L’8 ottobre 2021 si è conclusa a Genova (Italia) la fase diocesana del processo di beatificazione di Alberto Michelotti e Carlo Grisolia. La loro è la storia di un cammino condiviso, di un amicizia vera capace di superare tutto. Come si fa a “farsi santi insieme? Non è semplice. Serve del tempo e soprattutto è necessario camminare nella stessa direzione, guardare alla stessa fonte di luce. È questa la storia di Alberto Michelotti (Genova 1958- Monte Argentera 1980) e Carlo Grisolia (1960 Bologna- Genova 1980), due giovani di Genova (Italia) per alcuni aspetti molto distanti tra loro, eppure legati da una grande amicizia e da un unico desiderio: mettere Dio al centro della propria vita. L’ideale e il carisma del Movimento dei Focolari li attrae fortemente e li unisce in un rapporto fatto di vera condivisione e fratellanza. Entrambi partono per il cielo nel 1980, a distanza di 40 giorni l’uno dall’altro, Alberto durante una gita in montagna, Carlo per un tumore. Due amici ed un unico processo di canonizzazione, avviato dal cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova nel 2005, che lo scorso 8 ottobre ha visto conclusa la sua fase diocesana. Ma chi sono davvero questi due ragazzi? Alberto ha la stoffa del leader, del vincente, ma la sua è una leadership di “servizio” che lo avvicina sempre di più al prossimo, soprattutto ai più bisognosi e ai giovani. Nato e vissuto con la sua famiglia alle porte di Genova, frequenta con i suoi genitori la parrocchia di San Sebastiano. Partecipa in maniera attiva alla vita parrocchiale e, dopo un iniziale coinvolgimento nell’Azione Cattolica, conosce grazie ad un sacerdote, Mario Terrile, la spiritualità di Chiara Lubich che lo travolge. È proprio durante la Mariapoli del 1977, meeting del Movimento dei Focolari, che Alberto riceverà in dono una notizia nuova, qualcosa che cambierà per sempre la sua vita: “Dio amore”. Lo stesso anno entra a far parte dei Gen (Generazione Nuova), la diramazione giovanile del Movimento, ed è qui, che conosce Carlo con il quale sperimenterà una profonda unità, capace di superare le differenze caratteriali che li contraddistinguono. Carlo, a differenza di Alberto, è un ragazzo più introverso e poetico. Studia agraria e gli piace leggere, suonare la chitarra e scrivere canzoni. È un sognatore, un tipo con le ali ai piedi, nulla a che vedere con la grande passione di Alberto per la montagna e la razionalità matematica, tipica di uno studente di ingegneria quale è. Eppure, ad unirli, c’è qualcosa di grande, il desiderio di portare agli altri l’ideale evangelico del mondo unito con gioia ed entusiasmo e, soprattutto, la voglia di mettere sempre in pratica il messaggio di Gesù “dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 15-20). Dai Focolari, che conosce fin da piccolo grazie ai suoi genitori, Carlo impara la strategia del “farsi santi insieme”, un invito lanciato da Chiara in un suo messaggio che diventa come un chiodo fisso per lui, in particolare dopo essersi trasferito a Genova per via del lavoro del padre. Vir, “vero uomo, uomo forte” non è solo l’appellativo che la Fondatrice del Movimento dei Focolari gli attribuisce, ma diventa nel tempo un programma di vita per Carlo che trae la sua forza da Gesù, l’unica fonte di energia possibile, come scrive in una sua canzone: “E respira nell’aria l’amore che ti dona questo nuovo sole che nasce su di te”. L’amicizia tra questi giovani dura tre anni, eppure tra le due anime sembra intravedersi davvero la maturità di chi ha condiviso molto, di chi ha fatto esperienza vera della vita, sviscerandola, quella maturità che, generalmente, è dei sapienti. Nel cammino di ricerca dell’Amore autentico scoprono la purezza come strumento per raggiungere insieme la vera libertà e condividere questo ideale con gli amici. Pensieri profondi si intrecciano in una trama tutta colorata, su pezzi di carta che un tempo sostituivano i nostri messaggi whatsapp. “Probabilmente per te sarà l’anno del militare – scrive Alberto a Carlo nel giorno del suo diciannovesimo compleanno – Forse nuove difficoltà, nuove gioie. Un po’ come la giornata di oggi cominciata con un sereno fantastico e ora, alle 16, trasformatasi in un grigio invernale (…). Ma tanto sappiamo che dietro queste nuvole c’è il sole”. Alberto e Carlo, si specchiano l’uno nell’altro, riconoscendo gioie e paure, lotte e conquiste e, fiduciosi in quell’Amore che tutto può, sono pronti a vivere la frase del Vangelo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (GV 15,13). Alberto perde la vita sulle montagne cuneesi, il 18 agosto del 1980, cadendo durante una scalata in un canalone ghiacciato sulle Alpi Marittime. Carlo non riesce a partecipare al suo funerale. Il 16 agosto rientra dal militare per degli accertamenti dopo una serie di svenimenti e di paralisi agli arti. In poche ore e, dopo il consulto di un medico che non nasconde la gravità della situazione, viene ricoverato. Si tratta di neoplasia. Gli raccontano della morte di Alberto, ma il tempo è poco e bisogna correre all’ospedale. Saranno questi i 40 giorni che separano i due amici prima di ritrovarsi ancora, uniti per sempre. Negli ultimi giorni trascorsi in ospedale Carlo, pur senza forze, accoglie tutti con un grandissimo sorriso: “So dove vado – dice a un’infermiera – Vado a raggiungere un mio amico che è partito giorni fa in un incidente in montagna. Carlo sente forte la presenza di Alberto al suo fianco e non vede l’ora di compiere quel “salto in Dio” di cui parla alla mamma in ospedale. Un tuffo nell’immenso che lo riporta alla casa del Padre il 29 settembre del 1980. Oggi, a 40 anni di distanza, quell’invisibile patto suggellato nell’amicizia di Alberto e Carlo è più forte che mai e vive una nuova fase. Ciò che in realtà stupisce è la straordinarietà dell’evento. Nella storia della Chiesa non è mai accaduto che l’esame canonico di due cause distinte venisse condotto in parallelo e che riguardasse due amici. Affinchè Alberto e Carlo siano definiti prima beati ed in seguito santi sono necessari due miracoli avvenuti per loro intercessione, ma visto che la preghiera è unica per entrambi, saranno, ad ogni modo, “santi insieme”. La conferma di un’amicizia spirituale come possibile via della santità; la realizzazione nella loro vita di quel “come in cielo cosi in terra” e di quella gioia vera, frutto di una profetica ispirazione di Chiara: “Vi auguro di farvi santi, grandi santi, presto santi. Sono sicura di darvi in mano la felicità”[1].
[1] Messaggio di Chiara Lubich in “GEN”, Anno XV (1981), n. 4, p. 2-3
Maria Grazia Berretta
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