E' una parola essenziale per comprendere il rapporto di Gesù con la ricchezza. L'immagine è forte, paradossale com'è nello stile semitico. Tra la ricchezza e il regno di Dio c'è incompatibilità ed è inutile voler annacquare un insegnamento che più volte ritroviamo nella predicazione di Gesù, quando dirà, ad esempio, che non si può servire Dio e mammona (cioè la ricchezza). O quando sembra chiedere al giovane ricco rinunce impossibili all'uomo ma non a Dio. Ma cerchiamo di capire il vero senso di questa Parola da Gesù stesso, dal suo modo di comportarsi con i ricchi. Egli frequenta anche persone benestanti. A Zaccheo, che dà soltanto metà dei suoi beni, dice: “La salvezza è entrata in questa casa”. Gli Atti degli Apostoli testimoniano inoltre che nella Chiesa primitiva la comunione dei beni era spontanea e libera. Gesù non aveva dunque in mente di fondare soltanto una comunità di persone chiamate a seguirlo, che lasciano da parte ogni ricchezza. Eppure dice:
«E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Che cosa condanna allora Gesù? Non certamente i beni di questa terra in sé, ma chi è attaccato ad essi. E perché? E' chiaro: perché tutto appartiene a Dio e il ricco invece si comporta come se le ricchezze fossero sue. Il fatto è che le ricchezze prendono facilmente nel cuore umano il posto di Dio e accecano e facilitano ogni vizio. Paolo, l'Apostolo, scriveva: “Coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro, infatti, è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori”. Quale allora l'atteggiamento di chi possiede? Occorre che egli abbia il cuore libero, totalmente aperto a Dio, che si senta amministratore dei suoi beni e sappia, come dice Giovanni Paolo II, che sopra di essi grava un'ipoteca sociale. I beni di questa terra, non essendo un male per se stessi, non è il caso di disprezzarli, ma bisogna usarli bene. Non la mano, ma il cuore deve star lontano da essi. Si tratta di saperli utilizzare per il bene degli altri. Chi è ricco lo è per gli altri.
«E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Qualcuno però potrebbe dire: io non sono ricco per davvero, quindi queste parole non mi riguardano. Bisogna fare attenzione. La domanda che i discepoli costernati hanno fatto a Cristo subito dopo questa sua affermazione è stata: “Chi si potrà dunque salvare?” . Essa dice chiaramente che queste parole erano rivolte un po' a tutti. Anche uno che ha tutto lasciato per seguire Cristo può avere il cuore attaccato a mille cose. Anche un povero che bestemmia perché gli si tocca la bisaccia può essere un ricco davanti a Dio. Eppure tanti ricchi, nella storia della Chiesa non si sono tirati indietro e hanno seguito Gesù nella via della povertà più radicale. Com'è stato di Eletto, che conoscevo bene: un giovane alto, bello, intelligente e ricco, che quando ha sentito la chiamata di Dio a seguirlo, non ci ha pensato un attimo. Non si è voltato indietro. Sembrava che le ricchezze per lui non esistessero affatto. Donò ogni suo bene e anche la vita. Mentre compiva un atto di carità verso un ragazzo trovò la morte in un lago a soli 33 anni. Là, sulla costa, una lapide-ricordo porta scritte queste sue parole: “Ho scelto Dio solo, nessunissima altra cosa”. Eletto, apparendo davanti a Gesù, non si è certamente sentito ripetere: “E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”.
Chiara Lubich
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