Movimento dei Focolari
In Nicaragua, frammenti di fraternità

In Nicaragua, frammenti di fraternità

2016-10-Nicaragua-02Dare e ricevere senza misura e con grande generosità. È ciò che i Giovani per un Mondo Unito di Managua (Nicaragua), hanno sperimentato nella loro visita alla piccola comunità del Movimento di La Cal, un villaggio che si arrampica a 1200 metri di altitudine nei pressi di Jinotega, la cosiddetta capitale del caffè. Muniti di alcuni sacchi di vestiario, cibo, medicinali, giocattoli, raccolti con l’aiuto della comunità di Managua, raggiungono dapprima Jinotega (tre ore di pullman); per poi percorrere, con un pick-up, 8 km di una strada che via via diventa sempre più accidentata, al punto che anche il fuoristrada deve arrendersi. Per raggiungere il villaggio rimane ancora 1 km e mezzo di bosco, irto di pietre, crepacci e ripidi pendii, che risultano inaccessibili perfino ai cavalli. E che i giovani devono affrontare a piedi e con i sacchi in spalla, mettendo alla prova la loro forma fisica. «Non si può immaginare la gioia e l’entusiasmo con i quali siamo stati ricevuti», raccontano i giovani i quali, fin dal primo impatto si rendono conto dello stato di precarietà in cui si trova La Cal. Le sue casette, tutte in legno e brulicanti di bambini, mancano di energia elettrica, di acqua corrente e di un presidio medico. Nel villaggio c’è un piccolo negozio con alcuni articoli di prima necessità, una scuoletta con un’unica aula e un unico insegnante e una piccolissima cappella nel caso arrivi qualche sacerdote per la messa. Se non fosse per dei piccoli pannelli solari installati da poco nelle casette, l’intero villaggio sarebbe completamente al buio. 2016-10-Nicaragua-01Con i Giovani per un Mondo Unito c’erano anche due medici. Una di essi, odontoiatra, inizia la giornata con una dimostrazione di igiene orale ad una trentina di bambini, felicissimi di poter usare dentifricio e spazzolini portati dalla dottoressa. All’ora di pranzo una famiglia vuole offrire delle buonissime tortillas ancora calde, mentre i giovani si intrattengono con le persone e fanno giocare i bambini. Nel pomeriggio si parla agli adulti sulla prevenzione della parassitosi. La giornata, molto intensa, si conclude con la lettura della Parola di Vita, un momento di forte spiritualità che coinvolge tutti. Commovente il gesto di un signore che alla fine vuole dare ai giovani la sua benedizione. Segue poi la distribuzione di tutto quanto i giovani avevano portato per loro. Per la notte era stato predisposto un locale opportunamente ripulito ricavato da un ex pollaio. «È stata un’emozione per noi – scrivono – poter rivivere l’esperienza dei focolarini di Trento il cui primo focolare era stato allestito in un ex-pollaio. Al mattino seguente, dopo una buona colazione preparata dalle signore del villaggio, e i calorosissimi saluti di tutti che ci hanno chiesto di ritornare al più presto, siamo ripartiti alla volta di Jinotega. Nella Cattedrale siamo andati a ringraziare Dio per un’esperienza che ci ha così profondamente cambiati, che ci ha fatto conoscere persone generose che con dignità lottano per andare avanti, nella gioia di sentirsi immensamente amate da Dio. E per aver costruito, anche in mezzo a quelle montagne, un frammento di fraternità». (altro…)

La potenza dell’amore che sana

La potenza dell’amore che sana

20160926-01John: «È l’inizio dell’anno scolastico. Nostro figlio sta entrando nel penultimo anno delle superiori, ma già al primo giorno di scuola dice a mia moglie Claire che non sarebbe più tornato perché non sopporta la gente. Da allora rimane nel chiuso della sua stanza, per uscirvi solo dopo essersi accertato che noi siamo già addormentati. Con me non parla, lo fa sporadicamente solo con la madre. Confesso che non è facile accettare il ruolo di vedersi rifiutare dal proprio figlio. Ciò che mi aiuta ad andare avanti è la frase del Vangelo: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Una notte egli prende la disperata decisione di suicidarsi, ma mentre chiamiamo l’ambulanza scappa dalla finestra inghiottito dal buio. La polizia coordina una ricerca nella zona, ma lui non si trova. Ad un certo punto ritorna spontaneamente, così possiamo ricoverarlo in ospedale. Una settimana in terapia intensiva per una persona in preda al panico e col terrore delle persone e degli spazi chiusi è molto lunga! Notte dopo notte, giorno dopo giorno siamo da lui. Dormiamo a turno, affinché al suo risveglio ci trovi vicino a sé. E’ l’unico modo che ci è dato di amarlo concretamente. Quando esce riusciamo a convincerlo ad entrare in un programma di terapia giornaliera. Non potendo fare altro, con mia moglie facciamo da supporto per le cose pratiche, affidando questo nostro figlio a Dio e chiedendo a Lui di fare il resto. E ci accorgiamo che Egli lo fa davvero, compreso il fatto di mettergli accanto un gruppo di ragazzi che, pur nel loro disagio, si sostengono vivendo l’uno per l’altro». Claire: «Con una delle ragazze del gruppo nasce un’amicizia e ben presto anche lei diventa parte della nostra vita familiare. Ha molteplici problematiche, non ultima quella della tossicodipendenza, ma dimostra di saper comprendere nostro figlio. Lo aiuta a superare i momenti ansiosi, mentre lui la sostiene nei duri tentativi di astinenza dalla droga». John: «Ben presto però la loro relazione si interrompe, perché nostro figlio è contrario all’uso di qualsiasi tipo di droga. La ragazza trascorre un periodo di ricovero forzato nel quale sembra riuscire a farcela. E quando esce provano a ricostruire il loro rapporto su una base più solida: “niente più droghe”. Dopo un po’ di tempo decidono di sposarsi». Claire: «Un mese prima del matrimonio nostro figlio mi telefona tutto allarmato: “Mamma, lei usa di nuovo la droga, cosa devo fare?”. Non è facile rispondere. Potrei approfittare per convincerlo a lasciarla, ma non mi sembra la strada giusta. Così gli suggerisco di guardare bene nel suo cuore: “Se vedi che hai amato saggiamente e fino in fondo, allora questo è il momento di dire che la tua parte è conclusa; ma se vedi che in te c’è ancora amore ‘saggio’ che puoi darle, allora continua a provare”. Segue un lungo silenzio, poi: “Credo che posso amare un po’ di più”. Dopo il matrimonio riescono a trovare un ottimo centro di recupero con un supporto ambulatoriale esterno. Trascorrono 14 lunghi mesi, nei quali lei riesce a mantenere l’impegno “niente più droghe”. È una strada lunga per tutti, ma l’amore evangelico che cerchiamo di avere tra noi due – anche tra le lacrime – ci dà la forza di amare nostro figlio in questa delicata situazione. Un amore che forse aiuta anche a lui a capire come amare sua moglie». (altro…)