Paolo II, in un crescendo che non sfuggirà a chi sfoglia le pagine di questo volume, ha costantemente accompagnato, illuminandolo con la sua parola, lo sviluppo dei Convegni fra i Vescovi cattolici. Ed ha colto quelle occasioni per enucleare una serie di punti-chiave importanti per una sempre maggiore realizzazione della Chiesa-comunione. Ne evochiamo qui, molto rapidamente, solo i principali: lo spirito della collegialità episcopale come lievito d’unità ecclesiale sia a livello universale che nelle Chiese particolari; il ruolo decisivo di una spiritualità di comunione, quale presupposto anche di una testimonianza efficace; il Cristo crocifisso ed abbandonato come sorgente della comunione e come via per il dialogo; il profilo mariano della Chiesa. E’ profondamente radicata nel pensiero di Papa Wojtyła – come del resto mostra la sua costante prassi – l’idea che la collegialità effettiva ed affettiva dei Vescovi, lungi dall’essere solo realtà giuridica o sacramentale, debba tradursi quotidianamente in comunione vissuta. Da qui la simpatia con cui egli guarda e sostiene ogni iniziativa che mira a rendere operante questa istanza che è, senza dubbio, tra le linee direttrici più importanti del Concilio Vaticano II. Ma non meno urgente suona l’invito, che egli rivolge ai Vescovi, a trasmettere alle loro diocesi quello spirito di unità e comunione che essi sono chiamati a vivere tra loro. “L’esperienza di ‘koinonia’, che voi oggi vivete – ha detto nel 1983 -, possa riverberarsi positivamente nelle Chiese particolari affidate alle vostre cure, suscitando in esse un senso sempre più vivo dell’appartenenza all’unico Corpo mistico di Cristo”. Nel 1990 è stato ancora più esplicito: “Ringraziate il Signore per l’esperienza di fraternità apostolica che state vivendo durante questi giorni e portate poi il lievito di questa unità vissuta tra voi all’interno delle vostre rispettive Comunità diocesane”. E nel 1992: “Fate tesoro dell’esperienza spirituale del Movimento dei Focolari (…) per accrescere sempre più il vostro slancio apostolico e per incrementare l’animazione evangelica nelle vostre rispettive Comunità diocesane e nel mondo intero”. Nel 1995 emerge, per la prima volta in questi termini, un tema che diventerà poi uno dei cardini della lettera-programma per la vita della Chiesa nel terzo millennio che è la Novo millennio ineunte: l’urgenza che la vita e l’azione della Chiesa sia animata, a tutti i livelli, da una “robusta spiritualità di comunione”, come elemento propulsore, pure, per la grande impresa della nuova evangelizzazione. “Come allora, anche oggi – scrive il Papa nel Messaggio al Convegno del 1997 – il compito principale dell’apostolo è proclamare e testimoniare con la vita che Cristo è veramente risorto, che Egli è presente tra di noi attraverso il comandamento nuovo che ci ha lasciato”. E ne trae questa conseguenza: “Una spiritualità di comunione per dei Pastori della Chiesa significa l’impegno al dono totale di se”, ma anche, per la reciprocità dell’amore, “considerare la croce dell’uno la croce dell’altro”. E’ questo il presupposto indispensabile della stessa testimonianza. “Il nostro tempo – dice nell’udienza del 16 febbraio 1995 – esige una nuova evangelizzazione. Richiede quindi con particolare intensità ed urgenza di rispondere a questa originaria vocazione personale ed ecclesiale: formare, in Cristo, ‘un cuore solo e un’anima sola’ (At 4, 32)”. E ribadisce: “Essere uno in Cristo è, per così dire, la prima e permanente forma di evangelizzazione attuata dalla Comunità cristiana”. Negli ultimi due anni, il tema della “spiritualità di comunione” si trova intimamente unito ad un altro punto-cardine della Novo millennio ineunte che è allo stesso tempo uno dei pilastri della spiritualità dei Focolari: il volto dolente di Cristo, ed anzi: il mistero del suo abbandono in croce. “In Cristo crocifisso ed abbandonato – afferma il Messaggio del 14 febbraio 2001 – il male ed il peccato sono definitivamente sconfitti, e viene resa possibile la piena unità dell’umanità col Padre e degli uomini fra di loro”. Sta qui dunque “la via maestra non soltanto per rendere sempre più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale, ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni”. Confrontato lui stesso profondamente con la sofferenza, nell’udienza del 28 febbraio 2002 Giovanni Paolo II torna sull’argomento: “Il servizio dell’unità, su cui voi giustamente amate molto insistere, è intrinsecamente segnato dalla Croce”. Richiama al riguardo l’esempio degli Apostoli: “Il loro ministero di comunione e di evangelizzazione ha goduto della stessa fecondità di quello di Cristo: la fecondità del chicco di grano (…) che produce molto frutto se e perché muore nella terra”. Come non intravedere qui anche una personalissima esperienza? Non meno importante è il tema del profilo mariano della Chiesa, che emerge in diversi interventi di Giovanni Paolo II. Egli ne ha parlato – come si sa – con accenti programmatici nel discorso al Collegio Cardinalizio, durante l’anno mariano, il 22 dicembre 1987  . Maria – dirà poche settimane dopo ai Vescovi amici del Movimento dei Focolari – “è un eminente modello per noi Pastori di come debbono essere condotte le anime”. Da qui la speranza che i Vescovi possano rivivere, nei loro Convegni, “quasi un nuovo ‘Cenacolo’ con Maria”, affinché la loro testimonianza abbia sempre più “quel timbro ‘materno’ che essa deve avere, per riuscire veramente efficace nel mondo” (12 febbraio 1988). Dieci anni dopo, il Papa si sofferma nuovamente su questo tema: “La Chiesa possiede dunque, accanto al ‘profilo petrino’, un insostituibile ‘profilo mariano’: il primo manifesta la missione apostolica e pastorale affidatale da Cristo, il secondo esprime la sua adesione al piano divino della salvezza”. Ne nasce la sfida per i Vescovi e per le loro Comunità di “riproporre fedelmente questo duplice profilo della Chiesa” (14 febbraio 1998). Se questi sono alcuni temi salienti, di cui il lettore potrà rendersi meglio conto attraverso la lettura di questo volume, c’è però un elemento che la carta scritta non può trasmettere: la gioia e la comunione spontanea che hanno caratterizzato questi incontri di Giovanni Paolo II con i suoi fratelli nell’episcopato. Forse ne danno un’idea le foto. Attraverso di esse si potranno conoscere anche alcuni dei principali protagonisti, fra cui il Card. Miloslav Vlk che assunse la moderazione dei Convegni, dopo la morte del Vescovo Hemmerle avvenuta il 23 gennaio 1994. Dalla benedizione all’approvazione Trascorsi più di 20 anni dall’inizio dei Convegni spirituali che sono stati fonte di arricchimento per centinaia di Vescovi cattolici nelle diverse parti del mondo, questa esperienza di comunione ha trovato anche un’approvazione, con la lettera del Pontificio Consiglio per i laici del 14 febbraio 1998, che riconobbe formalmente la partecipazione dei “Vescovi amici” al Movimento dei Focolari. Non che si volessero codificare dei rapporti che erano e che rimangono di natura tutta spirituale. Ma piuttosto perché si sentì l’esigenza che la configurazione giuridica dell’Opera di Maria – nome ufficiale del Movimento dei Focolari – riflettesse quest’Opera nelle sue varie dimensioni, così come sono nate dal carisma dell’unità che ad essa è proprio. Di queste dimensioni fa parte, appunto, anche quella comunione spirituale di Vescovi che è andata crescendo lungo gli anni, con innumerevoli frutti, e che è stata calorosamente incoraggiata sin dall’inizio da Papa Paolo VI. Per l’approvazione fu decisiva la riflessione di un noto canonista sull’inalienabile diritto di associazione di cui godono tutti i battezzati, diritto che spiega il fatto nuovo ed originale della partecipazione ai Movimenti ecclesiali contemporanei non solo di cristiani laici, bensì di persone di tutti gli stati e vocazioni . Ma soprattutto è stato importante chiarire come tale partecipazione, nel caso dei Vescovi, pur avendo un riconoscimento giuridico, resti un impegno esclusivamente spirituale che né comporta legami giuridici né costituisce un’associazione di fatto . Rimane pertanto salvaguardata l’unicità del Collegio episcopale, come corpo indivisibile. Neppure si interferisce nell’esercizio degli specifici doveri e dell’uguale disponibilità verso tutti, propri del ministero del Vescovo; disponibilità ed apertura – è il caso di sottolinearlo – che devono abbracciare pure le realtà carismatiche e associative, in tutta la loro varietà. Se Giovanni Paolo II ha voluto questa approvazione e se essa è stata formalizzata dal Pontificio Consiglio per i laici, cui fanno riferimento i Movimenti ecclesiali, con l’apporto significativo della Congregazione per la dottrina della fede ed anche della Congregazione dei Vescovi, ciò si deve pure alle particolari caratteristiche della spiritualità dell’unità che anima il Movimento dei Focolari. Nella vita di un Vescovo infatti – come sottolineano gli interventi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II riportati in questo volume – la spiritualità dell’unità è uno stimolo costante a svolgere il proprio ministero nella più perfetta unità con il Papa, a rafforzare la comunione all’interno del Collegio dei Vescovi, particolarmente nelle Conferenze episcopali nazionali e regionali, a far risplendere nella propria diocesi la realtà della Chiesa-comunione cominciando dal presbiterio diocesano e favorendo l’armoniosa collaborazione con i carismi antichi e nuovi, per aprirsi, poi, forti della testimonianza dell’unità, a quel dialogo con le altre Chiese, con il mondo delle religioni, con le culture, voluto dal Concilio Vaticano II. Ecclesiologia di comunione – spiritualità di comunione Da quanto precede emerge il significato della presenza di Cardinali e Vescovi in un Movimento ecclesiale come quello dei Focolari. Esso è da ricercare nella necessità che l’ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II trovi il suo riscontro in una spiritualità corrispondente. Non può giungere, infatti, a pienezza la vita della Chiesa-comunione senza una spiritualità di comunione, la quale, per la verità, porta con sé dinamiche, metodi e strumenti della vita spirituale, in gran parte ancora da scoprire e da mettere in pratica. Se sono sempre più numerosi i Vescovi, e non solo, a sentire questa necessità, forse nessuno l’ha espressa con tanta lucidità e con tanto vigore come Giovanni Paolo II che nella Novo millennio ineunte scrive: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo”. E chiarisce: “Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione”. “Senza questo cammino spirituale – avverte il Papa – “a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie d’espressione e di crescita”. Da qui il caloroso augurio che Giovanni Paolo II sembra formulare col cuore in mano per tutta la Chiesa: “Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello, nel tessuto della vita di ciascuna Chiesa. La comunione deve qui rifulgere nei rapporti tra Vescovi, presbiteri e diaconi, tra Pastori e intero Popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e movimenti ecclesiali” (nn. 43,45). Quella dei Focolari è appunto una spiritualità della comunione. Per questo Giovanni Paolo II non cessa di sollecitare i Vescovi a “discernere, accogliere e promuovere il carisma che lo Spirito suscita nel Movimento ” (12 febbraio 1999). E li esorta: “Fedeli alla spiritualità dell’unità ed attraverso un costante scambio di esperienze, proseguite nella vostra missione di costruttori di comunione all’interno delle Conferenze episcopali, in seno al presbiterio e nelle comunità diocesane” (23 febbraio 2000). (altro…)

La solidarietà ha il colore della fantasia

La solidarietà ha il colore della fantasia

Tra le molte iniziative che fioriscono sia nei Paesi colpiti che nel resto del mondo, ad opera delle varie espressioni del Movimento dei Focolari, soprattutto tra i giovani è partita una staffetta d’amore. Alcuni flash:

Milano: i giovani hanno partecipato alla fiaccolata organizzata dall’Associazione Arcobaleno, un centro di accoglienza per stranieri gestito da persone dei Focolari, con la significativa partecipazione della comunità dello Sri Lanka che vive nel capoluogo lombardo, segnata da molti lutti a causa del maremoto. La manifestazione si è conclusa in piazza Duomo dove hanno parlato rappresentanti buddisti e cristiani della comunità. Molto toccante è stata la testimonianza di un operatore italiano dell’Arcobaleno, che ha voluto ringraziare il popolo cingalese per la sua generosità: sua figlia e suo genero erano in viaggio di nozze sulle spiagge dello Tsunami e sono stati tratti in salvo, per miracolo, da gente del luogo, che ha messo a repentaglio la propria vita per salvare quella di un gruppetto di 20 turisti, tra cui loro. Germania: il movimento di Schoenstatt e alcune comunità della Chiesa evangelico-luterana si sono unite alle iniziative dei Focolari per far arrivare anche i loro aiuti attraverso i contatti diretti che i Focolari hanno nelle zone colpite. Time-Out: ogni giorno, a mezzogiorno, i membri del Movimento, in tutto il mondo, si fermano per un minuto di silenzio e di preghiera per la pace. L’iniziativa, nata negli anni novanta a seguito della prima guerra del Golfo, ha oggi come prima intenzione di preghiera proprio le vittime dell’Asia. Le veglie di preghiera sono state molte, con raccolte di soldi: l’ultima, in ordine di tempo, il 18 gennaio scorso a Grottaferrata (RM), in concomitanza con l’inizio della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che da sempre vede il Movimento attivo con molte iniziative in campo ecumenico. Come è avvenuto in tutto il mondo, anche i giovani hanno colto l’occasione delle feste natalizie e del Capodanno per raccogliere fondi a favore delle popolazioni colpite. Dall’Italia, qualche esempio: Loppiano: il ricavato della ormai tradizionale festa di Capodanno è stato destinato alle vittime dello tsunami (€ 2.100). Ancona: “Calze della befana” è il nome dell’iniziativa dei ‘Giovani per un Mondo Unito’, una raccolti di fondi attraverso la vendita nelle parrocchie della tradizionale calza del 6 gennaio, Gite turistiche, come ad Anagni (FR), o tombolate con piccoli e grandi, come a S. Anastasia (NA). (altro…)

Messaggio del patriarca Ecumenico Bartolomeo I e del Primate d’Inghilterra Rowan

Messaggio del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I Eminenze, Eccellenze, Amati Fratelli nel Signore, cara Chiara, Vi abbracciamo caldamente e vi salutiamo con il saluto apostolico: Grazia e pace da Dio Padre e dal Signore nostro Gesù Cristo. E’ con diversi sentimenti che ci rivolgiamo al vostro benedetto incontro. Avremmo desiderato poter essere in mezzo a voi e “parlarvi a viva voice, perché la nostra gioia fosse piena” (2 Gv 1:12). Purtroppo questa opportunità ci è stata tolta improvvisamente e con violenza, a causa dei recenti attacchi terroristici, che hanno diffuso morte, dolore e caos in tutta la nostra Città. Questi orribili attacchi sfortunatamente vi hanno impedito di venire qui e avete deciso di avere l’incontro a Roma invece che a Costantinopoli, la Nuova Roma, come era stato programmato in origine. Preghiamo che la pace e l’ordine regnino di nuovo in questa Città e attraverso tutto il globo terrestre e che potremo avere il piacere della vostra presenza qui l’anno prossimo nel 2004. In questi tempi, in cui mancano stabilità e sicurezza, e nel nostro mondo, che non ha ancora visto “pace in terra agli uomini di buona volontà” (Lc 2:14), è fonte di speranza e di gioia che ci siano individui, organizzazioni o movimenti, come l’amato Movimento dei Focolari, che si sono resi conto che l’unità tra loro e del mondo in Cristo è l’elemento fondamentale di verità e di vita. Da’ ancor più speranza il fatto che essi abbiano fatto di questa unità lo scopo principale delle loro attività e della loro vita. E’ di questa unità, l’unità in Cristo, che il nostro amato fratello, Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II ha parlato quando, rattristato dall’incomprensibile persistenza di gente nel voler separare i cuori, ha detto, “ciò di cui l’umanità ha bisogno sono ponti e non muri.” Ha detto queste parole come un vero Pontifex. E’ questa unità che è anche il tema delle vostro discussioni per l’incontro di quest’anno; “perché siamo tutti uno in Cristo Gesù” (Gal 3:28). La promessa di Dio ad Abramo che nel suo seme tutte le nazioni della terra sarebbero state benedette si è realizzata con l’incarnazione di nostro Signore. Questa benedizione è reale perché nella vita spirituale non c’è alcuna differenza tra ebreo e greco, schiavo e libero, uomo e donna. Sono tutti uno, tutti uguali agli occhi di Dio, egualmente invitati al sacro banchetto del Suo Regno e hanno tutti uguali opportunità di salvezza. Questa nuova realtà, che in quel tempo era di scandalo a tutti, abolisce il razzismo e la discriminazione sociale e dei sessi. Ci unisce (tutti) nello stesso scopo: il prevalere della pace e della giustizia di Dio sulla terra e la salvezza del genere umano. Tuttavia, l’unità tra individui e tra società non è sufficiente. Le coppie divorziano facilmente, le amicizie cambiano e finiscono e le condizioni stabilite sono facilmente ritrattate. Non possiamo cercare soltanto di essere uniti tra noi umanamente, ma dobbiamo anche essere uniti in Cristo. Questo è il vero significato della frase “in Cristo Gesù”. Ciò vuol dire insieme con Lui, essere uno con Lui. Questa è l’unità dello Spirito che è anche umanamente il legame più forte, e mette insieme persone anche se non si conoscono. Ciò avviene perché tutte le differenze si risolvono in Cristo. La via per raggiungere quest’unità spirituale ci è data dai Vangeli. “E da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i Suoi comandamenti” (1Gv 2:3). Quindi non abbiamo la conoscenza di Dio solo studiandoLo, ma osservando i Suoi comandamenti. Se qualcuno conosce tutto di Cristo ma non osserva i Suoi comandamenti e non vive secondo la Sua santa volontà, questi è lontano dallo Spirito di Dio, e perciò lontano dai suoi fratelli. Ciò che questo tipo di unità richiede è l’amore. “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Gv 14:15) . Perciò è con l’amore che noi osserviamo i comandamenti di nostro Signore. Questo è il messaggio che Cristo ha portato al mondo e che gli apostoli hanno diffuso in tutte le nazioni. Noi riteniamo che il Movimento dei Focolari sia nato per proclamare al mondo questo messaggio. Solo se amiamo veramente il nostro Dio e Signore osserviamo i Suoi comandamenti e saremo uniti a Lui a tra di noi. Solo allora potremo ripetere le parole di San Paolo, che era unito a (tutto) il mondo, “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”(Gal 2:20). Di nuovo ci spiace che non siamo potuti essere insieme per questo incontro, ma preghiamo che nostro Signore benedica tutti voi e tutti i vostri dialoghi. E sebbene non siamo insieme, siamo uniti nell’amore per il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Messaggio del Primate d’Inghilterra, l’arcivescovo Rowan Williams a Sua Eminenza il card. Miloslav Vlk 25 Novembre 2003 Sua Eminenza, invio con molto piacere i miei saluti per il Convegno ecumenico 2003 dei Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Ho saputo che l’incontro è stato spostato da Istanbul a Roma, a seguito degli ultimi atroci attacchi terroristici che hanno avuto luogo nella stessa settimana della mia visita lì. Sono sicuro che le vostre preghiere sono con coloro che in quella città sono stati così colpiti da questa violenza. In tali circostanze, a nessuno di noi occorre ricordare che l’amore di Dio, espresso tangibilmente, è più che mai necessario nel nostro mondo travagliato e diviso. Siate certi della mia preghiera, mentre riflettete insieme sulla perenne attualità degli ispirati ideali di Chiara Lubich e mentre considerate come meglio incoraggiare l’opera del Movimento dei Focolari . Sinceramente in Cristo, vostro Rowan, Arcivescovo di Canterbury (nostre traduzioni dall’inglese originale)

(altro…)

Perché si ponga fine alla guerra: manifestare e pregare per la pace.  A tutti i costi vivere per la fratellanza universale

Perché si ponga fine alla guerra: manifestare e pregare per la pace. A tutti i costi vivere per la fratellanza universale

Mobilitarsi per la pace “Quello che con il Santo Padre avremmo voluto che mai succedesse è avvenuto: la guerra in Iraq”. Così Chiara Lubich il 20 marzo inizia il suo messaggio al movimento e invita tutti a mobilitarsi per la pace: “Il Santo Padre informato dell’attacco americano all’Iraq dopo aver messo in moto la settimana scorsa, ogni possibile iniziativa per salvare la pace, sgomento, si è ritirato a pregare. La nostra coscienza e il suo esempio ci spingono ora, in tutti i Paesi dove siamo presenti a dar vita a manifestazioni in favore della pace. Chiara invita soprattutto a moltiplicare le iniziative di preghiera, “perché si invoca l’aiuto di Dio verso un fenomeno, la guerra, dove non sembra essere assente il principe del Male: quindi preghiere, pellegrinaggi, sante Messe, recita pubblica del rosario”.

Una appassionata ricerca “a tutti i costi” della fratellanza universale Nel messaggio per una scuola di formazione delle famiglie musulmane del Movimento dei Focolari, iniziata il 26 marzo in Algeria, Chiara scrive: “Stiamo vivendo momenti difficili nei rapporti internazionali, momenti che ci chiedono una misura maggiore di fede nell’amore misericordioso dell’Unico Dio, una appassionata ricerca “a tutti i costi” della fratellanza universale, una più generosa e totalitaria immersione della nostra vita nei valori del nostro Ideale: un Ideale dove l’amore reciproco, l’accoglienza e la solidarietà, preparano l’avvento del mondo unito. Lo so che tante realtà, attorno a noi, ci spingono forse in senso inverso, ma noi sappiamo e crediamo che l’unico ambiente dove può vivere la giustizia è l’amore fraterno, quell’amore che attingiamo da Dio. Vi auguro di vivere insieme una feconda esperienza spirituale, che vi faccia crescere sia nell’amore tra di voi che nella testimonianza di fede da offrire alle vostre comunità. Una famiglia che vive secondo la volontà di Dio è come una lampada che illumina le vie degli uomini e la loro convivenza. Sono insieme a voi con tutto il mio amore”.

(altro…)

Intervento di Andrea Riccardi

“Sviluppo della comunione tra i Movimenti ecclesiali, fra loro e con i Pastori della Chiesa, dal 1998 ad oggi”

Cari amici, sono molto contento di partecipare alla prima giornata di questo convegno promosso dal Movimento dei Focolari. Sono contento di incontrare tanti sacerdoti di tutte le parti del mondo, che sono legati al carisma del Movimento dei Focolari o ad altri Movimenti.  Questi sacerdoti hanno in comune l’esperienza che rappresenta il titolo di questo convegno: i movimenti ecclesiali e la nuova evangelizzazione. Infatti coloro che sono riuniti qui -voi, cari amici- avete un contributo importante da dare proprio sulla frontiera più decisiva della vita della Chiesa nel 2000: la comunicazione del Vangelo. Sono contento di essere qui per vedervi negli occhi e per conoscere la vostra esperienza. Infatti i Movimenti e la nuove Comunità sentono sempre di più, non solo il bisogno di collaborare, ma di vedersi e essere insieme. Una settimana fa, Chiara era a Roma, a Trastevere, nella basilica di Santa Maria, dove si riunisce ogni sera la Comunità di Sant’Egidio per pregare. La preghiera è la prima opera per la Comunità in tutto il mondo, da Maputo in Mozambico a San Salvador in Centro America. E’ la prima opera in una Comunità che lavora in tanti luoghi del mondo con i più poveri, quelli che il mondo mette ai margini. La visita di Chiara rientra in una consuetudine di fraternità per cui ci si sente uniti nella diversità dei carismi, ci si sostiene, ci si accompagna. E’ lo stesso spirito con cui sono qui con voi. Perché quello che un Movimento vive è anche dell’altro Movimento. Questo avviene non per un vincolo esteriore, ma per quella comunione profonda che sta divenendo la realtà del nostro vivere. Così scopriamo che stiamo camminando nella stessa direzione, con lo stesso orientamento, anche se le vie sembrano o sono diverse. La direzione del nostro camminare viene dal fondo del nostro carisma stesso: comunicare il Vangelo. L’evangelizzazione, come si dice. I Movimenti normalmente nascono da questo: dalla condivisione di quella compassione di Gesù per le folle, stanche e malate, –come si legge nel Vangelo- per cui inviò i suoi apostoli a predicare ovunque il Vangelo del regno. I Movimenti nascono, in tempi diversi della storia, dal dono di quella passione del Signore per la gente che si fa evangelizzazione. Infatti comunicare il Vangelo è il primo gesto che compie la Comunità, che compiono gli apostoli, dopo l’effusione dello Spirito Santo in quella Pentecoste di Gerusalemme. Nel secolo trascorso, il Novecento, l’evangelizzazione è tornata ad essere la dimensione principale della vita della Chiesa non solo nei paesi mai raggiunti dal Vangelo, ma anche nelle terre di antica cristianità. Infatti si sono smarrite quelle istituzioni e quei quadri sociali attraverso cui si comunicava la fede, mentre ogni generazione che sale rappresenta una grande occasione per trovare insieme le parole del Vangelo e per aprire la propria vita alla presenza del Signore. Per questo, cari amici, oggi è giusto parlare di nuova evangelizzazione, proprio dopo questa prima Pentecoste del 2000. Ci troviamo in un mondo tanto nuovo, globalizzato, senza frontiere, ma dove riemergono –purtroppo- tanti muri. Tra il Novecento e il nuovo secolo è avvenuta una svolta antropologica e storica, per cui oggi l’evangelizzazione si pone in un modo nuovo: tra un mondo globale e tante identità che si chiudono. Ma non siamo qui solo ad affrontare un discorso sull’evangelizzazione, ma anche a chiederci quale responsabilità hanno i movimenti nell’evangelizzazione? Nel nostro programma sono poste in testa le parole di Giovanni Paolo II in quella indimenticabile Pentecoste del 1998. Le ripeto: “Più volte ho avuto modo di sottolineare come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i movimenti sono un’espressione significativa. Ambedue sono coessenziali alla costituzione divina della Chiesa…”. Non si tratta di un discorso teorico, ma di una realtà della nostra vita. Si tratta di una realtà che riguarda da vicino il modo di essere della Chiesa, che tocca da vicino l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Del resto questa è anche la realtà a cui sono particolarmente sensibili i sacerdoti che, per il loro ministero, sono a contatto –vorrei dire- con la dimensione istituzionale ma anche –come voi- sentono molto da vicino quella carismatica. I sacerdoti partecipi dei carismi dei movimenti – mi sembra- quasi vivono in una zona di frontiera che può essere, allo stesso tempo, un terreno di ricchi innesti e scambi, ma forse di qualche difficoltà. Non sempre nella lunga storia della Chiesa è stato tutto così luminoso e chiaro come in quella giornata di Pentecoste del 1998 in piazza San Pietro. Quella giornata rappresenta un punto di arrivo e di grande chiarezza teologica ed ecclesiale. Infatti credo che dobbiamo far conoscere ancora di più quel discorso del papa e riflettere su di esso. Del resto il problema del rapporto tra la dimensione istituzionale e quella carismatica è antico come la lunga storia della Chiesa. Sono tentato di percorrere –e la mia visione di storico mi spinge in questo senso- la lunga storia della Chiesa per cogliere la dinamica di questo rapporto: quasi la vicenda della coessenzialità. Ma non è il mio tema oggi. Tuttavia vorrei citarvi un episodio lontano della storia della Chiesa occidentale. Nella vita di San Benedetto, all’origine di quel grande movimento carismatico di uomini e di donne, che è stato il monachesimo occidentale (cuore dell’evangelizzazione di tanta parte dell’Europa medievale), si trova un episodio narrato da Gregorio Magno. Si tratta di una storia, dietro a cui si trova nascosta una grave difficoltà di Benedetto con un prete dal nome Fiorenzo. Un grande carismatico e un prete… Questo prete Fiorenzo prese a invidiare la buona reputazione di Benedetto e il fatto che molti venivano attratti da lui. L’invidia giunse a un punto tale che il prete gli inviò un pane avvelenato; ma l’uomo di Dio si salvò. Allora il prete prese a diffamarlo e tentarlo. Ma Dio protesse il padre dei monaci. E’ un episodio di tensione tra un ministro ordinato che non tollera il carisma sino a volerlo sopprimere e un grande carismatico. Tale tensione può avvenire anche in senso diverso, quando un’esperienza carismatica si sente, in modo prepotente e poco filiale, come se fosse tutta la Chiesa, quasi in maniera messianica… quando un’esperienza carismatica non sente con amore e venerazione non solo la dimensione ministeriale, ma anche il fatto che nella casa di Dio ci sono molte dimore (e quindi tanti modi diversi di vivere la stessa fede). Infatti vivere la coessenzialità tra la dimensione istituzionale e quella carismatica vuol dire comprendere che tutti siamo figli nella Chiesa. Dice un antico adagio armeno del quinto secolo: “Riconosciamo come nostro Padre il sacro Vangelo e come Madre la Chiesa apostolica universale”. Un grande carismatico del 1200, Francesco d’Assisi, ha espressioni molto significative a questo proposito. Sono espressioni rivelatrici della genuinità evangelica del suo carisma. Tommaso da Celano racconta, nella sua Vita del santo, che il Papa di quei tempi difficili aveva fatto un sogno prima di incontrare Francesco: “Aveva sognato infatti che la basilica del Laterano stava per crollare e che un religioso, piccolo e spregevole, la puntellava con le sue spalle perché non cadesse: ‘Ecco, pensò: questi è colui che con l’azione e la parola sosterrà la Chiesa di Cristo”. E’ un’immagine stupenda della coessenzialità del carisma con l’istituzione: quel piccolo uomo reggeva l’immensa basilica che rischiava di crollare, senza uscire dalla sua piccolezza. E’ un’immagine evocativa di una coessenzialità che diviene originale corresponsabilità. Non posso dilungarmi su questo aspetto di Francesco grande carismatico e grande figlio della Chiesa, come si vede dal suo rapporto con il papa, dalla scelta di non predicare mai contro la volontà del vescovo del luogo. Ma vorrei farvi risentire –almeno questo- alcune parole del suo testamento, scritto nello stesso anno della sua morte, il 1226: “Poi il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri.” Il carisma francescano coinvolse talmente il mondo cristiano del Duecento spingendosi anche al di là delle frontiere della cristianità, come nell’incontro con l’islam al di fuori di una logica di contrapposizione violenta. Allora –come sappiamo- il rapporto tra islam e cristianesimo era rappresentato dal binomio guerra santa-crociata: ma Francesco percorse un’altra strada. C’è una forza comunicativa del Vangelo che si manifesta nel carisma francescano. Questa forza comunicativa del carisma vive l’unità con le istituzioni e i ministeri della Chiesa di quel tempo. Dove c’è questa unità, dove c’è questa comunione, si moltiplica la forza attrattiva e comunicativa del Vangelo del Signore. Non si tratta di un piano o di un progetto pastorale, ma di qualcosa che viene dal profondo di una Chiesa viva che respira a pieni polmoni nella larghezza di tutte le due dimensioni, senza mortificarne alcuna. La coessenzialità veramente vissuta tra carisma e istituzione riveste l’intera Chiesa di una sua forza particolare. E’ un punto su cui vorrei concludere fra un poco (non troppo) la mia riflessione. Il carisma di un laico, Francesco (che poi fu ordinato diacono), coinvolse non pochi sacerdoti, come si vede dai primi compagni di Francesco e poi nello sviluppo del movimento francescano stesso. Fin dall’inizio ci sono preti attorno all’umile Francesco e nel suo movimento. Ma soprattutto quel carisma portò il Vangelo al di là dei quadri stanchi e feudali della vita ecclesiastica nel cuore della società; e lo portò pure al di là della cristianità. E’ un’immagine che dobbiamo avere ben presente, mentre entriamo nel nuovo secolo. E’ un’immagine che era esplicita nel discorso di Giovanni Paolo II alla veglia di Pentecoste del 1998: quando carisma e istituzione vivono l’unità, la libertà nel servizio del Vangelo, l’amore nella differenza, si manifesta pienamente una forza di salvezza nella vita della Chiesa, delle comunità, dei singoli. E’ quello che mi dicono tanti sacerdoti, che sono partecipi del carisma di un movimento: si sentono più preti, più capaci di comunicare il Vangelo, più forti nella fede e più al servizio del popolo di Dio. Ma è quanto dicono vescovi e sacerdoti, che pure sono esterni al carisma di un movimento, quando lo vedono vivere bene nella Chiesa: il Vangelo parla in maniera eloquente. Ogni carisma ha la sua storia. Ognuno ha il suo valore. Sono come figli della Chiesa: tutti hanno un valore –proprio come i figli- nonostante siano più o meno sviluppati. E’ la storia degli ultimi tre/quattro anni in cui ci siamo incontrati tra tante nuove comunità e tanti nuovi movimenti: quello di scoprire il valore, anche se diverso, di ciascuna realtà suscitata dallo Spirito. Ogni movimento ha la sua storia e il suo modo di vivere la coessenzialità, la presenza dei sacerdoti nel movimento carismatico e altro. Ognuno rappresenta una ricchezza per noi tutti. Per questo la dinamica del futuro di ogni movimento non è la clericalizzazione: non si è più ecclesiali, se si è più clericalizzati. Un carisma non è un’ondata che, bene o male, deve essere assorbita. C’è un fluttuare del carisma nella vita, libero e unito, in comunione forte con la dimensione istituzionale e con altri carismi, che rappresenta una grande ricchezza. Il problema dei movimenti non è la loro clericalizzazione e il loro assorbimento. Un esempio antico di questo problema si trova nella Regola di San Benedetto (che è l’espressione del grande carisma monastico in Occidente, che ebbe una profonda forza di evangelizzazione e di umanizzazione sino dal primo Medio Evo). La Regola di san Benedetto insiste in due capitoli sui sacerdoti che volessero entrare in monastero e condividere il carisma monastico e sull’ordinazione presbiterale dei monaci. Nel primo caso, quello dei preti che entrano in monastero, Benedetto stabilisce: “Se qualcuno appartenente all’ordine sacerdotale chiedesse di essere accolto in monastero, non gli si acconsenta troppo presto. Se tuttavia insistesse assolutamente in simile richiesta, sappia che egli dovrà osservare tutta quanta la disciplina della Regola…”. Il problema è che il sacerdote, che entra a far parte della comunità, sappia che dovrà vivere approfonditamente il carisma, rappresentato dalla Regola. Vengono prima la Regola e l’abate: si vuole evitare che, perché prete, l’ordinato si consideri al di là del carisma stesso. Ma all’interno del movimento benedettino ci sono giovani che possono venire ordinati. Allora la Regola stabilisce: Se un abate volesse che gli venga ordinato un monaco o un diacono, scelga fra i suoi chi sia degno di esercitare l’ufficio sacerdotale. L’ordinato però eviti la vanità e la superbia, né ardisca fare se non ciò che gli viene comandato dall’abate, conscio di dover sottostare più degli altri alla disciplina della Regola… Quel posto che gli spetta secondo l’ingresso in monastero, lo conservi sempre, eccetto che l’ufficio dell’altare…” L’ordinato resta partecipe del carisma (conservi il suo posto di sempre!), e anzi –proprio perché prete- sappia di dover vivere il carisma ancora di più (“dover sottostare più degli altri alla disciplina della Regola”). Un sacerdote –questo è lo spirito della Regola- non deve essere meno sacerdote e, anzi perché sacerdote, deve quasi vivere di più il carisma. Il monastero non si clericalizza, ma vive, per i monaci laici e per i monaci chierici, attorno al carisma, rappresentato dalla Regola e dall’abate. Sentiamo come questa storia, quella del rapporto tra le due dimensioni della vita della Chiesa, quella dei sacerdoti nei movimenti carismatici, non sia solo la nostra, ma affondi le sue radici addirittura nel primo millennio. Risolvere in maniera unilaterale –cioè fuori dalla comunione- questa storia può significare la clericalizzazione dei movimenti oppure, d’altra parte, la loro assolutizzazione nella Chiesa, quasi in un senso di superiorità su altre esperienze o sulla stesso ministero ordinato. A questo proposito non posso non richiamare le parole del Testamento di Francesco d’Assisi: “E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri”. Dopo il Concilio Vaticano II e con Giovanni Paolo II, questa storia è giunta a un particolare punto di maturazione nella coscienza ecclesiale. Ma questa coscienza, come è stata espressa dal papa per la Pentecoste del 1998, rappresenta anche una grande responsabilità per noi tutti in questo mondo contemporaneo. In che senso si può parlare di una responsabilità? Almeno, io credo sotto due aspetti, quello della comunione nella Chiesa e quello della comunicazione del Vangelo nel mondo contemporaneo. Una lettura politica e esterna alla vita della Chiesa ha parlato talvolta quasi di una rivalità tra i movimenti, proprio a partire dalla diversità. L’esperienza che noi facciamo di dialogo, di unità, di mutuo sostegno tra i movimenti, ci porta a dire il contrario. Non vedo tutto questo, se non in qualche angolo di immaturità, talvolta iniziale di qualche esperienza. Infatti la diversità non motiva la rivalità, ma anzi aiuta ciascuno a vedere –proprio nel confronto da fratelli- la specificità del proprio carisma. Il carisma, per restare tale, non può pretendere di volere informare a sé tutta la Chiesa in maniera messianica: è quell’assolutizzazione del carisma che fa torto al dono stesso che si è ricevuto. Del resto l’ultima stagione della vita della Chiesa, proprio a partire dalla Pentecoste del 1998, è stata profondamente segnata da una crescita di collaborazione e di simpatia tra i movimenti. Lo dico perché ho partecipato a questa stagione, assieme a Chiara Lubich, che si è sviluppata in tanti incontri tra i responsabili dei movimenti stessi. Ma questa stagione ha significato anche una crescita di amicizia nelle situazioni concrete tra la gente dei diversi movimenti. Questa amicizia era viva già da anni. Mi diceva un’amica di Sant’Egidio, che lavora in un ospedale, come in una situazione di grande tensione e disumanità, si fosse ritrovata spontaneamente con altri colleghi che erano legati a vari movimenti. Gli appuntamenti della vita, la testimonianza del Vangelo e della carità, avvicinano quelli che partecipano a spiritualità differenti. La stessa esperienza si verifica nell’incontro con vescovi, parroci, sacerdoti che fanno parte di un movimento o che si riferiscono alla spiritualità di una nuova comunità. Una spiritualità vissuta educa al gusto per i diversi carismi nella vita della Chiesa, proprio nel senso di una accoglienza e di uno stimolo di carisma anche che non appartengono alla propria spiritualità. Ho tante esperienze concrete a questo proposito, che mi confermano in questa consapevolezza. Ho visto sacerdoti del Movimento dei Focolari impegnati a far sì che nascesse una Comunità di Sant’Egidio lì dov’erano e a desiderarlo in maniera molto fattiva, come se si trattasse dell’esperienza a cui loro stessi erano legati. Perché ? Mi sembra che questi ultimi anni abbiano fatto crescere la coscienza che la diversità vissuta nell’amore è una ricchezza per la Chiesa e per ogni carisma. E’ una coscienza diffusa tra i Movimenti, ma anche tra quelli che non partecipano direttamente alla spiritualità e alla vita dei movimenti. Si sono visti tanti incontri, tante giornate, animate dai movimenti ecclesiali e imperniate sull’unità tra di loro, che hanno fatto la gioia di numerosi vescovi. In alcune situazioni sono stati i vescovi stessi a promuoverle.     Non si tratta di un coordinamento o di un consiglio dei movimenti. Ma è qualcosa di più profondo. Infatti a che giova il coordinamento, se non c’è una coscienza profonda di unità, se non c’è un amore alla base che rende consapevoli come l’uno sia indispensabile all’altro? I coordinamenti, le consulte, i consigli non sono una novità nell’organizzazione della Chiesa. Ma qui c’è qualcosa di più: è la vera recezione del Concilio, come Giovanni Paolo II l’ha proposta: quella di una Chiesa, ricca di carismi, orgogliosa dei doni dello Spirito Santo, ma unita e coesa nell’amore. I movimenti non sono piccole Chiese, ambiziose di estendersi a una vasta Chiesa. Ma sono doni che, lungo la storia del Novecento, il Signore ha fatto alla sua Chiesa. Ogni movimento ha interpretato un aspetto della vocazione della Chiesa stessa in una maniera originale: ma esso rinvia per sua natura alla Chiesa. Le tante vocazioni sacerdotali, che nascono nei movimenti, sono un dono alla Chiesa. La testimonianza della carità verso tutti, ma soprattutto verso i più poveri, è un dono alla Chiesa per il mondo intero. La comunicazione del Vangelo che è alla base della strutturazione missionaria del carisma dei movimenti, è un dono alla Chiesa. Infatti i movimenti sono –per utilizzare il termine di Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte-, scuole di comunione. La stessa vita comune, la partecipazione alla missione, tra sacerdoti e laici nello spirito di un carisma, è una scuola di comunione. Se i movimenti nascono da un carisma e da un fondatore, si muovono –almeno per quelli del Novecento- nella dinamica stessa della comunione. E’ quella comunione che fonda metodi originali, semplici, diretti, di comunicare il Vangelo o di viverlo in maniera attrattiva per tante donne e uomini, nostri contemporanei. Si manifesta una pienezza di vita che abbraccia i movimenti grandi e i meno grandi, le istituzioni della Chiesa, i ministri ordinati, le Chiese locali, le parrocchie, sino alle comunità religiose. Questa pienezza di vita è eloquente comunicativa di per sé: parla della bellezza della vita cristiana, comunica il suo fondamento evangelico, coinvolge gli altri. L’unità tra i movimenti non è la costruzione di un fronte tra le forze più attive della Chiesa. Non è così. Sarebbe riduttivo. Essere uniti non vuol dire parlare la stessa lingua e fare le stesse cose. E’ un’idea riduttiva di unità. C’è una comunione profonda, che diventa solidarietà nella diversità e che rappresenta una ricchezza nella missione. Dopo la Pentecoste, quella prima Pentecoste di Gerusalemme, gli apostoli non si misero a parlare la stessa lingua, ma li udivano parlare in lingue diverse. Eppure la loro unità era profonda, come si manifestò poi con il discorso di Pietro. Dopo la Pentecoste del 1998, dopo il discorso di Giovanni Paolo II, non siamo chiamati a fare un fronte unico: sarebbe troppo poco. Ma siamo chiamati a amarci in profondità, a sentirci una cosa sola, a cogliere che abbiamo una missione in comune nel mondo, a sostenerci, ma anche a essere noi stessi, per fare della nostra libertà un’occasione per vivere secondo lo Spirito, per servire il Vangelo, per edificare la Chiesa. Dico a ogni nostra comunità, specie a quelle più isolate e in luoghi difficili del mondo: non sarete mai sole! Sono stato nel marzo di quest’anno in Mozambico, dove ho visitato una buona parte delle 50 e più comunità che sono sorte in quel paese, dopo la pace, firmata a Sant’Egidio e mediata da noi, tra il governo e la guerriglia che ha posto fine ad una guerra durata 15 anni e che ha prodotto un milione di morti. A tutti ho detto: non sarete mai soli! Ma mi sono reso conto che anche un movimento non è mai solo: è bello scoprire che qualcuno cammina accanto a sé. Gesù mandò i suoi discepoli due a due nel primo viaggio missionario dei Vangeli. Gregorio Magno si chiede perché Gesù non avesse mandato i discepoli da soli. La sua risposta è che, camminando l’uno a fianco dell’altro, comunicando insieme il Vangelo, guarendo gli ammalati, potessero testimoniare allo stesso tempo l’amore scambievole tra di loro. Da quell’amore li avrebbero riconosciuti. In quell’amore tra i due, c’era Gesù con loro. La loro missione fu efficace, tanto che Gesù vedeva Satana cadere dal cielo e li accolse, al loro ritorno, pieno di gioia. Quei due discepoli sono il segno di un cammino che stiamo facendo insieme tra diversi movimenti: la missione che compiamo, lungo strade differenti, in modi differenti, sarà più attrattiva e convincente, perché si fonda sull’unità. E’ quell’unità che avrà anche la capacità di abbattere tante barriere, di allargare le frontiere, di costruire ponti invece che muri, nella vita della Chiesa e nel mondo. Penso all’ecumenismo, in cui molti movimenti hanno un compito particolare. Penso al dialogo della vita, con gli altri mondi religiosi. Penso alla guerra o alle situazioni di tensioni.    L’esperienza che noi possiamo fare, dopo la Pentecoste del 1998, è quella di vivere in maniera profonda l’unità. Scriveva un grande vescovo del II secolo, Ignazio di Antiochia, morto martire: “…quando infatti vi riunite, crollano le forze di Satana e i suoi flagelli si dissolvono nella concordia che vi insegna la fede”. C’è una forza di amore che nasce dall’unità vissuta nel profondo. Sono convinto che sta nascendo una nuova forza capace di far cadere tanti muri e divisioni: perché uno spostamento anche di pochi centimetri in profondità provoca sulla superficie un terremoto. E’ quella scossa profonda di amore e di Vangelo di cui il nostro mondo contemporaneo ha bisogno. ANDREA RICCARDI   (altro…)