Non dalla guerra
«L’esperienza che ha portato alla nascita della nostra associazione, “Non Dalla Guerra”, è iniziata quasi per caso. Eravamo molto giovani, inesperti e impreparati, ma pieni di energia e di desiderio di andare oltre la realtà che ci veniva detto dai media. La nostra attività è principalmente un’educazione alla pace nelle scuole, nei gruppi e per i cittadini. Il nostro intervento consiste nel parlare sulla situazione del Medio Oriente come in Giordania, in Palestina, in Siria e in Iraq… su quelle guerre che non ammazzano solo le persone ma anche i Paesi, la speranza, la libertà e il futuro. Ogni anno coinvolgiamo tanti ragazzi a partecipare nei progetti di volontariato, specialmente in Giordania, grazie alla Caritas, con l’obiettivo di rimanere e stare con le persone, con le famiglie e i ragazzi che scappano dall’incubo della guerra. Siamo arrivati la prima volta in Giordania nel 2014 e da quel momento tutto è cambiato. Attraverso le storie di migliaia di rifugiati dalla Siria e Iraq, che si trovano ancora a vivere in Giordania, siamo venuti a sapere le conseguenze della guerra: devastazione, povertà e perdita di ogni speranza. Abbiamo compreso quanto complessa sia la realtà lì e di quanto sia dura da capirla. Cosa significa la pace? Perché esiste la guerra? Come giovani ci siamo domandati: cosa possiamo fare? Tentando di rispondere a questa domanda abbiamo capito sempre più, e abbiamo compreso che il cambiamento e la pace devono partire da noi, tramite un viaggio lento, interminabile e faticoso verso la coerenza tra chi sei e cosa fai, una grossa sfida. Essere giovani non ci ha impedito di portare avanti i nostri ideali, anzi. Certamente facciamo ancora tanti sbagli, ma questo fa parte del “gioco”. Sentiamo che abbiamo una responsabilità e questa responsabilità per noi ha un volto, una storia e il nome di tutte quelle persone che abbiamo incontrato. Wael Suleiman, il direttore della Caritas in Giordania, una volta ha detto: “la Pace non è una campagna , è vita”, e allora cosa posso fare? Far parte di Non dalla Guerra? Impegnarmi nella mia città, si certamente. La cosa più importante da fare, però, è rispondere con la vita. La mia vita è una risposta a ciò che vivo! Da questa esperienza abbiamo capito che i giovani possono fare tutto quello che vogliono e se è vero, dobbiamo unirci, non per essere uguali, ma uniti, per non ripetere gli errori e i conflitti che stiamo sperimentando ora. Vogliamo puntare al cambiamento e lo possiamo fare insieme». (altro…)Lettera dal carcere
«Questa lettera per me è preziosa come le parole scritte da Chiara Lubich: “Io posso immaginare che tutti voi … sentiate il peso che la violenza e il terrorismo siano in intere nazioni. Dei giovani non più grandi di voi, credono di poter cambiare la società con rapimenti, uccisioni e commettendo i crimini più svariati. Senza dubbio loro non hanno trovato ideali più positivi e si sono così lasciati andare in strade estremamente pericolose. Molta gente è spaventata e non può vivere in pace. Cosa possiamo fare? Quale contributo possiamo dare?”. Queste parole riassumono perfettamente quello che sto passando ora. Vorrei condividere quello che sto vivendo e di come io mi senta abbandonato in questo momento; forse un po’ come si è sentito Gesù quando era abbandonato sulla croce. Questo senso di abbandono è qualcosa che ho sperimentato nei quattro centri di detenzione dove sono stato e dove mi sono ritrovato con ragazzi che erano la maggior parte, più giovani di me. All’inizio questi ragazzi mi spaventavano, erano contro di me e volevano perfino ammazzarmi. Ma ho provato ad avvicinarli e mi sono reso conto che quello che a loro mancava era di essere capiti, una mancanza di opportunità e di conseguenza una mancanza d’amore. Non sto cercando di giustificali, ma anche loro hanno bisogno di amore e di aiuto, solo che lo chiedevano richiamando l’attenzione su sé stessi, nel modo sbagliato, ma era l’unico modo che conoscevano. I miei genitori cercano di vivere per un mondo unito e, fin da quando sono piccolo, anche io. È più facile quando fai parte di una comunità in cui si cerca di vivere in questo modo. Mentre per le persone che hanno paura di lasciarsi amare è più difficile, specie quando vedi che questo amore non è corrisposto e si è circondati da ladri e assassini. In ogni modo l’amore sfonda tutti i limiti ed è questa la verità più preziosa, nonostante quello che sto vivendo qua. Ora questi ragazzi vengono nella mia cella per chiedere consigli o aiuto, in particolare quando attraversano un brutto momento; qualcuno vuole persino sapere di più sui Giovani per un Mondo Unito di cui faccio parte, nonostante la mia situazione. Tanti mi domandano come sto, se ho bisogno di qualcosa, qualcuno addirittura mi chiama fratello. Quello che sto vivendo in prigione può diventare un’invasione d’amore che si diffonde pian piano dove regna la violenza. Così come la pioggia leggera che penetra dolcemente nelle profondità della terra…». (altro…)
“Life Directions”
Improntato sul “cosa faccio nella mia vita?”, uno dei sette workshop che si sono svolti a seguito del Genfest ha affrontato il tema delle scelte per la vita, della propria “Life direction”. «La costruzione di questo workshop – raccontano gli organizzatori, adulti insieme a un gruppo di giovani di varie parti del mondo – era già iniziata dallo scorso febbraio con incontri via Skype: un’esperienza davvero edificante, assunta da tutti con serietà, responsabilità e creatività». «Arrivando a Tagaytay e conoscendoci di persona, ci siamo resi conto quanto era alta in tutti l’aspettativa. Anche i numeri attesi al workshop erano alti: dei 1000 iscritti ai sette laboratori, 250 giovani avevano scelto Life Directions. Provenienti da vari paesi del mondo, si parlava in 16 lingue diverse». La conduzione del programma, snella e graduale verso contenuti sempre più “profondi” e in cui le esperienze erano il fattore principale, è stata preparata e portata avanti dagli stessi giovani della cittadella asiatica, e il filo conduttore era il “motto quotidiano”: un pensiero da mettere in pratica durante la giornata. «Il primo giorno è stato aperto con “Open your heart”: un invito ad aprire il cuore alla vera felicità, cercando di togliere quanto poteva essere di impedimento per vivere con intensità l’attimo presente. Si sono presentate quattro esperienze in modi e situazioni diverse sul tema della felicità trovata grazie all’amore vissuto, o scoperta dopo la ripresa in seguito alla caduta o, ancora, in situazioni dolorose e difficili. Lo scambio in piccolo gruppi ha permesso di verificare quanto erano calate in profondità e quante domande e aspettative ciascuno portava con sè». «Il secondo giorno – continuano –, il motto era “What is the call” (cos’è la chiamata) in cui era richiesta la nostra partecipazione in modo più attivo nel presentare il senso della “chiamata” con un linguaggio comprensibile per poter essere accolta, associandola a tre parole chiave: capire, ascoltare, scegliere. Quindi, la storia con Dio di cinque personaggi biblici: Samuele, il giovane ricco, il figlio prodigo, Maria e Pietro. Una coppia di sposati, un religioso, un’impegnata nel mondo professionale e una focolarina sono stati intervistati sulle tre parole chiave. «In gruppi più piccoli si è potuto approfondire il senso di ciascuna di queste chiamate, interagendo anche con domande e risposte». «Il terzo giorno si puntava in alto con il motto: “Aim high”. Abbiamo lasciato la parola a Chiara Lubich che racconta della sua chiamata ai giovani a Barcellona nel 2002. Le domande, stavolta scritte, poco a poco affollavano la cassetta messa a disposizione e che sono state la materia con cui si è animato il pomeriggio, con interviste ancora ai nostri invitati: ognuno sottolineava la bellezza della propria vocazione nell’ottica dell’unica chiamata all’amore. Un’ora e mezza che è volata!» «In questi quattro giorni – scrivono gli adulti – abbiamo visto giovani con la sete di un rapporto con Dio, in profonda ricerca, apertura e ascolto. Anche pieni di sofferenza, di dubbi e paure, tutto in un clima di grande semplicità e serenità. Abbiamo avvertito che qualcosa di nuovo è avvenuto: un’esperienza di luce che ha aperto una nuova strada di dialogo con i giovani sulla chiamata ad una vocazione radicale». Qualche impressione dei presenti: «Era proprio quello di cui avevo bisogno a questo punto della mia vita. Vivere il momento presente, aprire le mie porte, fare passi radicali oltre noi stessi, è quello che mi porto via». «I giovani che hanno raccontato della loro scelta di seguire Gesù in modo totale mi dà il coraggio di fare scelte solo per amore». «Per me era importante capire come rispondere alla chiamata: capire (che Dio mi ama), ascoltare (la voce dentro) e decidere (di seguire Gesù). Sono tanto felice per questa esperienza. Grazie!» (altro…)
Giornata dell’amicizia
Sono più di 50 i Paesi che hanno deciso di far propria la “Giornata internazionale dell’amicizia”, istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 2011 e celebrata il 30 luglio di ogni anno, o in alcuni Paesi, tra cui India, Nepal e Bangladesh, nei giorni immediatamente successivi. L’obiettivo della Giornata è quello di incoraggiare i governi, le associazioni e i gruppi a favorire, secondo la cultura e le abitudini locali, ogni forma di amicizia, solidarietà, fiducia, comprensione reciproca e riconciliazione, nella convinzione che tali sentimenti possano contribuire fattivamente alla pace tra popoli e nazioni. In particolare, le Nazioni Unite incoraggiano i giovani, in quanto futuri leader, ad impegnarsi in attività comunitarie che includano culture diverse per promuovere la comprensione internazionale e il rispetto delle diversità. Non è un incoraggiamento lanciato a vuoto, a giudicare dall’adesione entusiasta di migliaia di giovani al messaggio di amicizia e unità “oltre ogni frontiera” lanciato recentemente nei Genfest di Manila e di tanti altri paesi del mondo. (altro…)