Movimento dei Focolari
La guerra è un omicidio in grande

La guerra è un omicidio in grande

Ristampato, a cinquant’anni dalla prima edizione, il volume “L’inutilità della guerra” di Igino Giordani

GIAMPAOLO MATTEI

Un pugno allo stomaco. Ecco che cosa ti assesta la lettura di un libro il cui titolo – “L’inutilità della guerra” – ha una eloquenza così forte da costringerti con le spalle al muro. A rendere ancora più significativa l’esperienza di avere a che fare con queste pagine è la constatazione che sono state scritte esattamente cinquant’anni fa. Portano la firma di Igino Giordani (1894-1980), uomo politico, giornalista, scrittore, grande protagonista della vita ecclesiale e della vita italiana. L’editrice Città Nuova ha deciso di riproporre il libro di Giordani (Roma 2003, pagine 116 – euro 6,50) in un tempo storico che dimostra di avere più che mai bisogno di parole vere, chiare, essenziali. Ci sono opere – si legge nella prefazione – che hanno il sapore di una perenne attualità. Nascono di sicuro sotto la spinta di problemi contingenti, ma producono un insegnamento che travalica la condizione storica e si mette al servizio di ogni uomo, in ogni epoca, di qualsiasi luogo. È proprio da questa constatazione che è scaturita l’idea di ripubblicare il libro scritto da Igino Giordani nel 1953 quando la “guerra fredda” stava congelando le posizioni geopolitiche e cristallizzando la spartizione delle coscienze.

Oggi il testo non soltanto consente di respirare quel clima con il senno di poi, tenendo tra le mani, si potrebbe dire, i pezzi del Muro di Berlino: è davvero un’esperienza di enorme portata storica e politica. Ma in queste ore così difficili ci pianta nello stomaco un gran bel pugno perché dimostra, dati alla mano, l’inutilità della guerra, la sua intrinseca ed evidente stupidità. E – attenzione – Giordani sa esattamente di che cosa sta parlando perché lui al fronte c’è stato meritando anche, nella catastrofe della Prima Guerra Mondiale, un’alta onorificenza. Non è uno sprovveduto, non parla per “vigliaccheria” secondo la consueta, ridicola, accusa che viene mossa a quanti si schierano dalla parte della pace: oltretutto i veri coraggiosi sono i costruttori di pace e non quanti si riparano dietro missili, cannoni, fucili o quant’altro. Giordani afferma con chiarezza, scandendo i suoi ragionamenti, che la pace è il risultato di un progetto che va realizzato con pazienza e con serietà e non è una parola buona solo per riempirsi la bocca, non è un paravento per celare chissà quali interessi. Leggere le cento pagine del libro è sconvolgente proprio perché sembra scritto stamani e non cinquant’anni fa. Davvero la storia è “maestra di vita” secondo l’antico detto. Peccato che gli uomini siano troppo spesso pessimi scolari. Già la prima frase del libro di Giordani ti inchioda e ti costringe subito a sottolinearla con la matita: “La guerra è un omicidio in grande”. Ed ecco che punta il dito sulla retorica, sulla menzogna, sugli interessi che accompagnano ogni conflitto ovunque si combatta: “Come la peste serve ad appestare, la fame ad affamare, così la guerra serve ad ammazzare”. Punto e basta. Alzi gli occhi e avverti una sensazione di fierezza. Sì, giovane cattolico, ti senti fiero di appartenere ad una cultura che è stata tessuta da persone di questo spessore. Giordani non era un isolato, farneticante e controcorrente. Giordani è uno dei tanti protagonisti del mondo cattolico che hanno contribuito in maniera decisa, e oggi forse dimenticata, allo sviluppo del popolo italiano con progetti di vita e di speranza. È un fatto che entusiasma, prima ancora che un dovere, conoscere i pensieri di questi uomini così vicini a noi e così spiritualmente ricchi da non passare mai di moda. Da ex combattente di trincea dimostra che la guerra è inutile La lettura del libro di Giordani appassiona ed è difficile persino interromperla. Dopo una manciata di pagine devi già rifare la punta alla matita perché l’hai consumata nel far segni quasi ad ogni riga. L’autore è polemico e polemista di razza senza però smettere di essere fratello di ogni persona, anche quella che la pensa in modo diametralmente opposto. Non offende gli uomini, ma da strenuo lottatore, da ex combattente di trincea, si avventa contro la guerra e dimostra, appunto, che è inutile. Non molla la presa. Giordani ha un modo personalissimo di esprimersi, trascinante, appassionato, evidentemente scaturito dalla voglia di comunicare idee. È in stato di missione permanente. È nel cuore della Chiesa. Lui non è uno scrittore puro, è “oltre”, è “di più”. Sa scegliere le parole giuste e, se serve, inventa espressioni affascinanti. Ha il linguaggio tipico dei mistici e si riconoscono nelle sue parole gli echi dei Padri della Chiesa. È un libro di storia, è un libro di vita, è un libro di preghiera. È un libro che si schiera contro la tentazione della rassegnazione davanti alle decisioni dei potenti di turno. Giordani sostiene che ogni persona è protagonista della pace. “Se vuoi la pace, prepara la pace” è il suo grande messaggio che coinvolge tutte le categorie umane. “Solo i matti e gl’incurabili possono desiderar la morte – scrive -. E morte è la guerra. Essa non è voluta dal popolo; è voluta da minoranze alle quali la violenza fisica serve per assicurarsi vantaggi economici o, anche, per soddisfare passioni deteriori. Soprattutto oggi, con il costo, i morti e le rovine, la guerra si manifesta una “inutile strage”. Strage, e per di più inutile”. Queste ultime parole appartengono a Benedetto XV. Giordani respira a pieni polmoni il Magistero dei Papi e nel percorso del libro non perde mai di vista i passi dei Successori di Pietro. La guerra – afferma – è sempre una sconfitta anche per chi vince sul campo. Con i soldi investiti in questa “inutile strage” si potrebbero finalmente affrontare con decisione problemi drammatici come la fame e la povertà, tante malattie potrebbero essere definitivamente debellate. È un fatto di giustizia. Così non valgono a nulla i mille pretesti, sempre gli stessi, adoperati per giustificare la guerra. E non è una buona “scusa” la “rapidità” delle operazioni militari: qui Giordani è sprezzante e ricorda che, nel giudizio di Hitler, la Seconda Guerra Mondiale avrebbe dovuto essere “la guerra lampo” e che, secondo Salandra, la prima doveva essere “la passeggiata”. Aggiunge con impeto: “Non credo che ci sia mai capo di Stato, il quale abbia ammesso di far la guerra a scopo di rapina; ha sempre dichiarato di farla per fini uno più nobile, uno più altruista, più ideale dell’altro. E – puerilità dell’odio – sempre la rapacità è assegnata al nemico e l’idealità all’amico”. Rovesciare una macabra prospettiva della storiografia La logica dice che chi fa la guerra ha torto, non risolve nulla e comunque ci rimette. Il popolo non la vuole. E si commette un grave errore rigirandosi nelle biografie di personaggi che hanno scatenato stragi indicibili – da Hitler a Stalin – ignorando i veri condottieri dell’umanità come, scrive Giordani, ad esempio un Cottolengo o un don Orione. È un fatto culturale riuscire a rovesciare questa macabra prospettiva della storiografia. Giordani indica la strada del dialogo alla ricerca di una soluzione sempre e comunque, senza cedere alla stanchezza. Afferma che miseria e cupidigia sono le prime cause delle guerre la cui radice è la paura. Ma c’è una speranza, un’alternativa: si chiama carità e l’ha incarnata Cristo che ha voluto redimere anche la politica per portarla ad una funzione di pace, di vita. “I nemici si amano: questa è la posizione del cristianesimo – scrive Giordani -. Se si iniziasse una politica della carità, si scoprirebbe che questa coincide con la più illuminata razionalità, e si palesa, anche economicamente e socialmente, un affare”. Definisce un crimine ogni guerra, aggressiva e preventiva che sia. È infatti un’azione contro la giustizia perché la giustizia vera fa scaturire la pace vera. I riferimenti che Giordani dedica a san Francesco e a Dante sono una sollecitazione spirituale elevatissima. Afferma: “Per meritarsi il nome di figli di Dio i cristiani devono lavorare per la pace”. Senza timidezze e con coraggio, vivendo il ministero della riconciliazione, abbattendo ogni muro di separazione, perdonando quanti ci fanno del male, riconducendo ad unità chi è lontano. Cita il tedesco Max Josef Metzger, ucciso dai nazisti nel 1944: “Noi dobbiamo organizzare la pace così come altri hanno organizzato la guerra”. Non è serio, non è credibile parlare di pace e intanto preparare la guerra. “L’opera pacificatrice comincia da me e da te…” conclude Giordani. Per rimuovere la guerra non basta eliminare le armi, ma occorre innanzitutto ricostruire una coscienza, una cultura di pace. È un’opera urgentissima che gli uomini di fede accompagnano con la strategia della preghiera. Ecco la missione dei cristiani oggi nella storia: realizzare il Vangelo della Pace. (altro…)

In India religioni in dialogo alla luce della Novo Millennio Ineunte

Inaspettata, una gioia grande, per la lettura della nuova lettera apostolica del Papa “Novo Millennio Ineunte”, pubblicata proprio i primi giorni di quel mio primo viaggio in India. Quale centralità dell’amore e della spiritualità di comunione! E poi, proprio mentre mi stavo accostando al misterioso mondo dell’induismo, quale consonanza e conferma dalle sue pagine che incoraggiano il dialogo tra le religioni! “Il dialogo deve continuare.” – scrive il Papa – “Nella condizione di più spiccato pluralismo culturale e religioso, quale si va prospettando nella società del nuovo millennio, tale dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione che hanno rigato di sangue tanti periodi nella storia dell’umanità. Il nome dell’unico Dio deve diventare sempre di più, qual è, un nome di pace e un imperativo di pace”. E’ quanto, con gioia, constato ora, settimana dopo settimana, dai fax che mi giungono dall’India dai responsabili del Movimento che mi tengono continuamente aggiornata sugli sviluppi del dialogo avviato nel gennaio scorso, quando mi ero recata in quella terra così misteriosa e affascinante. E’ un profondo cambiamento di mentalità che comincia a poco a poco a diffondersi. Un mondo chiuso da paure e sospetti, che avevano eretto alte barriere religiose da ambo le parti, si sta aprendo. Come aveva osservato la prof. Kala Acharya, indù, uno dei promotori dell’incontro al campus universitario del Baratiya Sanskriti Peetham di Mumbai (Bombay), a cui ero stata invitata: “Ognuno era cresciuto chiuso fra le proprie mura ad ammirare il proprio giardino, senza sapere che dall’altra parte di queste mura altissime, ci sono bellissimi giardini da contemplare. E’ l’ora di buttar giù queste mura e scoprire il giardino dell’altro”. Una rete di rapporti si sta stringendo fra cristiani e indù, nel segno della fraternità. Fervono iniziative e programmi. “Dobbiamo andare avanti”. E’ l’urgenza avvertita dalla signora Minoti Aram, presidente dello Shanti Ashram, che per prima mi aveva rivolto l’invito per recarmi in India. In marzo convoca nella sua cittadella, insieme alla figlia Vinu, anche l’incaricato dei giovani e il segretario della sua istituzione gandhiana. Nasce la proposta di avviare un dialogo a 4 livelli: a metà giugno con un gruppo di intellettuali; all’inizio di agosto con i giovani, in un grande incontro; in ottobre col gruppo delle donne che lavorano per l’Ashram a favore dei bambini dei villaggi più poveri ed ancora, all’inizio di dicembre, con personalità di varie religioni della città di Coimbatore, capoluogo del Tamil Nadu, nel Sud dell’India. Tema degli incontri: presentare la collaborazione tra i Focolari e lo Shanti Ashram come esempio di dialogo. Un seminario internazionale per il dialogo interreligioso fra Induismo e Cristianesimo al Somaiya College di Mumbai, nel febbraio scorso, è occasione per stabilire nuovi rapporti e rafforzare quelli iniziati con l’incontro di gennaio. In marzo, insieme alla dott. Kala Acharya, altre docenti fanno visita ad un centro dei Focolari di Mumbai. Si evidenzia ancora una volta la loro sensibilità alla vita interiore, e la consonanza con il nostro stile di vita. Si moltiplicano i viaggi dal nord al sud dell’India per incontrare giovani e adulti, famiglie aderenti al Movimento, per formarli al dialogo interreligioso, nello spirito del Concilio Vaticano, con i chiarimenti apportati dalla Dominus Iesus, di fronte alle attuali problematiche, e nella luce del carisma che anima la spiritualità dell’unità. I vescovi chiedono ai membri del nostro Movimento in India collaborazione nelle commissioni per il dialogo interreligioso nelle varie diocesi. Testimonianza e dialogo aperto all’ascolto Il Papa nella sua lettera apostolica invita alla “testimonianza piena della speranza che è in noi” e allo stesso tempo ad “andare al dialogo con le altre religioni ‘intimamente disposti all’ascolto’ ”, proprio perché ci troviamo “di fronte al mistero di grazia infinitamente ricco di dimensioni e di implicazioni per la vita e la storia dell’uomo” (NMI 56). Queste parole del Papa mi hanno sorpresa. Il mio desiderio, appena giunta in India, era infatti prima di tutto conoscere questa cultura millenaria, stando in silenzio, in ascolto, il più possibile. A poco a poco, questo mondo misterioso ci si è rivelato con un suo volto per noi occidentali non facilmente decifrabile, unitario nella sua ricchissima diversità. Si sente davvero che siamo di fronte ad uno scrigno di tesori spirituali, di tensione mistica di tutta la natura umana, tensione alla quale non è certamente estranea l’opera della Grazia. E questo scrigno si apre solo a chi vi si accosta con rispetto pieno d’amore e, soprattutto, con la convinzione che Dio ha tanto da dirci attraverso questa cultura millenaria, che nel difficile e tormentato mondo contemporaneo ha un suo contributo da dare, essenziale e vitale per tutti, una parola che mette in forte evidenza il primato della vita interiore. Mi chiedevo che cosa sarebbe potuto scaturire dall’incontro dell’India con il carisma dell’unità. Sin dai primi giorni intuivo che, portando a piena maturazione i semi del Verbo presenti in essa – lavoro immenso, ciclopico, che richiederà anni ed anni, forse secoli, potrebbe scaturire Gesù dal cuore stesso della realtà indiana. Ma in che modo? Essendo, da parte nostra, quella presenza di Maria, che è l’unica capace di offrire, di donare Gesù nella sua verità più profonda, ma facendolo nascere dal cuore stesso della realtà alla quale lo dona. E mi è risuonato col sapore di una sfida, quanto aveva scritto Igino Giordani nel 1960, al termine di un suo viaggio in India: “(…) se in Asia, e soprattutto in India, le religioni minuto per minuto si sfiorano e si confrontano, emergerà, col tempo, quella che più dà, e cioè, quella che più innalza l’uomo con energie divinizzanti”. Come dare quel tutto che possiamo qui in India? Con l’amore, un amore che va indirizzato alle singole persone, ma anche alla nazione stessa nella sua totalità. Maria portava e porta in cuore per ognuno e per ogni popolo un amore particolare, l’amore che è misericordia, quell’amore che vede nel prossimo nient’altro che le virtù, le buone opere, quell’amore che è “nulla di sé”, che sa aprirsi del tutto all’altro, per “entrare” nell’altro. E abbiamo sperimentato ancora una volta che questo amore suscita la reciprocità. Si colgono così quegli elementi comuni che si possono vivere insieme. Proprio in quei giorni mi aveva colpito la frase di un filosofo non credente che definisce l’amore “la capacità di scoprire somiglianze nel dissimile” (T.W. Adorno). Mi sono chiesta: “Il dialogo allora non è forse una delle più belle espressioni dell’amore?” L’annuncio gioioso della rivelazione di Dio Amore e i semi del Verbo presenti nell’Induismo Misteriosa, certo, questa religione. Ma, al di sopra dei molti dèi, abbiamo scoperto che vi è pure il senso molto forte dell’ “Uno”, dell’Assoluto. E sopra tutte le regole: la tolleranza, l’amore! Abbiamo scoperto una cosa meravigliosa: quanto sono evidenti in questa religione i semi del Verbo di cui parla il Concilio! Abbiamo sperimentato che, se li mettiamo in rilievo, diventano sempre più grandi, più maturi e gli stessi indù se ne “riinnamorano” e mettono in secondo piano altri aspetti della loro religione: si va diritto all’essenza che è l’amore. Parlando a leaders religiosi, a membri indù di istituzioni gandhiane e di enti culturali della nostra grande scoperta di Dio Amore, proprio nel tempo di odio e violenza del secondo conflitto mondiale, è stato spontaneo citare espressioni delle loro scritture e dei loro saggi: “Noi sottolineiamo che Dio è amore – ho detto loro – ma voi non dite forse: ‘Dio è il primo ad amarci, poiché fu Lui a dare a noi l’amore e in noi lo accresce quando lo cerchiamo’? E ancora, non dite voi: ‘Il Signore è per natura amore, Egli risiede nell’amore, la Sua suprema realtà’? Non conoscete anche voi quella frase di Tagore: ‘Da quando mi sono incontrato con il mio Signore, non è mai finito il nostro gioco d’amore’?”. Così quando ho parlato della luce che aveva illuminato le parole del Vangelo e ci aveva mostrato che amare Dio non è questione di sentimenti, ma occorre fare la sua volontà, ho aggiunto: “Non dite forse anche voi: ‘Fare la volontà del Signore è un atto più grande che non cantare le sue lodi’? ”. E quando ho parlato loro della scoperta dell’amore del prossimo, cuore del Vangelo, che ci chiedeva di amare gli altri come sé, ho portato ad esempio un detto di Gandhi: “Io e te siamo una cosa sola. Non posso ferirti senza fare del male a me stesso”. Poi, quando ho citato l’amore al nemico – così genuinamente evangelico – ho riportato quest’altro loro detto: “La scure taglia il legno di sandalo, mentre questo le fa dono della sua virtù, rendendola profumata”. Si vendica, insomma, con l’amore. Tutti questi sono semi del Verbo, qualche cosa di vivo, di vero! Gli indù sono rimasti impressionati da quelle frasi. Davvero – come ha scritto il Papa – questo “annuncio gioioso della rivelazione del Dio Amore è un dono per tutti”(cf NMI 56). Gli stessi indù, sia al termine dell’incontro a Coimbatore, sia dopo l’incontro al Bharatiya Sanskriti Peetham, il centro culturale dell’università di Vidyavihar di Mumbai, esprimevano la comune esigenza dell’amore e dell’unità. “E’ una necessità dell’ora presente. Stiamo passando attraverso una grande crisi nel mondo. Solo la pace e l’amore possono salvarci” diceva un docente universitario. E aggiungeva che avevo “riassunto il pensiero di questo Paese elaborato in tanti secoli”. “Nonostante che nella nostra religione sottolineiamo già questi valori” affermava un letterato di Mumbai, Partap H. Butani, della Bombay Natural History Society “c’è una differenza: non si tratta solo di parole, le dobbiamo vivere”. Ed un poeta, Kalyangi Sarla Curmil (giainista). “Se abbiamo capito qualcosa stasera, è di essere il profumo di questo fiore dell’amore”. Le vie misteriose della grazia salvifica Certo, sono a noi sconosciute le vie attraverso cui la grazia salvifica di Dio arriva ai singoli non cristiani (cf Ad Gentes 7). La teologia – come afferma la Dominus Iesus – sta cercando di approfondire questo argomento, ricerca che è incoraggiata perché “è senza dubbio utile alla crescita della comprensione dei disegni salvifici di Dio e delle vie della loro realizzazione”. Ma anche il “dialogo della vita” può gettare nuova luce e aprire nuovi sentieri nella conoscenza dei piani di Dio. M’è parso di avere la conferma che anche negli indù, se e in quanto amano, agisce lo Spirito santo. Mi ha colpito l’esperienza di una dottoressa indù che da tempo si impegna a vivere la spiritualità dell’unità: “Noi parliamo della reincarnazione; si crede necessaria per purificarci. Ma ho imparato che ogni volta che amo, muoio a me stessa per ‘vivere l’altro’ e amando sperimento la gioia. E’ quindi una continua morte e rinascita”. E’ lo Spirito di Verità che porterà alla pienezza della verità. La nostra esperienza di dialogo evidenzia quanto aveva detto il Papa proprio in India: “Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio. E il frutto è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio”. Dagli indù la proposta di continuare il dialogo Dai nostri amici indù è nata la proposta di continuare il dialogo: “Dobbiamo continuare ad esplorare i nostri fondamenti spirituali; poi si potranno avviare azioni e progetti comuni”, aveva proposto la dott. Vinu Aram, dirigente dell’istituzione gandhiana Shanti Ashram. Un’ altra personalità indù sottolineava che tra nazioni non solo bisogna collaborare nel campo dello sviluppo industriale o dell’insegnamento, ma “anche nel campo della pace e della spiritualità”. “Hai piantato un seme – diceva – ora dobbiamo innaffiarlo e controllare che cresca”. Ma già alla cerimonia di Coimbatore, in cui avevano voluto assegnarmi il Premio “Difensore della Pace”, veniva da un’altra istituzione gandhiana, il Sarvodaya Movement, la richiesta di iniziare il dialogo con l’induismo così come l’avevo intrapreso da tempo con il buddismo. Non solo. La motivazione del premio riconosceva che i semi di pace e di amore gettati fra i popoli erano frutto degli insegnamenti di Gesù Cristo e mostravano quanto “il messaggio di Gesù Cristo rimane rilevante, fresco e benefico nel risolvere le questioni contemporanee”. Chiedevano il nostro contributo per affermare anche in India i valori spirituali, in un tempo in cui questo Paese deve affrontare “sfide nuove, problemi sociali accompagnati da tensioni e divisioni; deve misurarsi con uno sviluppo economico e tecnologico segnato spesso da una mentalità materialista e priva di valori morali”. Una comprensione nuova del messaggio cristiano Davvero “lo Spirito di Dio, ‘che soffia dove vuole’ suscita nell’esperienza umana universale, nonostante le sue molteplici contraddizioni, segni della sua presenza” (NMI 56). Ed è proprio nell’essere stati testimoni di questa azione misteriosa di Dio, che – come scrive il Papa – si giunge ad una comprensione più profonda del messaggio cristiano (cf NMI 56). Ho avuto una nuova conferma che il dialogo con le altre religioni apre sempre più la Chiesa cattolica a quell’altra se stessa che è fuori di lei! S. Tommaso ha affermato che la Chiesa non va commisurata soltanto sul numero dei cattolici, ma, siccome Gesù Cristo è morto per tutti gli uomini, va commisurata sul numero di tutti quelli per i quali Lui è morto, cioè sull’umanità intera. Quindi in certo modo la Chiesa è anche “fuori di sé”. Col dialogo si apre a quel “se stessa che è fuori di sé”. In India ho capito poi, come in nessun altro luogo, cos’è il Battesimo, la sua necessità per far gustare ai cuori e alle menti la libertà e la gioia che nascono dall’essere innestati in Cristo. Ho riscoperto la Messa, la straordinaria consolantissima possibilità di fare un dono proporzionato alla regale maestà del Padre: il suo Figlio immolato. Una nuova via al dialogo e all’evangelizzazione Mi è rimasta in cuore una immensa gratitudine a Dio. Il card. Tomko, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione, in una lettera indirizzata al Centro per il dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari, scrive: “Conoscendo bene la realtà complessa dell’India, specialmente nell’ambito del dialogo interreligioso, ci sentiamo di unirci a Voi nel rendere grazie al Signore per questa via che lo Spirito Santo ha voluto aprire alla Chiesa”. Una via, inedita ma efficace, di evangelizzazione, che evita i compromessi e i sincretismi, come avevano affermato molti vescovi indiani, a cui, a Calcutta, avevo esposto la nostra esperienza di dialogo, durante l’Assemblea della Conferenza episcopale. Maria e il dialogo interreligioso Mi chiedevo come era avvenuto tutto questo. Mi avevano sorpreso le parole della prof.ssa Kala Acharya. Fin dal primo incontro, notava come Dio stava usando per il dialogo di quei giorni tre donne (lei, la signora Minoti Aram, presidente dello Shanti Ashram, ed io), e aggiungeva: “Perché la donna è madre e sa cos’è l’amore, come Maria. Penso che è Lei che sta lavorando, come quando per fare le collane di fiori occorre un filo che li lega tutti. Lei, Maria, sta legando tutti questi fiori”. Appena giunti in India, il 1° gennaio, festa della Madre di Dio, avevo chiesto all’Eterno Padre, durante la Messa, di scolpire in tutti noi, membri di un’Opera che è “di Maria”, la sua immagine. Forse la risposta sta qui: per il carisma che ci è stato dato, dono gratuito dello Spirito per questo nostro tempo, seguendo il cammino della spiritualità di comunione, così evidenziata dal Papa (cf NMI 43), partecipiamo in certo modo alla maternità di Maria, generando spiritualmente Gesù al mondo. Lui si fa presente in mezzo a noi, come ha promesso (Mt 18,20), per l’amore reciproco vissuto sino all’unità. E Lui è luce, gioia, amore! E si può in un certo senso “farlo vedere” (NMI 16). E Gesù è luce per ogni uomo su questa terra, anche per gli indù. Sì, perché Lui è in qualche modo “imparentato” anche con loro, perché ha dato il sangue per tutti gli uomini, che, quando lo “vedono” nei cristiani, pur inconsciamente, si sentono attirati… di qualsiasi religione essi siano. A viaggio concluso, assistendo agli sviluppi che si prospettano, mi si conferma una certezza: in questo tempo lo Spirito soffia forte ispirando nel Santo Padre parole e gesti profetici che spingono la Chiesa al largo, verso nuovi orizzonti e suscita l’irruzione di nuovi carismi per dare attuazione ai disegni di Dio. Si sta forse delineando il nuovo volto della Chiesa del terzo millennio: la Chiesa, comunione tra la dimensione petrina-istituzionale e la dimensione mariana carismatica, così viva nel cuore del Papa?  

«Oltre l’odio, una speranza di fraternità»

Chissà. Se nel ’43 a Trento non fosse dovuta scappare nei rifugi antiaerei col Vangelo stretto sotto il cappotto, forse oggi il movimento dei Focolari non sarebbe una realtà in 182 Paesi. Sarà per questo che Chiara Lubich oggi invita a non disperare. Anche nella tragedia indicibile dell’11 settembre.
Anche con una guerra che atterrisce chi credeva e crede nel dialogo. «Ci sono due modi di vederla – dice Chiara Lubich con la disarmante semplicità delle grandi anime – uno umano: migliaia di morti, una giustizia che occorre fare ma stando attenti a che non provochi altra violenza… Poi c’è l’altro modo. Un ragazzo di New York mi ha scritto: da quel giorno qui i muri di indifferenza stanno crollando, in questa città è rinata la solidarietà. Ecco – spiega – san Paolo ci dice che tutto coopera al bene per chi ama Dio. Tutto, proprio tutto. Capi di Stato, che prima non si guardavano nemmeno, ora collaborano. Chissà che domani non guardino al mondo come a una fraternità, che domani non succeda qualcosa di bello. Se non ci fosse stata la Guerra mondiale, quando tutto crollava, forse non avremmo capito che tutto è vanità. Ed è nata questa rivoluzione cristiana. La guerra è stata un segno della Provvidenza».

Chiara Lubich spazia a 360 gradi dai ricordi dei suoi primi passi alla crisi internazionale, della fede al dialogo ecumenico e interreligioso. L’occasione è speciale. Al Teatro Quirino si presenta Chiara Lubich – La dottrina spirituale, appena edito da Mondadori. È la “summa teologica” della donna che ha fondato un movimento di 2 milioni e 200 mila persone. Cattolici e non solo. Cristiani e non solo, tenuto conto dei 30 mila ebrei, musulmani, buddisti, induisti, taoisti. E perfino agnostici dichiarati, che lei chiama «persone di buona volontà di convinzioni diverse». Scritti di tutto il suo cammino spirituale in un’organica rappresentazione della sua dottrina spirituale.

A stimolarla al racconto c’è un’intervistatore di professione qual è Sergio Zavoli.
ei fruga nei suoi tanti ricordi di ottantenne lucidissima. E parte dagli inizi: «Il Signore chiama persone deboli perché trionfi la sua potenza. Ma li prepara. Ero piccolina quando le suore mi portavano all’adorazione eucaristica. A quell’ostia chiedevo: dammi la tua luce. A 18 anni avevo una fame tremenda di conoscere Dio. Volevo andare all’Università Cattolica. Non potei. Poi, provvidenzialmente, sentii una voce: sarò io il tuo maestro». «Ha avuto il suo rettore…», chiosa ironico Zavoli. E gli chiede: «Ma perché non s’è fatta suora?». «Non ne avevo la vocazione – risponde disarmante – e perché c’era bisogno di un’altra strada». Una strada che si chiama unità: nella fede, tra gli uomini. Arduo parlarne in tempi di guerra.

«Quello che stiamo patendo è il Signore che ci frusta un pochino – dice la Lubich – noi cristiani siamo oltre un miliardo, ma siamo considerati atei e infedeli. Presentiamo i nostri riti, non il nostro distintivo di cristiano. Da questo riconosceranno che siamo cristiani, dall’amore. Con le nostre chiese dobbiamo darci sotto con l’ecumenismo, tra noi cattolici dobbiamo mettere la fraternità». Non mancano gli aneddoti. «Il patriarca Atenagora mi confidò il suo grande desiderio di celebrare tutti attorno all’unico calice».
Ma le divisioni teologiche? «Mi disse: prendiamo tutti questi teologi, e mettiamoli su un’isoletta. Senza mangiare, finché non avranno risolto tutto». Zavoli la provoca: «Non corre il rischio del sincretismo?». «No mai. Gli altri ci stimano per la fedeltà alla nostra Chiesa». E l’Islam? Con loro non c’è reciprocità: «Non bisogna aspettarla – confida – arriverà spontanea. Noi abbiamo le nostre chiese fatte da persone vive». Tutto così facile? «Sant’Agostino – ricorda Zavoli – diceva di guardarsi dalla disperazione come dalla speranza senza fondamento: «C’è il cristianesimo – chiude Chiara Lubich -. Più fondamento di questo!».

Parola di vita novembre 2001

Luca scrive il suo Vangelo quando le persecuzioni contro i primi cristiani sono già cominciate. Ma, come ogni parola di Dio, è diretta ai cristiani di tutti i tempi e alla loro quotidiana esistenza. Essa contiene un monito e una promessa. L’uno riguarda più la vita presente, l’altra più la futura. Ambedue puntualmente si verificano nella storia della Chiesa e nelle vicende personali di chi cerca di essere un discepolo fedele a Cristo. E’ normale, per chi segue lui, essere odiati. E’ il destino del cristiano coerente, in questo mondo. Non c’è da illudersi e Paolo ce lo ricorda: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati”. Gesù spiega il perché: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia”. Ci sarà sempre un contrasto fra il modo di vivere del cristiano e quello di una società che rifiuta i valori del Vangelo. Contrasto che può sbocciare in una persecuzione più o meno larvata oppure in una indifferenza che fa soffrire.

«Sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà»

Dunque, siamo avvertiti. Quando, in maniera che ci appare incomprensibile, fuori da ogni logica e da ogni buon senso, riceviamo odio in cambio dell’amore che abbiamo cercato di dare, questa ricompensa non dovrebbe disorientarci, scandalizzarci, meravigliarci. Non è che la manifestazione di quell’opposizione che esiste fra l’uomo egoista e Dio. Ma è anche la garanzia che siamo sulla strada giusta, quella stessa percorsa dal Maestro. Quindi è un momento per rallegrarsi ed esultare. E così vuole Gesù: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno […] per causa mia. Rallegratevi ed esultate”. Sì, ciò che deve dominare nel cuore in quell’ora, è la gioia, quella gioia che è la nota caratteristica, la divisa dei veri cristiani in ogni circostanza. Anche perché, non dimentichiamolo, molti sono anche gli amici, fra i fratelli e le sorelle di fede, e il loro amore è fonte di consolazione e di forza.

«Sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà»

Ma c’è anche la promessa di Gesù: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Cosa significano queste parole? Gesù riprende un proverbio di Samuele e lo applica al destino finale dei suoi discepoli, per rassicurarci che, pur avendo delle vere sofferenze, delle reali difficoltà a causa delle persecuzioni, dobbiamo sentirci interamente nelle mani di Dio che ci è Padre, conosce tutto di noi e non ci abbandona mai. Se dice che nessun capello del nostro capo perirà, vuole darci la certezza che Lui stesso si prenderà cura di ogni preoccupazione, anche minima, per la nostra vita, per i nostri cari e per tutto quanto abbiamo in cuore. Quanti martiri noti o ignoti hanno attinto dalle parole di Gesù la forza e il coraggio di affrontare privazioni di diritti, divisione, emarginazione, disprezzo, fino alla morte violenta, a volte, essendo certi che l’amore di Dio ha permesso ogni cosa per il bene dei suoi figli!

«Sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà»

Se ci sentiamo bersagliati dall’odio o dalla violenza, in balia della prepotenza, conosciamo già l’atteggiamento che Gesù ci ha indicato: dobbiamo amare i nemici, fare del bene a chi ci odia, benedire chi ci maledice, pregare per chi ci maltratta. Occorre partire al contrattacco e vincere l’odio con l’amore. In che modo? Amando noi per primi. E stare attenti a non “odiare” nessuno, neanche in maniera nascosta o sottile. Perché, in fondo, questo mondo che rifiuta Dio, ha bisogno di Lui, del suo amore, ed è capace di rispondere al suo richiamo. In conclusione, come poter vivere questa Parola di vita? Essendo felici di scoprirci degni dell’odio del mondo, garanzia di seguire più da vicino Gesù, e mettere, a fatti, amore là, proprio là, dove l’odio scaturisce.

Chiara Lubich

Le ragioni della convivenza. La convivenza delle ragioni

E' il dialogo tra cristiani e laici la nota fondamentale e qualificante di questo VI Convegno Internazionale che ha affrontato tematiche di grande attualità: Globalizzazione economica e cultura, politica e etica sociale. La base è una comunione profonda costruita mettendo al centro la persona, rendendo così possibile e fecondo lo scambio di riflessioni, esperienze, proposte. E' Chiara Lubich stessa, che, nel messaggio rivolto ai partecipanti di convinzioni non religiose, letto in apertura del Convegno, evidenzia le radici di questa comunione tra cristiani e laici:

Noi, come tutti i cristiani, abbiamo certamente fede in un Dio trascendente, ma incarnatosi su questa terra, fattosi uomo. Il fatto che ha preso carne umana è – vorrei dire – il punto qualificante della nostra religione che il Movimento sottolinea appieno. Ed è qui quel qualcosa di grande che ci permette un profondo legame con voi, una comunione con voi, impegnati come siete a rispettare, a potenziare l'essere umano, ogni uomo, con l'incremento e la salvaguardia dei suoi valori. Ciò che anche noi dobbiamo e vogliamo fare assieme a voi”: E' sull'Uomo-Gesù che fissiamo lo sguardo quando con voi desideriamo spenderci per il bene dell'uomo, le sue necessità, ma anche quando vogliamo comprendere le sue immense potenzialità e le sue ricchezze“.

Portata universale del dialogo  

Un movimento, come quello dei focolarini, nato da una profondissima convizione religiosa, dalla scelta di Dio come ideale della loro vita, può forse essere d’interesse per uomini e donne di altre convinzioni? C’è qualche segno che tutto quanto facciamo può contribuire al grande disegno che abbiamo dinanzi: la fraternità universale per un mondo unito? A questi interrogativi ha risposto il messaggio di Chiara Lubich, approfondito dalle esperienze nelle più diverse condizioni di vita da laici di Firenze, Roma, Barcellona e Parigi.

Riflessioni ed esperienze sull'economia  

Il laico Armando Romano ha affrontato il tema della globalizzazione economica e di quella culturale, che condiziona pesantissimamente la vita dei popoli del Sud, ma anche del Nord del mondo. Povertà estreme sempre più insopportabili per i primi; solitudini, separazioni, egoismi, disagi umani e politici per i secondi. Alla denuncia di Armando ha fatto eco con soluzioni innovative Luigino Bruni dell'Università di Milano. Egli ha indicato nella riconduzione del mercato alla sua funzione originaria di socializzazione, come pure nei rapporti umani improntati più alla comunicazione amichevole ed altruistica che alla caccia di sempre più costosi quanto inutili “status-simbols”, insomma in una nuova cultura solidale, il futuro di un'economia sostenibile, giusta, responsabile e… portatrice di felicità.

Le testimonianze di due giovani imprenditori belgi e di uno portoghese, responsabili di due medie imprese in fase decisamente espansiva, che sostengono il progetto dell'Economia di Comunione in favore di 10.000 famiglie emarginate in vari Paesi in via di sviluppo, come pure un filmato sulle sei aziende operanti nel Polo industriale nei pressi di San Paolo in Brasile, hanno conquistato colla forza dei fatti l'attenzione ed il cuore dei 300 presenti.

Riflessioni ed esperienze sulla politica  

Il laico Roberto Montanelli e la cattolica Lucia Crepaz presentavano insieme le loro riflessioni sulla politica: riflessioni su una concezione alta e su una pratica della politica vista come attuazione del 3° assunto della rivoluzione francese, la fraternità, rimasto piuttosto in ombra rispetto a quelli della libertà ed eguaglianza, ma essenziale ad ambedue perché la libertà degli uni non avvenga a scapito di quella degli altri, o l'uguaglianza non si trasformi in camicia di forza per la libertà. La testimonianze di tre sindaci italiani e di un ex segretario di partito, già vittima del nazismo, il viennese Franz Muhri, personaggio di grande spessore umano, che, assieme ad alcuni componenti della segreteria del partito, in dialogo col locale Movimento dei focolari sta portando a compimento lo statuto del nuovo partito comunista austriaco, ora pienamente democratico e inserito nella società civile (anche nella sua componente religiosa).

Etica sociale   

E’ la base ed il fine di ogni attività umana. Solo un'etica basata sui diritti ed i valori umani può umanizzare ogni attività umana, attività che nella nostra società hanno purtroppo se stesse come mezzo e fine e producono asservimento alienazione, a cominciare proprio dalla politica e dall'economia, dalla scienza e dall'informazione. Il laico Piero Taiti parte dall'art. 1 della dichiarazione ONU del '48, che proclama la libertà di ogni uomo, per affermare che essa non può essere conculcata da sovrano alcuno, portatore di qualsivoglia ideologia di razza, di religione, di popolo o quant'altro. Nota quante volte tale libertà sia stata nel corso della storia umana proclamata e negata, in nome di questo o quel potere, compreso quello – presunto – della ragione. Cita Hans Jonas, che dichiara imprescindibile per la convivenza umana la corresponsabilità di ciascun cittadino per ogni suo simile e distingue il diritto, valido e obbligatorio per tutti e quindi difesa per tutti, dall'etica, che non impone ma anima la convivenza umana.
Il cattolico Antonio Baggio, dell'università Gregoriana di Roma, ravvisa nell'etica che nasce dal dialogo il tratto fondamentale della nascita e della crescita della cultura europea: da Socrate, che dialogava col dàimon divino presente in sé, a Platone, che dialogava col gruppo degli altri discepoli del suo maestro, a Gesù di Nazareth, che dalla domanda profondamente umana a Dio: “Perché mi hai abbandonato?” arriva alla risposta dell'affidarsi a quello stesso Dio.

Toccante la testimonianza di Luli, non credente di Quito (Equador), che con altre giovani del Movimento riesce a rendere dignitosa la vita di 160 bambini di strada della sua città. Il gruppo di Milano invierà un suo esperto da lei per sostenere la sua azione. Maurizio, cattolico, e Khaled, musulmano tunisino, gestiscono insieme ad un terzo pescatore una barca a Cesenatico (Rimini) e organizzano feste che coinvolgono tutti i marinai del porto. Molto concreto nei particolari del racconto del loro duro lavoro, il loro dialogo costruttivo nella vita di ogni giorno.

Gruppi di Lavoro  

Se ne costituiscono 15, composti da 15-20 membri ciascuno. Ad essi si dedicano oltre 3 ore filate. Ci si conosce in profondità, gli argomenti e le esperienze del convegno permeano lo scambio di esperienze, critiche, proposte, sostanziale adesione allo spirito che anima il dialogo.