Movimento dei Focolari

Intervento di Chiara Lubich al Genfest 2000

Carissimi giovani, bentrovati a questo Genfest che si celebra nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù, nel cuore del grande Giubileo del 2000, trionfo della fede cristiana – come si può costatare – nel mondo, ma soprattutto qui a Roma. E’ mio compito in questo momento narrarvi una storia, una meravigliosa storia, iniziata da giovani di ieri, della quale sono stata testimone, e continuata poi con la collaborazione di giovani d’oggi. Gli inizi di una avventura straordinaria E’ una storia nota a parecchi di voi, ma non a tutti. Non ha tanto per protagonisti quanti sono stati coinvolti con me in un’avventura straordinaria, che a volte sembra togliere il fiato per la sua vastità e complessità; è opera piuttosto di Colui – Dio – che, come segue la grande storia umana, segue anche la nostra piccola storia, personale e collettiva. A Trento, nel nord Italia, infuriava la seconda guerra mondiale. Le bombe, che cadevano notte e giorno, distruggevano ogni cosa. Le mie compagne ed io avevamo i nostri sogni, i nostri ideali, come ad esempio per una farsi una famiglia; per un’altra arredarsi per bene la propria casa o, per un’altra, ancora cercare nello studio la propria realizzazione… Ma quel fidanzato non è più tornato dal fronte. Quella casa è stata sinistrata. Il mio studio di filosofia in una città universitaria è stato sospeso per gli sbarramenti della guerra. Tutto ciò a cui si pensava, veniva meno. Ogni nostro sogno s’infrangeva contro una cruda realtà. Che fare? Nella generale desolazione, nella constatazione evidente che tutto passa, si è affacciato alla mia mente un interrogativo: ci sarà un ideale che nessuna bomba può far crollare, per il quale merita spendere la nostra vita? E subito una luce, quasi una folgorazione: sì, c’è! E’ Dio. Dio che è Amore. Dio, dunque, che ama ciascuno di noi, anche se non lo sappiamo. In un attimo, ho, abbiamo deciso di fare di Lui il perché, l’Ideale della nostra esistenza. Ma, se Egli ci ama – abbiamo deciso – lo ameremo anche noi. La guerra intanto con i suoi bombardamenti, spietata, non lascia tregua. Dobbiamo correre più volte al giorno in un rifugio. Non possiamo prendere nulla con noi se non un piccolo libro: un Vangelo. E’ in esso che avremmo imparato come fare ad amare Dio. Lo apriamo: una luce illumina ad una ad una quelle parole ed un impulso interiore ci spinge a metterle in pratica. “Ama il prossimo come te stesso” (Mt 19,19), troviamo. Ed ecco che ci sforziamo di amare le sorelle e i fratelli che incontriamo, come fossero noi stesse. “Qualunque cosa hai fatto al minimo dei miei fratelli, l’hai fatta a me” (cf Mt 25,40), leggiamo. “L’hai fatta a me”, dice Gesù. Uscite dal rifugio, cerchiamo questi minimi: sono i nuovi orfani della guerra, i mutilati, i feriti, i poveri, gli affamati, i senza tetto… ed amiamo in essi Gesù. Il Vangelo dice: “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38). Diamo il poco che abbiamo e arriva tanta roba, così tanta che i sacchi e i pacchi riempiono ogni giorno il corridoio della casa. Il Vangelo ammonisce: “Cercate il Regno di Dio e il resto verrà in soprappiù” (cf Mt 6,33). Cerchiamo che l’amore regni in noi e arriva quanto ci è necessario. Così. Così sempre. Sembra di vivere nel miracolo. Due impressioni si imprimono nel nostro animo. La prima: ogni promessa del Vangelo si attua. Dunque il Vangelo è vero. Gesù mantiene anche oggi la sua parola. La seconda: nel Vangelo Gesù chiede soprattutto amore, e per amare dare. E’ una cultura nuova quella che emerge da quel libro. La chiameremo in seguito “la cultura del dare”. Intanto nuove ragazze e poi ragazzi ed altre persone ancora si uniscono a noi per vivere la stessa esperienza. I pericoli della guerra però aumentano. Anche se giovani, possiamo morire da un momento all’altro. Nasce un desiderio in cuore: vorremmo conoscere la Parola di Gesù che gli è più cara per viverla a fondo, almeno in quelli che possono essere gli ultimi istanti della nostra vita. La scopriamo. Dice così: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Ed Egli ci ha amato fino a dare la vita per noi. In cerchio, le une accanto alle altre, ci guardiamo in faccia e ognuna dichiara all’altra: “Io sono pronta a morire per te”, “Io per te…”. Tutte per ciascuna. E l’amore reciproco diventa il nuovo stile della nostra vita. Si fa certamente tutto quanto è nostro dovere (lavoro, studio, preghiera, riposo), ma sulla base del vicendevole amore. Non è facile amarci sempre, non è semplice mantenere quest’unità. Per qualche nostra mancanza, si sperimenta a volte un profondo disagio. Come fare allora a ricomporre l’unità così spezzata? Troviamo ben presto nel Vangelo la risposta. Pure Gesù, a causa nostra, ha provato il dolore della disunità quando in croce ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Egli però non è rimasto in quello spacco. “Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito” (Lc 23,46) ha continuato, ricomponendo così la sua unità col Padre.  Abbiamo deciso di fare così anche noi con i nostri fratelli, con le nostre sorelle. Per quest’unità vissuta e sempre ricomposta, ecco la meraviglia! Gesù, che aveva detto: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel suo amore), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), veniva a stare in mezzo a noi spiritualmente ma realmente. E, perché Egli c’era, si provava una gioia mai prima conosciuta, una pace nuova, un nuovo ardore; e una sua luce ci guidava. E perché Gesù era fra noi, la gente attorno acquistava o riacquistava la nostra stessa fede; cosicché, dopo circa due mesi, eravamo già in cinquecento, di ogni età, di ogni categoria sociale, di tutte le vocazioni. Iniziava perciò a realizzarsi il sogno di Gesù, implorato dal Padre prima di morire: “Padre, che tutti siano uno”. Si conosceva certamente anche l’incomprensione del mondo, e varie prove non sono certo mancate: ma l’albero, che porta frutto, va potato, dice il Vangelo. E i frutti sono stati senza numero. A Trento quel primo gruppo, allargandosi, era diventato ormai Movimento che – finita la guerra – si è diffuso come un’esplosione, dapprima in Italia, poi in Europa e negli altri quattro continenti. Ora è presente in 182 nazioni del mondo, in tutte praticamente. Cosicché l’amore, l’amore vero divampa in ogni angolo della terra: è un’autentica rivoluzione d’amore. Alla vita del Movimento partecipano, oltre i cattolici, cristiani di 350 Chiese, fedeli di altre religioni e persone di culture diverse ma di buona volontà, tutti legati dal dovere di amare iscritto nel DNA di ogni creatura umana e presente, fra il resto, nei principali libri sacri delle varie Religioni. Sin dall’inizio della nostra avventura si era capito che con questo spirito d’amore, d’unità, di fratellanza, avremmo visto nascere su tutta la terra “uomini nuovi”, rinnovati dal Vangelo. E oggi è così. E’ un fenomeno ormai consolante che riguarda milioni di persone. Si era capito che in seguito avremmo visto “città nuove” tutte informate dall’amore vero, dalla pace, dalla giustizia, dalla libertà. Ed ora nei 5 continenti sono sorte, più o meno complete, 20 cittadelle che portano nel loro seno persone di ogni età, delle nazioni più diverse, di varie razze, di molte lingue, tutte unite, un cuor solo, a testimonianza d’un futuro possibile mondo unito. Si prevedeva ancora il rinnovamento di popoli interi, il sorgere di “popoli nuovi”. Giovani: nasce il Movimento Gen, Generazione Nuova Intanto, lungo gli anni, ecco altri giovani ai quali abbiamo passato, per così dire, la nostra bandiera. Su una faccia è scritto: unità, il nostro fine; sull’altra la chiave per realizzarla: Gesù abbandonato. Ed è nato il Movimento Gen, generazione nuova. I giovani e quelli che sono loro succeduti via via, proprio per le qualità naturali e spirituali loro proprie, hanno rappresentato sempre per tutti noi l’autenticità, la purezza, l’arditezza, la vastità e la concretezza del nostro Ideale. E in questi ultimi decenni il loro contributo alla causa comune è stato consistente e determinante. Africa: un popolo del Camerun rischia l’estinzione    Posso raccontarvi qui solo una delle loro azioni. Per capirla bene, occorre che vi narri una storia, quasi una favola riguardante un popolo africano del Cameroun anglofono. Nel 1966 veniamo a conoscenza della situazione dei Bangwa, gente che viveva in piena foresta, poverissima, affetta da molte malattie, con una mortalità infantile del 90%, che faceva prevedere la completa estinzione della popolazione. Disperati si erano decisi di innalzare, per un anno intero, assidue preghiere all’Essere supremo della loro religione tradizionale, ma senza risultato. “Forse abbiamo pregato troppo poco – hanno detto -; preghiamo un altro anno”. Ma alla fine del nuovo anno ancora nulla. “Forse siamo troppo cattivi. Affidiamoci alle preghiere della missione cattolica più vicina e diamo un’offerta”, hanno concluso. Quel Vescovo, venuto a Roma, chiede a noi dei focolarini medici. Accorrono e aprono ben presto, in una squallida capanna, visitata anche da qualche serpente, un dispensario.  Sentono, come primo dovere, di amarsi fra loro reciprocamente per dare testimonianza del Vangelo che vivono. Amano pure tutta quella gente, indistintamente, ad uno ad uno, sull’esempio del Padre nel Cielo, che manda sole e pioggia su buoni e cattivi. Amano sempre, per primi … In una delle mie prime visite di quegli anni, mentre gruppi di Bangwa, di fronte a noi e al loro re, il Fon Defang di Fontem, saggio e prudente, si alternavano in varie danze, in un’ampia radura nella foresta, ho avuto come una previsione: mi è sembrato che Dio come un sole avvolgesse tutti loro con noi; e in quel sole, quasi segno divino, m’è sembrato di presagire lì, in piena foresta tropicale, la nascita di una città, costruita insieme; città a cui molti sarebbero accorsi per vedere cos’è l’amore, che cos’è la fraternità umana. E l’ho detto. 1968 –I giovani lanciano l’Operazione Africa     Ben presto arrivano aiuti d’ogni genere. Ci pensano soprattutto i nostri giovani, gen di tutto il mondo, interessando molti al progetto e lanciando la cosiddetta “Operazione Africa”. Si può così edificare un modesto ospedale, aprire scuole. Salendo su un monte, imprigionare una sorgente per un minimo di elettricità per l’ospedale. Si costruiscono case dapprima con mattoni di pota-pota, cioè di terra bagnata, poi più solide.  Alcuni gen, di tempo in tempo, raggiungono gli altri sul posto, si rimboccano le maniche e offrono il loro lavoro almeno per uno o due anni. Focolarini e gen insieme continuano ad amare tutti quei fratelli nell’estremo bisogno ed a rafforzare il loro amore reciproco con tenacia. Sono essi stessi, il loro modo di comportarsi, le uniche parole vive che possono offrire intanto a quel popolo. Tra i Bangwa c’è chi osserva a lungo per mesi: ancora prevenuti contro il colonialismo, vogliono accertarsi se quegli uomini e quelle donne bianchi abbiano, nel loro agire, degli interessi personali. Convinti della sincerità e trasparenza dei nuovi ospiti, decidono di collaborare, e focolarini, gen e Bangwa si trovano così tutti affratellati nel costruire il bene comune di quella popolazione. Gli sviluppi          Passano gli anni e tutto cresce: l’ospedale si è ingrandito; la mortalità infantile si è ridotta al 2%; la piaga della malattia del sonno è debellata; si costruisce un College con le classi inferiori e superiori; vengono aperte 12 strade per il collegamento con i vari villaggi. I nostri, con l’aiuto dei Bangwa, costruiscono una sessantina di altre case; loro, con il nostro, molte altre. E’ stata edificata anche una bella chiesa, richiesta dai molti cristiani presenti. Intanto Fontem, diventa dapprima sottoprefettura e ora prefettura. Il governo vi ha aperto alcune scuole, installato un acquedotto e portato la luce elettrica. Il ritorno a Fontem dopo 30 anni      In questi ultimi mesi, dopo più di trent’anni, sono ritornata a Fontem e la nuova città bella e grande è sotto gli occhi di tutti, visitata spesso da gente di altre nazioni africane e non solo. La fama della sua peculiarità s’irradia. L’abbiamo attraversata in lungo e in largo ed abbiamo visto gente felice, bimbi bellissimi, sani e paffutelli, giovani robusti e forti, signore ben vestite…  E tutti salutavano e sorridevano. In quei giorni ci hanno riempito di regali. Abbiamo saputo che l’ospedale è così apprezzato che preferiscono curarsi da noi anche malati della capitale. Le scuole sono così stimate che vengono frequentate da ragazzi mandati dai genitori Bangwa che, una volta laureati, occupano ora posti di responsabilità come direttori di banca, avvocati, professori universitari e anche deputati, consoli, ambasciatori… in alcune nazioni d’Europa e in America. Abbiamo visto cosa può fare l’amore, cosa può costruire la fraternità vissuta tra persone di due continenti, divenute una cosa sola. Ed ora? Molti Bangwa continuano a professare la religione tradizionale e la struttura di base è sorretta ancora da un sistema ancestrale che si regge su mille norme tradizionali, ma si può dire che la fraternità laggiù trionfa e fa “miracoli”. Il nuovo re, il dott. Lucas Njifua Fontem, figlio del precedente, ha visto e ha capito. Tutti quelli che seguono questa via – ebbe a dirci – sono giusti e retti e concorrono al bene del popolo.  Egli dichiara apertamente che lì a Fontem, gli abitanti che seguono il Movimento non gli presentano mai alcun problema; non bisticciano per i confini delle loro terre, ma li definiscono in armonia; vivono assolutamente in pace. Tra loro nessuno ruba; non feriscono e tanto meno uccidono; sembra non abbia senso per loro la polizia; l’analfabetismo si sta attenuando; trovano soluzioni per tutti i problemi riguardanti la famiglia; salvano la vita, già molto apprezzata dalla cultura africana, in ogni sua età; curano la salute con meticolosità; rispettano l’autorità e hanno profonda stima degli anziani; sono d’una generosità incredibile: la “cultura del dare”, effetto della fraternità, brilla.  Per questo il re, pubblicamente, durante quest’ultimo nostro soggiorno, si è messo alla testa del suo popolo, invitando tutti, con decisione ed ardore, a far proprio lo spirito del nostro Movimento. L’amore evangelico sta, dunque, trasformando una tribù in un popolo e questo popolo ha fatto dell’umanità, lì presente, una fraternità socialmente solida che ha raggiunto pure il proprio fine politico: il bene comune. E l’amore reciproco sta trasformando questo popolo in Regno di Dio, quasi in un piccolo Paradiso. E’ proprio questa, quindi, l’ora dei popoli nuovi. Come avete sentito, protagonisti del “miracolo”, appena descritto, sono stati con i focolarini, che vi hanno speso forze, lavoro, tempo e qualcuno la vita, i nostri giovani che hanno lavorato sodo e a lungo nel mondo intero. Progetto Africa 2000      In questo momento a Fontem mancano ancora molte cose. E, accanto al popolo Bangwa, a Fonjumetaw vive un altro popolo, con un altro re che ha lo stesso sogno di quello di Fontem. Lo abbiamo conosciuto e incominciato ad aiutare. Ma tutt’intorno a Fonjumetaw ancora foresta impenetrabile, malattie e fame… Durante il nostro soggiorno laggiù personalità ecclesiastiche, che sanno della presenza del Movimento in molte nazioni del continente africano, ci hanno incoraggiato dicendo: “Ciò che avete fatto a Fontem dovete farlo in tutta l’Africa e nel Madagascar”. Carissime e carissimi, è una sfida questa. Dobbiamo accoglierla? I focolarini, per quanto possono e per quanto Dio li aiuterà, hanno già detto il loro sì. Che diranno i giovani? Sono certa della loro generosità. La consegna         Amiamo, carissimi giovani, continuiamo ad amare, e il mondo intero cambierà. Amiamo e concorreremo a costruire la “civiltà dell’amore” che il nostro pianeta, pur nelle sue tensioni, ma anche nelle sue attuali aperture e possibilità, attende. Gesù desidera che il mondo sia invaso dall’amore: “Fuoco – ha detto – sono venuto a portare sulla terra e che altro voglio se non che s’accenda?” (Lc 12,49). Diamogli la possibilità di vederlo divampare anche per il nostro impegno. L’idea allora di un mondo più unito, di un mondo unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande consolantissima realtà. E il tempo futuro è soprattutto nelle vostre mani. Con Dio in cuore tutto si potrà. E Dio lo vuole certamente. Saremo, sarete all’altezza?   (altro…)

Genfest 2000 nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù

“Contribuite ad un mondo nuovo…” La diversità di cultura e religione come ricchezza reciproca… voci di un giovane ortodosso di Mosca, di indù, musulmani, buddisti”… un mondo fondato sulla potenza dell’amore e del perdono”. “Non abbiate paura di essere i santi del Terzo millennio”. (Giovanni Paolo II) Una consegna “Amiamo, continuiamo ad amare, e il mondo intero cambierà. Contribuiremo a costruire la civiltà dell’amore che il nostro pianeta, pur nelle sue tensioni, ma anche nelle sue attuali aperture e possibilità, attende. Gesù desidera che il mondo sia invaso dall’amore: “Fuoco sono venuto a portare sulla terra!”. L’idea allora di un mondo più unito, di un mondo unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande, consolantissima, realtà. E il tempo futuro è soprattutto  nelle vostre mani. Con Dio in cuore tutto si potrà! Dio lo vuole! Saremo, sarete all’altezza?” Chiara Lubich   (altro…)

UNIRedes: speranza per l’America Latina e per il mondo

UNIRedes: speranza per l’America Latina e per il mondo

La sede di Pedrinhas (SP, Brasile) della Fazenda da Esperança accoglie giovani e adulti che stanno affrontando fasi diverse del recupero dalla tossicodipendenza e da varie forme di dipendenza e disagio sociale. Non poteva esserci posto migliore per ospitare il convegno di UNIRedes, la piattaforma di ONG, progetti sociali, umanitari e di agenzie culturali che si ispirano alla spiritualità dell’unità di Chiara Lubich in America Latina. Erano presenti 140 persone di 37 delle 74 organizzazioni partners di UNIRedes, attive in 12 paesi di America Latina e Caraibi.

Scopo del convegno era presentare il lavoro di questi anni a Margaret Karram e Jesús Morán presenti all’incontro; definire i prossimi passi comuni a tutte le organizzazioni partner e rinsaldare il legame con il Movimento dei Focolari per poter condividere, anche oltre il continente Latino-americano, l’esperienza maturata.

UNIRedes: una rete di reti

Maria Celeste Mancuso, argentina, co-responsabile internazionale del Movimento Umanità Nuova, spiega che UNIRedes non è solo un super progetto solidaristico: “È anche uno spazio che genera una riflessione culturale per individuare le categorie antropologiche ed epistemologiche necessarie per generare una nuova cultura della cura della persona e delle società latino-americane”. È per questo motivo che anche le agenzie culturali ispirate al carisma dell’unità come l’Istituto Universitario Sophia (Loppiano, Italia), la sua sede locale, Sophia America Latina e Caraibi (ALC) e il Centro Universitario ASCES UNITA di Caruaru (PE) ne fanno parte a pieno titolo.

Virginia Osorio, uruguayana, una delle iniziatrici del progetto, ne spiega le origini: “I continui cambiamenti politici ed economici dei nostri Paesi rendevano le nostre organizzazioni sempre più fragili e isolate. Con UNIRedes abbiamo ritrovato un luogo in cui rafforzarci a vicenda e condividere sofferenze e speranze. L’ultimo nostro progetto è stato per il Genfest: centinaia di giovani hanno fatto volontariato presso molte delle nostre organizzazioni, vivendo sulla propria pelle esperienze di fraternità e vicinanza ai più poveri”.

La radice comune: “morire per la propria gente”

La prima radice di UNIRedes non si fonda su analisi geopolitiche o economiche: bisogna tornare all’inizio degli anni ’70 quando anche i Gen, i giovani dei Focolari, come molti dei loro coetanei in tanti paesi, volevano cambiare il mondo e portare uguaglianza, giustizia, dignità.

Chiara Lubich, che li incontrava frequentemente, aveva supportato e confermato la necessità di fare una rivoluzione sociale pacifica, specialmente in America Latina, continente che vedeva identificato con questa speciale vocazione. Diceva ai giovani dei Focolari che: “Ognuno deve sentire che dobbiamo morire sì per l’umanità, ma bisogna che troviamo il nostro Gesù Abbandonato locale per morire per la nostra gente”[1].

“È così che molti sono andati nelle periferie delle città, nelle favelas, ovunque la povertà toglieva dignità alle persone” – racconta Gilvan David, brasiliano, del gruppo latino-americano di articolazione di UNIRedes. “Sono nate le prime NGO e nel frattempo tentavamo di strutturarci, ma non bastava: ‘Voi venite da noi – ci dicevano i poveri – però poi andate via e ci lasciate soli’. Per rispondere a questo grido abbiamo iniziato ad operare in rete con le politiche pubbliche locali e nello stesso periodo, anche diversi sacerdoti che vivevano la spiritualità dell’unità hanno fondato progetti sociali: Frei Hans con la Fazenda da Esperança, padre Renato Chiera con la Casa do Menor e altri”.

Un’ “unica” America Latina

“Poi sono nati i primi gruppi di organizzazioni – continua Gilvan David – ‘Sumá Fraternidad’, che raccoglieva i progetti di alcuni paesi di lingua spagnola; l’associazione civile ‘Promocion Integral de la Persona’ (PIP) in Messico e le organizzazioni sociali brasiliane continuavano a crescere, trovando la propria identità e spazio di servizio. Non sono stati anni facili, ma abbiamo cominciato vari percorsi in diversi territori della America Latina per sostenerne l’impegno sociale che poi sono confluiti in UNIRedes. Ci siamo riuniti diverse volte, ma l’incontro fondativo è stato nel 2014, presenti anche Emmaus Maria Voce e Giancarlo Faletti, allora Presidente e Co-presidente del Movimento dei Focolari. Emmaus in quell’occasione disse: ‘Voi date al Movimento una nuova visibilità̀, un nuovo senso alla sua azione, siete una testimonianza per chi vi guarda da fuori; date visibilità completa al Carisma attraverso azioni concrete’. Direi che è stato allora che ci siamo riconosciuti come realtà unica per tutta l’America Latina: ci siamo ritrovati abbracciati dal Carisma dell’unità”.

Sono stati molti e di sostanza i contributi che hanno costruito questo convegno, insieme alla presentazione delle diverse organizzazioni partner.

Juan Esteban Belderrain: dalla disuguaglianza alla speranza

Il politologo argentino Juan Esteban Balderrain ha analizzato la piaga della disuguaglianza di cui l’America Latina detiene il primato mondiale. “Si tratta di costruire una visione di questo continente che parta dalla speranza e questo è possibile perché, se guardiamo alla radice più profonda del problema della disuguaglianza, troviamo la perdita del riferimento a quel Dio che è amore e che ci aiuta a capire che siamo fratelli e sorelle gli uni degli altri e con la natura, che è anche espressione del suo Amore. Riferendosi al XX secolo, Paolo VI disse che quello era un tempo benedetto poiché esigeva da tutti la santità. Penso che queste parole valgano anche per il nostro”.

Padre Vilson Groh: la “mistica degli occhi aperti”

Da oltre 40 anni Padre Vilson vive nel “morro”, una favela di Florianopolis (Santa Catarina, Brasile), portando avanti progetti sociali soprattutto per i giovani. Ha parlato della “mistica degli occhi aperti”: “Dobbiamo portare le nostre organizzazioni nelle cantine oscure delle nostre periferie; essere lì una speranza. Il Genfest ha portato la prospettiva dell’“insieme”, che papa Francesco promuove. Questo richiede un cammino paziente, resiliente; domanda di essere saldi nella ricerca del bene comune. L’unità è superiore al conflitto, dice sempre il papa, e l’unità è pluralità. Portiamo la diversità dentro le nostre organizzazioni: il carisma dell’unità è una porta affinché Cristo piagato apra spazi”.

Vera Araujo: America Latina costruttrice di fraternità

L’intervento della sociologa brasiliana si è concentrato su una visione positiva che sa riconoscere il patrimonio culturale e umano latino-americano e lo offre in dono al mondo.

“UNIRedes ha origine nel carisma di Chiara Lubich e può trasformarsi in un’incredibile opportunità anche per il resto del mondo: l’unità vista non solo come valore religioso, ma anche come forza capace di comporre efficacemente la famiglia umana, realizzando un’interazione tra la molteplicità delle persone, preservando le distinzioni nel contesto delle realtà sociali. Qui il carisma dell’unità offre una soluzione non facile, ma un senso, un significato, una Persona: Cristo Abbandonato sulla croce.

E, per bene amare, – dice Chiara – non vedere nelle difficoltà e storture e sofferenze del mondo solo mali sociali cui portare rimedio, ma scorgere in esse il volto di Cristo, che non disdegna di nascondersi sotto ogni miseria umana” [2]

Susana Nuin Núñez: il cammino dei popoli e dei movimenti sociali

La sociologa uruguayana ha descritto il cammino e la ricchezza sociale, politica, economica dei popoli del continente e di alcuni movimenti sociali. “Queste reti con le loro più svariate fisionomie, con i loro sviluppi nelle pratiche sociali o nel mondo accademico, agiscono in modo complementare, generando un indiscutibile tessuto socio-culturale dal multiforme carattere comunitario di cui l’America Latina è portatrice”. Sottolinea poi la peculiarità di UNIRedes che da oltre dieci anni è un soggetto sociale che cura, rivoluziona, trasforma e influisce a partire dal Vangelo e dalla parola dell’unità.  

Margaret Karram e Jesús Morán: UNIRedes è parte del Movimento dei Focolari

“Chi vuole vivere il Vangelo in questa regione è sempre in crisi perché vede disuguaglianze costantemente” – evidenzia Jesús.  “L’unità non può non assumere questa realtà. Come facciamo l’unità in questo continente, senza tener presente gli scartati dalla società? Quello che voi fate come UNIRedes deve informare tutto il Movimento in questa regione; non è credibile il suo lavoro per l’unità se non avviene anche attraverso le opere sociali. Certo, non saremo noi a risolvere i problemi sociali. L’unica cosa che possiamo fare è far sì che la gente si converta all’amore. Se tocchiamo i cuori, qualcuno coglierà lo spirito e nella libertà capirà come vivere il Vangelo”.


Margaret incoraggia UNIRedes ad andare avanti: “Ora bisogna capire come far arrivare a tutti nel mondo la vostra vita e il vostro esempio. Citando una conversazione di Chiara Lubich del 1956, ha ribadito che nel suo impegno sociale il Movimento non deve dimenticare che la chiave per la soluzione dei problemi che il Carisma dell’unità offre sta nella novità della reciprocità più che nella giustizia. Promuove la condivisione, il mettere in comune tra tutti quel poco o tanto di cui si dispone per creare un Bene Comune maggiore che, oltre a risolvere i problemi sociali, produce quella realizzazione umana e spirituale che accade solo nella comunione tra tutti. Infine Margaret lancia una proposta: “Aggiungere un nuovo articolo nella vostra Carta dei principi e degli impegni: un patto solenne di fraternità da proporre a chi vuol far parte di UNIRedes: siamo qui per testimoniare l’amore reciproco e solo se avremo questo amore, il mondo crederà”.

“UNIRedes ci parla di speranza” – conclude M. Celeste Mancuso. “È una proposta trasversale e sinodale di rete organizzativa che può ispirare modelli simili per quelle periferie esistenziali di altre parti del nostro vasto mondo. Così si potrà pensare di costruire reti globali di fraternità che promuovano il bene comune”.

Stefania Tanesini


[1] Chiara Lubich alla “Scuola Gen”, Rocca di Papa (Roma, Italia), 15 maggio 1977

[2] Chiara Lubich, Para uma civilização da unidade. Discurso proferido no Congresso “Uma cultura de paz para a unidade dos povos”, Castelgandolfo, (Roma) 11-12 de junho de 1988

Dalla comunità “tri-nazionale” un futuro di fraternità per l’America Latina

Dalla comunità “tri-nazionale” un futuro di fraternità per l’America Latina

In questo incrocio di Paesi dove confluiscono i fiumi Iguaçu e Paranà, c’è la frontiera più trafficata dell’America Latina; l’area è caratterizzata da una grande diversità culturale e dalla presenza secolare dei popoli indigeni, come il grande popolo Guaraní. Il turismo è la maggior risorsa economica di questa regione in cui la gente arriva soprattutto per visitare le Cascate dell’Iguaçu che sono le più estese al mondo, con una larghezza di 7.65 Km e sono considerate una delle sette meraviglie naturali del pianeta.

Nel suo messaggio di benvenuto, Tamara Cardoso André, Presidente del Centro per i Diritti Umani e la Memoria Popolare di Foz do Iguaçu (CDHMP-FI) spiega che in questo luogo si vuol dare un significato diverso ai confini nazionali: “Vogliamo che la nostra triplice frontiera diventi sempre più un luogo di integrazione, una terra che tutti sentano propria, come la intendono i popoli originari che non conoscono barriere”.

È qui che si conclude il viaggio di Margaret Karram e Jesús Morán – presidente e co-presidente del Movimento dei Focolari – in Brasile. Lo hanno percorso da Nord a Sud: dall’Amazzonia brasiliana, passando per Fortaleza, Aparecida, la Mariapoli Ginetta a Vargem Grande Paulista, la Fazenda da Esperança a Pedrinhas e Guaratinguetà (SP), fino a Foz do Iguaçu. Qui la famiglia “allargata” della comunità tri-nazionale dei Focolari celebra la sua giovane storia e racconta il contributo di unità che offre a questo luogo: l’abbraccio di tre popoli che la spiritualità dell’unità riunisce in uno, superando i confini nazionali, pur mantenendo ciascuno la propria spiccata identità culturale. Per l’occasione sono presenti anche il Card. Adalberto Martinez, arcivescovo di Asuncion (Paraguay), il vescovo del luogo Mons. Sérgio de Deus Borges, Mons. Mario Spaki, vescovo di Paranavaí e Mons. Anuar Battisti, vescovo emerito di Maringá. È presente anche un gruppo della comunità islamica di Foz con cui ci sono da tempo rapporti di amicizia fraterna.

Arami Ojeda Aveiro, studentessa di Mediazione Culturale presso l’Università Federale di Integrazione Latino-americana (UNILA) illustra il cammino storico di questi popoli e le gravi ferite che si sono accumulate lungo i secoli. Il conflitto tra Paraguay da una parte, e Argentina, Brasile e Uruguay dall’altra (1864-1870) è stato uno dei più sanguinosi dell’America del Sud in termini di vite umane, con conseguenze sociali e politiche per tutta la regione. D’altra parte, sono molti anche i fattori culturali in comune, come la musica, la gastronomia, le tradizioni popolari derivanti dalla stessa radice culturale indigena, come la Yerba Mate Guaranì, bevanda tipica dei tre popoli.

La cultura Guaranì è una delle più ricche e rappresentative dell’America del sud; è una testimonianza viva della resilienza e della capacità di adattamento di un popolo che ha saputo conservare la sua identità nei secoli con una cosmogonia unica, dove la connessione con la natura e il rispetto delle tradizioni sono fondamentali e possono essere una grande ricchezza per tutta l’umanità.

“Per questo – conclude Arami Ojeda Aveiro – la regione della tripla frontiera non rappresenta solo un confine geografico, ma uno spazio multiculturale e di cooperazione che rafforza tutta l’area”.

Tra tutte le comunità dei Focolari nel mondo, questa presenta un carattere unico: “Sarebbe impossibile sentirci una sola famiglia se guardassimo solo alle nostre storie nazionali” – racconta una giovane argentina. Monica, paraguaiana, una delle pioniere della comunità insieme a Fatima Langbeck, brasiliana, racconta che tutto è iniziato con una sua preghiera quotidiana: “‘Signore, aprici il cammino perché possiamo stabilire una presenza più solida del Focolare e che il Tuo carisma dell’unità fiorisca tra di noi’. Dal 2013 siamo un’unica comunità e vogliamo scrivere un’altra storia per questa terra, che testimoni che la fraternità è più forte di pregiudizi e ferite secolari. Ci unisce la parola dell’unità di Chiara Lubich, quando ha detto che la vera socialità supera l’integrazione, perché è amore reciproco in atto, come annunciato nel Vangelo. Le nostre peculiarità e differenze ci fanno più attenti gli uni agli altri e le ferite delle nostre storie nazionali ci hanno insegnato a perdonarci”.

I contributi artistici dicono la vitalità e l’attualità delle radici culturali dei popoli che abitano questa zona. Ci sono i canti della comunità argentina arrivata dal “litoral”, dalla costa; poi “El Sapukai”, la ritmatissima danza paraguaiana che si balla con (fino a) tre bottiglie sul capo; la rappresentanza del popolo Guaranì intona un canto nella propria lingua che loda la “grande madre”, la foresta, che va protetta, produce buoni frutti e dà vita a tutte le creature.

Don Valdir Antônio Riboldi, sacerdote della diocesi di Foz, che ha conosciuto i Focolari nel 1976 continua il racconto per iscritto: “I Focolari di Curitiba in Brasile e di Asuncion in Paraguay hanno iniziato a promuovere eventi che coinvolgevano persone delle tre nazioni vicine, un’esperienza che chiamavamo ‘Focolare tri-nazionale’. Anche la vita ecclesiale qui si muove sulla linea della comunione, promuovendo iniziative congiunte tra le diverse diocesi”.

È chiaro che la vita di questa regione e della comunità dei Focolari locale non parla solo all’America Latina, ma al mondo intero. E dice che è possibile camminare insieme, essendo diversi: è la spiritualità dell’unità che entra in contatto con la parte più profonda dell’identità di persone e popoli, facendo fiorire la comune umanità e fratellanza.

“Mi sono sentita abbracciata non da uno, ma da tre popoli – ha detto Margaret Karram. Per tutta la vita ho sognato di vivere in un mondo senza frontiere. Qui mi è sembrato di veder realizzato questo mio desiderio profondo, per questo mi sento parte di voi. Siete la conferma che solo l’amore toglie ogni ostacolo ed elimina le frontiere”.

“Ho vissuto in America Latina 27 anni – ha continuato Jesús Morán – ma non sono mai venuto in questa zona. Avete vissuto tanti dolori: il popolo Guaranì è stato espropriato delle sue terre e disperso. Quel che state facendo oggi è importante anche se piccolo: non possiamo riscrivere la storia, ma possiamo andare avanti e sanare le ferite, accogliendo il grido di Gesù abbandonato. Le ferite si sanano creando relazioni interregionali anche con i popoli originali perché di fatto sono gli unici realmente ‘tri-nazionali’. Anche loro hanno ricevuto la luce di Cristo; non dimentichiamo l’opera di evangelizzazione e promozione umana che i Gesuiti hanno fatto in questa regione con “las Reduciones” dal ‘600 al ‘700. Oggi siamo collegati a questa storia, a tutto quello che la Chiesa fa e sappiamo che l’unità è la risposta in questo mondo che necessita di un’anima e di braccia per fare una vera globalizzazione all’altezza della dignità umana”.

Alla fine, riprendendo la parola, Margaret condivide quanto vissuto in questo mese: “Questo viaggio ha aumentato in me la fede, la speranza e la carità. In Amazzonia, ai confini del mondo, la ‘fede’ è emersa potente: ho incontrato persone che credono fortemente che tutto è possibile, anche le cose più difficili. Loro sognano e realizzano! Vorrei avere anche solo un pizzico della loro fede, come dice il Vangelo: “Se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: «Spostati da qui a là», ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” (Mt 17,20). Da lì mi porto questa fede che sposta le montagne e il coraggio di sognare cose grandi. Poi, la parola del Genfest non può che essere ‘speranza’: abbiamo vissuto questa esperienza insieme: tutto il Movimento era impegnato con i giovani e per i giovani. È stato anche un evento ecumenico e interreligioso che ha dato molta speranza.

E per ultima la ‘carità’, che oggi ho visto qui tra voi e che abbiamo toccato con mano nelle molte organizzazioni sociali con cui siamo venuti a contatto in questo mese: la Fazenda da Esperança; i tanti movimenti e nuove comunità ecclesiali con cui ci siamo incontrati a Fortaleza; l’incontro di UniRedes che raccoglie tutte le organizzazioni sociali e le agenzie culturali dell’America Latina che si ispirano al carisma dell’unità (di cui scriveremo a parte). Tutto questo dice ‘carità’, perché ogni realtà sociale nasce dall’amore al prossimo, dal voler dare la vita per la propria gente.

Da questa frontiera parte una speranza per tutte le comunità dei Focolari nel mondo e anche oltre. Nel dicembre scorso avevo suggerito il progetto “Mediterraneo della fraternità”, dove raccogliere tutte le azioni già in corso e quelle che emergeranno, per costruire la pace in quella regione che tanto soffre per la guerra. Anche da qui potrebbe partire un progetto di “fraternità per l’America Latina” che può essere allargato a tutti i suoi Paesi, lo affidiamo a Maria!”.

Stefania Tanesini

Mariapoli Ginetta e Polo Spartaco: il coraggio del cambiamento

Mariapoli Ginetta e Polo Spartaco: il coraggio del cambiamento

Il carisma dell’unità di Chiara Lubich è una di queste grazie per il nostro tempo, che sperimenta un cambiamento di portata epocale e invoca una riforma spirituale”.[1]

Sulla pagina web della “Mariapoli Ginetta”, la più sviluppata delle tre cittadelle dei Focolari in Brasile, il racconto della sua storia inizia con questa frase di Papa Francesco che evidenzia molto bene ciò che ha caratterizzato gli ultimi anni di questo luogo: un cammino verso un cambiamento organizzativo per testimoniare meglio la fraternità vissuta nel quotidiano e per rispondere alle necessità e alle domande delle persone che visitano la cittadella e dell’ambiente in cui è inserita.

Tutto ciò si è concretizzato con l’avvio di un processo di attualizzazione e di una gestione più partecipata e meno centralizzata delle diverse realtà che la compongono. Oggi ognuna ha un suo consiglio o comitato di gestione, composto da persone della Mariapoli e da professionisti del settore e che lavorano in sinergia anche con il consiglio della cittadella. “Corresponsabilità” è una parola chiave della Mariapoli Ginetta, assieme a uno sguardo verso il futuro e alla ricerca continua per attualizzare la mission della cittadella: “accogliere, formare, testimoniare e irradiare”.

Nel 2022 la cittadella ha festeggiato 50 anni di vita e da quel primo gruppo di focolarine in una casupola senza luce, ne gas, oggi conta un totale di 454 abitanti che vivono sul suo terreno e nei dintorni.

Negli anni sono passate decine di migliaia di persone: moltissimi giovani che hanno trascorso un periodo o alcuni anni per imparare a vivere la fraternità nel quotidiano, o per intraprendere la strada di consacrazione a Dio nel Movimento dei Focolari, poi famiglie, sacerdoti, religiosi e visitatori occasionali.

La Mariapoli Ginetta è parte della municipalità di Vargem Grande Paulista che dista appena un’ora dalla trafficatissima megalopoli di San Paolo e il cambio di scena quando si arriva è totale: molto verde, case, nessun grattacielo, parchi e aree gioco per i bambini; la vivibilità di un piccolo centro, rispetto ad una metropoli è il valore aggiunto di questo luogo. “Ci siamo trasferiti 6 anni fa da San Paolo” – racconta una giovanissima coppia con tre bambini. Sono una delle quattordici famiglie che negli ultimi anni si sono spostate da diverse città per crescere i propri figli “in un luogo in cui imparano a trattare gli altri con amore, dove c’è spazio per vivere una vita a misura d’uomo”. Questo, insieme alla scuola dei giovani che sta per iniziare la sua ottava edizione, sono segni di una rinnovata vitalità sociale della cittadella.

Oggi nella cittadella ci sono molti degli elementi che compongono una convivenza urbana” – spiegano Iris Perguer e Ronaldo Marques corresponsabili della Mariapoli Ginetta. “Ci sono abitazioni, un centro città rappresentato dalla struttura del Centro Mariapoli e dalla chiesa di Gesù Eucaristia,  l’Editrice Cidade Nova, un centro audiovisivi, ambulatori medici, atelier vari, la rinomata panetteria e caffetteria “Espiga Dourada”, i progetti sociali al servizio della popolazione più svantaggiata, il “Polo Spartaco”, un’area commerciale e produttiva dove le aziende operano secondo i principi di Economia di Comunione, la sezione brasiliana dell’Istituto Universitario “Sophia ALC” (America Latina e Caraibi)”.

Questa nuova modalità di gestione partecipata che state attuando – ha commentato Margaret Karram – è un’opportunità straordinaria di apertura della cittadella ad altri che vogliono contribuire a costruirla, a formarsi e fare un’esperienza di unità. Devo dirvi che dopo aver partecipato al Genfest mi è nata in cuore una grande speranza; ho avuto la forte impressione che in questi giorni Dio abbia bussato nuovamente alla porta del Brasile e chiede di rispondere e sostenere quanto è nato nei giovani. Anche questa cittadella, insieme alla Mariapoli Gloria e alla Mariapoli Santa Maria, ha ora una nuova possibilità e responsabilità di capire come rispondere; di offrire una testimonianza di vita evangelica vissuta in una comunità sociale”.   

Mariza Preto racconta che anche il Polo imprenditoriale ha intrapreso un coraggioso cammino di sviluppo e apertura.

Nel 2016 un debito accumulato negli anni a causa di mancati pagamenti indicava chiaramente che la sostenibilità economica del Polo era a rischio. Gli imprenditori erano demotivati, preoccupati perché all’orizzonte non si vedeva nessuno interessato ad iniziare una nuova attività al Polo. Sono stati anni difficili, in cui si sono tentate molte strade, compresa quella di costruire relazioni con gli imprenditori della regione che ha portato alla nascita di eventi comuni e momenti di confronto e incontro. Ma la svolta è avvenuta nel 2019 quando durante una fiera espositiva che abbiamo organizzato al Polo, la maggior parte degli espositori erano esterni alla nostra realtà. In quel periodo “Espri”, la società di gestione del polo aveva molti capannoni vacanti e una crescente fragilità finanziaria. È stato allora che il consiglio del Polo ha deliberato di ammettere imprese e imprenditori che non conoscevano l’Economia di Comunione ma che volevano agire secondo i suoi principi. Così che è avvenuta la “rinascita” del Polo: ogni azienda che desidera oggi entrare al Polo si sottopone ad un processo di conoscenza della vita aziendale che qui viviamo e aderisce alle linee di gestione di un’impresa di Economia di Comunione”.

A 30 anni dalla sua fondazione, oggi il Polo Spartaco si compone di 9 edifici, vi hanno sede 10 aziende per un totale di 90 dipendenti.

Qui l’economia di comunione è viva – ha detto Jésus Morán. Oltre all’aspetto carismatico, qui si vede quello produttivo che funziona ed è in atto il ricambio generazionale degli imprenditori. Tutto questo ci dice che siamo entrati in una nuova fase in cui la profezia di Chiara Lubich è viva. Ringraziamo tutti i pionieri, quelli che hanno iniziato e ci hanno creduto e hanno permesso che arrivassimo fino qui”.

È attraverso la SMF, “Sociedade Movimento dos Focolari” che la cittadella si impegna in diverse opere sociali sul territorio. La SMF promuove il rafforzamento della comunità e l’accesso ai diritti e alle garanzie di protezione, soprattutto per i bambini, i giovani e le donne in situazioni di vulnerabilità sociale. Le tre Opere Sociali in cui lavorano gli abitanti della Mariapoli Ginetta operano nel campo della prevenzione per giovani in condizione di vulnerabilità, realizzano percorsi di accompagnamento per le loro famiglie e accolgono persone senza fissa dimora. Questa è una goccia nel mare della necessità di dignità, lavoro e giustizia di tanta gente e come ha spiegato Sérgio Previdi, vicepresidente di SMF “E’ solo un tassello del progetto culturale basato sulla fraternità che vogliamo sviluppare sul territorio e nella nostra città”.

Stefania Tanesini


[1] Messaggio del Santo Padre Francesco per l’apertura del convegno internazionale “Un carisma al servizio della Chiesa e dell’umanità” in occasione del centenario della nascita della serva di Dio Chiara Lubich