“Il carisma dell’unità di Chiara Lubich è una di queste grazie per il nostro tempo, che sperimenta un cambiamento di portata epocale e invoca una riforma spirituale”.[1]
Sulla pagina web della “Mariapoli Ginetta”, la più sviluppata delle tre cittadelle dei Focolari in Brasile, il racconto della sua storia inizia con questa frase di Papa Francesco che evidenzia molto bene ciò che ha caratterizzato gli ultimi anni di questo luogo: un cammino verso un cambiamento organizzativo per testimoniare meglio la fraternità vissuta nel quotidiano e per rispondere alle necessità e alle domande delle persone che visitano la cittadella e dell’ambiente in cui è inserita.
Tutto ciò si è concretizzato con l’avvio di un processo di attualizzazione e di una gestione più partecipata e meno centralizzata delle diverse realtà che la compongono. Oggi ognuna ha un suo consiglio o comitato di gestione, composto da persone della Mariapoli e da professionisti del settore e che lavorano in sinergia anche con il consiglio della cittadella. “Corresponsabilità” è una parola chiave della Mariapoli Ginetta, assieme a uno sguardo verso il futuro e alla ricerca continua per attualizzare la mission della cittadella: “accogliere, formare, testimoniare e irradiare”.
Nel 2022 la cittadella ha festeggiato 50 anni di vita e da quel primo gruppo di focolarine in una casupola senza luce, ne gas, oggi conta un totale di 454 abitanti che vivono sul suo terreno e nei dintorni.
Negli anni sono passate decine di migliaia di persone: moltissimi giovani che hanno trascorso un periodo o alcuni anni per imparare a vivere la fraternità nel quotidiano, o per intraprendere la strada di consacrazione a Dio nel Movimento dei Focolari, poi famiglie, sacerdoti, religiosi e visitatori occasionali.
La Mariapoli Ginetta è parte della municipalità di Vargem Grande Paulista che dista appena un’ora dalla trafficatissima megalopoli di San Paolo e il cambio di scena quando si arriva è totale: molto verde, case, nessun grattacielo, parchi e aree gioco per i bambini; la vivibilità di un piccolo centro, rispetto ad una metropoli è il valore aggiunto di questo luogo. “Ci siamo trasferiti 6 anni fa da San Paolo” – racconta una giovanissima coppia con tre bambini. Sono una delle quattordici famiglie che negli ultimi anni si sono spostate da diverse città per crescere i propri figli “in un luogo in cui imparano a trattare gli altri con amore, dove c’è spazio per vivere una vita a misura d’uomo”. Questo, insieme alla scuola dei giovani che sta per iniziare la sua ottava edizione, sono segni di una rinnovata vitalità sociale della cittadella.
Corresponsabilità e gestione partecipata
“Oggi nella cittadella ci sono molti degli elementi che compongono una convivenza urbana” – spiegano Iris Perguer e Ronaldo Marques corresponsabili della Mariapoli Ginetta. “Ci sono abitazioni, un centro città rappresentato dalla struttura del Centro Mariapoli e dalla chiesa di Gesù Eucaristia, l’Editrice Cidade Nova, un centro audiovisivi, ambulatori medici, atelier vari, la rinomata panetteria e caffetteria “Espiga Dourada”, i progetti sociali al servizio della popolazione più svantaggiata, il “Polo Spartaco”, un’area commerciale e produttiva dove le aziende operano secondo i principi di Economia di Comunione, la sezione brasiliana dell’Istituto Universitario “Sophia ALC” (America Latina e Caraibi)”.
“Questa nuova modalità di gestione partecipata che state attuando – ha commentato Margaret Karram – è un’opportunità straordinaria di apertura della cittadella ad altri che vogliono contribuire a costruirla, a formarsi e fare un’esperienza di unità. Devo dirvi che dopo aver partecipato al Genfest mi è nata in cuore una grande speranza; ho avuto la forte impressione che in questi giorni Dio abbia bussato nuovamente alla porta del Brasile e chiede di rispondere e sostenere quanto è nato nei giovani. Anche questa cittadella, insieme alla Mariapoli Gloria e alla Mariapoli Santa Maria, ha ora una nuova possibilità e responsabilità di capire come rispondere; di offrire una testimonianza di vita evangelica vissuta in una comunità sociale”.
La seconda generazione del Polo Spartaco
Mariza Preto racconta che anche il Polo imprenditoriale ha intrapreso un coraggioso cammino di sviluppo e apertura.
“Nel 2016 un debito accumulato negli anni a causa di mancati pagamenti indicava chiaramente che la sostenibilità economica del Polo era a rischio. Gli imprenditori erano demotivati, preoccupati perché all’orizzonte non si vedeva nessuno interessato ad iniziare una nuova attività al Polo. Sono stati anni difficili, in cui si sono tentate molte strade, compresa quella di costruire relazioni con gli imprenditori della regione che ha portato alla nascita di eventi comuni e momenti di confronto e incontro. Ma la svolta è avvenuta nel 2019 quando durante una fiera espositiva che abbiamo organizzato al Polo, la maggior parte degli espositori erano esterni alla nostra realtà. In quel periodo “Espri”, la società di gestione del polo aveva molti capannoni vacanti e una crescente fragilità finanziaria. È stato allora che il consiglio del Polo ha deliberato di ammettere imprese e imprenditori che non conoscevano l’Economia di Comunione ma che volevano agire secondo i suoi principi. Così che è avvenuta la “rinascita” del Polo: ogni azienda che desidera oggi entrare al Polo si sottopone ad un processo di conoscenza della vita aziendale che qui viviamo e aderisce alle linee di gestione di un’impresa di Economia di Comunione”.
A 30 anni dalla sua fondazione, oggi il Polo Spartaco si compone di 9 edifici, vi hanno sede 10 aziende per un totale di 90 dipendenti.
“Qui l’economia di comunione è viva – ha detto Jésus Morán. Oltre all’aspetto carismatico, qui si vede quello produttivo che funziona ed è in atto il ricambio generazionale degli imprenditori. Tutto questo ci dice che siamo entrati in una nuova fase in cui la profezia di Chiara Lubich è viva. Ringraziamo tutti i pionieri, quelli che hanno iniziato e ci hanno creduto e hanno permesso che arrivassimo fino qui”.
SMFocolari
È attraverso la SMF, “Sociedade Movimento dos Focolari” che la cittadella si impegna in diverse opere sociali sul territorio. La SMF promuove il rafforzamento della comunità e l’accesso ai diritti e alle garanzie di protezione, soprattutto per i bambini, i giovani e le donne in situazioni di vulnerabilità sociale. Le tre Opere Sociali in cui lavorano gli abitanti della Mariapoli Ginetta operano nel campo della prevenzione per giovani in condizione di vulnerabilità, realizzano percorsi di accompagnamento per le loro famiglie e accolgono persone senza fissa dimora. Questa è una goccia nel mare della necessità di dignità, lavoro e giustizia di tanta gente e come ha spiegato Sérgio Previdi, vicepresidente di SMF “E’ solo un tassello del progetto culturale basato sulla fraternità che vogliamo sviluppare sul territorio e nella nostra città”.
Stefania Tanesini
[1] Messaggio del Santo Padre Francesco per l’apertura del convegno internazionale “Un carisma al servizio della Chiesa e dell’umanità” in occasione del centenario della nascita della serva di Dio Chiara Lubich
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Tutta l’esperienza del Genfest – dalla “Fase 1” fino alla “Fase 3” – è la testimonianza tangibile che voi giovani credete e anzi, state già lavorando, per costruire un mondo unito. Questi sono stati per tutti noi giorni di grazie straordinarie, abbiamo messo in pratica la “cura” in vari modi: nella Fase 1, attraverso il servizio ai poveri, agli emarginati, a chi più soffre e lo abbiamo fatto vivendo la reciprocità, quella comunione tipica del carisma del Movimento dei Focolari; nella Fase 2, nella condivisione di vita, esperienze, ricchezze culturali; e poi, nella Fase 3, abbiamo sperimentato la straordinaria generatività delle communities, che sono anche uno spazio intergenerazionale di formazione e progetti.
Qualcuno mi ha raccontato della creatività che ogni “community” ha sviluppato e degli interessanti workshops di cui avete appena raccontato.
“Dal Genfest mi porto a casa la mia community – ha detto uno di voi – è qualcosa di concreto che continua. Una possibilità per vivere l’esperienza del Genfest nel quotidiano”.
Vi siete sentiti protagonisti nella costruzione di queste “community” e volete continuare a “generare” idee e progetti. Mi ha dato gioia sapere che qualcuno di voi ha detto di aver riscoperto il senso della sua professione e che ora vuole viverla all’insegna del mondo unito.
Abbiamo questi giorni camminato insieme, con uno stile che papa Francesco definirebbe “sinodale” e non solo tra voi giovani, ma anche con gli adulti; con persone di altri movimenti e comunità; con persone di diverse Chiese e religioni e persone che non si riconoscono in un credo religioso. Questa rete ha arricchito moltissimo il Genfest!
È stata molto bella anche la presenza fra noi di alcuni vescovi che hanno vissuto il Genfest in mezzo a noi.
Ora il Genfest non finisce! Ma continua proprio nelle “United World Communities” dove resteremo connessi sia globalmente che localmente.
Sono sicura che quando arriverete nei vostri Paesi e nelle vostre città capirete in che, in cosa vorrete impegnarvi, in base ai vostri interessi e ai vostri studi o le vostre professioni: in economia, in dialogo interculturale, nella pace, nella salute, nella politica ecc…
In questi giorni avete fatto l’esperienza di vivere “community” in “unity”, in unità; una realtà che continuerà: sarà questa la vostra palestra in cui imparerete e vi allenerete a vivere la fraternità.
Quando io avevo la vostra età mi ha colpito moltissimo un invito che Chiara ha fatto a tutti noi, e lei diceva così:
“Se saremo uno, molti saranno uno e il mondo potrà un giorno vivere l’unità. E allora? Costituire dappertutto cellule di unità” (1) – forse Chiara se fosse viva oggi avrebbe forse chiamato queste cellule di unità “United world communities” – Lei ci invitava a concentrare in questo tutti i nostri sforzi.
Per questo vorrei chiedervi ora una cosa importante: per favore, per favore non perdete questa occasione, questa occasione unica che abbiamo vissuto qua: Dio ha bussato al cuore di ciascuno di noi e adesso chiama tutti ad essere protagonisti e portatori di unità nei diversi ambiti in cui vi siete impegnati.
Ieri qualcuno mi ha fermato mentre stavo uscendo e mi ha detto: devo dirti una cosa. Una di voi che è qui in sala e mi ha detto: devo dirti una cosa importante, per favore voglio dirti una cosa importante. Ha detto che era la prima volta che partecipava ad un Genfest e che lei non conosceva il Movimento dei Focolari e mi ha detto: io voglio dire a te, dovete fare di più perché questo movimento non è conosciuto tanto, bisogna fare di più ma non come avete fatto finora. Dovete fare di più perché questo Movimento, questa idea della fraternità deve essere conosciuta da molti più giovani. Allora io ho chiesto a lei se lei ci poteva aiutare e lei si è impegnata. Ma adesso spero che tutti noi ci impegniamo a fare questo.
Certo, come avete anche sentito prima, non sarà tutto facile e non possiamo davvero illuderci che le difficoltà non arrivano… ma in questo Genfest voi stessi avete annunciato: “un Dio diverso, abbandonato sulla croce” voi avete detto “abbandonato sulla croce tutto divino e tutto umano, che fa domande senza risposte” è per questo che è un Dio vicino a tutti noi. Sarà abbracciando ogni dolore, nostro o degli altri, che troveremo la forza di continuare in questo cammino.
Allora andiamo avanti insieme con una nuova speranza, convinti più che mai che ormai una strada è stata tracciata.
E come uno scrittore cinese Yutang Lin, dice una cosa molto bella: “La speranza è come una strada nei campi: non c’è stata mai una strada, ma quando molte persone vi camminano, la strada prende forma”. Io penso che questa strada in questo Genfest ha preso forma. Allora camminiamo e ci sarà questa strada difronte a noi.
Allora saluto tutti, auguro buona continuazione a chi farà il post-Genfest e buon viaggio a chi torna a casa!
Ciao a tutti!
Margaret Karram
(1) Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova, 2019, p. 64.
La terza fase di Genfest 2024, svoltasi ad Aparecida (Brasile), ha incluso laboratori organizzati dalle cosiddette United World Communities, luoghi di incontro in cui i giovani possono condividere i loro talenti e le loro passioni. Queste communities offrono l’opportunità di scoprire persone di talento, forme concrete di impegno e di avviare azioni e progetti finalizzati alla costruzione di un mondo più unito, che mirano a rispondere alle sfide locali e globali del mondo di oggi; ad attivare processi di cambiamento personale e collettivo; a far crescere la fratellanza e la reciprocità in tutte le dimensioni della vita umana. Una caratteristica importante di queste communities è che sono il frutto del lavoro tra persone di diverse generazioni.
Proseguendo le esperienze delle precedenti fasi del Genfest, in questa terza fase i giovani hanno potuto partecipare a laboratori in diversi ambiti, la cui metodologia era basata sulla fraternità e sul dialogo, come una prova per progetti e azioni che ora possono essere sviluppati nella sfera “glocale” (progetti locali con una prospettiva globale). Le attività si sono svolte nei settori dell’economia e del lavoro, dell’interculturalità e del dialogo, della spiritualità e dei diritti umani, della salute e dell’ecologia, dell’arte e dell’impegno sociale, dell’istruzione e della ricerca, della comunicazione e dei media, della cittadinanza attiva e della politica. Le équipe responsabili della gestione dei laboratori erano composte da giovani e professionisti che hanno lavorato intensamente per mesi per organizzare queste attività.
D’ora in poi, le Comunità avranno un metodo di lavoro che consiste in tre fasi: Imparare, Agire e Condividere. La prima (Imparare) è un’esplorazione e un’analisi approfondita dei temi e delle questioni più attuali in ogni community, con l’obiettivo di identificare problemi e presentare soluzioni. La fase successiva (Agire) consiste nella realizzazione di azioni con un impatto principalmente locale, ma con una prospettiva globale. Infine, nella terza fase (Condividere), si propone alla comunità di promuovere spazi di scambio e dialogo continuo tra le iniziative, con l’obiettivo di rafforzare la rete di collaborazione globale. È stata creata un’applicazione – la WebApp United World Communities, – che è uno strumento per la condivisione di idee, esperienze e notizie, oltre che per la promozione di progetti di collaborazione.
“Dio ha visitato il cuore di tutti”
Al termine della terza fase del Genfest, le Communities hanno presentato in modo creativo le loro impressioni e alcuni dei risultati delle attività svolte nei giorni precedenti. Da questo lavoro è nato il documento “The United World Community: One Family, One Common Home”, che sarà il contributo dei partecipanti del Genfest 2024 al “Summit of the Future” delle Nazioni Unite del prossimo settembre. Secondo i giovani che hanno presentato il testo, esso non è un documento conclusivo, ma vuole essere un “programma di vita e di lavoro” per le varie United World Communities, oltre che una testimonianza da presentare al “Summit of the Future”.
“Con le nostre communities non vogliamo fare richieste, formulare slogan o lamentarci con i leader politici”, hanno detto i giovani. “Cerchiamo invece di dare un nome ai nostri sogni comuni, sogni di un mondo unito. Sogni personali e comunitari, che ci guideranno nelle attività che svolgeremo nei prossimi anni”. E hanno concluso: “Speriamo che vivendoli, ‘insieme’ e passo dopo passo, diventino segni di speranza per altri”.
Alla conclusione del Genfest 2024 sono intervenuti anche Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente del Movimento dei Focolari. Jesús Morán ha affermato che, sebbene l’esperienza della cura sia stata la più vissuta nella storia dell’umanità, non quella sulla quale più si è riflettuto.
Questa situazione ha iniziato a cambiare, come ha dimostrato il Genfest, nel quale è emersa la cura come una risposta al bisogno di dignità umana. In questo senso, ha concluso, è importante che i giovani rimangano connessi a questa rete globale di comunità generative. Margaret Karram, da parte sua, ha detto di aver visto nel corso dell’esperienza del Genfest che i giovani hanno dato una testimonianza tangibile della loro fede e che sono già in azione per costruire un mondo unito. Per quanto riguarda in particolare la Fase 3, ha sottolineato la ricchezza di questa esperienza per la sua creatività, l’impronta intergenerazionale e interculturale e il fatto che, attraverso le communities, c’è la possibilità concreta di vivere la stessa esperienza del Genfest nella propria vita quotidiana. La Karram ha invitato i giovani a sentirsi protagonisti di queste comunità, il cui fondamento è l’unità. “Vi prego di non perdere questa opportunità unica che stiamo vivendo qui: Dio ha visitato il cuore di ognuno di noi e ora chiama tutti a essere protagonisti e portatori di unità nei vari ambiti in cui sono coinvolti”, ha concluso.
Luís Henrique Marques
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In una assolata giornata di giugno 2024, oltre 400 ospiti provenienti da tutto il mondo si sono recati a Montet (Svizzera) per salutare la multicolore e internazionale comunità dei Focolari. Il centro di formazione del Movimento verrà infatti chiuso e la comunità concentrerà i propri sforzi su altri centri di formazione. Nel corso della seconda metà dell’anno 2024 la maggior parte dei residenti lascerà il piccolo paese della Svizzera francese per unirsi ad altre comunità.
I responsabili della “Mariapoli Foco”, come è chiamata questa cittadella, Maria Regina Piazza e Markus Näf hanno illustrato il percorso che ha portato a questo passo: “Per capire questa decisione, bisogna guardare al cammino che il Movimento dei Focolari ha percorso, considerando il calo delle vocazioni alla vita consacrata e le sfide della società odierna in tutto il mondo”. Si tratta di “ridistribuire le forze e ridurre le strutture per promuovere la vicinanza alle persone dove più serve”.
Markus Näf – Maria Regina PiazzaMargaret Karram – Jesús Morán – Celine RuffieuxIon Sauca
Gli ospiti presenti, provenienti dal mondo della politica, della società e delle Chiese, hanno sottolineato quanto la cittadella abbia plasmato e influenzato positivamente l’area circostante: è stata diffusa pace, senso di comunità, spirito di unità e fraternità ed è stata data una testimonianza di amore reciproco. In totale, quasi 3.800 persone hanno trascorso parte della loro vita qui nel corso di 43 anni, la maggior parte di esse erano adolescenti e giovani adulti.
In un messaggio di saluto, il Segretario Generale del Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra, Rev. Prof. Dr. Jerry Pillay, ha ringraziato per le ricche esperienze ecumeniche condivise e vissute insieme durante le visite annuali degli studenti a Ginevra e ha sottolineato che “la vera eredità del Centro di Montet non è la sua struttura fisica, bensì la comunione, le relazioni e i valori evangelici promossi”.
Cédric Péclard, sindaco di lunga data di Les Montets, al cui Comune appartiene il villaggio di Montet, si è molto rammaricato per questa chiusura. Tuttavia, si è compiaciuto per il fatto che il “Dado della pace” del parco del Centro dei Focolari sia stato donato al Comune. Questa scultura interattiva incarna e trasmette valori importanti per il Movimento dei Focolari e in realtà ha origine nel villaggio: un gruppo di focolarine l’aveva creato per lavorare con i bambini durante il loro soggiorno a Montet, poi “il dado” si è diffuso in tutto il mondo. Un grande modello mobile di esso, si trova oggi in un parco giochi nel centro di Les Montets.
Dr. Vasile-Octavian Mihoc
Nel suo discorso, la Presidente dei Focolari Margaret Karram, presente a Montet insieme al Copresidente Jesús Morán, non ha nascosto quanto sia stato doloroso per la comunità internazionale chiudere questo sito. “Sentiamo molto chiaramente che dobbiamo guardare all’umanità che attende il dono della pace, dell’unità e che dobbiamo saper cogliere, anche attraverso le circostanze, il desiderio di Dio per noi e per le nostre attività e strutture”. La decisione di chiudere la cittadella dei Focolari a Montet non è stata presa a cuor leggero. “È come assistere alla potatura di un albero che ha dato tanti bei frutti per molti anni”. “Ma sappiamo che nulla accade per caso, ma la Divina Provvidenza è sempre dietro a tutto”. E ha incoraggiato tutti – ospiti e residenti – a portare l’esperienza acquisita a Montet nel mondo: “Molti di voi sarete destinati ad altre città, ad altri Paesi, ad altre comunità o ritornerete nel vostro Paese e porterete ovunque andrete la preziosa esperienza che avete vissuto qui e che, quindi, non solo continuerà, ma vi porterà una dimensione di amore ancora più grande che vi stupirà, perché sarà nuova”.
Il futuro prevede la vendita della tenuta di 5 ettari. Un comitato guidato da Hugo Fasel, ex direttore della Caritas svizzera, supervisionerà la vendita e farà in modo che l’uso futuro della proprietà sia in linea con i valori del Movimento dei Focolari.
Si arriva a Juruti, nello Stato del Parà, da Santarém, dopo sette ore di motonave, il mezzo più veloce. Con fierezza, i suoi abitanti dicono che questa zona è il cuore della bassa Amazzonia brasiliana, dove l’unica “strada” di collegamento è il Rio delle Amazzoni, il “fiume-mare”, come lo chiamano i nativi. È infatti il primo fiume al mondo per portata d’acqua e il secondo per lunghezza. È lui a scandire il tempo, la vita sociale, il commercio e le relazioni tra i circa 23 milioni di abitanti di questa vastissima regione, dove vive il 55,9% della popolazione indigena brasiliana. Oltre ad essere uno degli ecosistemi più preziosi del pianeta, gli interessi politici ed economici sono causa di conflitti e violenze che continuano a moltiplicarsi quotidianamente. Qui la dirompente bellezza della natura è direttamente proporzionale ai problemi di qualità della vita e sopravvivenza.
Cura, la parola-chiave per l’Amazzonia
“Osservare e ascoltare è la prima cosa che possiamo imparare in Amazzonia” spiega Mons. Bernardo Bahlmann O.F.M., Vescovo di Óbidos, a Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente dei Focolari, arrivati per conoscere e vivere alcuni giorni con le comunità dei Focolari della regione. Li accompagnano Marvia Vieira e Aurélio Martins de Oliveira Júnior, co-responsabili nazionali del Movimento, insieme a Bernadette Ngabo e Ángel Bartol del Centro Internazionale del Movimento.
Il Vescovo parla della cultura differenziata di questa terra, dove caratteristiche native convivono con aspetti del mondo occidentale. La convivenza sociale presenta molte sfide: povertà, mancanza di rispetto dei diritti umani, sfruttamento della donna, distruzione del patrimonio forestale. “Tutto questo domanda di ripensare cosa significhi prendersi cura delle ricchezze di questa terra, delle sue tradizioni originarie, del creato, dell’unicità di ogni persona, per trovare, insieme, una strada nuova verso una cultura più integrata”.
Santarém, dove la Chiesa è laica
Un compito impossibile senza il coinvolgimento dei laici, spiega Mons. Ireneu Roman, Vescovo dell’Arcidiocesi di Santarém: “sono loro la vera forza della Chiesa amazzonica”. Nelle sue comunità parrocchiali i catechisti sono circa un migliaio e supportano la formazione cristiana, la liturgia della Parola e i progetti sociali. Mons. Roman domanda alla comunità dei Focolari in Amazzonia di portare il suo contributo specifico: “l’unità nelle strutture ecclesiali e nella società, perché ciò che serve di più a questa terra è ri-imparare la comunione”.
La presenza dei Focolari e il Progetto Amazzonia
La prima comunità maschile del Focolare è arrivata stabilmente a Óbidos nel 2020 su richiesta di Mons. Bahlmann e sei mesi fa si è aperta quella femminile a Juruti. Oggi in Amazzonia ci sono sette focolarini, tra cui un medico, due sacerdoti, una psicologa e un economista.
“Siamo in Amazzonia per supportare il grande lavoro missionario che la Chiesa svolge con i popoli indigeni”, spiegano Marvia Vieira e Aurélio Martins de Oliveira Júnior. “Nel 2003, una delle linee guida della Conferenza Episcopale Brasiliana era incrementare la presenza della Chiesa in questa regione amazzonica, perché la vastità del territorio e la mancanza di sacerdoti rendevano difficile un’adeguata assistenza spirituale e umana”.
Nasce così, 20 anni fa, il “Progetto Amazzonia” dove membri del Movimento dei Focolari provenienti da tutto il Brasile si recano per un periodo in luoghi scelti di comune accordo con le Diocesi, per realizzare azioni di evangelizzazione, corsi di formazione per famiglie, giovani, adolescenti e bambini, visite mediche e psicologiche, cure odontoiatriche e altro.
“Forse non riusciremo a risolvere i tanti problemi di questa gente – dice Edson Gallego, focolarino sacerdote del focolare di Óbidos e parroco – ma possiamo essere loro vicini, condividere gioie e dolori. È quello che cerchiamo di fare da quando siamo arrivati, in comunione con le diverse realtà ecclesiali della città.”
Le focolarine spiegano che non è sempre facile perdere le proprie categorie mentali: “Spesso ci illudiamo di dare risposte, ma siamo noi che usciamo arricchite da ogni incontro, dalla forte presenza di Dio che emerge ovunque: nella natura, ma soprattutto nelle persone”.
Costruire la persona e la società
A Juruti le focolarine collaborano con le realtà della Chiesa che svolgono azioni di promozione umana e sociale. Il “casulo” “Bom Pastor” è una delle 24 scuole materne della città, con una specifica linea pedagogica che forma i bambini alla consapevolezza della propria cultura e tradizioni, al senso comunitario, alla coscienza di sé e dell’altro. Una scelta importante per una formazione integrale e integrata. Mentre l’Ospedale “9 de Abril na Providência de Deus” è gestito dalla Fraternità “São Francisco de Assis na Província de Deus”. Serve la popolazione della città (51.000 abitanti circa), le località vicine e le comunità fluviali, con una particolare attenzione a chi non può permettersi di pagare le cure. Le Apostole del Sacro Cuore di Gesù, invece, animano il Centro di convivenza “Madre Clelia” dove accolgono un centinaio di giovani l’anno, creando alternative di formazione professionale e contribuendo allo sviluppo personale, in particolare dei giovani a rischio.
Anche la comunità del Focolare da anni opera in sinergia con le parrocchie e le organizzazioni ecclesiali. Incontrandola, insieme ad altre comunità venute da lontano, Margaret Karram ringrazia per la generosità, concretezza evangelica e accoglienza: “Avete rinforzato in tutti noi il senso di essere un’unica famiglia mondiale e anche se viviamo distanti, siamo uniti dallo stesso dono e missione: portare la fraternità dove viviamo e in tutto il mondo”.
Promuovere la dignità umana
Attraverso un reticolo di canali che si snodano dentro la foresta amazzonica, a un’ora di barca da Óbidos, si arriva al Mocambo Quilombo Pauxi, una comunità indigena di un migliaio di persone afro-discendenti. È seguita dalla parrocchia di Edson, che cerca di andare almeno una volta al mese per celebrare la Messa e, insieme ai focolarini, condividere, ascoltare, giocare con i bambini. La comunità è composta da circa un migliaio di persone che, pur immerse in una natura paradisiaca, vivono in condizioni particolarmente svantaggiate. Isolamento, lotta per la sopravvivenza, violenza, mancanza di pari diritti, di accesso all’istruzione e alle cure mediche di base, sono le sfide quotidiane che queste comunità fluviali affrontano. Anche qui, da due anni, la diocesi di Óbidos ha attivato il progetto “Força para as mulheres e crianças da Amazônia”. È indirizzato alle donne e all’infanzia e promuove una formazione integrale della persona in ambito spirituale, sanitario, educativo, psicologico, di sostentamento economico. Una giovane madre racconta con fierezza i suoi progressi nel corso di economia domestica: “Ho imparato molto e ho scoperto di avere capacità e idee”.
Certamente si tratta di una goccia nel grande mare delle necessità di questi popoli, “ed è vero – riflette Jesús Morán – che, da soli, noi non risolveremo mai i tanti problemi sociali. La nostra missione, anche qui in Amazzonia, è cambiare i cuori e portare l’unità nella Chiesa e nella società. Ha senso quel che facciamo se le persone orientano la loro vita al bene. È questo il cambiamento”.
Accogliere, condividere, imparare: è questa la “dinamica evangelica” che emerge, ascoltando i focolarini in Amazzonia, dove ciascuna e ciascuno si sente chiamato personalmente da Dio ad essere suo strumento per “ascoltare il grido dell’Amazzonia” (47-52) – come scrive Papa Francesco nella straordinaria esortazione post-sinodale Querida Amazonia – e per contribuire a far crescere una “cultura dell’incontro verso una ‘pluriforme armonia’” (61).
Il 26 gennaio, il Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, card. Michael Czerny, si è recato in Germania, ad Aquisgrana, per ricevere il Premio Klaus Hemmerle 2024. Si è svolta venerdì 26 gennaio 2024, nella Cattedrale di Aquisgrana (Germania) l’undicesima edizione del premio Klaus Hemmerle, il premio che il Movimento dei Focolari conferisce ogni due anni dal 2004, a persone che, come l’ex Vescovo di Aquisgrana, hanno lavorato per costruire ponti, nella Chiesa e nella società. Quest’anno, a 30 anni dalla morte di Klaus Hemmerle (1929-1994), a ricevere questo importante riconoscimento è stato S.E. il card. Michael Czerny, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Il premio è stato consegnato dal Rettore dell’Università di Filosofia di Monaco, prof. dr. Johannes Wallacher il quale ha sottolineato, nel suo discorso d’onore, i servizi resi da Czerny allo sviluppo teologico e il suo impegno nell’attuazione socio-politica della Dottrina Sociale della Chiesa, nel contesto dei vari compiti e delle fasi della sua vita. Ha inoltre parlato della “visione della fraternità globale come segno dei tempi e chiave centrale per trovare risposte ai bisogni attuali”, una visione per la quale Czerny si è impegnato ed è, non da ultimo, un modello motivante. Nella sua decisione, la giuria presente ha sottolineato l’instancabile impegno del card. Czerny a favore della dignità umana e dei diritti umani, il suo invito ad “accettare le differenze e imparare dalle altre culture” per costruire “un mondo più giusto”, dedizione per cui anche il nunzio apostolico in Germania, Sua Eccelnza Mons. Nikola Eterović, ha mostrato la sua gratitudine. “La fraternità di tutti gli uomini è il tema guida di Papa Francesco – ha affermato il vescovo di Aquisgrana, Helmut Dieser – definendo il cardinale Czerny, “un sostenitore e un pioniere di questo impegno”. Anche la Presidente dei Focolari, Margaret Karram, si è congratulata con il card. Czerny attraverso un messaggio che è stato letto durante la cerimonia, sottolineando il suo significativo impegno nella costruzione di una cultura di unità e di dialogo, riconoscendolo come alleato nello sforzo di mediare nei conflitti e di promuovere la solidarietà reciproca. Nel suo discorso, il cardinale Czerny si è soffermato sul magistero sociale di Papa Francesco per una trasformazione socio-ecologica, ha fatto riferimento a diversi testi della Dottrina, che considera oggi all’avanguardia e si è detto d’accordo con il Papa, che nella sua enciclica “Fratelli tutti”, ha chiesto di sostituire la “cultura dell’usa e getta” con una cultura dell’incontro. “Dobbiamo spostare la nostra attenzione dal profitto alla prosperità, dalla crescita economica alla sostenibilità e dalla materialità alla dignità umana” ha affermato, sottolineando l’importanza di “ripensare il concetto di progresso e di ripristinare un senso di comunità”, un cammino che porta dall’io al “noi”. In conclusione, ha ringraziato i presenti per il loro “ruolo cruciale nel dare forma a nuove logiche che possono proteggere il nostro fragile ambiente e dare potere alle nostre comunità frammentate”. Ricevere questo premio è per lui un incoraggiamento a “continuare a concentrare tutte le forze di bene esistenti nel senso di uno sviluppo olistico, a servizio e beneficio dell’intera famiglia umana”.