Gen 10, 2018 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
La calda estate dell’emisfero australe ha da poco fatto da cornice ad un incontro con la sociologia latinoamericana, che i partecipanti hanno definito “folgorante”. «Every time we love, every time we give, it’s Christmas» sintetizza a nome della segreteria di Social-One Silvia Cataldi, ricercatrice all’Università “La Sapienza” di Roma e autrice, insieme a Vera Araujo e Gennaro Iorio, del volume “L’amore al tempo della globalizzazione. Verso un nuovo concetto sociologico” (Città Nuova, 2015), che scandaglia la dimensione “pubblica” e “sociale” dell’amore come forza trasformativa nella vita delle comunità e nei comportamenti collettivi. La stessa dimensione “agapica” su cui il gruppo di sociologi si è interrogato con momenti di studio e laboratorio.
Vera Araujo
«In Uruguay – spiega la Cataldi – abbiamo partecipato ad un Convegno internazionale di 5mila sociologi, organizzato dell’Associazione Latinoamericana di Sociologia (Alas) con la presentazione di una ricerca sulla raccolta e meta-analisi di casi di “agire agapico” nel mondo. Quindi ad una tavola rotonda sul manifesto del Convivialismo, firmato nel 2013 da filosofi, sociologi, economisti e antropologi di tutto il mondo, quale contributo delle scienze umane all’arte del vivere insieme. Un’occasione per conoscere la sociologia latinoamericana e rimettere a fuoco ciò che l’America Latina può donare al mondo: una visione molto vitale della cultura in cui lo studio, l’intervento e la trasformazione sociale sono un tutt’uno, al servizio dell’umanità». Successivamente, il gruppo di Social-One – 60 studenti e docenti provenienti da Brasile, Colombia, Argentina, Cile e Italia – si è spostato a Recife, in Brasile, dove ha partecipato ad un seminario presso l’Università Federale del Pernambuco, quindi nella cittadella Santa Maria dove si è svolta la summer school dal titolo “Agire agapico e realtà sociale: Immaginazione sociologica per promuovere sviluppo, per costruire futuro”: «Una scuola di apprendimento reciproco sul tema dell’agape in azione nel sociale, cui è seguito un workshop nelle comunità delle favelas vicine. Le impressioni raccolte alla fine parlavano di un profondo rinnovamento personale, comunitario e spirituale. Abbiamo parlato sempre e solo di sociologia, ma l’amore tra noi e le idee di Chiara Lubich hanno toccato non solo le menti, ma anche i cuori». Una studentessa brasiliana, assistente sociale, ha commentato: «La summer school è stata per me la conferma dell’importanza della interdisciplinarietà. Lavoro come assistente sociale a contatto con la sofferenza di persone che hanno perso la loro dignità. Una nuova comprensione dell’essere persona genera nuove pratiche che attivano aspetti latenti della natura umana». Un professore di Recife: «L’agape non è solo un concetto sociologico, ma attraversa i campi della filosofia e della metafisica. Ho visto che l’amore agisce anche nel vostro gruppo. In questa prospettiva, si apre un dialogo amorevole e generoso». Giuseppe Pellegrini, dell’Università di Padova: «L’incontro con le culture latinoamericane è sempre arricchente. Per me è un modo per conoscere meglio il mio Paese. La necessità di mettere alla prova categorie e concetti, la capacità di leggere la realtà sociale e i suoi mutamenti sono alcuni tra gli elementi più stimolanti che ho trovato. A distanza di trent’anni dalla mia prima esperienza in Brasile, ho sentito le stesse vibrazioni, la stessa energia che anima questo popolo così vario nei modi e nelle manifestazioni di vita comunitaria. Lo sforzo compiuto da molte persone che vivono secondo l’ideale di Chiara Lubich ha dato frutti genuini e rispettosi della vita latinoamericana. L’agire agapico è una delle manifestazioni dell’amore scambievole, un elemento generativo e contagioso, insieme teorico e pratico, in grado di influire nel mutamento sociale, culturale e politico». Prossima tappa di Social One il convegno del 7 e 8 giugno all’Università italiana di Salerno. Per continuare il dialogo con la sociologia contemporanea, ma anche per ospitare una “social” Expo con le buone pratiche di associazioni e istituzioni che operano nel sociale. (altro…)
Gen 8, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
È stata una “foto di Gruppo” molto particolare quella scattata in occasione della presentazione pubblica, alla presenza delle autorità e dei protagonisti, del bilancio sociale del Gruppo Tassano, che nel tempo si è trasformato da cooperativa a consorzio, e da consorzio a gruppo di consorzi. Una realtà composita, formata attualmente da 33 cooperative, che offrono servizi diversificati rivolti complessivamente a 4.700 utenti diretti e a 100 mila indiretti, in una regione del Nord Ovest d’Italia che, in un breve tratto, arriva rapidamente dal mare e dalla vegetazione a macchia mediterranea fino alle montagne, d’inverno sempre innevate. Quasi 700 i dipendenti, formati prima di tutto allo spirito dell’economia di comunione. «È una legge dell’economia che il mondo non utilizza – ha spiegato in quell’occasione Luigino Bruni – ma che esiste. Vi aderiscono le aziende che si impegnano a destinare i profitti in tre direzioni: una parte per creare posti di lavoro, una parte per aiutare i poveri e una parte per diffondere questa cultura. Lavoro vero, che dà dignità: la storia del Tassano è una storia d’amore fatta di lavoro e lavoratori che ha generato valore e valori». Una storia che parte da lontano. Da quando, nel 1989, due amici, piccoli imprenditori locali, Giacomo Linaro e Piero Cattani, insieme ad altri 24 soci volontari aderenti al Movimento dei Focolari, danno vita ad una cooperativa per rispondere ai numerosi casi di disagio sociale presenti sul territorio. La cooperativa cresce e gradualmente si conquista la fiducia di vari interlocutori, anche pubblici, acquisendo nuovi servizi. Due anni dopo, i membri di Tassano sentirono che i loro obiettivi erano in prefetta sintonia con il Progetto di Economia di Comunione iniziato da Chiara Lubich in Brasile, così da diffondere solidarietà a livello globale. Hanno subito aderito al progetto. A poco a poco, la crescita delle diverse attività e il conseguente sviluppo di nuove cooperative hanno dato vita a un consorzio di imprese che rimangono amministrativamente indipendenti, ma unite nell’esperienza, tutte operanti con lo stesso spirito nel sociale, nell’educativo e nell’ambito assistenziale, con servizi rivolti ai gruppi più deboli della popolazione: gli anziani soli, i disabili, i malati di mente, i disoccupati, ma anche le famiglie, i bambini e i giovani, senza dimenticare l’attenzione alla salvaguardia e alla cura del territorio. Nel 1997, Tassano si trasforma in Gruppo di Imprese Cooperative, con l’intento di unificare le diverse esperienze imprenditoriali e sociali già esistenti, ma anche per fungere da “incubatore” a realtà produttive nuove. Nel futuro, tutti gli ambiti strategici confluiranno in consorzi che potranno consolidare la crescita e favorire un ulteriore sviluppo. Spiega Maurizio Cantamessa, presidente del Gruppo: «La nostra è una realtà molto coesa, con una totale condivisione dei valori ed anche una comprensione a livello di lavoro quotidiano: era il momento di raggrupparci, consolidarci e ripartire. Il fatto di esserci concentrati sul territorio è molto importante, perché favorisce le relazioni. Con le istituzioni lavoriamo ogni giorno gomito a gomito. Avendo a che fare con servizi alla persona è importante “esserci di persona”». Pur con tutte le trasformazioni, la “mission” del Gruppo è rimasta sempre la stessa: favorire una concezione dell’agire economico teso alla promozione integrale e solidale dell’uomo e della società, senza rinunciare ad un forte orientamento al mercato, mediante l’individuazione di obiettivi e piani di sviluppo aziendale che possono portare alla creazione di nuove imprese e quindi alla formazione di nuovi posti di lavoro. A dimostrazione del fatto che le idee, i principi e i valori della cooperazione possono tradursi efficacemente in azioni concrete a vantaggio del lavoro, del territorio e dei suoi abitanti. Impresa e solidarietà, insieme. Chiara Favotti (altro…)
Gen 3, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
«Il titolo che avevamo scelto insieme, senza troppo riflettere, Costruendo ponti, non poteva essere più giusto: i giovani dei quartieri più abbienti e quelli delle comunità più povere non si distinguevano. Le squadre erano composte da ragazzi e ragazze dai 10 ai 18 anni, tutti insieme. I più grandi si curavano dei più piccoli, i più piccoli animavano i più grandi. La partecipazione di comunità povere non aveva il minimo aspetto assistenzialista: di questa interazione ne hanno beneficiato tutti». Renzo Megli, che ha preso parte fin dal principio all’organizzazione delle Olimpiadi per ragazzi, mette subito in chiaro le premesse e la piena riuscita del progetto. E ne descrive la preparazione, con toni appassionati. «Sembrava che il vento soffiasse sempre contro. L’idea di perfezione e il ricordo dei campi sportivi “professionali” o “semi professionali” delle precedenti edizioni legava le menti, bloccava lo spirito, rattristava il pensiero. Io, al contrario, ero felice. Felice per tutte le porte che si chiudevano e per il lento e faticoso cambio di direzione: l’unica possibilità che rimaneva era portare le Olimpiadi nel CEU, il Condominio Espiritual Uirapuru. Cominciamo a lavorare, decisi a realizzare l’evento. Ma l’attrito rimane evidente, le bussole sono ancora disorientate da vecchi campi magnetici. Stop! Bisogna scegliere: andiamo avanti compatti o ci fermiamo? È meglio realizzare qualcosa di meno perfetto, ma insieme, o più perfetto, ma disuniti tra noi? Saranno delle Olimpiadi diverse, meno professionali, forse meno “chic”. Ma forse è proprio la brezza dello Spirito che ci sta portando a fare qualcosa di nuovo, di diverso. Decidiamo di andare verso un nord comune. Anche chi prima era contrario comincia a remare nella stessa direzione. Mi è venuto in mente, solo allora, una conversazione di molto tempo prima con un focolarino più grande di me. Mi aveva dato questo consiglio: “Per perdere un’idea, devi prima averla e, possibilmente, deve essere davvero tua, come una figlia, carne della tua carne. Pensa a una bottiglia di champagne: deve essere piena prima di togliere il tappo e lasciarla spumeggiare”. Mi sentivo così, “padre” della mia idea, ma pronto a perderla. “Perdendo” ognuno la propria, siamo diventati tutti insieme “genitori” di un’idea più bella, che si è andata via via affinando». Renzo continua il suo racconto: «Il responsabile di un’altra comunità del CEU ci aveva promesso uno spazio e le attrezzature. Tutto il lavoro svolto fino a quel giorno era basato su questa disponibilità. Poi però arriva la disdetta: non si poteva più usare quello spazio. La “dinamica del perdere” e del gettare in Dio ogni preoccupazione era diventata ormai così quotidiana che dopo pochi secondi di sgomento abbiamo preso anche questa avversità come un chiaro segno dello Spirito. Invitare i bambini delle comunità del CEU era la cosa più importante, ma il tempo stava volando e le iscrizioni procedevano lente, dandoci un nodo alla gola: arriveremo al numero minino di partecipanti? Decidiamo di aprire le iscrizioni anche a quelli che non possono partecipare per difficoltà economiche. Vogliamo fidarci della Provvidenza. Spuntano tanti sostenitori e tutte le spese, anche quelle impreviste, vengono coperte. Uno degli organizzatori delle Olimpiadi che aveva sollevato varie difficoltà durante la preparazione e anche nell’invitare bambini di altre comunità, alla fine ha esclamato: “Il sorriso di quel bambino del CEU è stato l’icona delle nostre Olimpiadi”. Una gioia straordinaria era evidente in tutti, animatori, genitori, giocatori. Un bambino di una comunità del CEU ha detto: “Qui ho trovato mio padre”. Era un ragazzo più grande che davvero gli aveva voluto bene. Tra i partecipanti, i bambini di un quartiere molto povero, quelli di una comunità che si prende cura dei figli di genitori in carcere e di trafficanti … anche le ragazze del Lar Santa Mônica, una comunità che accoglie le adolescenti vittime di abusi sessuali domestici. Erano arrivate un po’ scontrose e col solo desiderio di tornare subito a casa. Poi invece hanno partecipato fino all’ultimo. Le abbiamo viste ripartire felici. Questa trasformazione è stata una delle più belle vittorie delle nostre Olimpiadi». (altro…)
Dic 29, 2017 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Se non fosse stato per un gruppo di amiche, maestre di una scuola per bambini di strada, perciò avvezze alla miseria e ai disagi, non avrei mai conosciuto quest’aspetto della mia città: i poveri. Eppure Saigon, o come la chiamano ora, Ho Chi Minh City, è anche questo: povertà, disagi, sofferenza. A Natale e per le grandi feste, si usa andare in giro, magari vicino o dietro alle famose birrerie e cercare, in veri e propri tuguri scuri, puzzolenti e infestati dai topi, alcune famiglie povere, o meglio, poverissime. Credevo di aver visto la povertà in Thailandia, tra i profughi karen ed i migranti sulle montagne del Nord e sui canali sporchi di Bangkok, ma quello che ho visto oggi a Saigon, nella “Milano del Vietnam”, non lo avrei mai immaginato. Piccole stanze, con 12 persone che ci vivono, e magari anche tre cani. Mi prende una tale nausea, quando entro in quei posti, che a fatica riesco a trattenermi. Ma poi, i volti di quei bimbi che s’illuminano, di quelle mamme che ti guardano intensamente per dirti “grazie” quando gli porgi un sacchetto con 5 kg di riso, ti ripaga di tutto e ti dona la voglia di vivere e la gioia di asciugarti, dopo una pioggia che ti ha inzuppato tutto. E poi ci sono i presepi, a Saigon, e tante stelle comete sopra le case di molte famiglie e addirittura alcuni viottoli tutti illuminati, che danno un colore e un calore tutto particolare a questa città, che non è per niente “fredda”, impersonale, staccata: e nemmeno atea. Si notano, le stelle e i presepi, perché li scopri dappertutto, e ti appaiono in molti angoli delle strade: li scopri quasi all’improvviso. Tra tutti mi hanno impressionato quei presepi nei mercati popolari, di notte, quasi a ridosso della spazzatura di un giorno intero: oppure quelli in un viottolo sperduto della periferia, ma illuminato a causa di due grossi presepi allestiti proprio sulla strada. E poi, in cima alle case, di notte, le stelle fluorescenti che si accendono ad intermittenza. Ritornando stanotte a casa, dopo il giro per i poveri, mi sono guardato questo spettacolo che mi ha riempito di un grande senso di gratitudine: anche se lontano da casa, non mi manca il senso vero del Natale. Papa Francesco, lo scorso anno, disse: «Il Natale è la festa della debolezza, perché si festeggia un bambino, segno di fragilità, piccolezza, umiltà e amore». Oggi capisco un po’ meglio quelle parole: questa notte che mi lascio alle spalle, perché ormai è quasi mattina, è stata illuminata dall’amore che ho visto tra la gente che è andata per aiutare, soccorrere, mostrare vicinanza a chi soffre. Ancora una volta, la notte culturale in cui viviamo viene illuminata da questi “presepi viventi”, da gente, che ha fatto di quel Bambino la ragione vera della propria vita. Ed ho compreso che il messaggio vero del Natale non è morto, ma quel messaggio d’amore, di comprensione, di tenerezza è vivo, e io l’ho visto: stava tutto nel gesto di prendere in braccio un piccolo disabile di 3 anni e stringerlo forte a sé. E quel bimbo si è lasciato sollevare da quel volto sconosciuto. Tutta la tecnologia dei presenti e futuri robot (la nuova “frontiera commerciale” proveniente dall’Asia e di cui qui si parla tanto) non riusciranno mai a fare questo miracolo: l’amore. Perché l’amore è gratuità. L’amore non è un dovere e nessuno te lo può comandare o programmare. È un dono che nasce dentro. Ho visto volti illuminarsi e credere che la vita, domani mattina, andrà avanti e che sarà un giorno più bello di ieri. Non mi manca la mia Europa in questo Natale. Perché dove c’è l’amore c’è anche casa mia. Anche Saigon è casa mia. (altro…)
Dic 20, 2017 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Verso il Natale «Sapevo che la ditta per cui lavoro avrebbe chiuso e che presto sarei rimasto senza lavoro. Nonostante questo, avvicinandosi il Natale, con i colleghi abbiamo pensato di mettere da parte qualcosa del nostro stipendio per i più poveri. Quindi siamo andati a trovare una famiglia che vive in una baracca, priva di tutto. Oltre alla busta coi soldi, abbiamo portato anche dei giocattoli per i bambini. Siamo ripartiti da lì felici: ci sembrava la migliore preparazione alla nascita del Signore. Ma prima che finisse la giornata, ci è arrivata una buona notizia: ci è stato assicurato il lavoro per altri cinque mesi». (J.L.V. – Messico) Fame «Un giorno, a scuola, ho visto una bambina che se ne stava da sola in disparte. Sono andata subito a chiederle: «Perché piangi?». Mi ha detto che sentiva male allo stomaco perché non aveva fatto colazione e non aveva niente per il pranzo. Ho pensato: «È Gesù che ha fame» e le ho dato il mio panino. Dopo un po’ quella bambina mia ha detto: «Adesso non ho più male allo stomaco». Io ero molto felice». (S.S – Filippine) Io perdono! «Giocavo con un mio amico quando è arrivato un ragazzo che senza motivo mi ha colpito in testa, per cui mi hanno dovuto medicare in ospedale. Rincasando, avevo un solo pensiero: vendicarmi. Il giorno dopo, il padre di quel ragazzo è venuto a scusarsi. E ha aggiunto: «Ti dò il permesso di fare a mio figlio quello che lui ha fatto a te. Forse così capirà quanto si è comportato male!». Lì mi sono ricordato dell’invito di Gesù ad amare i nemici e gli ho risposto che ormai l’avevo perdonato. Sorpreso, il papà ha chiamato il figlio, così ci siamo riconciliati e ora viviamo in pace». (Dionisio – Angola) Trapani rubati Mentre stavo lavorando in ufficio insieme al mio collega Benda, che è musulmano, abbiamo sentito un colpo all’esterno. Siamo andati a vedere: qualcuno aveva rotto il vetro del nostro furgone e rubato tre trapani. Era la prima volta che succedeva una cosa del genere, eravamo sconsolati. Poi mi è venuto un pensiero, quello di perdonare l’autore del gesto, che probabilmente aveva agito spinto da necessità. Benda, ricordando una frase del Corano, ha aggiunto: «Quando una persona perdona, quello che gli è stato tolto gli verrà ridonato da qualcun altro». La sera, a casa, mentre raccontavo l’accaduto, un mio parente mi ha offerto dei trapani che lui non usava più. L’indomani ce li ha portati, e uno dei tre era simile a quello di maggior valore che ci era stato rubato. (A.G. – Italia) (altro…)
Dic 15, 2017 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Per quanto sia ricca l’Africa, altri sembrano beneficiare più di lei di queste ricchezze. Nel concedere contratti di estrazione dei minerali alle multinazionali ad esempio, c’è un gioco di interessi, in cui ‘compensi’ e ‘compromessi’, ‘arrangiamenti’ e ‘ringraziamenti’ hanno come conseguenza lo sfruttamento del paese produttore, senza un vero aumento del livello di vita delle popolazioni». Raphael Takougang, avvocato camerunese di Comunione e Diritto, dipinge con forti pennellate il quadro della realtà che si vive oggi in Africa: «La corruzione in Africa non è solo opera di singoli cittadini, ma è soprattutto un modo consolidato con il quale le potenze economiche “creano” e sostengono despoti purché siano pronti a proteggere i loro interessi, con la complicità silenziosa della comunità internazionale». A pagare sono sempre i più poveri. Takougang non si limita alle sole denuncie, anzi, nonostante tutto si dimostra ottimista «perché sta nascendo una nuova generazione di leader politici in Africa che ha capito che … dovrà principalmente essere il cittadino a controllare l’azione di chi lo governa … per assicurare la difesa dei diritti fondamentali dei popoli africani alla vita, all’educazione, alla salute, al bene spirituale e materiale». Patience Lobé, ingegnere – responsabile mondiale delle volontarie che, insieme ai volontari, animano Umanità Nuova – durante tutto il suo mandato come dirigente presso il Ministero dei Lavori Pubblici in Camerun ha subito pesanti minacce: «Per la concezione africana della solidarietà chiunque ha bisogno deve essere soddisfatto: per questo motivo passavano continuamente persone nel mio ufficio, chi per chiedere un lavoro, chi per chiedere un sostentamento. Durante la mia permanenza come responsabile di quell’ufficio non c’è stato giorno in cui non sia stata tentata o minacciata. La corruzione è un virus diffuso, contagioso, difficile da estinguere. Come tutti i virus, serve un vaccino per poterlo debellare. Il vaccino potrebbe essere rappresentato da un vero cambiamento di mentalità: l’educazione a una cultura diversa da quella consumistica, che trova nel possesso dei beni e nell’avere l’unica via alla felicità». Allo stesso modo, non è facile avviare percorsi e buone pratiche nel campo della lotta all’illegalità nella gestione della denaro pubblico. Françoise, funzionaria francese presso il Ministero delle Finanze, racconta: «Per la varietà delle situazioni, dei servizi pubblici e delle questioni che devo trattare non è sempre facile mantenere il discernimento, difendere la legalità, sostenere le buone pratiche di gestione o semplicemente essere coerente con i principi di onestà (anche intellettuale), rettitudine, cooperazione e solidarietà con i colleghi. Ma l’esperienza di lavoro nel corso degli anni mi ha confermato che, ogni volta che sono stata fedele a questi valori, ho scoperto sempre nuovi orizzonti, nuovi modi di fare, le situazioni si sono risolte e l’unità tra istituzioni e persone è stata possibile». Paolo, dirigente presso il Comune di una grande città italiana, aggiunge: «Non dobbiamo dimenticare che come pubblici dipendenti il nostro compito primario è quello di dedicarci al bene della collettività in tutti i suoi aspetti, assumendo il peso delle responsabilità che ne derivano. Ogni azione deve essere conforme a dei principi e dei valori senza i quali non si può vivere insieme, favorendo il benessere e il progresso umano di tutti i cittadini». Lotta alla corruzione, quindi, ma non solo. Diffusione di buone pratiche, rispetto dei diritti del cittadino e dei suoi bisogni, ma anche accoglienza, capacità di mettersi in rete con altre istituzioni: sono queste le grandi sfide per chi lavora nella Pubblica Amministrazione. Ne sono convinti i partecipanti al convegno, che le hanno fatte proprie per continuare a portarle avanti ogni giorno. Semi di una cultura della legalità che frutterà, senza far rumore, nel loro Paese. (altro…)