Movimento dei Focolari

Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai rappresentanti di alcune comunità musulmane

Cari amici musulmani,

è motivo di grande gioia per me accogliervi e porgervi il mio cordiale saluto. Sono qui per incontrare i giovani venuti da ogni parte d’Europa e del mondo. I giovani sono il futuro dell’umanità e la speranza delle nazioni. Il mio amato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, disse un giorno ai giovani musulmani riuniti nello stadio di Casablanca (Marocco): “I giovani possono costruire un futuro migliore, se pongono innanzitutto la loro fede in Dio e si impegnano poi a costruire questo mondo nuovo secondo il disegno di Dio, con saggezza e fiducia” (Insegnamenti, VIII/2, 1985, p. 500). E’ in questa prospettiva che mi rivolgo a voi, cari amici musulmani, per condividere con voi le mie speranze e mettervi a parte anche delle mie preoccupazioni in questi momenti particolarmente difficili della storia del nostro tempo. Sono certo di interpretare anche il vostro pensiero nel porre in evidenza, tra le preoccupazioni, quella che nasce dalla constatazione del dilagante fenomeno del terrorismo. Continuano a ripetersi in varie parti del mondo azioni terroristiche, che seminano morte e distruzione, gettando molti nostri fratelli e sorelle nel pianto e nella disperazione. Gli ideatori e programmatori di questi attentati mostrano di voler avvelenare i nostri rapporti, servendosi di tutti i mezzi, anche della religione, per opporsi ad ogni sforzo di convivenza pacifica, leale e serena. Il terrorismo, di qualunque matrice esso sia, è una scelta perversa e crudele, che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza. Se insieme riusciremo ad estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e ad opporci ad ogni manifestazione di violenza, freneremo l’ondata di fanatismo crudele che mette a repentaglio la vita di tante persone, ostacolando il progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo, ma non impossibile. Il credente infatti sa di poter contare, nonostante la propria fragilità, sulla forza spirituale della preghiera. Cari amici, sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra sia per i cristiani che per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali. La dignità della persona e la difesa dei diritti che da tale dignità scaturiscono devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale e di ogni sforzo posto in essere per attuarlo. E’ questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa ma chiara della coscienza. E’ un messaggio che occorre ascoltare e far ascoltare: se se ne spegnesse l’eco nei cuori, il mondo sarebbe esposto alle tenebre di una nuova barbarie. Solo sul riconoscimento della centralità della persona si può trovare una comune base di intesa, superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie. Nell’incontro che ho avuto in aprile con i Delegati delle Chiese e Comunità ecclesiali e con i rappresentanti di varie Tradizioni religiose dissi: “Vi assicuro che la Chiesa vuole continuare a costruire ponti di amicizia con i seguaci di tutte le religioni, al fine di ricercare il bene autentico di ogni persona e della società nel suo insieme” (in: L’Osservatore Romano, 25 aprile 2005, p. 4). L’esperienza del passato ci insegna che il rispetto mutuo e la comprensione non hanno sempre contraddistinto i rapporti tra cristiani e musulmani. Quante pagine di storia registrano le battaglie e le guerre affrontate invocando, da una parte e dall’altra, il nome di Dio, quasi che combattere il nemico e uccidere l’avversario potesse essere cosa a Lui gradita. Il ricordo di questi tristi eventi dovrebbe riempirci di vergogna, ben sapendo quali atrocità siano state commesse nel nome della religione. Le lezioni del passato devono servirci ad evitare di ripetere gli stessi errori. Noi vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno l’identità dell’altro. La difesa della libertà religiosa, in questo senso, è un imperativo costante e il rispetto delle minoranze un segno indiscutibile di vera civiltà. A questo proposito, è sempre opportuno richiamare quanto i Padri del Concilio Vaticano II hanno detto circa i rapporti con i musulmani. “La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce… Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Dichiarazione Nostra Aetate, n. 3). Voi, stimati amici, rappresentate alcune Comunità musulmane esistenti in questo Paese nel quale sono nato, ho studiato e ho vissuto una buona parte della mia vita. Proprio per questo era mio desiderio incontrarvi. Voi guidate i credenti dell’Islam e li educate nella fede musulmana. L’insegnamento è il veicolo attraverso cui si comunicano idee e convincimenti. La parola è la strada maestra nell’educazione della mente. Voi avete, pertanto, una grande responsabilità nella formazione delle nuove generazioni. Insieme, cristiani e musulmani, dobbiamo far fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci propone. Non c’è spazio per l’apatia e il disimpegno ed ancor meno per la parzialità e il settarismo. Non possiamo cedere alla paura né al pessimismo. Dobbiamo piuttosto coltivare l’ottimismo e la speranza. Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro. I giovani, provenienti da tante parti del mondo, sono qui a Colonia come testimoni viventi di solidarietà, di fratellanza e di amore. Vi auguro con tutto il cuore, cari amici musulmani, che il Dio misericordioso e compassionevole vi protegga, vi benedica e vi illumini sempre. Il Dio della pace sollevi i nostri cuori, alimenti la nostra speranza e guidi i nostri passi sulle strade del mondo. Grazie!   (altro…)

Chiara Lubich, i Focolari e gli ebrei

Il rabbino Jack Bemporad incontrò per la prima volta Chiara Lubich quando le conferì la laurea honoris causa: “avevo letto i suoi libri – dice Bemporad – vedevo che lei era una persona ispirata, e avevo notato il lavoro che faceva il focolare negli Stati Uniti, un lavoro importantissimo…. Ho capito che Chiara era una persona molto favorevole al dialogo: era molto aperta, le piacevano la franchezza e la sincerità e anche la sua spiritualità mi ha dato un’impressione molto favorevole. Poi ho visto che il Movimento dei Focolari si adopera per stringere relazioni con le altre religioni e per trovare una base per comunicare, non in senso dogmatico, non si vuole nascondere la propria religione, ma i focolarini sono convinti che bisogna trovare qualcosa che ci unisce: forse quello che ci unisce è il rispetto per la persona e la convinzione che è possibile nutrire amore da dare agli altri. D. Come e quando è nato il suo rapporto con gli ebrei e con l’ebraismo? R. Con la diffusione del Movimento che, a partire dagli anni ’50, aveva varcato i confini dell’Europa, ci siamo incontrati faccia a faccia con persone di altre fedi. Tanto che, quando nel 1977 ho dato la mia testimonianza alla Guildhall a Londra in occasione del Premio Templeton per il progresso della religione, ho già potuto parlare del dialogo “con i fedeli del nobile e martoriato popolo ebreo”. “Condividiamo con esso – avevo detto – parte della rivelazione”. Ed avevo espresso loro la nostra gratitudine per “averci dato Gesù ebreo, gli apostoli ebrei ed anche Maria ebrea”. Ed era stato proprio questo avvenimento l’evento fondante del nostro dialogo interreligioso, che diventerà parte integrante degli scopi del Movimento. Mentre parlavo davanti a rappresentanti qualificati delle grandi religioni mondiali, avevo la profonda sensazione che tutti fossimo una cosa sola, anche se di fedi diverse. D. Ha mai partecipato a celebrazioni ebraiche, ed eventualmente cosa l’ha colpita di quelle celebrazioni? R. Non è stata una vera e propria celebrazione ebraica quella a cui ho partecipato a Buenos Aires, in Argentina, ma un incontro con membri della comunità ebraica provenienti da tutta l’Argentina e dall’Uruguay. Era il 20 aprile 1998. Lo ricordo come fosse ora: è stato con grande commozione che abbiamo fatto un patto di amore scambievole, così profondo e sentito, da aver l’impressione di superare di colpo secoli di persecuzioni e di incomprensioni. Ricordo le parole del dott. Kopec, il presidente della B’nai B’rith Argentina, organismo ebraico internazionale, che mi aveva invitata: “Questo è un patto di fede nel guardare al futuro e sotterrare secoli di intolleranza”. In quella sala, ero stata accolta con un canto di “Shalom”. La cerimonia si apriva con la solenne accensione della menorah, il candelabro a 7 braccia, simbolo di luce, giustizia, pace, benevolenza, fratellanza, e concordia. Ricordo l’emozione di quel momento, quando fui invitata ad accendere, insieme al Presidente Kopec, proprio il braccio centrale, simbolo della verità, sigillo di Dio, cuore della vita. Nel preparare il discorso che avrei pronunciato quel giorno, avevo scoperto con sorpresa che le stesse linee della spiritualità dell’unità, sgorgata dal Vangelo vissuto e che segnarono la nascita del Movimento, agli inizi degli anni ’40, potevano essere quasi riscritte con i versetti dell’Antico Testamento e della tradizione ebraica. Ma il momento più denso di commozione per tutti noi presenti in quella sala era stato paradossalmente quando avevo parlato del mistero centrale del cristianesimo, cuore della nostra spiritualità e motivo per gli ebrei di 2000 anni di sofferenza: Gesù in croce che grida ’Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato’, parole che si ritrovano nell’Antico Testamento, nel Salmo 22. Avevo riportato un brano che richiamava proprio quel Salmo. Era di un ebreo contemporaneo, filosofo delle religioni, recentemente scomparso, Pinchas Lapide: “Quale migliore personificazione si può trovare per il popolo ebreo di questo povero Rabbi di Nazareth?” – si chiede. Lapide vede in quel grido di Gesù anche e soprattutto i dolori della Shoah: “Elì, elì, lamà sabactanì non è soltanto il Salmo di David e una parola di Gesù sulla croce, ma direi quasi, il leitmotiv di coloro che furono deportati ad Auschwitz e Maidanek”. Si chiede: “Non è questo rabbino, che muore dissanguato sulla croce, l’autentica incarnazione del suo popolo sofferente, troppe volte ucciso sulla croce di quell’odio antiebraico, che noi pure abbiamo dovuto sperimentare nella nostra giovinezza?”. Mi era fiorita una certezza, e l’ho comunicata agli amici ebrei che gremivano quella sala: “Quel dolore indicibile della Shoah e di tutte le più recenti sanguinose persecuzioni, non può non portare frutto”. E “noi – avevo aggiunto – vogliamo condividerlo con voi, perché non sia un abisso che ci separa, ma un ponte che ci unisce. E che diventi un seme di unità”. Quell’unità che non è solo “nei desideri di Gesù”, ma che “è sentita fortemente anche dal popolo ebraico”. Questa unità era già tangibile in quella sala. Abbiamo sperimentato un momento di Dio. Si spalancava una nuova speranza. Da allora questa forte esperienza di fraternità si rinnova e approfondisce. Ogni anno sono sempre più numerosi gli amici ebrei protagonisti della giornata della pace che viene celebrata nella nostra cittadella di O’Higgins, in Argentina. Quest’anno erano in 300 venuti da Buenos Aires, Cordoba, Rosario. Il Rabbino dr. Mario Hendler, che presiede la Convenzione rabbinica latino-americana, ha affermato: “Stiamo costruendo un momento della storia di cui solo in futuro si comprenderà la portata”. D. Che cosa pensa dell’antisemitismo crescente anche in Italia? R. Viviamo ore difficili. Mi ritorna con forza quanto già dissi subito dopo la giornata interreligiosa per la pace di Assisi del gennaio 2002, dopo il tragico attentato dell’11 settembre: qui non si tratta soltanto di un fattore umano come l’ odio, ma c’ è di mezzo “la forza delle tenebre”, ci sono le forze del Male. E come non vedere il persistere dell’azione del Male nei rigurgiti di antisemitismo che rispuntano, nell’ombra cupa del terrorismo che continua ad investire tutto il pianeta? Non basta perciò l’elemento politico, civile, umano, per contrapporsi. Anche quello è necessario, ma urge che le religioni si mobilitino. Se prima il dialogo interreligioso si poteva fare, era segno dei tempi, adesso è un’esigenza improrogabile, proprio per le circostanze. Perché contro il Male – con la M grande – ci vuole il Bene con la B maiuscola, ci vuole Dio, ci vuole l’aiuto di Dio, l’aiuto soprannaturale. E’ perciò essenzialissimo l’aspetto religioso oggi nel mondo. Se tutte le religioni sono chiamate a dare il loro apporto di pace, tanto più questo è un imperativo per noi cristiani ed ebrei, accomunati dall’Alleanza, chiamati ad essere insieme protagonisti di quel disegno maestoso di pace e unità tracciato dalla Rivelazione: la nuova Gerusalemme . D. – I cristiani possono fare qualcosa per diffondere un clima di rispetto e di riconciliazione con chi è diverso da loro? R. Certamente! Molte sono nel mondo le forze che operano in questo senso. Nella nostra esperienza, se è possibile il dialogo in tanti Paesi del mondo, anche in punti cruciali come in Israele, dove da anni arabi cristiani si incontrano periodicamente con ebrei, è perché viene costruito giorno dopo giorno con lunghi tempi di maturazione attraverso rapporti personali. Il segreto per noi è racchiuso in quella che abbiamo chiamato “arte d’amare” appresa dal Vangelo, e che sempre più si rivela universale e capace di sciogliere conflitti, violenza, pregiudizi, perché ha in sé una forza divina. E’ quest’arte che va diffusa ovunque. E’ sperimentata da 60 anni in tutte le latitudini, da persone di ogni età, condizione sociale e credo. E’ un amore che va al di là dei limiti dei legami famigliari o di amicizia, e si apre a tutti, senza discriminazione e pregiudizio alcuno. Quest’arte richiede di “amare l’altro come sé”, come recita “la regola d’oro” comune a tutte le religioni. Il segreto di quest’arte è racchiusa in due sole parole: “farsi uno”, cioè “vivere l’altro” Significa far propri i pesi, i pensieri, le sofferenze, le gioie dell’altro. Coinvolge tutti gli aspetti della vita ed è la massima espressione dell’amore, perché, vivendo così, si è morti a se stessi, al proprio io e ad ogni attaccamento; si può realizzare quel “nulla di sé” a cui aspirano le grandi spiritualità e quel vuoto d’amore che sa fare spazio e accogliere l’altro. Nel dialogo interreligioso, “farsi uno” significa – come è stato scritto – “conoscere la religione dell’altro in modo tale che supera l’essere informato sulla sua tradizione religiosa. Implica entrare nella pelle dell’altro, camminare con le sue scarpe, vedere il mondo come l’altro lo vede, porsi le domande dell’altro, penetrare nel senso che ha per l’altro essere ebreo, indù, musulmano, buddista”. Nel rapporto con gli ebrei ciò significa far nostra, per amore, quell’indicibile sofferenza che ha segnato la storia di secoli di questo popolo, con la consapevolezza che “interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebreo e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei loro confronti”. Come risuonò al Colosseo, alla Via Crucis del ’98, guidata dal Papa: “Non il popolo ebraico, da noi per tanto tempo crocifisso, non la folla… non loro, ma noi, tutti noi e ognuno di noi… siamo tutti assassini dell’amore”. Non solo. Dobbiamo testimoniare quell’amore che dimostra coi fatti che sono per noi i fratelli maggiori, proprio perché “la fede testimoniata nella Bibbia ebraica, l’Antico Testamento dei cristiani, per noi non è un’altra religione, ma il fondamento della nostra fede”. Un tale amore ha la forza di sciogliere nei nostri fratelli ebrei ogni timore. L’ascolto spesso diventa reciproco. Si scoprono quegli elementi comuni che possiamo vivere insieme. E’ un dialogo che ci fa riscoprire fratelli, legati da un vincolo profondo. Si possono creare così ovunque spazi di riconciliazione e di fraternità. Davvero si sperimenta quanto Papa Giovanni Paolo II disse in India: “Il frutto del dialogo è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio (…). Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio”. D. E in quali campi possono collaborare ebrei e cristiani per realizzare una società migliore? R. Sono certa che, in quest’ora del mondo, Dio vuole che cristiani ed ebrei percorriamo un cammino comune, mano nella mano, per dire a tutti che Dio ci ha creati fratelli, per testimoniare al mondo, oggi materializzato, secolarizzato, edonista, la meravigliosa avventura di vite spese perché il suo nome sia annunciato, la fede in lui rafforzata, e siano ripristinati i valori di pace, solidarietà, difesa dei diritti umani, di giustizia e di libertà, da lui sottolineati. Ovunque, siamo chiamati a creare insieme, cristiani ed ebrei, questi spazi di fraternità: negli ambienti di lavoro, nei parlamenti, nelle università, nei quartieri, nelle famiglie. Se viviamo in modo tale che “la dimora divina sia in mezzo a noi”, allora in un mondo che oggi come mai ha bisogno di un supplemento d’anima, inonderemo tutti gli ambiti della società con la forza e la luce dello Spirito, rinnovandoli.

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I carismi: un Vangelo dispiegato nei secoli

La compagnia con i santi Mille grazie di questa laurea h.c. incentrata sulla vita consacrata, laurea assolutamente imprevista, ma graditissima. Le persone consacrate, infatti, mi portano sempre a pensare a quelle creature fra esse, che, perché donate completamente a Dio, hanno raggiunto la perfezione, la santità. E la conoscenza e la compagnia con i santi è uno dei doni più belli che un’anima cristiana può ricevere, delle meraviglie celesti che può sperimentare. Grazie dunque. Di cuore. La vita consacrata nel Movimento dei Focolari In questo mio intervento dovrò esporre, penso, come è vista e considerata la vita consacrata nel Movimento dei Focolari, di cui, come fondatrice, sono stata e sono uno strumento sempre “inutile e infedele”. Sarà quindi necessario anzitutto conoscere, per ampie linee, detto Movimento, e per meglio capirlo, qualche premessa al suo inizio ufficiale, effetto già del nuovo carisma dell’unità, che è stato ed è dono di Dio per molti. Sarò io il tuo Maestro La prima volta che ho avuto sentore che qualcosa di nuovo stava succedendo in me, e non partiva dalla mia intelligenza, è stato quando a 18 anni il mio cuore non aveva che un unico struggente desiderio: conoscere Dio. La filosofia, che avevo studiato nelle scuole superiori, non mi aveva appagata. E, dovendo iniziare a frequentare l’Università, avevo pensato che forse in un Ateneo cattolico avrei trovato chi avrebbe saziato la mia sete. Circostanze apparentemente avverse, ma che ho visto poi provvidenziali, me lo hanno impedito. Ne ho pianto costernata con mia madre che non riusciva a consolarmi. Ma proprio in quei momenti ho sentito chiare, nella mia anima, queste parole: “Sarò io il tuo Maestro”. Smisi di piangere, continuai la mia vita e mi iscrissi ad un’Università laica. A Loreto Un anno dopo, nel lontano 1939, sono stata invitata a partecipare a Loreto ad un convegno. Appena potevo correvo alla casetta di Nazareth, custodita nella grande chiesa-fortezza. Non avevo tempo di rendermi conto se storicamente quello fosse l’ambiente dove era vissuta la Sacra Famiglia. M’inginocchiavo accanto al muro annerito dalle lampade, ma non riuscivo a pronunciare parola: ogni volta qualcosa di nuovo e di divino mi avvolgeva, quasi mi schiacciava. Contemplavo col pensiero la vita verginale dei tre. Quella convivenza di vergini: Maria e Giuseppe, con Gesù fra loro aveva un’attrattiva irresistibile per me. L’ultimo giorno del convegno, quando la chiesa era gremita di giovani, mi è passato un pensiero: sarai seguita da una schiera di vergini. Una quarta strada Tornata nel Trentino ho trovato il mio parroco. Questi mi vede felice e mi domanda: “Hai trovato la tua strada?” “Sì”, rispondo. “Il matrimonio?” “No”. “Il convento?” “No”. “Rimarrai vergine nel mondo?” “No”. Erano le tre strade allora possibili per una ragazza. Però io non sapevo di più. Più tardi capirò: quella era una quarta strada, una strada nuova di consacrazione a Dio, che lo Spirito Santo apriva nella Chiesa; strada caratterizzata proprio dalla presenza di Gesù fra più persone vergini o, pur sposate, verginizzate dall’amore: e questo è il focolare. “Datti tutta a Me” Quattro anni dopo, poi, mentre compivo un atto d’amore verso mia madre (ero andata, in una freddissima mattina d’inverno, a comperare del latte al posto delle mie sorelle), è successo un fatto un po’ particolare: mi è sembrato quasi che il Cielo s’aprisse e Dio mi dicesse: “Datti tutta a me”. Era la chiamata esplicita di Dio, a cui ho subito risposto con tutto l’amore del mio giovane cuore. Ne ho parlato con il confessore che mi ha permesso di donarmi a Dio per sempre. Non mi sarà mai possibile descrivere ciò che è passato nel mio cuore quel giorno: avevo sposato Dio! Potevo aspettarmi ogni cosa da Lui! «Tutto vince l’Amore» Intanto avevo conosciuto alcune giovani alle quali non tenevo segrete quelle mie prime idee su ciò che stava per nascere, e anch’esse hanno fatto la mia stessa scelta. Ma l’amore, il mio amore è stato messo alla prova. Erano i tempi della seconda guerra mondiale che distruggeva ogni cosa, e quasi tutte le persone sfollavano dalle città. Un giorno di maggio un bombardamento su Trento aveva reso inabitabile la mia casa sicché, con la famiglia, ho dovuto ripararmi in un bosco alla periferia della città. Ricordo di quella notte, passata all’addiaccio, due particolari: stelle e lacrime. Stelle, perché le ho viste tutte – lungo le ore notturne – passare sopra il mio capo; lacrime, perché capivo che non potevo allontanarmi dalla città con i miei, che tanto amavo, in cerca di rifugio. Qualcosa stava nascendo: non avrei potuto abbandonare le mie compagne. Ad un dato punto mi è sembrato che Dio, per farmi capire la sua volontà, mi ricordasse una frase studiata a scuola: “Tutto vince l’amore” . L’amore per Dio doveva vincere anche quella cruda separazione dai miei? Al mattino l’ho fatto, con la benedizione di mio padre. E, mentre la famiglia andava verso la montagna, sono tornata verso la città distrutta. Ho cercato le mie compagne fra le case e le strade ridotte a macerie. Grazie a Dio, erano tutte salve. Il primo focolare Ci ha ospitato così, poco dopo, un piccolo appartamento. Era il primo focolare, anche se noi non lo sapevamo ancora. Anni dopo, per la presenza di quell’anima grande che era Igino Giordani, confondatore della nostra Opera e ora servo di Dio, si è precisata la fisionomia del focolare: esso è, ad immagine della famiglia di Nazareth, una convivenza, in mezzo al mondo, di persone vergini e coniugate, tutte donate, anche se in maniera differente, a Dio. Una nuova spiritualità Ma, tornando ai primi tempi del Movimento, ecco il Signore istruirci scolpendo a caratteri di fuoco nelle nostre anime quelli che sarebbero diventati i cardini di una spiritualità nuova – personale e comunitaria insieme -: la “spiritualità dell’unità”. Dio Amore Con la guerra e le sue conseguenze scomparivano quelle cose o persone che formavano quasi l’ideale della nostra vita e la lezione, che Dio ci offriva con quelle circostanze, era chiara: tutto al mondo passa. “Tutto è vanità delle vanità” (cf Qo 1,2). Contemporaneamente sorgeva per tutte, nel mio cuore, una domanda: “Ma, ci sarà un ideale che nessuna bomba può far crollare, per cui poter impegnare tutte noi stesse?”Sì, è stata la risposta, c’è. E’ Dio, Dio che è Amore. E lì, in mezzo alle stragi della guerra frutto dell’odio, siamo state abbagliate, come fosse la prima volta, dalla verità su Dio: “Dio è Amore” (1 Gv 4,8). E abbiamo creduto, con fede ardentissima, al Suo Amore. E, di conseguenza, se prima avevamo pensato Dio lontano, inaccessibile, ora Lo avvertivamo vicinissimo: illuminava, trasfigurava col suo amore ogni circostanza che ci riguardava, lieta o triste o indifferente che fosse: tutto ci appariva espressione del suo amore. E la gioia e lo stupore sono stati così grandi che non abbiamo atteso un attimo a scegliere proprio Lui, Dio Amore, come l’Ideale della nostra vita. E Dio Amore è il primo cardine della “spiritualità dell’unità”. Il Vangelo vissuto parola per parola Ben presto però si è imposta a noi un’esigenza: “Se Dio, che è Amore, è il nostro nuovo ideale, come comportarci per poter dire che Egli è veramente il tutto per noi?” Era ovvio: dovevamo a nostra volta amare Dio. Correvamo nei rifugi ad ogni allarme aereo e non potevamo prendere con noi null’altro se non un piccolo libro: il Vangelo. In esso – ne eravamo certe – avremmo trovato come amare Dio. Lo aprivamo. Ed ecco la meraviglia: quelle parole, che avevamo sentito tante volte, s’illuminavano, come se una luce vi si accendesse sotto, infiammavano il nostro cuore. Le capivamo ed una forza ci spingeva a metterle subito in pratica. Lo facciamo e avviene un susseguirsi di episodi che stupiscono e incantano. Ci rendiamo conto, con sorpresa, che ciò che Gesù aveva promesso anche ora mantiene. Il Vangelo, dunque, è vero. Questa costatazione mette le ali al nostro cammino da poco intrapreso. La nostra gioia è grande, contagiosa. Comunichiamo agli altri ciò che accade. Ed essi comprendono che Gesù è vivo. Sicché molti vogliono seguirLo. Amare Dio vivendo il Vangelo, parola per parola, è il secondo cardine della nuova spiritualità che Dio ci stava dando. L’arte di amare Fra tutte le parole del Vangelo, lo Spirito Santo ci sottolineava in modo speciale quelle riguardanti l’amore verso il prossimo: amore sempre nuovo che va diretto a tutti, che domanda a ciascuno d’aver l’iniziativa, che deve essere concreto, che vede Gesù in ogni prossimo. Ed abbiamo iniziato ad amare tutti i poveri, i mutilati della guerra, gli orfani, i soli…, che incontravamo, ad invitarli, ad esempio, alla nostra tavola in focolare, mentre ardeva nel nostro cuore il desiderio d’arrivare a risolvere il problema sociale della città. Vi dò un comandamento nuovo La guerra però ci poneva sempre di fronte alla morte, cosicché ci siamo chieste un giorno se vi è nel Vangelo una parola che piace particolarmente a Dio. Avremmo voluto viverla, per dargli gioia, almeno negli ultimi istanti della nostra vita. Il Vangelo presto ce la rivelò in quel comandamento che Gesù dice suo e “nuovo”, quindi speciale: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12-13). Colpite fortemente dalla bellezza e dalla radicalità di queste parole, ci siamo guardate in faccia e ci siamo dichiarate, sotto l’azione – pensiamo proprio – d’una grazia tutta particolare: “Io sono pronta a dare la vita per te. Io per te. Io per te… Tutte per ciascuna”. E’ stato un patto solenne, che da allora abbiamo cercato di mettere in pratica sempre ed è diventato la base su cui poggia l’intero Movimento dei Focolari. Vivere l’amore evangelico e in modo particolare l’amore reciproco è il terzo cardine da cui non può prescindere chiunque voglia vivere la “spiritualità dell’unità”. Quell’amore che genera la presenza di Gesù in mezzo a noi Ma ecco che, avendo messo in atto l’amore vicendevole, la nostra vita interiore ha avuto un balzo di qualità: abbiamo avvertito una nuova sicurezza, una volontà più decisa, una gioia e una pace mai sperimentate, una pienezza di vita, un’abbondanza di luce. Come mai? La risposta è stata subito evidente quando abbiamo letto queste altre parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (e cioè in me, nel mio amore, dicono alcuni Padri della Chiesa), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Gesù silenziosamente si era, dunque, introdotto come Fratello invisibile, nel nostro gruppo. Ed abbiamo subito intuito l’infinito valore della sua presenza. Non abbiamo più voluto perderla. Con l’amore reciproco, che generava Gesù fra noi, si realizzava pure l’unità da Lui invocata nel suo testamento: “Che siano uno come io e te” (cf Gv 17,21). Unità che abbiamo potuto suggellare ricevendo quotidianamente la santissima Eucaristia. Gesù in mezzo ai suoi e l’unità sono il quarto cardine della nostra spiritualità. La chiave dell’unità: il grido di Gesù in croce Non sempre naturalmente riuscivamo a vivere così. Alle volte difetti anche piccoli offuscavano lo splendore dell’unità, allontanavano Gesù di mezzo a noi. Ma non ci arrendevamo. Avevamo saputo che Gesù aveva sofferto il massimo dei suoi dolori quando in croce, sperimentando l’abbandono del Padre e la separazione da Lui, aveva gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Toccate da questo suo dolore, ci siamo sentite spinte a prendere come modello nostro proprio Gesù nel suo abbandono. Egli si è fatto “peccato” per noi? Ha assunto ogni nostra difficoltà, ogni nostra divisione? Dunque, ovunque appaiono, Egli è presente. E, da allora, abbiamo scoperto il suo volto: nelle aridità della nostra anima, nel buio, nei dubbi; nei prossimi soli, derelitti, delusi; nelle più varie divergenze presenti nelle famiglie; nelle disunità fra le generazioni, fra le comunità della nostra Chiesa; nelle divisioni fra le Chiese; nell’incomunicabilità fra fedeli di religioni diverse, fra credenti e non credenti. E tutti questi dolori, tutte queste disunità non ci hanno spaventate. Anzi abbiamo amato in esse la presenza di Gesù abbandonato. E, comportandoci come Lui ha fatto, quando abbandonato dal Padre al Padre si è riabbandonato (“Nelle tue mani raccomando il mio spirito” – Lc 23,46), abbiamo trovato la chiave per porre rimedio alle diverse situazioni. Amare Gesù crocifisso e abbandonato è il quinto cardine della “spiritualità dell’unità”. La vocazione della nostra Opera: portare Gesù nel mondo Ci vollero cinque, sei anni perché potessimo far nostri questi principali cardini e perché essi raggiungessero il loro vero scopo: insegnarci a vivere sempre con “Gesù in mezzo a noi”. Tutti, infatti, sono in funzione di questa altissima finalità. Si delineava così quella che sarebbe stata la vocazione della nostra Opera: portare spiritualmente Gesù nel mondo. Ed è ciò che è successo, ancora sotto la guerra, attorno al primo focolare: dopo pochi mesi circa 500 persone di tutte le età, uomini e donne, delle più varie estrazioni sociali e di tutte le vocazioni, condividevano il nostro Ideale e formavano lì, in mezzo al mondo, una comunità simile a quella dei primi cristiani. Tra essi non mancavano i figli dei fondatori, religiosi dei più vari Ordini, le cui diverse spiritualità si armonizzavano e risplendevano maggiormente nella comune fraternità. Essi ci hanno dato modo di contemplare gli Ordini, le Congregazioni, le Famiglie religiose, come splendide aiuole del magnifico giardino della Chiesa in cui sono fiorite e fioriscono tutte le virtù. Cristo dispiegato nei secoli Se, infatti, Cristo è il Verbo incarnato, la Chiesa ci è apparsa, per i più vari carismi donatile dallo Spirito, come un Vangelo incarnato. Ogni famiglia religiosa è in particolare l’incarnazione di un’espressione di Gesù, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, di una sua parola… Ci sono i francescani, che continuano a predicare nel mondo, anche con la loro solo esistenza: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno di Dio” (Mt 5,3). Ci sono i domenicani che, contemplando il Logos, il Verbo, spiegano e diffondono la verità. I gesuiti che sottolineano la totale disponibilità nel servizio della Chiesa mediante l’obbedienza. Gli Ordini missionari che attuano il precetto: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (cf Mt 28,19). I carmelitani che adorano Dio sul Tabor pronti a discendere per predicare e affrontare la passione e morte. Le famiglie di san Vincenzo de’ Paoli e di san Camillo de’ Lellis che incarnano le opere di misericordia. E così via. Per tutti questi carismi, fioriti lungo i secoli, la Chiesa appare proprio come un Vangelo dispiegato nel tempo e anche nello spazio, perché i figli dei santi fondatori sono presenti spesso dovunque. I moderni Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità, prevalentemente composti da laici, continuano questa meravigliosa “incarnazione” del Vangelo. Infatti, anche in essi, pur nella diversità delle loro forme, si possono ravvisare doni particolari dello Spirito e una spinta a mettere in pratica le parole di Gesù. Ora, compresa così la Chiesa, quale può essere il rapporto del nostro Movimento con tutte queste ricchezze della Sposa di Cristo e in particolare quale la relazione fra la nostra spiritualità e le altre? L’unità, il supremo disegno di Cristo Come ho già detto, la spiritualità del Movimento s’incentra sull’unità, sul Testamento di Gesù. E, come chiave per attuarla, sul più grande dolore di Gesù: sul suo abbandono in croce. Ora, essendo l’unità – come già diceva Paolo VI – il “supremo disegno” di Cristo, la “sintesi dei suoi precetti” , la parola riassuntiva dei suoi desideri divini , il “vertice del Vangelo” ; ed essendo l’abbandono il culmine del patire, che Cristo ha offerto per la nostra salvezza, è evidente che ogni altra espressione della sua dottrina o della sua vita si ritrovi nell’unità e nell’abbandono. Anzi, è logico che scopra nel Testamento di Gesù e nel vertice del suo patire, il senso vero di se stessa. Rinnovamento delle comunità religiose Ecco perché i numerosi religiosi e religiose che, fin dal nascere del Movimento hanno avuto contatto con esso, vi hanno scoperto una luce che ravvivava la loro spiritualità ed aiutava a comprenderla meglio. Sono assai consolanti, infatti, gli effetti che la partecipazione al carisma dell’unità produce nei più di ventimila religiosi di circa 200 Istituti che sono in contatto con la spiritualità e fanno parte del nostro Movimento, e nelle cinquantaduemila religiose di oltre 2800 Istituti. Essi, per la luce di questo carisma dei tempi attuali, affermano, ad esempio, di comprendere meglio il loro fondatore. Nasce un nuovo amore per lui, un apprezzamento, a volte, non avvertito prima ed un desiderio forte di rivivere ed attualizzare il suo carisma nell’oggi della Chiesa. Conosciuto poi più in profondità il proprio fondatore, affermano di riscoprire le loro regole e sentono una maggiore spinta a metterle in pratica. E ancora, per aver compreso di più il fondatore, nasce una più profonda unità con i superiori che lo rappresentano e, nel padre comune, si trovano a riconoscersi meglio come fratelli della stessa Famiglia religiosa. Tutto ciò favorisce la presenza di Gesù in mezzo alla comunità così unita ed Egli illumina e valorizza ogni suo aspetto, e dà senso ad ogni sua manifestazione. Per questo si assiste ad un vero e proprio rinnovamento di comunità, con aumento di vocazioni, con nuovi sviluppi nelle missioni, con possibilità per i superiori d’affidare compiti difficili a persone di cui possono veramente fidarsi. E ancora si osserva il realizzarsi di una reale e profonda comunione fra membri di Ordini diversi, potenziando il senso dell’unità ecclesiale, così come fra religiosi e sacerdoti secolari, e fra religiosi e laici impegnati. Di qui il sentirsi in modo nuovo parte viva non solo della propria Famiglia religiosa, ma della Chiesa. Comunione tra movimenti ecclesiali Se, sin dall’inizio del nostro Movimento, abbiamo scorto questi frutti e abbiamo sperimentato con forza che il carisma che Dio ci aveva dato incrementava la comunione fra singoli, gruppi e associazioni, in questi ultimi anni abbiamo assistito al dilagare di questa comunione oltre ogni nostra aspettativa e ben al di là del nostro Movimento. Come loro ricorderanno, nella vigilia della Pentecoste 1998, Giovanni Paolo II, pensando maturo il tempo, ha radunato 60 Movimenti ecclesiali e Nuove Comunità in Piazza San Pietro, mettendo in rilievo, nel suo discorso, queste realtà della Chiesa che, con le altre sorte nel passato, rappresentano l’aspetto carismatico di essa, aspetto coessenziale – come ebbe a dire – al suo aspetto istituzionale. In quel giorno, io stessa, essendo venuta a conoscenza del desiderio della Chiesa e del Papa che i Movimenti ecclesiali siano in comunione fra loro, rivolgendo la parola al santo Padre, mi sono detta completamente disponibile a questo scopo. Si è così attuata subito una comunione caratterizzata da una carità fattiva, dapprima fra alcuni Movimenti, poi con altri. Sono fiorite in tutto il mondo delle “Giornate” (200 finora) sostenute dai membri di diversi Movimenti, presenti i Vescovi del luogo o convocate da loro stessi. In esse si sono esposti i propri carismi e si sono donate le proprie esperienze. Le “Giornate” hanno rivelato, in genere, ai singoli Vescovi la grande ricchezza che i Movimenti e le Nuove Comunità portano, e hanno fatto loro intravedere, per essi, la possibilità di rendere la Chiesa più unita, più bella, più viva, più dinamica, più familiare, più carismatica, più mariana. Comunione tra carismi antichi e nuovi In seguito a tutto ciò Famiglie religiose, nate da antichi o meno antichi carismi, costatata la vitalità dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità, hanno desiderato anch’esse conoscerci e iniziare con noi una comunione. Così è stato, ad esempio, con l’intera famiglia francescana ad Assisi, con quella benedettina a Montserrat in Spagna, con la Congregazione di Madre Teresa a Calcutta, con le Piccole sorelle di Gesù e con i cistercensi a Roma, ed altri. L’augurio del Papa E, mentre si svolgevano queste diverse iniziative, il santo Padre promuoveva, attraverso la Novo millennio ineunte, all’inizio dell’anno 2001, una “spiritualità di comunione” per tutta la Chiesa. Come scrisse il Papa in due lettere ai Vescovi amici del nostro Movimento , questa “spiritualità di comunione” si identifica con la “spiritualità dell’unità”, dell’Opera di Maria, e ne viene “arricchita”. Nell’anno 2002, poi, ci ha dato grande gioia il documento della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata intitolato: Ripartire da Cristo. In esso si consiglia ai e alle religiose “di far crescere la ’spiritualità di comunione’ prima di tutto al proprio interno”(n.28) e poi “nella stessa comunità ecclesiale”, favorendo così la comunione fra i diversi Istituti. E’ “un compito dell’oggi delle comunità di vita consacrata” dice il documento. “Nei confronti delle nuove forme di vita evangelica (i Movimenti, ad esempio), si domanda dialogo e comunione” (n.30), e si parla dei vantaggi della comunione per gli uni e per gli altri. Infine si ammonisce: “Non si può più affrontare il futuro in dispersione” (n.43). Queste indicazioni del Papa e della Santa Sede sono un’ulteriore conferma che la “spiritualità dell’unità” può essere vissuta insieme ad un’altra, ad esempio a quella propria di una Famiglia religiosa: essa non è, infatti, che la spiritualità del Corpo mistico nel quale tutti siamo inseriti. Per cui, anche se la nostra singolare vocazione ci chiama a incarnare un particolare della vita di Gesù, una delle sue tante parole, lo dobbiamo fare vivendo prima di tutto l’amore che è l’anima di quel Corpo. I nostri carismi porteranno più copiosi frutti se metteremo a base della vita delle nostre comunità la mutua e continua carità che è l’essenza della vita cristiana, qualunque sia la forma che essa prende. Tutto quanto ho riferito fin qui ci sembra voglia dire che lo Spirito Santo sta soffiando sulla Chiesa perché si compia, anche attraverso di noi, il grande desiderio del santo Padre: far sì che essa sia “la casa e la scuola della comunione” (NMI 43). Insieme per l’Europa Abbiamo toccato con mano gli straordinari effetti di questa comunione e le sue enormi potenzialità nel maggio scorso a Stoccarda, in una grande Giornata dal titolo Insieme per l’Europa. Essa era frutto della collaborazione di più di 150 Movimenti e Comunità di varie Chiese (luterani, ortodossi, anglicani, di Chiese libere…), che da alcuni anni si sono aggregati ecumenicamente alla comunione sorta tra i Movimenti cattolici. Tutti questi Movimenti e Comunità ci erano apparsi come tante reti che Dio aveva steso sull’Europa, quasi a preparare- a livello di laboratorio – la sua unità. Volevamo far conoscere queste buone opere onde dare gloria a Dio (cf Mt 5,16) e concorrere a realizzare, accanto all’Europa politica ed economica, l’“Europa dello spirito”. La Giornata è stata un evento profetico e storico che ha radunato in un tripudio di comunione 9.000 persone, presenti numerosi politici tra i quali Romano Prodi. Trasmessa via satellite nel nostro continente ed oltre, questa Giornata è stata seguita in diretta da 100.000 persone in 163 incontri contemporanei, svoltisi in altrettante città europee collegate con Stoccarda. A conclusione di essa è stato detto autorevolmente che c’era in quella sala una fortissima energia, gioia, decisione, vitalità, coraggio, arte, profezia, un’incredibile comunione d’intenti. Mons. Stanislaw Rylko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha definito la manifestazione una “cosa miracolosa”, mentre il card. Kasper si è detto certo che da un simile spirito anche il movimento ecumenico riceverà nuovi impulsi e andrà avanti con nuova speranza. Ma, per chi più vi ha lavorato, un simile evento si spiega con una sola parola: Gesù, Gesù che era spiritualmente presente in mezzo a tutti, cattolici ed altri cristiani, perché tanti si erano impegnati a mantenerlo vivo costantemente, col loro reciproco amore a tutta prova, e con l’amore totale verso chiunque. E’ Lui, infatti, il Risorto, il principio, il mezzo e il fine della nostra comunione, nella Chiesa e oltre. E’ Lui, reso vivo e palpitante fra quanti si amano, la fonte dell’amore e della luce, l’artefice della nostra gioia. E’ Lui che vince il mondo, Lui che ha pregato così prima di morire: “Padre, che siano uno affinché il mondo creda. Che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Preghiera del Figlio di Dio al Padre. Preghiera quindi che non potrà non essere esaudita. Che il Signore dia a tutti noi di lavorare ancora a lungo nella sua vigna e che mandi numerosi operai in essa! Grazie di questo dottorato. Grazie della loro attenzione.

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I carismi: un Vangelo dispiegato nei secoli

Alla scuola dei santi

Ero ancora studente di teologia quando con i miei compagni donammo a Chiara Lubich un libretto ciclostilato con alcuni pensieri sulla vita fraterna, tratti dagli scritti del nostro fondatore. Pochi giorni dopo ci chiese se poteva mandarne copia a tutti i focolari sparsi nel mondo. Lo aveva letto d’un fiato, “come si beve un sorbetto”, diceva, ed aveva annotato alcuni pensieri su sant’Eugenio de Mazenod, mostrando di averlo capito nel profondo della sua personalità spirituale. Ciò che più mi colpì furono le parole che rivolse a noi Oblati in quella circostanza: “Se loro, per via del carisma dell’unità, si sentono dell’Opera di Maria, io per via del loro fondatore mi sento “Oblata di Maria Immacolata”. E subito aggiungeva: “Ma io mi sento di tutti gli Ordini: di san Francesco, di san Benedetto…”. “Mi sento di tutti gli Ordini…”. Queste stesse parole, espresse in modo diverso, le ho poi ritrovate spesso negli scritti di Chiara. “Se da una parte siamo coscienti che il carisma del nostro Movimento è utile a tutta la Chiesa – scriveva ad esempio durante la lettura delle opere di S. Giovanni della Croce -, dall’altra siamo pure convinti che tutti i carismi della Chiesa sono utili a noi, figli della Chiesa. E allora dobbiamo imparare da tutti i santi” 1. Si sente, in queste parole, una “donna-Chiesa”, capace di dire, come un’altra grande donna, Teresa d’Avila, “sono figlia della Chiesa”. Perché tale sa mettersi con umiltà alla scuola dei santi. La loro esperienza le appartiene, come tutto ciò che è Chiesa. “È proprio della nostra spiritualità – scrive in pro-posito – imparare dai santi, farci figli di essi, per partecipare del loro carisma”. 2 Leggendo i suoi scritti si rimane impressionati di come Chiara Lubich ha camminato in compagnia dei santi.Si è confrontata costantemente con loro, in un rapporto che potremmo definire d’amore vicendevole, di unità e di distinzione. Da una parte i santi, con la loro esperienza di Dio, quasi le si accostano per incoraggiarla nella nascita e nello sviluppo della sua Opera, per illuminarla, aiutarla 3. Dall’altra il confronto con la vita e le opere dei santi le consente di cogliere tutta l’originalità della sua fondazione. Una ricca dottrina sulla dimensione carismatica della Chiesa Nello stesso tempo, grazie a questa particolare reciprocità d’amore con i santi, Chiara sa rico-noscere “il compito, la missione, il disegno che Dio ha pensato per essi” 4. Più ancora, ella arriva ad elaborare una ricca ed originale dottrina sulla dimensione carismatica della Chiesa e sui carismi della vita consacrata in particolare. È il primo motivo per cui le viene meritatamente conferito il dottorato in teologia della vita consacrata. Chiara Lubich possiede una sua originale comprensione dei carismi. Li vede come lo spiegarsi di Cristo attraverso i secoli, come un Vangelo vivo. Se Cristo è il Verbo di Dio incarnato, scriveva nel lontano 1950, a soli 30 anni, “la Chiesa è il Vangelo incarnato. Così è Sposa di Cristo. Noi vediamo attraverso i secoli fiorire tanti Ordini religiosi su tante ispirazioni quanti essi sono. Ogni Ordine o Famiglia Religiosa è l’incarnazione d’un’“espressione” di Gesù, d’una sua Parola, d’un suo atteggiamento, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, d’una parte di Lui”. 5 Poi, sempre in questo illuminante testo del 1950, ecco la percezione estetica della Chiesa cari-smatica, quale “magnifico giardino in cui fiorirono tutte le Parole di Dio, fiorì Gesù, Parola di Dio, in tutte le più svariate manifestazioni. (…). Come l’acqua si cristallizza in stelline di tutte le forme quando cade come neve sulla terra, così l’Amore assunse in Gesù la Forma per eccellenza, la Bellezza delle Bellezze (“il più bello dei Figli degli uomini” [cf Sal 45, 3]). L’Amore assunse nella Chiesa diverse forme e sono gli Ordini e le famiglie religiose. Nella Chiesa fiorirono e fioriscono tutte le virtù. I fondatori degli Ordini sono quella virtù fatta vita e salirono al Cielo solo perché erano Parola di Dio. (…) Tutte queste Parole formano la Chiesa, un Altro Cristo o un Cristo continuato, la Sposa di Cristo. È la Nuova Gerusalemme ammanta-ta di tutte le virtù”. 6 I carismi appaiono sostanziati dal Verbo, sue espressioni: lo contengono e lo manifestano, sono verbo nel Verbo, un Vangelo incarnato. “In tutti gli Ordini è un raggio dell’Ordine che è Dio. In tutte le spiritualità una luce della luce che è Gesù”. 7 I fondatori sono contemplati come “ortoprassi” della dottrina cristiana. La loro vita è illuminata e guidata dal Vangelo e insieme lo spiega. Ognuno di loro, scrive ancora Chiara, “ha ordinato in famiglia” i propri seguaci “con le leggi eterne del Vangelo, sentite risuonare con novella e attuale forza dallo Spirito Santo nel suo spirito”. 8 È la motivazione ultima e il senso profondo della vita consacrata: vivere appieno la vita evangelica, seguendo con radicalità Cristo nelle sue parole e nella sua opera. Il Vangelo è l’unica vera regola, come già sapeva il primitivo monachesimo. Inevitabile il confronto di questa intuizione del 1950, in cui Chiara Lubich legge la vita consacrata a partire dal suo dinamismo storico-carismatico, con la teologia che si elaborava nel medesimo periodo. Il Congresso mondiale degli istituti di perfezione, che si celebrava a Roma in quello stesso anno, riproponeva una statica teologia degli “stati di perfezione”, ancora ferma al “culto dei voti”. Occorrerà attendere ancora sette anni prima che Karl Rahner scriva il famoso libro sul principio dinamico della Chiesa nel quale rilegge in questa chiave anche l’evento della vita religiosa. Una nuova corrente di spiritualità Fin dall’inizio sono stati coinvolti in questa nuova corrente di spiritualità anche religiosi e religiose.Da qui ha preso vita, in seno all’Opera di Maria, un Movimento di religiosi e un Movimento di religiose e consacrate, a cui aderiscono migliaia di membri dei diversi istituti. In questo ambito l’esperienza spirituale di Chiara ha espresso anche una originale metodologia ermeneutica dei carismi, che si è rivelata via privilegiata per il rinnovamento auspicato dal Concilio Vaticano II. Ed è questo il secondo motivo per cui le viene conferito il dottorato. Essere parola nell’unica Parola Se i carismi e gli istituti possono essere paragonati a fiori sbocciati dal Vangelo, di certo essi conserveranno o ritroveranno la loro freschezza, e quindi saranno pienamente se stessi, nella misura in cui saranno capaci di andare alla radice da cui sono nati, immergendosi nuovamente nel Vangelo “nel quale solo valgono – ricorda Chiara -, ed il quale solo debbono essere”. 9 Ogni istituto ed ogni spiritualità ad esso legata è chiamato a tornare ad essere parola nell’unica Parola. Vivendo il Vangelo in pienezza si accende la luce per cogliere la particolare di-mensione evangelica da cui il carisma è sgorgato. In definitiva, ricorda Chiara, “Tutti questi Ordini, queste spiritualità nate attraverso i secoli debbono ritrovare la loro vera essenza, il loro principio: tutte sono Gesù: sono Amore Incarnato (…). Sono tutte pregne di Amore, Spirito Santo. (…) Per ridonare la vera spiritualità agli Ordini dobbiamo far sì che i seguaci vedano il loro fondatore come Dio lo vede e Dio non può vedere che Dio, ciò che è Divino. Dio non vede S. Francesco, ma vede l’Idea della Povertà. In S. Teresina vede la piccolezza, in S. Caterina il Sangue di Cristo. Iddio ama ogni Ordine perché Gli ricorda Se stesso, Gli ricorda Gesù, l’Idea di Sé umanata”. 10 La parola per eccellenza: il grido di Cristo in croce La proposta ermeneutica di Chiara va ancora più in profondità quando orienta verso il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato. Il grido di Cristo in croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mc 15, 34; Mt 27, 46), è colto da Chiara come la Parola per eccellen-za, quella in cui tutte le altre parole del Vangelo trovano la più alta spiegazione. Conseguentemente, quando ella pensa ai carismi come “parola di Dio”, non può non vederli se non in riferimento a Gesù abbandonato. Essi sono tutti sgorgati da quella “piaga”, da dove è sgorgato lo Spirito Santo, autore dei carismi. 11 Dal punto di vista ermeneutico il ritorno al Vangelo va quindi portato alle sue estreme conse-guenze: deve giungere al culmine del Vangelo. “Questi Ordini e spiritualità – spiega Chiara – si mantengono se vanno alla Fonte donde hanno Vita: Dio, il Vangelo intero, Gesù nell’espressione più completa di Sé”, ossia “quando redime e redime nell’attimo dell’abbandono”. 12 Ogni carisma ha bisogno del dono dell’altro Riprendendo nuovamente la metafora della Chiesa come giardino,una ulteriore legge metodologica per la comprensione profonda di un carisma viene così formulata: non fermarsi a guardare soltanto il proprio fiore, ma guardare piuttosto tutti gli altri fiori. Per il fatto che il mistero di Cristo è inesauribile e inesauribile la ricchezza della sua parola, ogni carisma ha bisogno del dono dell’altro, della luce dell’altro, per capire in profondità se stesso. Senza la piena comunione fra tutti i carismi difficilmente si può raggiungere il senso vero di ciascuno di essi. Si può ora comprendere meglio l’apporto specifico della spiritualità dell’unità alle altre spiritualità nella Chiesa. Nessuna concorrenza o dicotomia. La spiritualità dell’unità aiuta piuttosto a vivere l’amore reciproco in tutta la sua autenticità, con la misura espressa da Gesù croci-fisso e abbandonato, anche tra benedettini e domenicani, tra gesuiti e francescani, tra verbiti e lazzaristi, introducendo nella pienezza della vita evangelica. Grazie a questa co-munione dei doni tra persone di differenti ordini e istituti Gesù si rende nuovamente presente tra di loro e lui, il Signore Risorto, torna a spiegare le Scritture – il carisma di ciascuno –, proprio come aveva fatto quando si era reso presente tra i due discepoli di Emmaus. “Noi – spiega Chiara riguardo al proprio contributo alle altre vocazioni nella Chiesa – dobbiamo soltanto far circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono comprendere, capire, amare come si amano [tra di loro] le Persone della Trinità. Fra essi c’è come rapporto lo Spirito Santo che li lega perché ognuno è espressione di Dio, di Spirito Santo”. 13 Forse perché la sua è “Opera di Maria”, “si comprende come lei [Maria], madre di tutti i fedeli e della Chiesa, possa aver suscitato un Movimento ecclesiale che raduni tutte le vo-cazioni della Chiesa. E, perché colma di tutti i carismi di Dio, non abbia escluso i religiosi che ama senz’altro di un amore particolarissimo. Essa vuole, anche attraverso questa sua opera, dar una mano a tali figli prediletti”. 14 Il focolare: una originale forma di vita consacrata Vi è infine un terzo motivo per cui consegniamo a Chiara Lubich il dottorato, ed è fondamentale. Lo accenno soltanto preferendo lasciare a lei stessa, come la più competente, di illustrarcelo. Chiara non soltanto ha elaborato una dottrina nuova sulla vita consacrata e una metodo-logia ermeneutica per la sua comprensione e il suo rinnovamento. Ha fatto molto di più: ha creato una nuova originalissima forma di vita consacrata, il focolare. J.M.R. Tillard ci ha ricordato che i grandi fondatori posti dallo Spirito all’origine di nuove organiche riletture evangeliche, capaci quindi di dare vita a nuove spiritualità – ed è questo il ca-so di Chiara Lubich – “piuttosto che innestare il loro carisma nell’istituzione religiosa che li precede, la modificano per adattarla al loro progetto e porla al loro servizio, dandole così un nuovo volto”. 15 Essi suscitano nuove forme di vita consacrata. E nuova è la forma del focolare e, attorno ad esso, della grande e complessa architettura dell’Opera di Maria, che abbraccia ormai tutte le vocazioni presenti nella Chiesa e che va oltre, nella comunione con le altre Chiese, con i membri delle altre religioni, con le persone di convinzioni non religiose, attuazione dei quattro grandi dialoghi sui quali il Concilio Vaticano II ha aperto tutta la Chiesa. Un’audace Opera della Chiesa Ricordo che in queste aule, spiegando a noi studenti il perché del dottorato a Teresa d’Avila, Jean Leclercq ci diceva che esso non riguardava soltanto il suo magistero nell’ambito della dottrina spirituale ma, grazie alla regola da lei scritta, anche in quello canonico. Chiara Lubich ha visto approvato dalla Chiesa uno Statuto accompagnato finora da ben 18 regolamenti per al-trettante diramazioni e branche. Il nostro dottorato è il riconoscimento dell’audacia della sua istituzione. La comunità è composta da vergini e sposati, membri a pieno titolo del focolare, e questo obbliga a ripensare l’idea stessa di consacrazione. Il governo, sempre presieduto, per Statuto, da una donna, è lo spazio che consente a “Gesù in mezzo” di guidare il Movimento secondo il di-segno di Dio. La finalità apostolica travalica luoghi e settori specifici per abbracciare gli oriz-zonti stessi del Figlio di Dio: “Che tutti siano uno”; tutti, senza alcuna esclusione di ambiti e di persone. La molteplicità delle vocazioni ecclesiali che vivono nel suo seno, delinea, in bozzetto, come ha avuto occasione di sottolineare Giovanni Paolo II 16, una Chiesa interamente ordinata dalla reciprocità dell’amore, secondo il modello trinitario. L’accoglienza di membri di altre Chiese e religioni, insieme a persone di buona volontà, dilata i confini della Chiesa su quelli infiniti di Cristo e della sua redenzione. In definitiva è apparsa nella Chiesa, ed è vita della Chiesa, una realtà nuova che è destinata a fermentarla tutta, dal di dentro. Chiara Lubich ha disegnato un immenso affresco che rimarrà segno emblematico della grande stagione carismatica vissuta dalla Chiesa tra i due millenni. ________________________________ 1 Diario, 30 agosto 1980, inedito, riportato in C. Lubich, Cristo dispiegato nei secoli. Testi scelti, Città Nuova, Roma 1994, p. 68. 2 Diario, 21 maggio 1963, Diario 1964/65, Città Nuova, Roma 19852, p. 61. 3 Cf. Ibid., p. 63. 4 Scritti spirituali/2, Città Nuova, Roma 19843, p. 223. 5 [La Chiesa], 1959, inedito. Questo,m come si successivi testi inediti sono stati riportati in F. Ciardi, I carismi parole di Dio vive, “Nuova umanità”, 19 (1997) 387-407. 6 Ibid. 7 Ibid. Sembra qui riecheggiata l’esperienza di san Paolo, che è poi quella di ogni carismatico: “E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (2 Cor  4,6). Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consecrata scrive che “nell’unità della vita cristiana le varie vocazioni sono come raggi dell’unica luce di Cristo “riflessa sul volto della Chiesa”” (n. 16). 8 Scritti Spirituali/1, p. 87. 9 [La Chiesa], 1950, inedito. 10 Ibid. 11 In uno dei suoi scritti così esprime tale rapporto tra Gesù abbandonato e le spiritualità degli istituti religiosi: “Se per i francescani è importante la povertà, di cui Francesco è il carisma incarnato, chi più “Ma-donna povertà” di Gesù, il quale nell’abbandono ha perduto Dio? Se i gesuiti mettono in rilievo l’obbedienza, chi più obbediente di Gesù che, orbato del senso della presenza del Padre, a Lui si abbandona? Gesù abbandonato è il modello dei benedettini, “ora et labora”, perché il suo grido è la più straziante preghiera e frutta l’opera più favolosa. Gesù abbandonato è il modello dei domenicani, perché è lì che esprime, che dà tutta la Verità. (…) La spiritualità di Gesù abbandonato può penetrare tutte le altre riportandole, qualora ne avessero bisogno, al loro vero significato, al carisma riposto dal Cielo nel cuore del fondatore, e illuminando i discepoli onde capire ciascun loro maestro e quanto, nelle loro regole di vita, ha loro lasciato”(Citato da A. Balbo, Gesù abbandonato nella vita religiosa, in AA.VV., Il sacerdote oggi, il religioso oggi, o.c., p. 29). Rivolgendosi poi ai religiosi Chiara Lubich così si scriveva: Maria, attraverso la sua Opera (l’Opera di Maria) “concorre anch’essa, con una sua spiritualità, a far sì che queste aiuole [delle famiglie religiose] siano sempre più fiorenti agli occhi di Dio e del mondo. La Vergine opera questo, facendo splendere su molti religiosi quel sole radioso della carità che genera vita; mentre li invita a contemplare le particolari parole, che lo Spirito ha insegnato loro ad incarnare, in Colui nel quale ogni virtù ha raggiunto il culmine, ha toccato il vertice: Gesù crocifisso e abbandonato. Chi saprà mai cantare la sua povertà, affrontare la sua obbedienza, misurare la sua sapienza, raggiungere la sua umiltà? Chi conosce la sua forza? Chi può immaginare la sua fiducia? Chi scrutare l’abisso del-la sua misericordia o imitare la sua magnanimità? Chi bruciare del suo amore? È alla sua luce che molti religiosi riscoprono alla radice il carisma della proria famiglia religiosa” (Messaggio rivolto al Congresso, in AA.VV., Il sacerdote oggi, il religioso oggi, Città del Vaticano, 30 aprile 1982, p. 11). Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consacrata scrive in proposito: “Nella contemplazione di Cristo crocifisso tro-vano ispirazione tutte le vocazioni; da essa traggono origine, con il dono fondamentale dello Spirito, tutti i doni e in particolare il dono della vita consacrata” (n. 23). 12 Andare a Gesù abbandonato vuol dire scoprire la fonte ultima della propria vocazione e, insieme, ciò che costantemente può alimentarla. Chi punta “l’occhio del cuore su di Lui”, spiega ancora Chiara Lubich, trova “non una spiritualità ma la Spiritualità (che è l’Unità); non trova un Ordine, ma l’Ordine; non regole ma la Regola, cioè il Vangelo puro” (1950 [?], inedito). 13 [La Chiesa] 1959, inedito. “Il carisma dell’unità – spiega ad alcuni religiosi – mette in moto i figli dei Fondatori, e fa che si conoscano e li uniscano tra di loro. Siccome la carità è illuminante, ognuno viene il-luminato sulla propria vocazione, che sente dentro di sé, perché, se quel dato religioso è figlio di un Santo, ha naturalmente una grazia di figliolanza dentro di sé” (29 settembre 1974, inedito). La carità fa rifiorire la grazia carismatica che lo Spirito ha deposto nel cuore di ciascuno chiamandolo in quella determinata famiglia religiosa. 14 Inedito, citato da J. Castellano, Un carisma a servizio dell’unità tra i religiosi, in F. Ciardi (ed.), Il coraggio della comunione. Vie nuove per la vita religiosa, Città Nuova, Roma 1993, p. 94. 15 Le dynamisme des vocations, “Vocations” (1881), n. 295, p. 22-24. 16 Cf. Discorso al Movimento dei Focolari, Rocca di Papa, 19 agosto 1984; “L’Osservatore Romano”, 20/21.8.1984, p. 5.   (altro…)

“Possono le religioni essere ’partners’ sul cammino della pace?”

“Possono le religioni essere ’partners’ sul cammino della pace?”

“Senza fraternità non c’è pace”

 

Il pluralismo religioso, superficialmente sembra germe di divisioni e guerre. In realtà esso è – dice Chiara Lubich nel suo intervento – una sfida: tutte le religioni sono chiamate a ristabilire insieme l’unità della famiglia umana, poiché in tutte le religioni “in qualche modo lo Spirito Santo è presente e attivo”.

Proprio il fenomeno del terrorismo, che non si riesce a combattere con mezzi convenzionali, mostra che le religioni hanno un grande contributo da dare alla pace: “La causa più profonda del terrorismo” è “l’insopportabile sofferenza” di fronte a un mondo dove sempre maggiore è il divario fra ricchi e poveri, ha sottolineato la Lubich a Caux. C’è l’esigenza di più uguaglianza, più solidarietà, e soprattutto di una più equa distribuzione dei beni. “Ma, come si sa, i beni non si muovono da soli,”. “bisogna muovere i cuori delle persone”. E “da chi, se non dalle grandi tradizioni religiose, potrebbe partire quella strategia della fraternità capace di segnare una svolta persino nei rapporti internazionali?”. Senza fraternità, infatti – sostiene la Lubich – non c’è pace.

Senza perdere la propria identità

 In tutte le religioni è radicata l’idea dell’unità e dell’amore: “In pratica, ciò significa che siamo partners sulla via della fratellanza e della pace. Senza perdere la nostra identità, tra le grandi tradizioni religiose dell’umanità ci possiamo incontrare e comprendere” ha sottolineato la Lubich. Come via maestra verso la comprensione tra le religioni, la fondatrice del Movimento dei Focolari ha indicato la via dell’amore: “Se intraprendiamo il dialogo gli uni con gli altri, se quindi ci apriamo l’un l’altro in un dialogo fatto di benevolenza, di stima reciproca, di rispetto, di misericordia, ci apriamo anche a Dio e facciamo in modo – sono parole di Giovanni Paolo II – che Dio sia presente in mezzo a noi”. Chiara Lubich si è mostrata convinta che è proprio con la presenza di Dio che si potrebbero trovare vere soluzioni ai problemi attuali.

Il segreto del dialogo

 Il Movimento dei Focolari ormai ha una ricca esperienza nel dialogo interreligioso: “in un clima di amore reciproco si può infatti stabilire il dialogo con i propri partners, dialogo nel quale si cerca di farsi nulla per ’entrare’, in certo modo, in loro”. Questo ‘farsi uno con l’altro’ è indicato dalla Lubich come il segreto di un dialogo che può portare all’unità. Richiede vera povertà di spirito: “svuotare la nostra testa di idee, liberare il nostro cuore da affetti, la nostra volontà da desideri” per poter immedesimarci con l’altro e capire chi ci sta di fronte. Da un tale atteggiamento l’altro o l’altra viene “toccato” e da parte sua comincia a porre domande (questa l’esperienza di Chiara). “Allora possiamo passare all’ ‘annuncio rispettoso’, e comunicare, per lealtà a Dio e a noi stessi, ma anche per onestà verso il prossimo, quanto la nostra fede afferma sull’argomento di cui si parla, senza con ciò imporre nulla all’altro, senza ombra di proselitismo, ma per amore. Ed è il momento in cui, per noi cristiani, il dialogo sfocia nell’annuncio del Vangelo”.

Grande semplicità

   

Durante il colloquio successivo, Cornelio Sommaruga, presidente di “Iniziative e cambiamento”, ha sottolineato la “estrema semplicità” con la quale Chiara Lubich diffonde il suo messaggio di amore. Rajmohan Gandhi, nipote del Mahatma Gandhi, professore all’università di Nuova Delhi, pure lui responsabile dell’organizzazione che ha promosso il seminario, ha aggiunto: “Questa donna parla ai cuori. Ma non come molti altri con voce potente e appassionata, ma con dolcezza e forza. Il dialogo interreligioso promosso dalla signora Lubich è di grandissima importanza, specialmente nel nostro tempo”. E il rabbino Marc Raphaël Guedj, fondatore di “Racine et Source” (“Radice e Fonte”) si è mostrato impressionato dalla “personalità di Chiara, che parla di amore essendo amore, sapienza, sapienza della vita quotidiana, … amore che trasforma il mondo”.

Dal servizio di Beatrix Ledergerber-Baumer per l’agenzia KIPA, 3 agosto 2003 (nostra traduzione) (altro…)