Una beata per i nostri tempi
In anticipo di qualche giorno sulla data stabilita per la festa liturgica, fissata il 29 ottobre, trecento giovani e ragazzi, lungo le strade di Acatzingo, nello Stato di Puebla, Messico, hanno sfilato fin dal mattino in onore della beata Chiara Luce Badano, la “beata dei nostri tempi”. Tra musica e danze, il 20 ottobre scorso, è cominciata così, all’insegna della gioia e dei decibel, la celebrazione organizzata dalla comunità dei Focolari con il coinvolgimento di cinque gruppi dalle scuole del posto. Dal 2012, nella cittadella “El Diamante”, cuore pulsante della comunità, una cappella è intitolata alla giovane, beatificata nel 2010. Da qui, la proposta contagiosa di una piena e gioiosa adesione alla volontà di Dio – “uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela”, secondo le parole della stessa Chiara Luce – che raccoglie ogni anno numerosi giovani. Coinvolgendo “testa, cuore, mani”. Ispirandosi alle parole di Papa Francesco, che anche durante il recente Sinodo ha additato molti giovani come modelli di santità, i ragazzi coinvolti hanno fatto conoscere pensieri e momenti della vita di Chiara Badano, in un clima di festa e amicizia. A pochi chilometri da “El Diamante”, nella città di Acatzingo, ferita negli ultimi mesi da un’ondata di violenza, gli spettatori sono stati invitati a partecipare ad un’iniziativa, quella del “lancio del dado dell’amore”. Come in tanti altri paesi del mondo, il gesto, dalla forte valenza simbolica, rappresenta un invito ai singoli e alla cittadinanza ad intraprendere iniziative di pace. Le celebrazioni sono poi proseguite nella cittadella, con un programma di danza, musica, teatro, testimonianze di vita e giochi curato dagli stessi giovani partecipanti alla scuola di formazione e seguito da più di 500 persone. “Chiara Luce è per noi un faro che ci spinge a vivere per un grande ideale”. Altri college e scuole di Acatzingo hanno già aderito al progetto in vista delle celebrazioni future. Mariapoli El Diamante, 20 ottobre 2018 (altro…)
Lo Spirito Santo, anima del cammino ecumenico
In che modo lo Spirito Santo agisce oggi nella Chiesa? Ha ancora senso parlare di cammino ecumenico in un tempo, come quello attuale, segnato anche per i cristiani da frammentazione, complessità, scandali e sfide umanitarie? A due anni dall’evento di Lund, che ha dato nuovo impulso al dialogo ecumenico, 40 vescovi di varie Chiese, provenienti da 18 Paesi, si sono incontrati a Sigtuna (Svezia) dal 6 al 9 novembre scorso. Quattro giorni di confronto e condivisione promossi dal Movimento dei Focolari attorno al tema “Il soffio dello Spirito, la Chiesa nel mondo di oggi”. Presenti anche la presidente dei Focolari Maria Voce e il copresidente Jesús Morán, con una rappresentanza delle comunità del Movimento che vivono in Svezia. Maria Voce è intervenuta sul tema “Il soffio dello Spirito, anima della Chiesa, nell’esperienza e nel pensiero di Chiara Lubich”, mentre Jesús Morán ha proposto una lettura delle sfide della contemporaneità nell’ottica della spiritualità dell’unità. Il convegno, giunto alla sua 37° edizione, è frutto di un’esperienza di sinodalità e comunione iniziata su desiderio di Giovanni Paolo II, che lo propose al vescovo di Aachen, Klaus Hemmerle. «Oltre alle diverse relazioni, abbiamo voluto dedicare ampio spazio al dialogo e alla condivisione delle sfide ecumeniche che viviamo quotidianamente nei nostri contesti nazionali e continentali» spiega il cardinale Francis Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok e moderatore del convegno. Il grande tema della riconciliazione è stato trattato da Mons. Brendan Leahy, vescovo cattolico della diocesi di Limerick (Irlanda). In un intervento sul potere del perdono e della pacificazione, in seguito agli scandali che hanno colpito la Chiesa irlandese, ha affermato che «lo Spirito ci spinge a non lasciarci mai derubare della speranza (cfr. Rm 8). Una delle grandi tentazioni è quella di scoraggiarsi, ma lo Spirito mantiene viva la speranza, aiutandoci sempre a ricominciare con nuovo impegno nell’avventura cristiana dell’unità e della riconciliazione». Il vescovo anglicano Trevor Williams, irlandese, ha portato la propria testimonianza di pastore, responsabile per vari anni di Corrymeela, una comunità ecumenica che in Irlanda ha contribuito molto al percorso di riconciliazione tra le diverse fazioni in conflitto. «La riconciliazione non è un’opzione, ma una necessità, se vogliamo trovare una pace duratura. Viviamo in un mondo di “loro” e “noi”. La verità è che c’è solo il “noi”. Rivelare questa verità è opera di Riconciliazione, opera dello Spirito Santo». Il pastore evangelico-luterano tedescoJens-Martin Kruse ha condiviso la sua esperienza pastorale a Roma, un laboratorio ecumenico attuato grazie anche all’azione di Papa Francesco. Il cammino di riflessione comune continuato dopo la commemorazione dei 500 anni della Riforma, è stato ripercorso dall’arcivescovo Antje Jackelén, Primate della Chiesa di Svezia, dal vescovo cattolico di Stoccolma, il card. Anders Arborelius e dal vescovo Munib Younan, già presidente della Federazione Luterana Mondiale, che nel 2016 aveva presieduto insieme a Papa Francesco la storica liturgia ecumenica a Lund (Svezia).«Vi assicuro che lo Spirito Santo ci ha guidato – ha affermato – e continua a guidarci verso una primavera ecumenica. Sta a noi ora raccogliere i frutti dell’unità. Oggi diciamo insieme: “Viaggiamo insieme come testimoni viventi nel nostro mondo frammentato, affinché il mondo creda”». Uno dei momenti più intensi del convegno è stata la preghiera ecumenica nell’antica chiesa di St. Mary a Sigtuna e la firma del “Patto di unità”, con cui i vescovi si sono impegnati a fare un cammino di comunione effettiva ed affettiva, “amando la Chiesa altrui come la propria”. Impegno che ciascuno ha sigillato con la propria firma e un abbraccio fraterno. (altro…)
Accanto ai Nativi americani
Un lago talmente limpido, con il fondo ben visibile, da poterne bere l’acqua con le mani a conca, direttamente dalla canoa. Un mondo perfetto, all’apparenza. Eppure, qua e là, qualche bottiglia di plastica è incastrata a riva, trattenuta da rami bassi. Un pugno nell’occhio in un paesaggio di straordinaria bellezza. Il racconto di Alek, tra i quattro componenti dell’esperienza di “focolare temporaneo” realizzato a Whatì, in Canada, dal 19 luglio al 20 agosto scorso, è ricco di immagini come questa. «Stiamo parlando del grande nord, quasi al circolo polare artico. E di una cittadina di 800 abitanti. Ma sembravano di meno, perché si era da poco concluso il raduno del popolo Tlicho (Tłı̨chǫ nella lingua originale), e per questo motivo molti degli abitanti erano partiti per un periodo di vacanza. I Tlicho appartengono ai Nativi americani (le cosiddette “First Nations”, come vengono chiamate in Canada) sparsi in tutto il Nord America. Fanno parte dei Dene, “Associazione degli Indiani dei Territori del Nordovest”, e abitano un territorio chiamato Tlicho Land, costituito da quattro cittadine, con una popolazione complessiva di quasi 2 mila abitanti. Whatì, nella lingua originale Wha Ti, è una di queste, sul bellissimo lago La Martre, che nel punto di massima estensione misura ben 70 km». Con un gruppo di ragazzi, Alek e fr. Alain hanno organizzato la pulizia di un tratto delle sue sponde: «Come azione dimostrativa. Ma dopo abbiamo saputo che un abitante del posto ha sensibilizzato il capo villaggio, perché l’azione di ripulitura diventi stabile, lungo tutto l’anno». Anche questo è stato un frutto dell’esperienza del “focolare temporaneo” a Whatì. Il gruppo, oltre che da Alek (italiano, in partenza per Birmingham, Alabama) e da fr. Alain, sacerdote di Montreal, era costituito anche da Lioba, coreana, dal focolare di Vancouver, e Ljubica, da quello di Toronto. Motivo del viaggio: la richiesta del vescovo di Yellowknife, capoluogo dei Territori del Nordovest, di poter avere sul posto (coprendo anche le spese relative) alcune persone della comunità dei Focolari per dare agli abitanti, almeno un mese l’anno, la possibilità di una vicinanza spirituale e di una formazione alla vita evangelica. Contemporaneamente, per una analoga esperienza, un altro gruppo si è diretto nel villaggio di Fort Resolution. «I primi giorni siamo stati a Yellowknife, provenendo ognuno dalle nostre città, dopo viaggi abbastanza avventurosi a causa del maltempo. Qui abbiamo avuto la possibilità di conoscerci tra di noi e ricevere la benedizione del vescovo. Arrivati insieme a Whatì, vi siamo rimasti in tutto quattro settimane, per rinnovare i rapporti già costruiti l’anno precedente in occasione di un’altra esperienza analoga, conoscere le autorità locali e impegnarci in alcune iniziative del governo della tribù. La seconda settimana abbiamo organizzato un “Bible Camp” per i bambini, e la terza, accogliendo la richiesta dei responsabili del posto, siamo andati a trovare alcuni anziani del villaggio. Con loro è stato molto toccante pregare insieme. Avevamo l’impressione di una comunicazione che andava al di là della difficoltà di comprensione della loro lingua». La popolazione del posto soffre del difficile passaggio dalla tradizione alla modernità. «Nel giro di una generazione – spiega Alek – si è trovata privata delle radici che ne avevano costituito l’identità più profonda, probabilmente per migliaia di anni. La generazione dei miei coetanei è nata e vissuta nel “teepee” (la tipica tenda costituita da pali, in numero variabile a seconda della grandezza, con una copertura di pelli e un’apertura superiore per consentire la fuoriuscita del fumo) e parla il Tlicho. I loro nipoti non conoscono più la lingua tradizionale, usano il cellulare, sono attratti dal consumismo e da tutte le sue conseguenze, compreso l’uso di alcol e droghe. Tuttavia, la comunità è animata da una fede semplice e profonda, basata sulla lettura della Bibbia e sulla naturale religiosità del suo popolo, ancora sensibile al soprannaturale. Da parte mia, è stata l’occasione per incontrare, faccia a faccia, alcune di queste storie. Tra loro mi sono sentito “al mio posto”, forse come mai prima, anch’io espressione di una carezza di Dio». Chiara Favotti (altro…)
Un appello per l’Europa
«La fratellanza universale è stata anche il programma di persone non ispirate da motivi religiosi. Il progetto stesso della Rivoluzione francese aveva per motto: “Libertà, uguaglianza, fraternità”. Ma, se poi numerosi Paesi, nel costruire regimi democratici, sono riusciti a realizzare, almeno in parte, la libertà e l’uguaglianza, non è stato certo così per la fraternità, più annunciata che vissuta. Chi invece ha proclamato la fraternità universale, e ci ha dato il modo di realizzarla, è stato Gesù. Egli, rivelandoci la paternità di Dio, ha abbattuto le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici, e ha sciolto ciascun uomo dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo, in tal modo, un’autentica rivoluzione, esistenziale, culturale e politica. […] Lo strumento che Gesù ci ha offerto per realizzare questa fraternità universale è l’amore: un amore grande, un amore nuovo, diverso da quello che abitualmente conosciamo. Egli infatti – Gesù – ha trapiantato in terra il modo di amare del Cielo. Questo amore esige che si ami tutti, non solo quindi i parenti e gli amici; domanda che si ami il simpatico e l’antipatico, il compaesano e lo straniero, l’europeo e l’immigrato, quello della propria Chiesa e quello di un’altra, della propria religione e di una diversa. Domanda oggi ai Paesi dell’Europa occidentale di amare quelli dell’Europa centrale e orientale – e viceversa –, e a tutti di aprirsi a quelli degli altri continenti secondo la visione dei fondatori dell’Europa unita. Quest’amore chiede che si ami anche il nemico e che lo si perdoni qualora ci avesse fatto del male. Dopo le guerre che hanno insanguinato il nostro continente, tanti europei sono stati modelli di amore al nemico e di riconciliazione. […] Quello di cui parlo è, dunque, un amore che non fa distinzione e prende in considerazione coloro che stanno fisicamente accanto a noi, ma anche quelli di cui parliamo o si parla, coloro ai quali è destinato il lavoro che ci occupa giorno per giorno, coloro di cui veniamo a conoscere qualche notizia sul giornale o alla televisione. Perché così ama Dio Padre, che manda sole e pioggia su tutti i suoi figli: sui buoni, sui cattivi, sui giusti e sugli ingiusti (cf Mt 5,45). […] L’amore portato da Gesù non è poi un amore platonico, sentimentale, a parole, è un amore concreto, esige che si scenda ai fatti, e ciò è possibile se ci facciamo “tutto a tutti”: ammalato con chi è ammalato; gioiosi con chi è nella gioia; preoccupati, privi di sicurezza, affamati, poveri con gli altri. E, sentendo in noi ciò che essi provano, agire di conseguenza. Quante forme di povertà conosce oggi l’Europa! Pensiamo, a mo’ d’esempio, all’emarginazione dei disabili e degli ammalati di Aids, al traffico delle donne costrette a prostituirsi, ai barboni, alle ragazze madri… Pensiamo ancora a chi rincorre i falsi idoli dell’edonismo, del consumismo, della sete di potere e del materialismo. Gesù in ognuno di loro aspetta il nostro amore concreto e fattivo! Egli ritiene fatto a sé qualsiasi cosa si faccia di bene o di male agli altri. Quando ha parlato del giudizio finale ha detto che ripeterà ai buoni e ai cattivi: “L’hai fatto a me; l’hai fatto a me” (cf Mt 25,40). Quando poi questo amore è vissuto da più persone, esso diventa reciproco ed è quello che Gesù sottolinea più di tutto: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 13, 34); è il comandamento che egli dice suo e “nuovo”. A questo amore reciproco non sono chiamati solo i singoli, ma anche i gruppi, i Movimenti, le città, le regioni e gli Stati. I tempi attuali domandano, infatti, ai discepoli di Gesù di acquistare una coscienza “sociale” del cristianesimo. É più che mai urgente e necessario che si ami la patria altrui come la propria: la Polonia come l’Ungheria, il Regno Unito come la Spagna, la Repubblica Ceca come la Slovacchia… L’amore portato da Gesù è indispensabile all’Europa perché essa diventi una famiglia di nazioni: la “casa comune europea”». Chiara Lubich, Stoccarda 8 maggio 2004 (altro…)
Lo Spirito, anima della Chiesa
Hanno scelto la Svezia, per il suo profondo significato nel cammino ecumenico, i 40 vescovi di diverse Chiese cristiane, amici dei Focolari che si riuniranno dal 6 al 9 novembre. L’incontro si svolgerà a due anni dall’evento di Lund che ha dato nuovo impulso al dialogo ecumenico: nella dichiarazione comune firmata da Papa Francesco e dal vescovo Munib Younan, allora Presidente della Federazione Luterana Mondiale, si legge tra l’altro: “Ci impegniamo a testimoniare insieme la grazia misericordiosa di Dio, reso visibile in Cristo crocifisso e risorto. (…) ci impegniamo a un’ulteriore crescita nella comunione radicata nel battesimo, mentre cerchiamo di rimuovere i rimanenti ostacoli che ci impediscono di raggiungere la piena unità conforme al volere di Cristo che desidera che siamo una cosa sola, perché il mondo creda (cfr. Gv 17,22)”. Intessere una comunione che diventi testimonianza è il significato di questi periodici convegni dei vescovi amici dei Focolari che desiderano anche approfondire la spiritualità dell’unità nata dal carisma di Chiara Lubich. Dopo le tappe di Gerusalemme, Costantinopoli (Istanbul), Londra, Augsburg, Katowice e altre città significative per il cammino ecumenico, i partecipanti di 12 Chiese cristiane e provenienti da 18 Paesi si riuniranno per riflettere sul tema: “Il soffio dello Spirito, la Chiesa e il mondo di oggi”. Sarà presente Maria Voce, Presidente dei Focolari che svolgerà il tema: “Lo Spirito Santo anima della Chiesa, nell’esperienza e nel pensiero di Chiara Lubich”. Diverse le tematiche in campo: dalla sfida ecumenica oggi in diverse regioni geografiche, al senso della riconciliazione nella cultura contemporanea, al rinnovamento della Chiesa, alla sinodalità. Uno spazio sarà anche dedicato alla commemorazione congiunta della Riforma (2017) e al suo significato per le Chiese oggi. Stefania Tanesini (altro…)