Movimento dei Focolari
Genfest 2000: un’onda di “Luce”

Genfest 2000: un’onda di “Luce”

«Sono passati 18 anni, ma l’onda di quell’evento ancora muove tutti noi che vi abbiamo partecipato. Qualche mese prima, nel dicembre del ‘99, ero arrivato a Roma. Cominciava per me un periodo in cui avrei lavorato, come grafico, al Centro gen internazionale, in preparazione al Genfest. Non potevo ancora immaginare quali sorprese mi avrebbe riservato quell’anno! Un giorno di febbraio, mentre mi trovavo solo con la mia chitarra, pensavo a Chiara “Luce” Badano: era una gen come noi, morta dieci anni prima, e nei suoi ultimi momenti di vita aveva offerto il suo dolore per la riuscita del Genfest. Mi venne l’ispirazione, tuttora non so spiegarmi come, di una canzone dedicata proprio a lei: “Corri, corri, dimmi che non c’è nulla da temere. Corri, corri, brilla, brilla che la tua luce ora è in me”. Non potevo che intitolarla: “Luz”, luce. Il giorno dopo, a Loppiano, era in programma il primo di una serie di appuntamenti con il gruppo che doveva curare le musiche. Si trattava di scegliere le quattro canzoni ufficiali del Genfest. Un po’ teso, proposi anche quella, cantandola davanti a tutti. “Luce” venne scelta, e da allora in poi, fino a oggi, è stata cantata e tradotta in diverse lingue, divenendo il simbolo di un’esperienza fatta propria da tantissimi giovani, dietro l’esempio di Chiara Badano, che nel 2010 è stata proclamata beata. Tempo dopo i suoi genitori, Maria Teresa e Ruggero, mi hanno detto, abbracciandomi: “Hai trovato il modo migliore per farla conoscere, perché chi canta prega due volte!”. Quel Genfest, il primo organizzato completamente da noi giovani, era una vera sfida, un’esperienza di unità tra noi e di maturità. Arrivato il momento della scelta di un logo, feci una proposta, il segno di un’onda che sarebbe rimasta incessante nel tempo. E, altro grande regalo, anche quel logo venne scelto! Tutto era pronto il 17 agosto. Di buon mattino eravamo già sul palco per il sound check e gli ultimi preparativi. Prima dell’inizio, 25 mila persone erano in attesa di entrare nello Stadio. Tre, due, uno…con una percussione dai ritmi diversi e un suono sottile e incessante, come un battito cardiaco, finalmente ebbe inizio quello che stavamo preparando da mesi. Un programma ricco, per mostrare ai giovani di tutto il mondo che l’unità era possibile. Intorno alle 18,30 era il mio turno, con una canzone che avevo composto in Costa Rica quattro anni prima (“Basta un sorriso”). La storia di Chiara “Luce” Badano, presentata come un esempio di santità a soli 18 anni, mentre scorrevano le immagini del suo volto luminoso e sorridente sul grande schermo, venne accolta in un silenzio assoluto. Sembrava di vivere un attimo di eternità. Subito dopo, i primi accordi di “Luce”. Infine il momento più atteso, la proposta di Chiara Lubich: “L’idea di un mondo più unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande realtà. E il tempo futuro è soprattutto nelle vostre mani”. Quindi il lancio del “Progetto Africa”. Ma non era finita, ancora ci aspettava il grande appuntamento della GMG, il 19 e 20 agosto, nella vicina spianata di Tor Vergata, con Giovanni Paolo II. Un’altra giornata storica, con due milioni di giovani, a cui nemmeno il caldo del giorno e il freddo della notte avevano spento la gioia di stare insieme. Indimenticabile la consegna del Papa: “Non abbiate paura di essere i santi del Terzo millennio”. Prima di ritornare nel Costa Rica, nel dicembre di quell’anno, ho avuto la possibilità di salutare personalmente Chiara Lubich e di lasciarle un ricordo di quella magica esperienza che avevo vissuto quell’anno: un piccolo libretto. Ma i regali per me non erano finiti: dopo tanti anni, ho incontrato una ragazza austriaca che come me aveva partecipato a quel Genfest, Tina. Ora è diventata mia moglie!».

Sandro Rojas Badilla

Ascolta: “Basta un sorriso” Ascolta: “Luz” Foto: Sandro Rojas Badilla (altro…)

1° maggio a Loppiano: Genfest Italia

1° maggio a Loppiano: Genfest Italia

BEYOND_ME racconta il percorso personale che ciascuno vive nell’affrontare le sfide quotidiane, nel superare i limiti che ci si presentano e i confini non solo geografici, sociali e politici. BEYOND_ME sta nella spinta ad andare oltre se stessi e quindi verso l’altro. Giovani che si interrogano sul proprio presente: di anno in anno il Primo Maggio a Loppiano (FI) intreccia le domande locali con quelle globali, e in 40 anni di storia ha visto passare migliaia di giovani italiani e di ogni latitudine. Il linguaggio privilegiato è quello della musica e delle forme artistiche, accanto a laboratori, testimonianze, impegno civico. Il 2018 rappresenta però una data speciale: lo sguardo è rivolto infatti al Genfest di Manila. L’appuntamento mondiale, promosso dai giovani dei Focolari, dichiara già dal titolo gli obiettivi: BEYOND ALL BORDERS, oltre tutti i confini: geografici, sociali, politici, per lavorare a un mondo che superi le barriere e sia davvero, come lo vedono gli astronauti in orbita, uno e senza confini. E se l’evento di Manila si svolgerà a luglio, l’appuntamento italiano del 1° maggio rappresenta a tutti gli effetti una tappa verso il Genfest mondiale, radunando i giovani italiani che desiderano fare la stessa esperienza, nonché una convention in preparazione al Sinodo dei Giovani 2018. L’evento del 1° Maggio 2018 – il Genfest Italia – vuole essere il culmine di una serie di appuntamenti in collaborazione con altre associazioni a livello locale e nazionale, in corso a partire da gennaio con un unico fil rouge: costruire frammenti di fraternità, ciascuno nel proprio territorio.


Il Genfest Italia sarà trasmesso in streaming su www.primomaggioloppiano.it/live il 1° maggio 2018 dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.00.   https://youtu.be/ur9lM7Zty8o Segui la diretta: https://www.primomaggioloppiano.it/live/ Contatti stampa Maria Chiara De Lorenzo +39 349 5843084 – Roberta Formisano +39 320 948 4000 www.genfestitalia.it | genfestitalia@primomaggioloppiano.it| FB @primomaggioloppiano Info e prenotazioni: www.genfestitalia.it Partecipa alla discussione con l’hashtag #beyondme e condividi i contenuti del social wall. SEGUICI! FB | http://www.facebook.com/primomaggioloppiano/ IG | https://www.instagram.com/1maggioloppiano/ TW | https://twitter.com/1MaggioLoppiano Youtube | https://www.youtube.com/channel/UCx23VLGBlLeqvKsgAFSzk   SOSTIENI IL GENFEST ITALIA CON UNA DONAZIONE https://www.gofundme.com/gen-fest  

C’ero anch’io al Genfest ’90

C’ero anch’io al Genfest ’90

Chiara Favotti

Chiara Favotti

Quello del 1990 è stato per tutti il “Genfest del muro”. O meglio, del crollo del muro. Soltanto pochi mesi prima un fatto di portata storica aveva cominciato a cambiare il volto dell’Europa e del mondo. Durante una indimenticabile notte, dopo settimane di disordine pubblico e i primi spiragli di apertura tra la Germania dell’Est e quella dell’Ovest, molti cittadini di Berlino Est si erano arrampicati sul muro che da 28 anni li divideva dall’Ovest e avevano cominciato ad aprire delle brecce a colpi di piccone. Quel muro era solo un tratto di una linea spartiacque fra Est e Ovest lunga 6.500 chilometri, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale spaccava in due il continente, dalla Finlandia, sul Baltico, fino a Trieste, sull’Adriatico. Muro non solo materiale, fatto di torrette, sbarramenti di filo spinato, cani poliziotto, radar infrarossi, ma anche mentale, economico e culturale. Sono nata a Trieste, città italiana del Nordest, dove tutto parla di “con-fine”, di convivenza con il limite. Già solo arrivarci significa fare l’esperienza del limite netto tra terra e mare, con lo spettacolo meraviglioso della costa rocciosa che si tuffa a strapiombo. La bellezza di questa città si rivela all’improvviso, dietro una curva. Dal limite “fisico” a quello “politico”, sull’altipiano che la circonda, passano pochi chilometri. A cinque minuti in macchina da casa mia il confine di Stato con la Slovenia, oggi sempre aperto, fino al 2007, data d’ingresso della Slovenia nell’area Schengen, era uno sbarramento presidiato dai militari dentro una garitta. Nella vicina città di Gorizia, un muro simile a quello di Berlino, ma più piccolo, in calcestruzzo, tagliava la città in due. Sono cresciuta con questa idea di “separazione”: italiani da una parte, sloveni e croati (minoranza anche a Trieste) dall’altra. Ricordo isole culturali, scuole e teatri rigorosamente italiani o sloveni, come arcipelaghi che raramente entravano in comunicazione. Ricordo la lingua incomprensibile di altri studenti in autobus, verso scuola. Ricordo i pullman targati Slovenia o Croazia che entravano in città e si dirigevano sicuri verso i negozi attigui alla Stazione per fare incetta di tutti i prodotti che “di là” non arrivavano, le donne che indossavano molteplici strati di gonne e pantaloni, fino a sembrare enormi, per portare più merce possibile. Ricordo il loro impulso a comprare di tutto, e la maleducazione con cui venivano trattati, con un epiteto irripetibile. Noi italiani superavamo il confine di Stato mostrando un “lasciapassare” riservato ai frontalieri, per acquistare benzina e carne a prezzi migliori. In macchina stavamo zitti, un po’ impauriti. L’ordine di papà era quello di “non dire nulla”, perché quanto si dichiarava al militare che controllava i documenti poteva essere frainteso. Appena superato il momento di suspence, entrati in Slovenia, tornava la solita allegria. Genfest1990Durante l’adolescenza, la frequentazione con i gen e giovani per un mondo unito e le tante esperienze vissute insieme mi hanno spalancato il cuore ben oltre i muri che conoscevo, pensando e sognando “in grande” un mondo davvero unito. Non era un’utopia, ma una mentalità nuova, una direzione verso cui muoversi con piccoli passi, ma di fraternità autentica. Con loro partecipai al Genfest ‘90. Indimenticabile. Per la prima volta, in un’esplosione di gioia, giovani dell’est e dell’ovest ci guardavamo negli occhi, ci stringevamo le mani, mentre una diretta via satellite portava milioni di telespettatori dentro il catino del Palaeur. A tutti venne rivolto un mandato: riportare nel mondo l’amore. «Non è sufficiente l’amicizia o la benevolenza – ci disse Chiara Lubich – non bastano la filantropia, la solidarietà o la non-violenza. Occorre trasformarsi da uomini concentrati sui propri interessi a piccoli eroi quotidiani al servizio dei fratelli». L’anno dopo partii per Mosca. La cortina di ferro che separava Est e Ovest era caduta, ma a caro prezzo, sgretolando ideali e polverizzando un sistema sociale. Non c’erano né vinti né vincitori, solo disillusione, sofferenza e povertà diffusa. Mi fu chiaro: non bastava abbattere un muro per creare una società libera e giusta. E le parole sentite al Genfest “solo nella concordia e nel perdono si può costruire un futuro” sono da allora, per me, l’unica strada possibile.

Chiara Favotti


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Il nostro Genfest: “Yes to you”

Il nostro Genfest: “Yes to you”

Genfest1985_ChiaraLubichCinque anni prima, di ritorno dal Genfest 1980, Andrew Basquille, Eugene Murphy e io, all’epoca studenti allo University College di Dublino, avevamo cominciato a dedicare più tempo, insieme, alla musica. Cominciò per noi un periodo di grande creatività, che sfociò nella composizione di molti brani, sia insieme che singolarmente. Yes to You”, la canzone che abbiamo poi portato al Genfest del 1985, risale a quell’epoca. Ecco come è nata.

Nel 1981 Chiara Lubich visitò la comunità di Londra, e gran parte delle persone dei Focolari in Irlanda si misero in viaggio per l’Inghilterra, per seguire l’evento. Un pomeriggio, mentre un gruppo di noi irlandesi stava pranzando vicino al luogo dove doveva parlare Chiara, cominciai a suonare dei semplici accordi al piano e ne uscì una melodia con una sequenza di accordi, Mi-Do minore-Fa, leggermente inusuale (alla chitarra non mi sarebbe mai venuto in mente di utilizzarla). Joe McCarroll, cantautore molto bravo, che stava lì vicino a me, si unì aggiungendo alla melodia le parole “So many times that I’ve said maybe” (“Così tante volte ho detto forse”). Allora io continuai con le parole “So many times that I said no” (“Così tante volte ho detto no”), quando si aggiunse anche Andrew, che completò il primo versetto. Nei due giorni successivi io e Andrew scrivemmo circa 3 versetti, ma ancora non ci era venuta nessuna ispirazione per il coro. Alla fine questo fu aggiunto – testo e musica insieme – da Eugene, che impresse alla canzone una particolare enfasi, facendo cantare il coro in Do maggiore e poi, con una meravigliosa interazione tra maggiore e minore, in Fa, per esprimere ed enfatizza il nuovo livello di convinzione nella scelta di Dio, con le parole “Yes to You”. Genfest1985Ci venne chiesto di eseguire il brano al Genfest, che si sarebbe svolto qualche mese dopo. Abbiamo provato e riprovato, spendendo tutto quel tempo a perfezionare la nostra canzone. Quel giorno, dietro le quinte, mentre aspettavamo pazientemente il nostro turno di cantare, cominciammo a renderci conto che i tempi stavano saltando. Ci dissero che il nostro pezzo era stato tagliato. Che delusione! Mentre chiudevo la mia chitarra nella custodia, pensavo ai mesi di prove e fatica che erano stati cancellati in un istante. Poi, all’improvviso, quella decisione venne revocata e ci ritrovammo di colpo catapultati sul palcoscenico, enorme, senza nemmeno il tempo di un controllo del suono e senza poterci guardare tra noi. Non ebbi nemmeno il tempo di prendere la mia chitarra, chiusa nella custodia, e mi ritrovai tra le mani una chitarra spagnola con le corde di nylon, uno strumento che non ero affatto abituato a suonare! È così che abbiamo cantato“Yes to You” al Genfest 1985: completamente privi di riferimenti e di certezze, costretti a dipendere solo dalla forza del rapporto di amore scambievole tra noi e dal desiderio di meritarci così la presenza di Gesù tra noi. La mia esperienza al Genfest 1985 è stata di riprova e verifica, riprova della mia scelta di vivere per l’unità, e verifica che questo fosse possibile. Ho partecipato a molti altri grandi eventi – festival, partite di calcio, concerti – ma nessuno come il Genfest. Lì non c’erano odio, ostilità e inimicizia, come quando le squadre rivali si scontrano nelle partite di calcio, e nemmeno l’euforia fugace provocata dall’alcol o dalla droga, che spesso accompagna i concerti o le grandi manifestazioni. Lì, a quel grande raduno di giovani, solo una gioia più profonda e duratura.

Padraic Gilligan

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