Movimento dei Focolari

Rivista Nuova Umanità N. 6/2006

SOMMARIO

Editoriale

ESSERE CHIESA OGGI – di Piero Coda – L’obiettivo di questo editoriale è limitato: esso si propone di offrire qualche spunto per una riflessione più corale e approfondita sulla situazione della Chiesa cattolica oggi, guardando ad alcune sfide che la interpellano. Per sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda di quanto vive e patisce la Chiesa, ci si colloca in quel cammino impegnativo, e per molti versi inesplorato, da essa intrapreso col Concilio Vaticano II. Certo è che, con questo grande evento dello Spirito Santo, la Chiesa cattolica, senza nulla perdere della sua identità, si è anche impegnata a mostrare alla storia un volto nuovo. Un volto che solo poco per volta andiamo scoprendo e i cui tratti vengono in rilievo dall’esperienza di tutto il Popolo di Dio, dagli impulsi dello Spirito (i carismi) donati alla Chiesa prima e dopo il Concilio, dal rapporto della Chiesa con l’avventura di vita vissuta dagli uomini e dalle donne del nostro tempo. Un volto che, come intuisce il Concilio e come viene esplicitato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, riflette in sé il volto di Maria, immagine e centro vivo della Chiesa di Gesù. Per semplificare il discorso, si sviluppa in questa luce l’indicazione che, per suggerimento di Paolo VI, ha fatto da criterio architettonico dei lavori e dei documenti del Concilio: il “chi è?” della Chiesa (e cioè la sua identità) e la Chiesa nel mondo di oggi (e cioè la sua missione).

Nella luce dell’ideale dell’unità

EQUILIBRIO DIVINO – di Chiara Lubich – In questo testo, datato anni Cinquanta,  di commento al brano di Luca 21,19, viene ripresa la versione della Volgata che, tradotta letteralmente, significa: «Con la vostra pazienza possederete le vostre anime» invece dell’attuale traduzione della CEI che suona: «Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime». LA COMPIUTA VERITA’ – di Pasquale Foresi – La conoscenza ha un significato esistenziale. Non ci può essere una vera conoscenza che non attinga pienamente l’io profondo di chi pensa. Così è stato infatti per ogni contributo veramente decisivo nella storia del pensiero umano e questa è anche una delle grandezze del cristianesimo, ma con una novità assoluta. Se infatti prima del suo avvento, una concezione filosofica implicava una scelta dell’esistenza, con il cristianesimo le filosofie vengono superate. Cristo presenta l’esistere ed il pensare in una sintesi completamente nuova, che è la sintesi rivelata. Inoltre il cristianesimo non propone una dottrina astratta, ma una Persona. La sintesi assoluta, la verità del cristianesimo, si trova nel Cristo, il Verbo di Dio che s’incarna nell’umanità, la Verità in una persona. Per questo lui è il Maestro, cioè non solo il portatore di una religiosità, ma anche la nuova “scuola” alla quale bisogna andare. Saggi e ricerche MUSICA, VERITÀ, DIO. RIFLESSIONI SU ALCUNE SIGNIFICATIVE TESTIMONIANZE – di Mauro Mantovani – Questo contributo intende proporre alcune brevi riflessioni a partire dalle significative testimonianze di itinerari esistenziali che, anche per mezzo dell’esperienza musicale (se non proprio attraverso di essa), sono approdati ad aprirsi al mistero e alla trascendenza. Se davvero la musica ha aiutato – e lo ha fatto meglio di altre esperienze – uomini e donne, pur nella sovrabbondante diversità delle loro storie e vicende individuali, ad indirizzarsi verso l’Assoluto e la verità che in esso abita, non è fuori luogo chiedersi quale sia, se c’è, il suo “segreto”. Facendo riferimento a figure assai variegate come Nietzsche, Claudel, Marcel, García Morente e Cioran, si può trovare una conferma su come l’esperienza musicale sia davvero in grado di suscitare momenti preziosi di verità, a partire dalla verità con se stessi, e di rapporto con la Verità.  È colpo del dardo, urto del cuore e marcatura a fuoco nell’intimo. LAS MENINAS DI DIEGO VELÁZQUEZ – di Peter Seifert – Il saggio propone una nuova lettura del celebre quadro Las Meninas di Diego Velázquez e mette in evidenza come le variazioni  pittoriche all’interno di questa grande tela siano un modo di giocare con le nostre percezioni. Viene anche sottolineato come certe tendenze atte a sconcertare lo spettatore siano profondamente radicate nell’opera dell’artista. Se non è sorprendente che un quadro dell’epoca barocca inviti ad un sorta di “memento mori”, in quest’opera è la struttura stessa della composizione ed il modo di dipingere che guidano alla  scoperta della transitorietà della nostra esistenza e non solo qualche simbolismo esteriore. Infine l’Autore allarga lo sguardo su una recente opera cinematografica in cui le opere d’arte vengono considerate come qualcosa di vivo e presente, piuttosto che soltanto come qualcosa di sepolto dalla storia. ESSERE FAMIGLIA. ESSERE GENITORI. TRA INDIVIDUALISMO E BISOGNO DI RELAZIONALITA’ – di Michele De Beni – Di fronte all’attuale crisi che attraversa la famiglia, non si può negare la necessità di una nuova centralità e presa di coscienza della suo tipico contesto costitutivo: la dimensione relazionale, consapevoli che questo nuovo scenario richiede di creare anche nuovi contesti formativi e di promozione della cultura della famiglia. Tra le più naturali risorse a disposizione va certamente individuato l’aiuto informale che le famiglie stesse e i vari gruppi che compongono le singole comunità possono offrire alla vita di coppia e familiare. Così, porsi in ascolto e in aiuto della famiglia non ha sempre e necessariamente come obiettivo la cura delle sue patologie. Molto spesso si tratta di valorizzarne piuttosto gli elementi positivi, la loro integrazione con nuove e più approfondite competenze, lo sviluppo di risorse che possono esser riattivate e potenziate. Si tratta di uno straordinario lavoro di rete, di mutuo aiuto tra famiglie, tra gruppi e tra gruppi e istituzioni, orientato a stimolare nuove strategie centrate su una cultura della reciprocità. E’ POSSIBILE LA FRATERNITA’ NELLO SPORT? – di Paolo Crepaz e Alois Hechenberger – I concetti di dialogo, amicizia, pace, sono da sempre presenti nella cultura dello sport, auspicati quale frutto della pratica sportiva stessa. A livello sportivo istituzionale la pace è spesso addirittura rivendicata come conquista possibile solo attraverso lo sport, lì dove, si afferma, avrebbero fallito finora religione e politica. Allo sport viene attribuita la capacità di sviluppare le relazioni sociali, di essere fattore di comprensione internazionale e strumento di pace, di essere «componente essenziale della nostra società», capace di trasmettere «tutte le regole fondamentali della vita sociale» e portatore di valori educativi fondamentali quali «tolleranza, spirito di squadra, lealtà». Lo sport, con forza, reclama abbinata a sé anche l’immagine di strumento di incontro e di fratellanza. Ma con quale effettiva convinzione, con quale reale spessore? Fair play e fratellanza sono davvero sinonimi? E’ possibile la fraternità universale nello sport? A queste domande ha cercato di dare risposte il seminario su Sport e fraternità, promosso da Sportmeet a Roma il 3 settembre 2006.

Spazio letterario  

«Nuova Umanità» continua nelle sue pagine l’apertura di spazio dedicato alla produzione letteraria. ECO – di  Claudio Guerrieri

In dialogo

Riportiamo il testo degli interventi svolti in parallelo durante il 1° Simposio «Ebrei e Cristiani in dialogo» organizzato dal Movimento dei Focolari e tenutosi a Castel Gandolfo (RM) dal 23 al 26 maggio 2005, nella sessione dedicata al tema della relazione tra Dio e l’uomo nella tradizione cristiana ed ebraica. DIO E L’UOMO NELLA TRADIZIONE CRISTIANA   – di Jesus Castellano Cervera – L’Autore – scomparso prematuramente nel giugno scorso e che vogliamo qui ricordare con affetto per tutti gli anni di collaborazione con la rivista –, presenta alcuni pensieri che sono propri della tradizione cristiana rappresentata soprattutto da  alcuni mistici i quali manifestano un profondo senso di Dio e della sua trascendenza ed immanenza, e fedeli alla tradizione della Scrittura del primo Testamento e all’insegnamento di Gesù, sotto l’azione dello Spirito Santo di Dio, continuamente ci riportano a questo profondo senso religioso,  proprio delle Scritture Sacre della tradizione ebraica e cristiana. Le loro parole sono parole di esperienza, di intuizione spirituale, di forte senso del divino, come le parole dei profeti d’Israele, autentici testimoni del Dio vivente, che vivono alla sua presenza e percepiscono la sua rivelazione nel mormorio soave della contemplazione. LA RELAZIONE TRA DIO E L’UMANITÀ NELLA TRADIZIONE EBRAICA – di Irene Kajon – Maimonide e Hermann Cohen, due tra i filosofi più importanti dell’ebraismo, pongono nello spirito di giustizia e di carità, che si esprime nelle opere, ciò che unisce l’uomo a Dio: di qui lo stretto legame tra l’amore dell’uomo verso Dio, che si identifica con il conoscere e assumere come norme i Suoi attributi, e l’amore dell’uomo per l’altro uomo, il vicino e il lontano.

Libri

Todeschini affronta il ruolo che ha avuto il carisma francescano nella nascita dell’economia di mercato. Ne risulta un quadro sorprendente e  affascinante, che mostra come la povertà scelta volontariamente dai francescani creò le premesse culturali e poi anche teoriche per la comprensione della nascente economia di mercato. Todeschini mostra che l’etica economica moderna è stata il prodotto di un processo interno alla cristianità, nel quale il carisma di Francesco ha svolto un ruolo decisivo. INDICI «NUOVA UMANITA’» 2006 –  a cura di Antonio Coccoluto NUOVA UMANITÀ XXVIII –  Novembre-Dicembre  – 2006/6, n.168

Scintille di pace nel Libano in fiamme

     Biacout, come tutti i villaggi libanesi che non sono stati ancora sottoposti a bombardamenti, è gremito di famiglie sfollate dalle regioni meridionali di Beirut, cristiane e musulmane, senza distinzione. Si tratta di un piccolo quartiere pilota, nato durante la guerra negli anni ’80 per opera di volontarie dei Focolari, allo scopo di essere un’oasi di pace e di convivialità. Oggi vive un nuovo volto della sua « vocazione ».      Al Centro Medico Sociale, incontriamo Acia che, 20 anni fa, avevamo conosciuto quando con la sua famiglia e altre centinaia di persone, era fuggita dal suo villaggio del sud del Libano. L’avevamo incontrata su una spiaggia, senza tetto, senza viveri, completamente sprovveduta. Le eravamo stati vicini e da allora il rapporto si è approfondito.      Oggi la storia ricomincia da capo. Acia accoglie a casa sua tre famiglie provenienti dal suo villaggio, oltre a due vecchietti. La sua situazione precaria non le impedisce di condividere tutto con gli altri. “Ci arrangiamo come è possibile” ci dice. “Meno male che siamo in estate. Gli uomini dormono sulla terrazza. Ma abbiamo bisogno di materassi e soprattutto di medicine per i bambini, per mia mamma e mia suocera, ma anche per mio marito”. Difatti da un anno circa a suo marito è stata diagnosticata una sclerosi muscolare ed è sempre sotto trattamento. Poi continua: “Oggi altre famiglie sono state accolte dalla mia vicina. Sono in condizioni pessime. Hanno bisogno di tutto”.      Condividiamo quanto abbiamo e continuiamo il nostro giro. Arriviamo alla Casa Notre Dame, che era stata costruita in piena guerra per essere un luogo di pace, di ascolto, di condivisione.  Sawsan, la maestra d’asilo, ha dato ospitalità ad 8 famiglie musulmane. Ringraziano “Allah” di essere qui e sperano di poter ritrovare sani e salvi i famigliari che abitano vicino alla frontiera.     “Speriamo che “Allah” bruci tutti quelli che ci uccidono”, dice con rabbia una di loro. Ma subito: “E’ più forte di me, mi scaldo, mi arrabbio davanti a quanto sta succedendo, a quello che ci è accaduto, ma so anche che gli altri dall’altra parte soffrono come noi dalla furia di questa guerra”. Fatmé ribadisce: “Siamo tutti figli di Dio. Che Allah, l’onnipotente, calmi i cuori e gli spiriti e ci faccia ritrovare la pace”.     Intanto arriva Wardé, una giovane cristiana fuggita dal sud durante l’ultima guerra con il marito e i figli, e rifugiatasi a Biacout. Ultimamente era ritornata nel sud. “Ecco, siamo di ritorno a Biacout. Ringraziamo Dio! Nessuno è rimasto ferito o colpito. Abitiamo insieme, 3 famiglie. Non abbiamo niente ed abbiamo paura di quanto sta succedendo e di quanto forse ci attende ancora”. Mentre conversiamo, vedo tra le mani di alcune delle donne sciite lunghi rosari. Invocano “Allah” il Grande, lodandolo, e rendendogli grazie. Ed è su questa nota spirituale bellissima che ci siamo lasciate.     Wardé ci accompagna, e noi cerchiamo di condividere la sua angoscia. Torniamo alla macchina: nel cuore c’è la dolcezza di questi momenti trascorsi insieme alla Casa Notre Dame e l’amaro del grido di dolore che riecheggia ovunque. (altro…)

Commento di Chiara Lubich alla Parola di Vita di Maggio 2006

Che cuore largo il cuore di Dio. Le divisioni tra popoli e nazioni, tra lingue ed etnie per lui non esistono. Per lui siamo tutti figli suoi, d’uguale dignità. Gli stessi primi cristiani di Gerusalemme stentavano a comprendere questa mentalità aperta e universale. Provenendo tutti da un medesimo popolo, cosciente d’essere il popolo eletto, avevano difficoltà ad entrare in un rapporto di autentica fratellanza con membri di altri popoli. Ed erano rimasti scandalizzati quando avevano saputo che Pietro, a Cesarea marittima, era entrato nella casa di Cornelio, un ufficiale romano, uno straniero. Nessuna comunanza con gli stranieri! Ma per Dio nessuno è straniero.  Lui “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” . Dio ama tutti, senza distinzione. È quello che Pietro aveva affermato davanti al soldato romano, superando lui stesso i pregiudizi che lo tenevano discosto da persone d’altri popoli:

“Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga”

Se Dio agisce così, anche noi, figli suoi, dovremmo agire come lui e spalancare il cuore, rompere tutti gli argini, liberarci da ogni schiavitù. Sì, perché siamo spesso schiavi delle divisioni fra poveri e ricchi, fra generazioni, fra bianchi e neri, fra culture e nazionalità. Quanti preconcetti nei confronti degli immigrati, degli stranieri. Quanti luoghi comuni su chi è diverso da noi. Da qui le insicurezze, la paura di perdere la propria identità, le intolleranze… Possono esserci barriere ancora più sottili, che passano tra la nostra famiglia e le famiglie vicine, fra persone del nostro gruppo religioso e quelle d’altro orientamento, tra quartieri di una medesima città, tra partiti, tra club sportivi… Ed ecco diffidenze, rancori sordi e profondi, inimicizie incancrenite… Con un Dio che non fa distinzione di persone come non mettersi in cuore la fratellanza universale? Figli dello stesso Padre possiamo scoprirci fratelli e sorelle di ogni uomo e donna che avviciniamo.

“Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga”

Se dunque siamo tutti fratelli e sorelle, dobbiamo amare tutti, cominciando da chi ci è accanto, senza fermarsi. Il nostro non sarà allora un amore platonico, astratto, ma concreto, fatto di servizio. Un amore capace di andare incontro all’altro. Di avviare un dialogo, di immedesimarsi nelle sue situazioni di disagio, di assumerne i pesi, le preoccupazioni. Al punto che l’altro si senta capito e accolto nella sua diversità e libero di esprimere tutta la ricchezza che porta in sé. Un amore che sostiene rapporti vivi e attivi fra le persone delle più varie convinzioni, basati sulla “regola d’oro” – “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” – presente in tutti i libri sacri e iscritta nelle coscienze. Un amore che muove i cuori fino alla comunione dei beni, che ama la patria altrui come la propria, che costruisce strutture nuove, nella speranza che è possibile far retrocedere guerre, terrorismi, lotte, fame, e i mille mali del mondo.

“Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga”

L’hanno sperimentato insieme una delle mie prime compagne di Roma, Fiore e una giovane del Guatemala, Moira, indigena cattolica, discendente dei maya Kacjchichel, prima di 11 fratelli. Gli indigeni sono molti discriminati e questo crea un forte complesso di inferiorità nei confronti dei meticci e soprattutto dei bianchi. Ecco ciò che Moira racconta del suo incontro con Fiore, che “non aveva preferenze”, parlava al cuore della gente, facendo cadere ogni barriera: “Non dimenticherò mai l’accoglienza festosa di Fiore. Il suo amore verso di me era un riflesso dell’amore di Dio. La mia cultura indigena e l’educazione familiare mi avevano abituata ad atteggiamenti piuttosto chiusi e duri, tanto da allontanare chi stava accanto a me. Fiore mi è stata maestra, guida, modello… e mi ha aiutato a uscire da me stessa per andare con fiducia verso gli altri. Mi ha anche proposto di riprendere gli studi e mi ha sostenuta e incoraggiata, quando, per le difficoltà di cultura e di metodo, ero tentata di lasciare tutto. Ho potuto conseguire il diploma di segretaria d’azienda. Soprattutto mi ha trasmesso la consapevolezza della mia dignità umana. Mi ha fatto superare quel senso di inferiorità che, da indigena, mi portavo dentro come un marchio. Fin da ragazzina sognavo di fare una battaglia per riscattare la mia gente, ma da Fiore ho capito che dovevo cominciare da me stessa. Essere io “nuova” se volevo che nascesse un ‘popolo nuovo’.” Amando l’Ideale, con un Dio che non fa preferenze di persone, si possono avere – come Moira – sogni nuovi: “Con il mio sì a Dio avrei potuto aprire un varco per portare l’Ideale a tutta la mia gente e posso dire di vederlo già in parte realizzato nella mia famiglia”.

Chiara Lubich

 

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CHIESA-COMUNIONE. Paolo VI e Giovanni Paolo II ai Vescovi amici del Movimento dei Focolari, Città Nuova Editrice, Roma 2002

INTRODUZIONE Approfondire lo spirito della collegialità L’incoraggiamento di Paolo VI e di Giovanni Paolo II Affrettare la piena comunione visibile fra le Chiese Riflessione sulla Chiesa-comunione Dalla benedizione all’approvazione Ecclesiologia di comunione – spiritualità di comunione “Voi state riflettendo sulla comunione, realtà costitutiva della natura stessa della Chiesa”. Con queste parole Giovanni Paolo II si è rivolto il 28 febbraio 2002 a oltre 80 Vescovi provenienti da 45 nazioni di tutti i cinque Continenti. Ed ha indicato questa priorità per l’azione pastorale: “La comunione all’interno del popolo cristiano, pertanto, chiede di essere sempre più assimilata, vissuta e manifestata, anche grazie ad un deciso impegno programmatico, a livello sia di Chiesa universale che di Chiese particolari”. Ha quindi esortato a “coltivare un’autentica e profonda spiritualità di comunione”, compito di prima urgenza che, se riguarda tutti i membri della Comunità ecclesiale, “spetta però anzitutto ai Pastori”. Venticinque anni prima, Paolo VI, in occasione dell’udienza generale del 9 febbraio 1977, aveva accolto un gruppo di dodici Vescovi che – come riferì il giorno dopo L’Osservatore Romano – si erano riuniti “nel Centro Mariapoli di Rocca di Papa per partecipare a un corso di spiritualità”. Giacché in quel tempo era assai raro veder tanti Vescovi convenire all’appuntamento settimanale del Papa con i fedeli, Paolo VI, tanto sensibile alla collegialità episcopale, li volle presentare ad uno ad uno all’intera assemblea, trovando per ciascuno una parola personale. E, alla fine, impartì la benedizione apostolica assieme a loro. Fu questo l’inizio dei Convegni annuali di “Vescovi amici del Movimento dei Focolari”. Vale la pena ricordare ancora un significativo dettaglio:dopo l’udienza, i dodici Vescovi, provenienti da Cile, Colombia, Corea, Macau, Tailandia, Germania, Croazia, Portogallo e Italia, furono ricevuti a pranzo dall’allora Cardinale Segretario di Stato, Giovanni Villot, nel suo appartamento privato. Promotore dell’iniziativa fu Mons. Klaus Hemmerle, Vescovo di Aquisgrana in Germania (1975-94). Uomo di grande cultura ed eminente teologo, egli sin dalla fine degli anni ‘50 aveva conosciuto la spiritualità del Movimento dei Focolari e l’aveva vissuta da sacerdote diocesano. Diventato Vescovo pensò di non interrompere quel cammino di comunione e, nel febbraio 1976, assieme a centinaia di preti di tutta Europa, venne all’incontro annuale dei sacerdoti focolarini. “Lì – racconta – ho avuto un incontro decisivo con Chiara Lubich”. E ricorda come in quel colloquio capì che i Vescovi, legati l’uno all’altro nella collegialità e chiamati ad essere nella Chiesa custodi dell’unità, sono destinati in un modo tutto speciale a vivere tra loro l’amore reciproco . Nell’estate di quello stesso anno il Vescovo Hemmerle si ritrovò in Svizzera con altri due Vescovi che, come lui, si ispiravano nella loro vita alla spiritualità di comunione che caratterizza il Movimento dei Focolari: Mons. Josef Stimpfle, allora Vescovo di Augsburg (Germania), e Mons. Acacio Rodrigues Alves, Vescovo, oggi emerito, di Palmares (Brasile). In quell’occasione, in un incontro con Chiara Lubich, nacque l’idea di ritrovarsi nel febbraio successivo per un Convegno spirituale con altri Vescovi desiderosi di poter approfondire questa spiritualità. Approfondire lo spirito della collegialità Sin dal primo incontro, una caratteristica di questi Convegni è stata quella che i partecipanti, prima di ritornare nelle rispettive diocesi, si accordavano tra di loro – attraverso un “patto d’amore scambievole”, come lo chiamarono – di vivere anche a distanza con intensità il comandamento nuovo di Gesù, in modo da dare così un contributo vitale per rendere sempre più concreta la collegialità effettiva ed affettiva. Merita riportare almeno alcune parole di questo impegno che i Vescovi, in occasione del loro primo incontro, vollero prendere nella stessa Basilica di S. Pietro, davanti alla Pietà di Michelangelo: “Eterno Padre, uniti nel nome di Gesù, noi ti promettiamo di amarci a vicenda come Gesù ci ha amati, fino a dare la vita, per vivere in pienezza la collegialità attorno al Papa… Fa sì che siamo un’anima sola e un corpo solo, che la gioia dell’uno sia la gioia dell’altro, che la croce dell’uno sia la croce dell’altro, affinché risplenda in noi e fra noi la continua presenza di Gesù risorto, fino a penetrare tutte le nostre attività e rinnovare le nostre diocesi, affinché tutti siano uno e il mondo creda”. Sta qui, in effetti, tutta l’originalità di questi Convegni spirituali fra Vescovi. Essi – come era solito spiegare il Vescovo Hemmerle – non si prefiggono di trattare temi teologici o problemi particolari, ma di dar modo ai Vescovi di vivere un’esperienza di comunione spirituale e di unità, per approfondire, nella carità reciproca, lo spirito della collegialità col Papa e fra loro, e ravvivare così la vita di comunione nelle proprie diocesi e nei riguardi degli altri Vescovi. Un’istanza assai sentita, questa. Lo dimostra il numero crescente dei partecipanti a questi incontri che da tempo si svolgono ormai non soltanto a Roma, ma anche a livello regionale in diverse parti del mondo, dall’Estremo Oriente all’Africa, dal Brasile all’Europa centrale, ai Paesi del Medio Oriente. Con frutti profondi di comunione, come testimoniano – per citare soltanto un esempio – queste espressioni di un Vescovo dell’America Latina che, dopo aver partecipato a uno di questi Convegni, a distanza di alcuni mesi così scrisse agli altri Vescovi: “Voglio dirvi che la mia vita è stata profondamente toccata da questo incontro. Ho avuto l’impressione che noi tutti fossimo nati nello stesso quartiere, avessimo studiato nella stessa scuola e fossimo vissuti sempre assieme. Da quel momento vi sento tutti uniti a me, come se fossimo mattoni di una stessa parete, tenuti insieme col cemento. E non so più pregare isolato, ma soltanto in comunione con tutti”. L’incoraggiamento di Paolo VI e di Giovanni Paolo II Quando Paolo VI, il 25 gennaio 1978, pochi mesi prima della sua morte, incontrò per la seconda volta i Vescovi riuniti in Convegno – erano 23 quell’anno – non esitò ad affermare a chiare parole la sua gioia per quell’iniziativa: “Tutto ciò che favorisce la mutua, fraterna carità, nella prospettiva di un più generoso e fecondo servizio ecclesiale, si colloca al centro del Vangelo e del ‘comandamento nuovo’ formulato dal Signore Cristo Gesù. (…) Noi non possiamo tacere questa vostra iniziativa e la confermiamo con la nostra speciale benedizione” . Quell’anno al Convegno partecipò anche Mons. Jorge Novak, allora Vescovo di Quilmes (Argentina), che rimase profondamente impressionato da un fatto da lui stesso riferito con queste parole: “Dopo l’udienza generale con Paolo VI, noi Vescovi fummo invitati in una sala dove il Papa ci parlò nuovamente e ci disse: ‘Come capo del Collegio Apostolico vi incoraggio, vi stimolo, vi esorto a continuare in questa iniziativa’ ”. Giovanni Paolo II, eletto Papa nell’ottobre 1978, subito intuì il valore di questi incontri volti a rafforzare lo spirito di comunione all’interno del Collegio episcopale e li sostenne. Fu lui a presentare – durante l’udienza generale del 15 febbraio 1979 – i 40 partecipanti del terzo Convegno con il nome di “Vescovi amici del Movimento dei Focolari”. L’anno successivo rifletteva in questi termini sulla rilevanza di questi Convegni: la collegialità effettiva ed affettiva “è la nostra principale testimonianza (…). Io mi rallegro della spiritualità che vi aiuta oggi a realizzarla sempre di più”. Due anni dopo, ricevendo all’indomani del sesto Convegno il Vescovo Hemmerle ed altri Vescovi cattolici in udienza speciale – era il 21 febbraio 1982 -, nel suo discorso tracciò linee che suonavano assai programmatiche. “Mentre il Papa viveva un’intensa e consolante esperienza di comunione con alcune giovani Chiese nel Continente africano, celebrando con esse il mistero dell’unità che pulsa nel grande Organismo della Chiesa universale, voi celebravate questo stesso mistero nella carità di una riunione fraterna, che vi ha consentito di parteciparvi reciprocamente, sotto gli occhi di Maria, ansie, progetti, prospettive, fiduciose speranze”. Nel fare ciò – proseguì Giovanni Paolo II – “voi non vi siete nutriti soltanto di una spiritualità che vi è particolarmente cara, ma avete altresì posto in atto una dimensione caratteristica della vostra realtà ontologica di Vescovi”. Come ogni cristiano è, per sua natura, con-discepolo di Cristo – spiegò – “così ogni sacerdote è con-sacerdote ed ogni vescovo è, per definizione, con-vescovo”. Ed espresse la convinzione che una tale apertura all’intera Chiesa “non vi porterà affatto a trascurare il gregge che vi è stato affidato”, ma darà piuttosto “maggiori garanzie di essere pienamente in sintonia con Cristo”. Affrettare la piena comunione visibile fra le Chiese Nella stessa udienza, Papa Wojtyła aprì una prospettiva che si sarebbe espressa ben presto in ulteriori sviluppi. L’ansia dell’unità – disse – vi porterà “a farvi carico con sempre rinnovato slancio del problema ecumenico, spingendovi a tentare ogni utile iniziativa”. Sollecitazione che, da parte dei Vescovi, trovò un’immediata risposta. Nell’ottobre successivo si tenne infatti per la prima volta un Convegno ecumenico di Vescovi amici del Movimento dei Focolari, appuntamento che da allora si ripropone ogni anno, di volta in volta in una sede diversa. “Non facciamo qui un Congresso teologico, benché non dimentichiamo di essere teologi. E non ci ritroviamo neppure per una conferenza ecclesiale, anche se portiamo in noi le nostre Chiese. Il nostro fine è quell’unità dello spirito e dell’amore – amore che conduce alla verità – che nasce dal fatto che ci amiamo come Gesù ci ha amati e viviamo unanimiter la Parola che egli ci ha dato”. Così, al Convegno ecumenico del novembre 1990, il Vescovo Hemmerle spiegò la caratteristica di questi incontri. Ed espresse la convinzione che tale esperienza di comunione era “un fatto veramente ecclesiale, una via per preparare dal di dentro le vie dell’unità”. Con l’andare del tempo, questi Convegni ecumenici che, con la benedizione dei Capi delle rispettive Chiese, oltre che a Roma, si sono svolti a Costantinopoli (1984), Londra (1986 e 1996), Ottmaring nei pressi di Augsburg (1988 e 1998), Trento (1995), Amman-Gerusalemme (1999) e Baar, non lontano da Zurigo (2001), hanno suscitato l’interesse anche di eminenti personalità del mondo ecumenico. “Abbiamo gioito nello spirito”, ha scritto il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I nel messaggio inviato al Convegno del novembre 1997. E, dopo aver formulato parole di ammirazione e di amore per il Movimento dei Focolari, affermava: “Il vostro approfondimento dei temi della spiritualità e dell’unità sarà certamente di grande giovamento per la vostra dedizione alla causa dell’unità dei cristiani”. Da parte evangelica-luterana, fra i partecipanti ci fu, sin dal 1983, il dott. Johannes Hanselmann, per molti anni Vescovo della Baviera e personaggio di primo piano nella Federazione luterana mondiale, della quale fu vice-presidente (1977-87) e presidente (1987-1990). Alla luce della sua vasta esperienza ecumenica, Hanselmann era profondamente conscio dell’originalità di quel “patto d’amore reciproco” con cui i Vescovi in ogni incontro si promettevano solennemente “di cercare in tutto e prima di tutto l’amore scambievole”, secondo il comandamento nuovo, impegno che portò tanti e tali frutti che egli non esitò a parlare di “un soffio di eternità” che lui trovava in queste riunioni. Incontri carichi di una speciale speranza, dunque, tanto che il Vescovo inglese Hugh W. Montefiore, nota personalità nel mondo anglicano, nella giornata conclusiva del Convegno del dicembre 2001, al quale avevano partecipato 24 Vescovi ortodossi, siro-ortodossi, anglicani, evangelici-luterani e cattolici, giunse a dire di aver sperimentato, nella comunione tra loro, “un presagio di ciò in cui noi tutti speriamo”. Come un significativo seguito di quest’ultimo Incontro, il Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, dott. Konrad Raiser, ha rivolto a Chiara Lubich un caloroso invito a visitare questo importante organismo. Per coincidenza, il Convegno ecumenico di Vescovi dell’ottobre 2002 si svolge nei pressi di Ginevra e prevede un’agenda particolarmente interessante. Rivolgendo la sua parola ai Vescovi di varie Chiese, Giovanni Paolo II ha dato più volte espressione a tutta la sua ansia per l’unità: Che questa esperienza di preghiera e di scambio fraterno affretti il giorno in cui saremo completamente uno in Cristo!” (12 ottobre1983). “Che il vostro pellegrinaggio ecumenico, spinto dalla forza dello Spirito, sia sempre (…) un servizio alla memoria delle opere mirabili da Dio compiute nella storia di ogni comunità cristiana, un richiamo fiducioso alla conversione e alla riconciliazione” (26 novembre 1987). “Non possiamo presentarci davanti a Cristo, Signore della storia, così divisi come ci siamo purtroppo ritrovati nel corso del secondo millennio”. Da qui tutto l’apprezzamento di Papa Wojtyła per questi incontri annuali che “pur con il loro carattere informale e privato, (…) aiutano a far crescere ed a diffondere un’intensa unione spirituale nella carità e nella verità, che alimenta la speranza del completo superamento, con l’aiuto della grazia di Dio, delle barriere che purtroppo ancora dividono i cristiani” (13 novembre 1997). Anelito per l’unità che, nell’udienza del 2 dicembre 2000, ha condotto Giovanni Paolo II ad indirizzarsi ai suoi “venerati fratelli nell’episcopato” con il vibrante appello a “rileggere la complessa e a volte travagliata storia delle nostre comunità nella prospettiva dell’unica Chiesa di Cristo, dove le legittime differenze contribuiscono a rendere più splendente il volto della Sposa del gran Re”. Quello dell’unità – ha detto Giovanni Paolo II nel 1994 al Convegno di Vescovi cattolici – è un desiderio di Gesù “che ci incalza e non ci dà pace, finché non si sia realizzato”. Riflessione sulla Chiesa-comunione Dopo la prima udienza speciale nel 1982, Giovanni Paolo II, in un crescendo che non sfuggirà a chi sfoglia le pagine di questo volume, ha costantemente accompagnato, illuminandolo con la sua parola, lo sviluppo dei Convegni fra i Vescovi cattolici. Ed ha colto quelle occasioni per enucleare una serie di punti-chiave importanti per una sempre maggiore realizzazione della Chiesa-comunione. Ne evochiamo qui, molto rapidamente, solo i principali: lo spirito della collegialità episcopale come lievito d’unità ecclesiale sia a livello universale che nelle Chiese particolari; il ruolo decisivo di una spiritualità di comunione, quale presupposto anche di una testimonianza efficace; il Cristo crocifisso ed abbandonato come sorgente della comunione e come via per il dialogo; il profilo mariano della Chiesa. E’ profondamente radicata nel pensiero di Papa Wojtyła – come del resto mostra la sua costante prassi – l’idea che la collegialità effettiva ed affettiva dei Vescovi, lungi dall’essere solo realtà giuridica o sacramentale, debba tradursi quotidianamente in comunione vissuta. Da qui la simpatia con cui egli guarda e sostiene ogni iniziativa che mira a rendere operante questa istanza che è, senza dubbio, tra le linee direttrici più importanti del Concilio Vaticano II. Ma non meno urgente suona l’invito, che egli rivolge ai Vescovi, a trasmettere alle loro diocesi quello spirito di unità e comunione che essi sono chiamati a vivere tra loro. “L’esperienza di ‘koinonia’, che voi oggi vivete – ha detto nel 1983 -, possa riverberarsi positivamente nelle Chiese particolari affidate alle vostre cure, suscitando in esse un senso sempre più vivo dell’appartenenza all’unico Corpo mistico di Cristo”. Nel 1990 è stato ancora più esplicito: “Ringraziate il Signore per l’esperienza di fraternità apostolica che state vivendo durante questi giorni e portate poi il lievito di questa unità vissuta tra voi all’interno delle vostre rispettive Comunità diocesane”. E nel 1992: “Fate tesoro dell’esperienza spirituale del Movimento dei Focolari (…) per accrescere sempre più il vostro slancio apostolico e per incrementare l’animazione evangelica nelle vostre rispettive Comunità diocesane e nel mondo intero”. Nel 1995 emerge, per la prima volta in questi termini, un tema che diventerà poi uno dei cardini della lettera-programma per la vita della Chiesa nel terzo millennio che è la Novo millennio ineunte: l’urgenza che la vita e l’azione della Chiesa sia animata, a tutti i livelli, da una “robusta spiritualità di comunione”, come elemento propulsore, pure, per la grande impresa della nuova evangelizzazione. “Come allora, anche oggi – scrive il Papa nel Messaggio al Convegno del 1997 – il compito principale dell’apostolo è proclamare e testimoniare con la vita che Cristo è veramente risorto, che Egli è presente tra di noi attraverso il comandamento nuovo che ci ha lasciato”. E ne trae questa conseguenza: “Una spiritualità di comunione per dei Pastori della Chiesa significa l’impegno al dono totale di se”, ma anche, per la reciprocità dell’amore, “considerare la croce dell’uno la croce dell’altro”. E’ questo il presupposto indispensabile della stessa testimonianza. “Il nostro tempo – dice nell’udienza del 16 febbraio 1995 – esige una nuova evangelizzazione. Richiede quindi con particolare intensità ed urgenza di rispondere a questa originaria vocazione personale ed ecclesiale: formare, in Cristo, ‘un cuore solo e un’anima sola’ (At 4, 32)”. E ribadisce: “Essere uno in Cristo è, per così dire, la prima e permanente forma di evangelizzazione attuata dalla Comunità cristiana”. Negli ultimi due anni, il tema della “spiritualità di comunione” si trova intimamente unito ad un altro punto-cardine della Novo millennio ineunte che è allo stesso tempo uno dei pilastri della spiritualità dei Focolari: il volto dolente di Cristo, ed anzi: il mistero del suo abbandono in croce. “In Cristo crocifisso ed abbandonato – afferma il Messaggio del 14 febbraio 2001 – il male ed il peccato sono definitivamente sconfitti, e viene resa possibile la piena unità dell’umanità col Padre e degli uomini fra di loro”. Sta qui dunque “la via maestra non soltanto per rendere sempre più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale, ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni”. Confrontato lui stesso profondamente con la sofferenza, nell’udienza del 28 febbraio 2002 Giovanni Paolo II torna sull’argomento: “Il servizio dell’unità, su cui voi giustamente amate molto insistere, è intrinsecamente segnato dalla Croce”. Richiama al riguardo l’esempio degli Apostoli: “Il loro ministero di comunione e di evangelizzazione ha goduto della stessa fecondità di quello di Cristo: la fecondità del chicco di grano (…) che produce molto frutto se e perché muore nella terra”. Come non intravedere qui anche una personalissima esperienza? Non meno importante è il tema del profilo mariano della Chiesa, che emerge in diversi interventi di Giovanni Paolo II. Egli ne ha parlato – come si sa – con accenti programmatici nel discorso al Collegio Cardinalizio, durante l’anno mariano, il 22 dicembre 1987  . Maria – dirà poche settimane dopo ai Vescovi amici del Movimento dei Focolari – “è un eminente modello per noi Pastori di come debbono essere condotte le anime”. Da qui la speranza che i Vescovi possano rivivere, nei loro Convegni, “quasi un nuovo ‘Cenacolo’ con Maria”, affinché la loro testimonianza abbia sempre più “quel timbro ‘materno’ che essa deve avere, per riuscire veramente efficace nel mondo” (12 febbraio 1988). Dieci anni dopo, il Papa si sofferma nuovamente su questo tema: “La Chiesa possiede dunque, accanto al ‘profilo petrino’, un insostituibile ‘profilo mariano’: il primo manifesta la missione apostolica e pastorale affidatale da Cristo, il secondo esprime la sua adesione al piano divino della salvezza”. Ne nasce la sfida per i Vescovi e per le loro Comunità di “riproporre fedelmente questo duplice profilo della Chiesa” (14 febbraio 1998). Se questi sono alcuni temi salienti, di cui il lettore potrà rendersi meglio conto attraverso la lettura di questo volume, c’è però un elemento che la carta scritta non può trasmettere: la gioia e la comunione spontanea che hanno caratterizzato questi incontri di Giovanni Paolo II con i suoi fratelli nell’episcopato. Forse ne danno un’idea le foto. Attraverso di esse si potranno conoscere anche alcuni dei principali protagonisti, fra cui il Card. Miloslav Vlk che assunse la moderazione dei Convegni, dopo la morte del Vescovo Hemmerle avvenuta il 23 gennaio 1994. Dalla benedizione all’approvazione Trascorsi più di 20 anni dall’inizio dei Convegni spirituali che sono stati fonte di arricchimento per centinaia di Vescovi cattolici nelle diverse parti del mondo, questa esperienza di comunione ha trovato anche un’approvazione, con la lettera del Pontificio Consiglio per i laici del 14 febbraio 1998, che riconobbe formalmente la partecipazione dei “Vescovi amici” al Movimento dei Focolari. Non che si volessero codificare dei rapporti che erano e che rimangono di natura tutta spirituale. Ma piuttosto perché si sentì l’esigenza che la configurazione giuridica dell’Opera di Maria – nome ufficiale del Movimento dei Focolari – riflettesse quest’Opera nelle sue varie dimensioni, così come sono nate dal carisma dell’unità che ad essa è proprio. Di queste dimensioni fa parte, appunto, anche quella comunione spirituale di Vescovi che è andata crescendo lungo gli anni, con innumerevoli frutti, e che è stata calorosamente incoraggiata sin dall’inizio da Papa Paolo VI. Per l’approvazione fu decisiva la riflessione di un noto canonista sull’inalienabile diritto di associazione di cui godono tutti i battezzati, diritto che spiega il fatto nuovo ed originale della partecipazione ai Movimenti ecclesiali contemporanei non solo di cristiani laici, bensì di persone di tutti gli stati e vocazioni . Ma soprattutto è stato importante chiarire come tale partecipazione, nel caso dei Vescovi, pur avendo un riconoscimento giuridico, resti un impegno esclusivamente spirituale che né comporta legami giuridici né costituisce un’associazione di fatto . Rimane pertanto salvaguardata l’unicità del Collegio episcopale, come corpo indivisibile. Neppure si interferisce nell’esercizio degli specifici doveri e dell’uguale disponibilità verso tutti, propri del ministero del Vescovo; disponibilità ed apertura – è il caso di sottolinearlo – che devono abbracciare pure le realtà carismatiche e associative, in tutta la loro varietà. Se Giovanni Paolo II ha voluto questa approvazione e se essa è stata formalizzata dal Pontificio Consiglio per i laici, cui fanno riferimento i Movimenti ecclesiali, con l’apporto significativo della Congregazione per la dottrina della fede ed anche della Congregazione dei Vescovi, ciò si deve pure alle particolari caratteristiche della spiritualità dell’unità che anima il Movimento dei Focolari. Nella vita di un Vescovo infatti – come sottolineano gli interventi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II riportati in questo volume – la spiritualità dell’unità è uno stimolo costante a svolgere il proprio ministero nella più perfetta unità con il Papa, a rafforzare la comunione all’interno del Collegio dei Vescovi, particolarmente nelle Conferenze episcopali nazionali e regionali, a far risplendere nella propria diocesi la realtà della Chiesa-comunione cominciando dal presbiterio diocesano e favorendo l’armoniosa collaborazione con i carismi antichi e nuovi, per aprirsi, poi, forti della testimonianza dell’unità, a quel dialogo con le altre Chiese, con il mondo delle religioni, con le culture, voluto dal Concilio Vaticano II. Ecclesiologia di comunione – spiritualità di comunione Da quanto precede emerge il significato della presenza di Cardinali e Vescovi in un Movimento ecclesiale come quello dei Focolari. Esso è da ricercare nella necessità che l’ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II trovi il suo riscontro in una spiritualità corrispondente. Non può giungere, infatti, a pienezza la vita della Chiesa-comunione senza una spiritualità di comunione, la quale, per la verità, porta con sé dinamiche, metodi e strumenti della vita spirituale, in gran parte ancora da scoprire e da mettere in pratica. Se sono sempre più numerosi i Vescovi, e non solo, a sentire questa necessità, forse nessuno l’ha espressa con tanta lucidità e con tanto vigore come Giovanni Paolo II che nella Novo millennio ineunte scrive: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo”. E chiarisce: “Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione”. “Senza questo cammino spirituale – avverte il Papa – “a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie d’espressione e di crescita”. Da qui il caloroso augurio che Giovanni Paolo II sembra formulare col cuore in mano per tutta la Chiesa: “Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello, nel tessuto della vita di ciascuna Chiesa. La comunione deve qui rifulgere nei rapporti tra Vescovi, presbiteri e diaconi, tra Pastori e intero Popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e movimenti ecclesiali” (nn. 43,45). Quella dei Focolari è appunto una spiritualità della comunione. Per questo Giovanni Paolo II non cessa di sollecitare i Vescovi a “discernere, accogliere e promuovere il carisma che lo Spirito suscita nel Movimento ” (12 febbraio 1999). E li esorta: “Fedeli alla spiritualità dell’unità ed attraverso un costante scambio di esperienze, proseguite nella vostra missione di costruttori di comunione all’interno delle Conferenze episcopali, in seno al presbiterio e nelle comunità diocesane” (23 febbraio 2000). (altro…)

Dal dono di sé a sorgente della gioia anche nello sport

Carissime e carissimi partecipanti al terzo Congresso internazionale di Sportmeet,

vi so riuniti a Trento, la città natale del Focolare, per il congresso dal titolo “Sport & Joy – Con lo sport autentico corre la gioia”. Un saluto tutto particolare ai presenti e a quanti si uniranno a loro nella città, con il vivo augurio che questo avvenimento possa contribuire a far divampare la realtà di “Trento ardente” da noi sempre tanto amata. Lo sport fin dall’antichità è nato come un momento di gioia per chi gareggia e per chi vi assiste. Non per niente si parla ancor oggi di “giochi olimpici”. Col cristianesimo poi non si dovrebbe solo valorizzare l’uomo o la donna che vincono, ma si dovrebbe far risalire a Dio la gloria per aver creato persone particolarmente dotate nel fisico (singoli o gruppi) senza sottovalutare l’apporto dei maestri, degli allenatori, dei sostenitori. In particolare, col cristianesimo chi perde conosce il valore della sofferenza e della sconfitta, perché il Figlio di Dio le ha valorizzate. Per lui può esserci una gioia più profonda che nasce dall’aver dato, dato se stesso negli allenamenti, o nei rapporti reciproci per costruire una squadra, dato tutto di sé nell’ esibizione al pubblico. Solo dalla donazione, dall’amore, nasce la gioia interiore, più limpida, più pura, per chi vince (se ha lottato e vinto per amore) e per chi perde (se ugualmente ha lottato e perso per amore). Allora lo sport diventa autentico e sarà elevato alla sua dignità sociale. Potrà contribuire a ricreare gli uomini in questa civiltà troppo stressante, ad essere un elemento di affinità, di fratellanza e di pace tra popoli e nazioni. Nell’antica Grecia, durante le Olimpiadi, tutte le guerre venivano sospese. Che non siamo oggi meno d’allora! Con questo augurio vi saluto ancora tutti e auguro, specie ai giovani, la gioia di uno sport autentico. Chiara Lubich (altro…)