Movimento dei Focolari
Aotearoa, cioè Nuova Zelanda

Aotearoa, cioè Nuova Zelanda

Difficile immaginare un luogo più vivibile di Wellington. È vero, qui siamo in estate, il sole splende e la temperatura è ideale. È vero, Eolo in queste ore non soffia troppo impetuoso, nella città considerata la più ventosa al mondo, dopo Chicago. È vero, in questo weekend si svolge la Seven’s Cup, la maggior competizione di rugby a sette del Paese: la gente usa mascherarsi per l’occasione, per la gioia dei fotografi. Ma Wellington in ogni caso è veramente incantevole. Al Saint Mary’s College della capitale, appena sopra le cattedrali cattolica e anglicana, nel weekend del 2 e 3 febbraio si riunisce la comunità neozelandese dei Focolari, più di 200 persone provenienti dalle due principali isole che costituiscono il Paese, appartenenti sia alla maggioranza non indigena che alla minoranza maori, la popolazione locale per cui la è “Aotearoa” (la terra della lunga nuvola bianca). A differenza dell’Australia, dove la convivenza tra gli aborigeni e i non-indigeni presenta ancora gravi difficoltà, qui in Nuova Zelanda le relazioni interetniche sono molto meno problematiche, grazie agli sforzi congiunti delle autorità civili, religiose e culturali. Il Paese pare ormai un vero esempio di convivenza pacifica. Non poteva essere che una karana, il popolare inno danzato maori, a salutare l’arrivo degli ospiti di Roma. Canti corali si alternano a potenti grida – di sfida e di accoglienza nello stesso tempo –, come in qualche modo abbiamo conosciuto dai massimi ambasciatori della Nuova Zelanda nel mondo, i favolosi All Blacks, la squadra di rugby più forte che esista sul pianeta. Un breve ma efficace percorso storico – fatto di immagini, suoni, danze e testimonianze – permette agli ospiti e ai locali di riprendere, valorizzare e capire meglio la vicenda di un popolo composito ma unito, che ha saputo, grazie anche e soprattutto alla presenza cristiana, avere una reale coesione sociale. Che ha permesso di vantarsi dell’invidiabile qualità di coloro che non hanno nemici e che sanno accogliere. Istruttivo, non c’è che dire. Soprattutto in un’epoca in cui l’immigrazione è all’ordine del giorno, anche qui, proveniente in primo luogo dai Paesi asiatici. Welcome home, benvenuti a casa canta la band che coniuga sonorità europee con ritmi e interpunzioni locali, in un mix suggestivo. La ancor breve storia del “popolo nato dal Vangelo”, quello di Chiara Lubich, non poteva che cominciare con il Salmo: «Chiedilo, e ti darò in eredità tutte le nazioni, fino agli ultimi confini della Terra». Qui siamo esattamente agli antipodi di Trento, proprio agli ultimi confini… Una storia cominciata con un adulto olandese, Evert Tros, e con un giovane neozelandese, Terry Gunn, che avevano deciso di cominciare a vivere alla maniera evangelica, seguendo l’esempio della maestrina di Trento. Una storia proseguita più tardi con l’arrivo del focolare, accolto dall’arcivescovo Tom Williams, ora cardinale emerito di Wellington, che tra l’altro aveva conosciuto il carisma dell’unità a Roma, nel 1960, durante le Olimpiadi romane. Per raggiungere poi, in tempi diversi, tutte le principali città della nazione e anche tante zone rurali. È una comunità, quella dei Focolari locali, che appare uno spaccato fedele della società, sia per le diverse età presenti, sia per la composizione “sociologica”con maori e non-maori, ricchi e meno ricchi, immigrati recenti e meno recenti. Bill Murray è un elder, cioè un anziano della sua tribù, Ngati Apa. Con decisione afferma: «Dopo aver conosciuto il focolare ho cambiato non poco la mia vita e il mio modo di essere elder. L’amore di Gesù ormai è parte integrante del mio modo di fare. Ogni mio giudizio o decisione vengono sostenuti dall’amore che ho appreso da Chiara». Riconosce l’importanza dei Focolari per la Nuova Zelanda anche l’attuale arcivescovo di Wellington, mons. John Dew: «Nella secolarizzazione presente lo Spirito ha inviato alcuni carismi per rendere sempre nuovi i messaggi del Vangelo. Qui in Nuova Zelanda vedo che i Focolari hanno capito il popolo e le sue esigenze, e sanno operare con fantasia e coraggio». Alle comunità provenienti dalle città di tutta la Nuova Zelanda, praticamente dall’estremo Nord alle propaggini più meridionali del Paese, si rivolgono Maria Voce e Giancarlo Faletti. «I viaggi che ho fatto mi hanno permesso di conoscere le bellezze di tanti popoli. Figurarsi di voi, che vivete in un Paese così bello e ricco di umanità», ha esordito la presidente, suscitando l’applauso della sala. Anche qui emerge, come già era accaduto in Australia, la forte influenza della secolarizzazione e della multiculturalità. Sono domande esistenziali quelle che vengono poste dai giovani e giovanissimi, sull’esistenza di Dio, sulla salvezza portata da Gesù, sulla libertà che l’uomo ha di peccare, sulla forza di cambiare sé stessi, su cosa si può fare per chi non ha una casa o un lavoro, sulle gravi piaghe innocenti della follia… Sono i figli delle famiglie cristiane che si pongono tali domande, ad evidenziare una nuova, vasta frontiera di evangelizzazione. Le riposte – «sono un cercare insieme, non affermazioni tutte fatte», precisa Maria Voce – indicano l’amore di Dio come risposta credibile e la via della condivisione, dell’unità, come metodo per riuscire a non fallire sotto al peso di tale domande. Altre domande vertono sulla non-credenza, sulle difficoltà nell’educazione alla fede. Maria Voce e Giancarlo Faletti cercano anche in questo caso di dar coraggio, di suggerire la forza dell’unità come risposta, come luogo dove trovare le risposte adeguate. E invitano tutti, anche chi non crede, a mettersi insieme per dare una testimonianza adeguata ai tempi e alle situazioni. Altra domanda impegnativa: «Dio è irrilevante nella vita della maggioranza della gente. Tendiamo perciò a non parlare di Dio. Sappiamo che per prima cosa bisogna amare i nostri prossimi, ma basta? Bisogna anche parlare?». Risponde Giancarlo Faletti: «Dobbiamo vedere Gesù in ognuno e quindi ognuno va amato come se parlassimo con Gesù. Questa è la base. Dopo che l’abbiamo fatto, sentiremo la necessità di parlare ad ognuno nel modo più adeguato per lui». Ma c’è di più: «Dobbiamo saper scegliere i comportamenti giusti, non facendo certe cose o addirittura lasciando certe situazioni. Poi bisogna in qualche modo spiegarsi. Dobbiamo vedere nella nostra vita un annuncio di Gesù e dell’amore di Dio». «Vedo nel Movimento, in qualche modo, la Chiesa così come dovrebbe essere. Come far sì, allora, che tutti sperimentino Gesù in mezzo (Mt 18,20)?», chiede un’aderente del Movimento. E Maria Voce: «Giovanni Paolo II ha detto qualcosa di simile: “Vedo in voi la Chiesa postconciliare”. Come far sì, allora, che tutta l’umanità esperimenti la presenza di Gesù in mezzo? Non sappiamo quando, ma accadrà, perché Gesù lo vuole avendo chiesto al Padre l’unità (Gv, 17,21). Ma ci chiede di aiutarlo a realizzare questo sogno. La nostra parte è quella di stabilire in mezzo all’umanità dei piccoli fuochi, di persone unite nel nome di Gesù. Magari solo due, ma insieme: in una scuola, in un ospedale, in un band, anche in un campo di cricket. Due persone sole, un piccolo fuoco. Ma tanti piccoli fuochi ad un certo punto si collegheranno con gli altri fuochi. E il fuoco diventerà sempre più grande, anche se non sappiamo molto spesso dove il fuoco ha già attaccato. È certo che Dio sta lavorando. E allora cooperiamo anche noi con lui, accendendo e tenendo accesi questi piccoli fuochi». Quest’oggi Wellington è il centro del “popolo nato dal Vangelo”, e non più l’ultimo confine della Terra. di Michele Zanzucchi, inviato (altro…)

Selamat Datang, benvenuti!

Selamat Datang, benvenuti!

«Per giungere dall’aeroporto di Singapore alla città di Johor, appena un’ora di percorso, c’è però un confine da superare, a Woodlands, un fiume che è in realtà un braccio di mare, quello che isola Singapore dalla Malesia. C’è una lunga coda, nel weekend i malesi tornano a casa e molti abitanti di Singapore varcano la frontiera per andar a far shopping nei mall di Johor, molto più economici dei loro. Poco male, nel van che ci trasporta sono in ottima e giovane compagnia. C’è Sophie che è appena arrivata da Jakarta, la capitale dell’Indonesia, 43 anni, due figli di 11 e 14 anni, lavora in una compagnia aerea araba. Mi racconta della sua decisione di vivere da cristiana in un ambiente professionale non sempre facile, non solo e non tanto per motivi religiosi, quanto di qualità del lavoro: «Spesso sono obbligata a non accettare doni e bustarelle che qualcuno vorrebbe darmi, perché purtroppo in Indonesia la corruzione è molto forte». Accanto a lei, sullo sfondo delle highway battute dalla pioggia, si staglia il bellissimo sorriso di Heyliy, un altro mondo, viene da Mumbai, in India, da sette anni a Singapore, dove ha trovato lavoro come hostess in un’altra compagnia aerea. Fa parte di un gruppo di giovani del Movimento dei Focolari composto da otto persone: lei è indiana, una viene dal Brasile, due da Singapore, un’altra alle isole Mauritius, una dalla Malesia, una da Macao e, infine, una dalla Corea! «Il mio lavoro è faticoso, e sottoposto a continue sollecitazioni. Non poche volte debbo muovermi controcorrente, rispettare le diverse culture, cercare di rimanere libera. Mi piace viaggiare e stabilire nuove relazioni. Quindi il lavoro mi piace, ma non i compromessi». Latando ha 26 anni e Oktav 28, sono appena arrivati con un volo da Yogiakarta, capitale culturale dell’Indonesia, dove stanno studiando la lingua italiana con impegno, per il desiderio di trascorrere un periodo di formazione spirituale e professionale in Italia. Hanno una grande speranza: quella di far sì che i loro amici musulmani di Bantul, coi quali hanno a lungo lavorato dopo il gravissimo terremoto del 2009, trovino una via di sviluppo adeguata. Me ne parlano a lungo, due anni di impegno non si dimenticano tanto facilmente. Ancora, c’è Ince, viene dall’isola Indonesiana di Sumatra, più precisamente da Medan. 35enne, amministrativa, non nasconde le difficoltà della vita economica della sua città, ma non cessa di sperare: «La mia gente è naturalmente ottimista. Dio non ci abbandona mai, e non ci abbandonerà oggi come non ci ha abbandonato durante lo tsunami». Anna, 22 anni, è la nostra autista. Abita a Johor, assieme alla sua famiglia, unita al punto da cimentarsi come un coro, e pure di valore. Studia management applicato alla sanità. Positiva e ottimista per natura, lo è anche per volontà: «Credo che la criminalità che colpisce la mia città debba essere sconfitta da buone misure di polizia, ma ancor più da opere di giustizia sociale e politica». Dulcis in fundo, Nicolas, 22enne, singaporiano collo smartphone sempre pronto e perennemente in allarme. Fa il controllore di conti, qui i soldi contano: «Ma io cerco sempre di vedere dietro ai soldi dei volti, delle persone. Non è sempre facile, qui pare che si debba vivere per il denaro. Non ci sto». È questa gente, assieme a 300 altre persone provenienti da Singapore, Indonesia e Malesia, che si raduna quest’oggi, 20 gennaio, nella sale della Cathedral of the Sacred Heart in piena città di Johor, per incontrare Maria Voce e Giancarlo Faletti in visita nella regione. Tanti di loro non si sono mai conosciuti, perché le distanze qui sono non da poco, e non ci sono frequenti occasioni per vedersi. È più facile che si riuniscano tra indonesiani, tra singaporiani, tra malesi… I giovani e giovanissimi sono la stragrande maggioranza, ma non mancano gli “operai della prima ora”, cioè degli anni Ottanta, quando la notizia della maestrina di Trento era arrivata quaggiù. Tanti colori, tanti pensieri, tante attese. Palpabile emozione. Gente diversissima ma comunque accomunata dall’amore evangelico e da quello di Chiara Lubich. Caratteri di popoli diversi che si esprimono cromaticamente, emotivamente e artisticamente in numeri di danza, musica, teatro, rappresentazioni sceniche… Un festival di popoli, un’expo di questa parte del mondo così varia e ricca. «Mi ha colpito la ricchezza di questa gente, che ha mille diverse potenzialità espressive e anche spirituali», commenta Maria Voce. E un giovane di Penang, in Malesia: «Non sapevo che le comunità dei Focolari dei Paesi vicini fossero così diverse, complementari direi. Ho visto che noi malesi da soli non sapremmo essere così ricchi». È un colloquio personale quello che si instaura tra gli ospiti di Roma e i tanti presenti. Domande intime e risposte, in qualche modo altrettanto intime. Un richiamo costante all’amore di Dio e alla coscienza personale. Con l’invito ad una sorta di “anno giubilare”, nel quale dar spazio al perdono, al “ricominciare”, al guardare alla grazia di Dio che arriva… Domande in qualche modo universali, mondializzate, che varrebbero anche se pronunciate a Colonia o a Buenos Aires. Ma con un afflato locale, magari sotto traccia, quello della situazione sociale, religiosa e politica: la difficoltà di impegnarsi per lo stress della vita quotidiana, in cui il lavoro è il valore più importante; il contesto interreligioso, musulmano in particolare; la difficoltà di un vero altruismo; i rapporti intergenerazionali; le leggi non sempre favorevoli a una adeguata convivenza civile… «Solo Dio resta… Dio non ha bisogno di difensori ma di testimoni», conclude Maria Voce. Ed è questo il senso della vita del movimento in queste terre: rinnovarsi sempre nell’amore evangelico e testimoniarlo con la propria vita. Per giungere, poco alla volta, all’unità voluta da Gesù. Selamat Datang è scritto sullo sfondo della sala dell’incontro. Vuol dire “benvenuto”.  poche ore insieme ed è già una certezza». Di Michele Zanzucchi, inviato (altro…)

I bambini e il Vangelo

I bambini e il Vangelo

Quando ci prendono in giro«Un giorno ho avuto zero in matematica, e le mie amiche mi hanno preso in giro. Il maestro mi ha punito ed io ho pianto. Un altro giorno le mie amiche hanno avuto zero in geografia ed io ho avuto 10. Mi sono avvicinata a loro per consolarle, ho cominciato a giocare con loro e  così si sono consolate». (Rita – 9 anni, Repubblica Centrafricana) Chiedete e vi sarà dato – «Una domenica a Messa, il parroco chiedeva dei soldi per qualcosa. Tornando a casa ho chiesto alla mamma, perché non avevo capito bene. Mi ha spiegato che chiedeva un contributo da parte di tutti per poter ingrandire la chiesa, troppo piccola per tutti i fedeli. Io non avevo soldi, ma avrei voluto aiutare. Ho chiesto a Gesù. Un po’ di tempo dopo ho ricevuto la mia pagella. Ero la prima della classe. Mio papà era molto contento perché ero stata brava. Mi ha dato 2000 frs ed io li ho messi in una busta per dare il mio contributo per la chiesa». (Raissa -9 anni, Repubblica Centrafricana) Se Dio è amore, anche noi dobbiamo amarci – «Nella mia classe c’è una bambina che non condivide mai niente con gli altri anche quando potrebbe. In questi giorni veniva a scuola con un libro rotto. Ha chiesto ai compagni: «Qualcuno ha dello scotch per riparare il mio libro?» I miei compagni le hanno risposto: «Lo scotch ce l’abbiamo, ma non te lo diamo, perché tu non ci dai mai niente!» Ma io ho detto: «Io glielo do lo stesso il mio scotch perché Dio è Amore. Ci ama. Anche noi dobbiamo amarci». E ho detto alla compagna:«Ecco lo scotch. Posso aiutarti ad aggiustare il tuo libro, ed ho sentito la gioia nel mio cuore». (Rainatou – 8 anni, Repubblica Centrafricana) Non devi avere paura – «Trascorriamo giorni penosi tra gli scontri in strada e la pace minacciata. Alcune delle famiglie si sono organizzate per diffondere segni di concordia, e anche i bambini partecipano. Magda, 8 anni, ha cominciato a mettere da parte alcune delle sue cose per donarle ai rifugiati. Un’amica ha voluto fare lo stesso. Hanno preparato insieme un bel pacco, da distribuire insieme agli adulti. Arrivato il momento della consegna, la situazione in città si era aggravata. La famiglia di Magda non è fuggita proprio perché la bimba voleva portare a termine la sua iniziativa. C’erano degli scontri sotto casa loro, e Magda ha detto alla mamma: “Tu non devi avere paura. Forse Dio ci fa vivere questo per farci vedere un miracolo”». Come i primi cristiani – «Viviamo momenti pericolosi, ma nonostante questo, un gruppo di bambine, che hanno in cuore i bambini della Siria, hanno voluto fare qualcosa per aiutarli. Un’idea è stata: fare biscotti e torte da vendere. Il parroco, venendone a conoscenza ha detto: “Voi che siete piccoline siete quasi come i primi cristiani, che si aiutavano tra di loro quando erano in necessità”. Il giorno della vendita hanno conquistato il cuore di tutti: dalla signora, che ha preparato una torta di alta pasticceria con la bandiera della Siria, alla coppia che ha fatto arrivare una busta con €1.000 , anche se non aveva potuto comprare la torta, perché, dopo la prima Messa, erano già state tutte vendute. In Egitto i bambini sono stati i pionieri della comunità dei Focolari nell’aiuto alla Siria». Voi siete mie sorelle – «In spiaggia abbiamo incontrato un signore che portava tante borse. Era stanco. Lo abbiamo fatto sedere sulla nostra sdraio. Aveva sete e ci ha chiesto dell’acqua naturale. Mamma aveva solo quella gassata, allora io l’ho chiesta ad una vicina di ombrellone. Quel signore ci ha ringraziato: “Grazie di tutto, voi siete mie sorelle!”. Io ho guardato la mia mamma e le ho detto: “Mamma ti ricordi di quella canzoncina? Chi ci passa accanto è Gesù… che un giorno mi dirà ‘Grazie per quando mi hai sorriso e ti sei preso cura di me!’” Allora mi sono ricordata che nel cuore di quel signore c’era Gesù». (Benedetta – Italia) (altro…)

1° dottorato a Sophia

1° dottorato a Sophia

È il dott. Paolo Frizzi, laureato in Storia all’Università di Padova, il primo candidato ad aver portato a termine il Dottorato di ricerca presso l’Istituto Universitario Sophia (IUS) di Loppiano in “Fondamenti e prospettive di una cultura dell’unità”. Cristianesimo e religioni nel ‘900un argomento impegnativo -: L’intuizione e la vicenda di Chiara Lubich. Storia, Teologia, Società“. Il dottorato indaga infatti sull’esperienza interreligiosa della fondatrice dei Focolari, offrendo una prima lettura  di quanto accaduto grazie al suo carisma di comunione. La giovane istituzione accademica del Movimento dei Focolari ha offerto una novità non solo nell’argomento, ma anche nella natura del lavoro che, fedele allo spirito dello IUS, si è presentato con un approccio interdisciplinare, coniugando teologia, storia e dialogo fra le religioni. Sono queste le tre chiavi di lettura, che il dottorando – trentino come Chiara Lubich – ha usato per leggere un secolo di storia ed accadimenti socio-politici, di riflessione filosofico-teologica, rintracciando al loro interno i rapporti che Chiara, e con lei i Focolari, hanno stabilito nei vari continenti con persone di diverse fedi. «Una tesi – ha affermato mons. Piero Coda, presidente dello IUS e moderatore principale – che nella prassi, nella metodologia e nel risultato onora lo spirito interdisciplinare di Sophia e che dice che tale metodologia di ricerca e di lavoro funziona». Al teologo ha fatto eco lo storico, il prof. Paolo Siniscalco, già ordinario di Storia del Cristianesimo presso l’Università La Sapienza di Roma, secondo moderatore del lavoro di ricerca. Dal lavoro di Paolo Frizzi, spiega, emergono coordinate fondanti del pensiero del ‘900 europeo, all’interno delle quali la Lubich si inserisce quasi ignara, ma grazie, probabilmente, all’intuizione regalatale da un carisma che le permette di cogliere il battito del cuore dell’umanità del suo tempo. Ma la natura del percorso attraversato da Chiara nell’arco del ‘900 richiedeva anche un’analisi sociologica, che la tesi presenta – lo ha sottolineato il prof. Benni Callebaut, terzo moderatore – permettendo di entrare nella fitta nebbia dei processi messi in moto dai rapporti fra le diverse religioni negli ultimi decenni. Si tratta, come è spesso affermato da più parti, di un nuovo spirito religioso che porta dimensioni sconosciute all’Occidente degli ultimi secoli e che permette di vedere all’interno di un panorama nebuloso. All’interno di questi processi di trasformazione, la figura di Chiara Lubich emerge proprio come quella di un profeta che sa coniugare pensiero, spiritualità e dialogo. È una proposta tutta da scoprire che il lavoro di Frizzi lascia aperto ad ulteriori approfondimenti specifici. Lo IUS è, quindi, arrivato al suo primo dottore in “Fondamenti e prospettive di una cultura dell’unità”. Una tappa importante. Un giorno, lo scorso 7 novembre, che allo IUS verrà ricordato perché rappresenta un passo avanti nella scommessa accademica ed intellettuale voluta da Chiara Lubich prima di lasciare questa terra. Fonte: Roberto Catalano su Città Nuova online Chiara Lubich maestra di unità (altro…)

Filippine, tra i villaggi di montagna

Filippine, tra i villaggi di montagna

«Sono una maestra elementare e spesso vengo mandata a insegnare nei villaggi di montagna. Qui, nascosti in territori remoti e impervi, vivono anche gruppi di terroristi che si proclamano liberatori del popolo. Mi era già capitato di imbattermi in quei drappelli, ma ero scappata, trovando un nascondiglio fra le rocce. Una volta, purtroppo, non sono riuscita a nascondermi in tempo. Mi hanno rapita e trascinata al loro campo. Durante quegli interminabili giorni in cui sono rimasta segregata, sono stata sottoposta più volte a lunghi interrogatori. Nonostante la paura, ho cercato di rispondere con molto rispetto, dicendo sempre la verità. Uno di loro, in particolare, ha cercato per ore di indottrinarmi sulla loro ideologia, voleva convincermi a sposare la loro causa. Quando mi ha chiesto cosa ne pensassi, non ho voluto commentare. Il giorno seguente, al ripetersi del suo discorso, ho obiettato che occorre prima cambiare se stessi se vogliamo trasformare le strutture di potere che ci sembrano ingiuste. A cambiarci è l’amore che ognuno ha per l’altro”, ho cercato di spiegargli. Forse le mie parole lo hanno toccato, forse gli hanno ricordato principi in cui aveva creduto. Fatto sta che dopo questo interrogatorio mi ha lasciato andare. Da quel giorno ho sempre continuato a pregare per quell’uomo e i suoi compagni. Recentemente, con mia sorpresa, l’ho riconosciuto in televisione, mentre davano la notizia di un terrorista che aveva consegnato le armi ai militari, lasciando il suo gruppo». Nelda, Filippine. Tratto da “Una buona notizia”, Ed. Città Nuova, Roma, pp. 56/57 Il volume si presenta come un contributo propositivo alla Nuova Evangelizzazione, in vista del Sinodo di ottobre. Contiene 94 brevi storie provenienti da tutto il mondo. (altro…)