Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e il card. Kurt Koch – (C) CSC Audiovisivi
Le ultime due giornate dell’incontro ecumenico dei vescovi amici dei Focolari hanno avuto come centro il Patriarcato greco-ortodosso, sede del Patriarca Bartolomeo I, per partecipare alla festa di sant’Andrea.
Siamo nel quartiere Fanar, in greco, Fener, in turco, che si affaccia sul Corno d’oro. La parola Fanar risale all’epoca bizantina e deriva dalla parola greca “lanterna”, uno strumento utile per la navigazione. Da 1700 anni il Patriarcato è punto di riferimento per gli ortodossi che oggi sono circa 300 milioni di persone in tutto il mondo. Il termine ortodosso è stato adottato agli inizi del IV secolo dopo Cristo per distinguere i veri cristiani, con una retta dottrina, dagli eretici che seguivano il monofisismo, varie dottrine teologiche che negano la duplice natura, divina e umana, del Cristo. Lo scisma si consumò nel 1054, ma, in realtà è una storia molto più complessa e la separazione non avvenne in un unico momento ma in un lungo asse temporale che ebbe il suo culmine nel 1204 al tempo della IV Crociata quando la Costantinopoli cristiana fu saccheggiata dai propri fratelli nella fede diretti in Terra Santa.
È domenica 29 novembre pomeriggio, la gente arriva alla spicciolata, alcune donne con il velo colorato, un foulard, per coprire il capo. Non sono solo ortodossi di Istanbul ma anche greci, russi. La mattina era stata uggiosa e con una leggera pioggia, ora, si è alzato un po’ di vento ed è uscito il sole.
Fa impressione vedere schierati 35 vescovi di 16 chiese diverse dentro la Chiesa di San Giorgio, dal 1600 elevata a chiesa cattedrale del patriarcato Ecumenico. È la prima volta che partecipo ad una liturgia ortodossa. Il coinvolgimento avviene con tutti i sensi. Gli occhi sono estasiati dai vivi colori delle icone, dagli interni dorati, dall’alternarsi di buio e di luce, dal fuoco delle candele. È un fiume di luce, riflessi, bagliori. L’udito è stimolato dalle cantilene in greco antico, dai canti, dall’eco del turibolo che conducono nel mistero della preghiera. L’olfatto è provocato dall’incenso che penetra nel profondo, inebria, profuma l’anima. Il gusto è provato dall’Eucaristia e dal pane “antidòro”, che vuol dire “al posto dell’Eucaristia”. È un pezzo di pane benedetto che viene distribuito alla fine della celebrazione. Il tatto si consuma nel bacio ripetuto alle icone, nel toccare con le dita le urne dei santi, nel saluto al Patriarca. Lo scopo sia dei vespri della domenica pomeriggio, sia della lunga liturgia, quattro ore, di lunedì 30 novembre, festa di sant’Andrea è non di recitare delle preghiere, ma di diventare preghiera, come diceva Origene: «Tutta la nostra vita dovrebbe essere una preghiera estesa e ininterrotta».
Nel prendere la parola, il Patriarca Bartolomeo mette in parallelo Andrea, il fratello di Pietro, il “primo chiamato” e Chiara Lubich, la “prima chiamata” al carisma dell’unità. «Non abbiamo il diritto di scoraggiarci – ha concluso – di fronte al rumore di tanti orrori che vengono perpetrati lungo le vie del mondo, abbiamo invece il dovere di annunciare a tutti che solo il dialogo, la comprensione, l’atteggiamento positivo che proviene dalla nostra fede in Cristo può vincere. Il santo apostolo Andrea non ha avuto dubbi nell’incontrare il Maestro, e neppure Chiara ha avuto dubbi nell’affidarsi a Lui. Così anche noi, consci tutti delle nostre responsabilità, non abbiamo dubbi della via su cui siamo incamminati, nell’incontro tra le nostre Chiese, nell’incontro con le fedi, nell’incontro con la umanità che soffre, perché solo l’Amore può vincere, e le porte degli Inferi non prevarranno su di esso».
È un riconoscimento pubblico del ruolo avuto da Chiara nel cammino ecumenico. Un carisma che ha stimolato anche
Bartolomeo I molto attivo nel campo dell’ecumenismo con i suoi recenti viaggi in Italia, Inghilterra, Belgio, Bulgaria. Gli chiediamo il motivo del suo incessante lavoro per l’unità.
«Perché è la volontà del Signore ‒ risponde Bartolomeo I ‒, Gesù stesso ha pregato il Padre per l’unità di tutti i credenti. La sua preghiera, la sua volontà è un comandamento per noi. Noi dobbiamo pregare e lavorare per la realizzazione di questa divina volontà. L’unità sarebbe così anche un contributo per la pace nel mondo, per la fratellanza tra le nazioni. E oggi il mondo ne ha bisogno più che mai”. Dall’inviato Aurelio Molè
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