Movimento dei Focolari
Germogli di speranza

Germogli di speranza

Due giornate di visite per il Consiglio Generale dei Focolari nei luoghi santi: dalla grotta della Natività di Betlemme al Cenacolo, dall’orto degli olivi al Calvario. Insieme ad incontri con personalità per approfondire questioni di grande attualità per la Terra Santa.

il rabbino Ron Kronish e il vescovo luterano emerito, Munib Younan

Il 14 e 15 febbraio è stata la volta di una full immersion nella situazione politica e religiosa della Terra Santa. Il Consiglio Generale si è messo in marcia, insieme alle migliaia di pellegrini che affollano quotidianamente Gerusalemme, per visitare alcuni dei luoghi santi. Ma non solo: queste giornate sono state dedicate anche ad approfondire la situazione politica e religiosa di questa terra. Ad accompagnare questo percorso, due personalità d’eccezione: il rabbino Ron Kronish e il vescovo luterano emerito, Munib Younan. “La guerra tra ebrei e cristiani ormai è finita” ha osservato il rabbino Kronish parlando del dialogo ebraico-cristiano. Sia lui che il vescovo Younan hanno focalizzato poi il loro intervento sulle condizioni politiche necessarie per una convivenza pacifica, non solo tra Israele e Palestina, ma per l’intero Medio Oriente: “Due popoli – due stati” è lo slogan che esprime, secondo l’opinione concorde di questi due uomini di dialogo, amici da tanti anni, la base indispensabile sulla quale costruire una pace vera. “Solo con due stati – dice Kronish –riusciremo a porre fine alla violenza”. E una volta terminata la guerra – è la convinzione espressa dal rabbino Kronish fondatore di tante iniziative di dialogo – ci saranno anche le risorse economiche necessarie per una politica di educazione e formazione alla convivenza pacifica. Munib Younan, nato in una famiglia di profughi palestinesi, aggiunge altri elementi necessari, a suo avviso, per una pace duratura: una Gerusalemme che appartenga ugualmente alle tre grandi religioni (ebrea, musulmana e cristiana) e ai due popoli (ebreo e palestinese) e una soluzione per i profughi palestinesi. Anche lui è d’accordo che, dopo le scelte politiche, occorra una strategia di formazione soprattutto per i giovani. “Iniziate un Movimento laico come il vostro tra i cristiani palestinesi – è l’invito che rivolge ai Focolari – ce n’è tanto bisogno”. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico in Terra Santa, ha ricevuto il Consiglio Generale giovedì scorso nella sede del Patriarcato Latino. Nel suo saluto ha messo l’accento sulla forza di ciò che è piccolo. “Noi cristiani in Terra Santa siamo pochi, deboli e fragili – ha spiegato – E proprio per questo possiamo fare la proposta provocatoria di una Gerusalemme non solo celeste, ma anche terrestre, che ha, come dice l’Apocalisse, tutte le porte aperte.” Il compito dei cristiani sarebbe quello di seminare, senza pretendere di vederne gli effetti. Gettare semi, anche piccoli, e lasciare alla Divina Provvidenza di farli crescere e fruttificare. Questo invito dell’Arcivescovo è sembrato realizzarsi poche ore dopo: accanto alla Chiesa San Pietro in Gallicantu, adiacente alla scaletta sulla quale Gesù, secondo la tradizione, avrebbe espresso la sua preghiera per l’unità, Maria Voce, Presidente dei Focolari, ha deposto nella terra una piccola medaglia. È il primo seme di un “Centro Internazionale per l’Unità e la Pace” a Gerusalemme che sta per nascere proprio qui, quale realizzazione di un sogno che Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari aveva espresso già durante una sua visita in Terra Santa nel 1956. “Chiara – ha affermato Maria Voce – dal Cielo benedirà questo progetto e lo porterà avanti”. Un momento profondo, a cui erano presenti anche 170 membri delle comunità dei Focolari in Terra Santa. Testimoni, questi ultimi, che il piccolo seme gettato in questa terra lungo il corso gli anni, mostra già i primi germogli.

Joachim Schwind

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Più che sorelle

Più che sorelle

«Non saremo mai capaci di valutare l’aiuto che i fratelli ci danno. Quanto coraggio infonde in noi la loro fede, quanto calore il loro amore, come ci trascina il loro esempio!». Chiara Lubich (1920-2008), autrice di queste righe, è conosciuta come colei che ha saputo trascinare dietro a Cristo centinaia di migliaia di persone, che intesse rapporti con buddisti, musulmani, è seguita da persone senza convinzioni religiose e ridà un soffio di vita alla politica, all’economia. Sulla bilancia degli apporti che hanno reso Silvia Lubich semplicemente “Chiara”, pesa non poco l’amicizia con le sue prime compagne. Tutto è incominciato con una scelta di Dio, e con la consacrazione nella verginità nel 1943 a Trento. Ma ben presto non è un “io”, ma un soggetto collettivo che si muove, agisce, prega e ama: Chiara e le sue prime compagne Avrebbero potuto diventare persone qualunque, invece sono state dei fari nei cinque continenti. Questa storia ha dell’incredibile, eppure è semplice. Si capisce se si apre il Vangelo al capitolo 13 di Giovanni: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Giovanni, 13, 34). Un comandamento praticabile solo insieme. Quando, nei rifugi, ascoltano questo brano si scambiano uno sguardo d’intesa, mentre misurano l’impegno richiesto. Non esitano a dichiararsi reciprocamente: «Io sono pronta ad amarti fino a dare la vita per te». Chiara lo considererà la pietra angolare sulla quale poggerà l’edificio del Movimento dei Focolari. Non è certo una cosa inedita nella storia della Chiesa. Ma c’è forse qualcosa di nuovo. Chiara trasmette alle compagne ciò che vive e tutto quanto lo Spirito Santo le ispira. Tra loro c’è un legame solido come la roccia, e vorrei illustrare la qualità di questo rapporto che valorizza, libera le potenzialità ed edifica un’opera di Dio. Siamo nel 1954. È passata una decina di anni. A Roma vivono con Chiara Giosi, Graziella, Natalia, Vittoria (chiamata Aletta), Marilen, Bruna, Giulia (Eli). Un giorno, mentre Chiara si ferma a guardarle, le viene in mente una frase del libro dei Proverbi: «La sapienza ha intagliato le sue sette colonne» (Proverbi 9, 1). Vede sette giovani donne, ognuna con un talento, unite e radicate in Dio. Ecco le sette colonne della sapienza, i sette colori dell’arcobaleno che scaturiscono da un’unica luce, l’amore. Sette aspetti dell’amore interdipendenti, fluenti l’uno dall’altro e l’uno nell’altro. A Giosi Chiara affida la gestione della comunione dei beni e degli stipendi, nonché la cura dei poveri: il rosso dell’amore. A Graziella affida «la testimonianza e l’irradiazione», l’arancio. Natalia era stata la prima compagna: a lei impersonare il cuore di quest’ideale, il grido di Gesù abbandonato da amare Porterà questo segreto oltre la Cortina di ferro. Era la spiritualità e la vita di preghiera, il giallo dell’arcobaleno. Aletta sarà ricordata come colei che infuse tra i membri del Movimento l’impegno del prendersi cura della salute, per formare una comunità unita nell’amore: lo fece nel Medio oriente in guerra. Chiara le affidò la natura e la vita fisica, il verde. A Marilen, che visse quindici anni nella foresta del Camerun in mezzo a una tribù e testimoniò un rispetto incondizionato per la loro cultura, Chiara affidò l’azzurro: l’armonia e la casa. Bruna era un’intellettuale e Chiara la vide come colei che doveva sviluppare l’aspetto degli studi: l’indaco. A Eli, che stava sempre a fianco a Chiara, curandosi che tutti i membri nel mondo vivessero all’unisono, fu affidato l’aspetto dell’«unità e mezzi di comunicazione», il violetto. Altre compagne avranno successivamente dei compiti particolari: Dori, Ginetta, Gis, Valeria, Lia, Silvana, Palmira.

1959: Lia, Marilen, Bruna

Chiara stessa volle spiegare: «La filadelfia (amore fraterno) è più che una realtà. È qui che io prendo forza per affrontare le croci, dopo l’unione diretta con Gesù. L’una si preoccupa dell’altra a seconda del bisogno. Qui si va dalla sapienza comunicata […] ai consigli pratici sulla salute, sul vestito, sulla casa, sul mangiare, ad aiuti continui. Qui sei convinto che non sarai mai giudicato, ma amato, scusato, aiutato. Qui scorre sangue di casa, ma celeste. Quando voglio verificare se la mia è un’ispirazione, se un articolo è da correggere, glielo leggo chiedendo solo il vuoto assoluto di giudizio. Esse lo fanno ed io sento ingrandita la voce di Gesù dentro: “Qui bene, qui a capo, qui spiega meglio”. Rileggo con loro il testo e lo troviamo come desiderato». Non sorprende che, come testamento, Chiara abbia lasciato questa frase: «Siate sempre una famiglia». (altro…)

L’insoluto (piccolo dizionario biografico per ricordare l’Italia di oggi)

L’insoluto (piccolo dizionario biografico per ricordare l’Italia di oggi)

L'immagineL’incontro con Pietrangelo Buttafuoco e con la sua vita si trasformano nella circostanza per riscrivere un linguaggio che diventa viaggio per l’Italia. L’ambizione sarebbe quella di provare a scrivere una grammatica della memoria, della tradizione, ma anche dell’innovazione e dell’integrazione. Le parole scelte sono quelle del vivere quotidiano, parole ripetute tante volte e fermate nel silenzio di una riflessione. Altre sono parole desuete, dialettali, parole che provano a comporre una narrazione che vorrebbe scuotersi dalle spalle la polvere del pensare comune. Un vocabolario che s’interroga, perché ogni parola è un dubbio che non sempre chiede di essere sciolto.

GLI AUTORI Sergio Nazzaro, scrittore e giornalista, ha collaborato con «La Repubblica», «Il Sole 24 ore», «Il Corriere del Mezzogiorno». Ha scritto reportage d’inchiesta, soprattutto sulle criminalità organizzate nazionali e internazionali, in particolare sulle mafie di origine africana. È autore di numerose pubblicazioni tra cui Castel Volturno. Reportage sulla mafia africana (Einaudi, 2013), Dubai Confidential (Elliot, 2009), Io, per fortuna che c’ho la camorra (Fazi, 2007). Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e giornalista, collabora con «Il Foglio», «Il Fatto quotidiano», «Il Sole 24 ore». È stato presidente del Teatro stabile di Catania. È autore didiverse pubblicazioni tra cui: I baci sono definitivi (La nave di Teseo, 2017), Le uova del Drago (La nave di Teseo, 2016), Il feroce Saracino. La guerra dell’Islam. Il califfo dalle porte di Roma (Bompiani, 2016), Buttanissima Sicilia. Dall’autonomia a Crocetta, tutta una rovina (Bompiani, 2017) e il seguito Strabuttanissima Sicilia (La Nave di Teseo, 2017)   Città Nuova Editrice

La nascita al cielo di Dori Zamboni

La nascita al cielo di Dori Zamboni

Dori Zamboni

Dori Zamboni

“Scrivo, (dettando) il mio ricordo per voi. La mano non va più, ma la testa pensa e prega per voi tutti mano a mano che mi venite alla mente con le vostre gioie, coi vostri dolori e con i vostri problemi”. È l’incipit di una lettera di Dori di pochi giorni fa, per il Natale 2015, ai suoi “carissimi amici”, quelli conosciuti nell’arco di una vita, e che ha cercato di raggiungere in tutto il mondo. Doriana Zamboni, conosciuta semplicemente come “Dori” era nata a Trento nel 1926 e aveva incontrato Chiara Lubich giovanissima, ancora studente – ribelle – delle scuole superiori, che da lei prendeva lezioni di filosofia. Era il 1943, data dell’inizio dell’avventura spirituale che avrebbe portato alla nascita del Movimento dei Focolari. “La Madonna e Gesù vi aiuteranno anche attraverso la mia preghiera – continua la sua lettera – Gesù ha detto: “Chiedete e vi sarà dato”… E anche se non conosco i vostri bisogni, li metto nel cuore di Lei affinché manteniate fedele l’amore a Gesù in croce abbandonato”. Questa “fedeltà” ha segnato la vita di Dori: è stata lei, infatti, la prima a cui Chiara – il 24 gennaio 1944 – ha confidato l’intuizione sul massimo dolore di Gesù, quello dell’abbandono in Croce, che diventerà presto il segreto e il caposaldo della vita di Chiara, e di quanti avrebbero condiviso questo cammino. “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9) è la parola del Vangelo che Chiara le aveva indicato come guida per la sua vita, e che meglio rispecchiava il suo essere. E in questo amore, radicato in Dio, Dori ha girato il mondo per testimoniare e diffondere l’ideale dell’unità: nel 1956 è in Francia, nel 1965 in Inghilterra, nel 1971 in Belgio, aprendo, insieme ai nuovi Focolari, nuove vie nel cammino ecumenico e nel dialogo con la cultura. Ha seguito nel loro percorso umano e spirituale migliaia di persone: dal 1976 la fondatrice dei Focolari le affida l’accompagnamento della branca dei Volontari di Dio – laici impegnati nel sociale – e lo sviluppo del Movimento Umanità Nuova. Nell’équipe che nel 1956 ha dato vita a Città Nuova è dunque tra i pionieri dell’editrice e rivista dei Focolari, e tra le prime firme su quelle pagine. Dori ha sempre incoraggiato e sostenuto il lavoro della redazione, fino agli ultimi giorni. “Dovunque siate, ricordatevi di me, perché la mia salute indietreggia e vorrei che essa fosse nella preghiera di tanti per aiutarmi nella scaletta… Vi sento tutti vicinissimi e desiderosi di aiutarmi a sopportare e offrire quello che Dio mi manda”, scrive ancora Dori. E così, circondata dall’affetto e dalle preghiere di chi l’ha assistita fino all’ultimo, la mattina del 26 dicembre si è spenta serenamente. Ne dà l’annuncio a tutto il Movimento dei Focolari la presidente Maria Voce, esprimendo la riconoscenza per la sua vita e l’invito a unirsi a questa preghiera corale. I funerali si svolgeranno al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo (largo G.B. De la Salle) lunedì 28 dicembre alle ore 10.30. Intervista a Dori di Oreste Paliotti – Città Nuova Intervista a Dori su “la scoperta di Gesù Abbandonato” (altro…)