Giugno del 1967: proprio cinquant’anni anni fa gli israeliani occupano i territori palestinesi. Da quel giorno è un susseguirsi di scontri di violenza e di morte. Molti, nonostante, continuano a costruire un futuro di pace. Tra questi Margaret Karram, già membro della Commissione episcopale per il dialogo interreligioso dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici della Terra Santa e collaboratrice con la direzione del Interreligious Coordinating Council in Israele (ICCI). Dal 2014 lavora al Centro internazionale del Movimento dei Focolari (Italia). Margaret K.: «Sono nata ad Haifa, una città in Galilea e la mia terra da sempre è stata una terra di conflitti, di guerre, sotto la dominazione di vari popoli. La nostra casa si trovava sul Monte Carmelo, in un quartiere ebraico. Eravamo l’unica famiglia araba cristiana cattolica, di origine palestinese. Ricordo che da piccola, avevo sei anni, alcuni bambini iniziarono ad offendermi pesantemente dicendomi che ero araba e non potevo stare in quel quartiere. Corsi dalla mia mamma piangendo, chiedendole il perché di quella situazione. Per tutta risposta, mia mamma mi chiese di invitare questi bambini a casa. Aveva preparato del pane arabo e ne ha dato loro pregandoli di portarlo alle loro famiglie. Da questo piccolo gesto sono nati i primi contatti con i vicini ebrei che vollero conoscere questa donna che aveva fatto un gesto del genere. Questo fatto mi ha insegnato che un piccolo atto di amore verso il prossimo fa superare le montagne dell’odio». La storia di Margaret continua con la narrazione di ricordi e avvenimenti che testimoniano quante difficoltà ha dovuto affrontare. Araba, cristiana-cattolica, Margaret è cittadina israeliana. Molti dei suoi familiari, come tanti cristiani, hanno dovuto fuggire in Libano durante gli anni della guerra. Si ritrova così a non poter conoscere gran parte della sua famiglia, poiché suo padre sceglie di rimanere con i nonni. In lei cresce sempre più il desiderio di costruire ponti di fraternità. «Sin da piccola sognavo la pace. Spesso mi recavo nei quartieri arabi a Gerusalemme, a Betlemme o in altri territori palestinesi. Se parlavo in arabo – che è la mia prima lingua – le persone riconoscevano dal mio accento la provenienza dalla Galilea che si trova in territorio israeliano. Viceversa, se parlavo in ebraico mi si faceva notare che il mio accento era diverso dal loro. Questo mi ha creato un senso di smarrimento della mia identità: non ero palestinese, né israeliana … All’età di 15 anni ho incontrato il Movimento dei Focolari e la spiritualità di Chiara Lubich mi ha messo le ali per volare. Ho sentito che non dovevo cambiare le persone ma cambiare io, il mio cuore. Ero tornata a credere che l’altro è un dono per me e io posso essere un dono per l’altro. Vivendo a Gerusalemme spesso ero presa dalla tentazione di scoraggiarmi, specialmente durante l’Intifada. Abbiamo vissuto dei momenti molto duri in città: molto spesso avvenivano degli attentati nei luoghi pubblici, anche nei pullman che io usavo ogni giorno per andare al lavoro. Avevo paura. Sono andata avanti grazie al fatto di avere con me una comunità che condivideva la spiritualità del Focolare. E ho finalmente ritrovato la mia vera identità: quella di essere cristiana, cattolica, testimone di speranza. È stata una tappa importante nella mia vita, che mi ha liberato dalle paure ed incertezze. Potevo amare tutti, arabi e israeliani, rispettando la loro storia e fare di tutto per creare spazi di dialogo, per costruire ponti, fiducia, assistendo a piccoli miracoli, vedevo persone ebraiche e musulmane cambiare atteggiamento e cercare insieme di fare qualcosa per la pace». Certamente non mancano tante iniziative. Molte organizzazioni lavorano per la pace attraverso l’arte, l’educazione, le azioni sociali. Tante persone come lei cercano di accendere piccole luci, che possono illuminare il buio e far intravedere spiragli di cielo. Nel giugno del 2014 Margaret viene invitata a far parte della delegazione cristiana alla preghiera di “invocazione per la pace” fatta insieme da papa Francesco, il patriarca Bartolomeo I, Shimon Peres, allora Presidente Israeliano e Abu Mazen, Presidente palestinese. «Subito dopo questo incontro c’è stata la guerra nella Striscia di Gaza. Sembrava essere stato vano il tentativo del Papa di riunire i due Capi di Stato per lavorare per la pace tra i due popoli. Ma è stato un momento storico, una tappa importante. Ho percepito la potenza della preghiera e ho capito che il cuore degli uomini lo può cambiare solo Dio. Dobbiamo continuare a invocare la pace a Dio. Come gli alberi d’ulivo che abbiamo piantato quel giorno, che la pace metta radici e si possano vedere i frutti». Video integrale
Mettere in pratica l’amore
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